La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati

La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati
Il territorio della missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati, a nord della Guinea-Bissau e confinante con il Senegal.

9 novembre 2009

Capitolo 9 - Africa, alzati e cammina!

Santa Maria, Mãe de Deus, Protectora de África,
tu ofereceste ao mundo a verdadeira Luz, Jesus Cristo.
Pela tua docilidade ao Espírito Consolador,
concede-nos a graça de sermos testemunhas do Senhor Ressuscitado,
para que sejamos cada vez mais sal da terra e luz do mundo.


24 luglio 2009, Foggia
Finalmente posso riprenderti in mano! Caro diario, mi sei mancato. Pensavo di riprenderti molto prima, e invece …
Sono ritornato a Foggia all’inizio di maggio per accompagnare il Vescovo di Bissau, Dom José Câmnate, nella sua visita in sud Italia. Poi mi sono trattenuto per altri giorni a Foggia, incontrando in varie occasioni tanti amici e conoscenti. Sono riuscito anche a fare veloci visite a Vicenza, Massa della Lucania (Salerno) e Roma, incontrando amici e familiari. Sono quasi pronto per ritornare in Guinea-Bissau, all’inizio di giugno, quando si ripresenta la mia cara “sorella” febbre.
Veloce salita a Negrar (Verona) per una verifica nel reparto di malattie tropicali: polmonite. La numero due! Cura e riposo a Montecchio Maggiore (Vicenza). Ritorno a Segezia, ma non mi riprendo: ho difficoltà a respirare e mi stanco facilmente. Questa volta mi rivolgo ad un affermato pneumologo di Foggia, il dott. Selmi dell’ospedale “D’Avanzo”. Dalle verifiche con radiografie e TAC, si vede che nel polmone è rimasta la cicatrice chiusa della polmonite (significa che non ci sono problemi polmonari, al momento). Il dottore trova però una persistente infiammazione delle vie respiratorie: altra cura con antibiotici in aerosol. Afferma che le mie vie respiratorie si sono indebolite, e che gli sbalzi termici mi causano le varie difficoltà di respirazione che ho patito in questi ultimi tempi. Dovrò prendere anche un vaccino nei prossimi mesi, per rafforzare le vie respiratorie.
Una considerazione simpatica: dopo averci ragionato assieme, il dottore ritiene che l’aria dell’Africa sia, per me, più salutare dell’aria italiana. Ci sono meno sbalzi termici, non ci sono le differenze stagionali come in Europa. Insomma: parto per Bigene, la mia missione in Guinea-Bissau, e se mi volete vedere venite a trovarmi voi, visto che quando torno in Italia mi prendo la polmonite!
Certo, anche l’Africa offre le sue fatiche, e a volte ti “benedice” con la sua malaria, ma che cosa devo fare? Io so che il Signore mi vuole missionario. Voi che dite?
Due settimane di convalescenza, due settimane di ripresa, e riparto oggi. Eccomi nel piccolo aeroporto di Foggia: ritorno in Africa assieme a Giusi (ha terminato il suo periodo di riposo) e con Sergio Triglione, operatore nella scuola del Seminario Diocesano di Foggia. Non manca un gruppetto di amici che desidera salutarmi: ci siamo già salutati ieri sera, a Segezia, ma questa partenza prevede una lunga permanenza in Africa, e un ultimo arrivederci è gradito!
Volo per Fiumicino, poi per Lisbona. L’attesa per il prossimo volo ci permette una breve visita turistica in questa bella città, ed accompagniamo volentieri Sergio ad ammirare il centro storico, fino alla chiesa di S. Antonio di Lisbona (mi raccomando: non dite mai, ad un portoghese, che S. Antonio è “da Padova”: potrebbe offendersi, e con ragione). Una veloce preghiera per tutti gli Antonio e le Antoniette che conosco (e sono tanti!), e ci prepariamo per l’ultimo volo. Si unisce a noi anche suor Marisa, Oblata del Piccolo Seminario di Foggia, già esperta della Guinea-Bissau.

25 luglio, Bissau
L’aereo arriva puntuale, all’una e trenta di notte (le tre e mezza in Italia). Ci aspetta Pe. Giancarlo per portarci in Curia, dove ci sistemiamo. L’aria è ottima per i miei polmoni: calda e secca (così mi sembra).
Il risveglio è uno spettacolo di suoni della natura: mi mancavano! Passo la mattinata a sistemare il telo sul portabagagli esterno di segezia (il tempo delle piogge è già iniziato). I giovani meccanici si impegnano con tutte le loro capacità, ed il risultato è ottimo (il telo non fa rumore … come sulla macchina di Pe. Giancarlo!).
Poi il Vescovo mi riceve per comunicarmi grandi novità: mi consegna i documenti della erezione a parrocchia della missione di Bigene, e la mia nomina come parroco! Non mi rendo subito conto dell’importanza storica ed ecclesiale di questi atti. Una missione diventa parrocchia quando ci sono chiari segni di crescita e di stabilità nella comunità cristiana locale. I missionari del PIME avevano iniziato la loro presenza in questa terra nel 1965, poi sono venute le suore Oblate, negli ultimi anni i missionari dell’OMI. Adesso il Vescovo, accolto l’unanime parere positivo del Consiglio Presbiterale, istituisce la parrocchia del Sacro Cuore a Bigene. Ed io sarò il primo parroco di Bigene. Il ritorno in Africa è pieno di buone prospettive, e di buon lavoro. Che il Signore ci aiuti.
Con Sergio parto veloce verso Bigene: non vedo l’ora di arrivare! E lungo il percorso stradale ecco la grande novità: in località São Vicente, il ponte sul fiume Cacheu è completato. Cari amici, non potete immaginare la mia gioia nel percorrere questo ponte, costruito con il sostegno economico e tecnico della Comunità Europea (viva l’Europa, almeno in questa occasione!). Fino a pochi giorni fa, per attraversare il corso d'acqua era necessario arrivare al bordo del fiume ed aspettare una specie di traghetto che trasportava le macchine da una riva all’altra. Con attese estenuanti, anche di due o tre ore, sotto il sole. E poi le difficoltà nel salire e scendere dal traghetto, con le macchine tutte stipate una attaccata all’altra e il continuo pericolo di essere “toccati” da altre vetture, già abbondantemente segnate da questi incontri ravvicinati. Io facevo come mia sorella (quando aveva la patente): aspettavo che scendessero tutti gli altri, poi mi mettevo in moto anch’io!
Il ponte è bello, maestoso. Il rio Cacheu è largo in questo punto, e il ponte lo attraversa con otto campate slanciate e solide. Una grande soddisfazione! Veramente. E penso a tutti i missionari che, per tutto il tempo della loro permanenza in questa terra, hanno dovuto aspettare il traghetto con le sue insidie. Io sono qui solo da un anno. Ma guarda: sono qui da un anno esatto! Proprio oggi, un anno fa, partivo per questa terra di missione. Avanti Ivo! Ci sono altri anni…
L’emozione è forte. Arriviamo a Ingoré con poco più di un’ora di cammino su strada ben asfaltata e senza buche. E adesso ci aspettano i trenta chilometri di buche, fango e pozzanghere lunghissime del percorso fino a Bigene. Le piogge hanno riempito la strada, e nell’attraversare certe pozzanghere, lunghe anche venti, trenta metri, senza vederne il fondo, non nascondo i miei sospiri! Ma in due ore ce la facciamo! La mia segezia va forte e senza problemi: sembra quasi un traghetto sul fiume!
L’arrivo a Bigene è una festa enorme nei cuori di chi incontro. E chi è il primo abitante di Bigene che incontro? Il mio primo piccolo amico: Bemvindo! Come mi vede arrivare si butta letteralmente sulla macchina, tanto da non permettermi di continuare. Non arrivo a prendergli la mano dal finestrino (lui è piccolo, e la macchina, in questo punto della strada, è piegata sul lato opposto) e allora apro la porta. Bemvindo con un salto mi viene in braccio, e non mi lascia più. Non se ne parla proprio di scendere. Così sono costretto ad entrare nel cortile della casa delle suore con questo piccolo africano che gira il volante con me. I vigili, da queste parti, non li conoscono. Meno male! Le suore sono un sorriso infinito, e i loro occhi raggianti dicono a tutti: “Finalmente è arrivato!”. Amen. Alleluia.

26 luglio, XVII domenica ordinaria: Bigene
Incontro la mia piccola comunità cristiana per la S. Messa domenicale. Sono felici di ritrovarmi, dopo una interruzione di due mesi e mezzo. Hanno pregato per la mia salute e per il mio ritorno in Guinea-Bissau. Queste persone non esternano i loro affetti come noi italiani: niente baci e abbracci, o cose del genere. A chi mi dice “dai un bacio per me ai tuoi bambini”, dovrei rispondere che qui non si danno baci! E per un “nordico” come me, la cosa va molto bene… Niente baci, ma grandi sorrisi. E quando un Africano sorride, il suo sorriso si nota molto più del sorriso di un Italiano! Venite a vedere questi bambini, sempre con un sorriso immenso sul loro volto. Tanta sofferenza, tante privazioni, ma anche tanti sorrisi: Africa, terra di speranza!

27 luglio, Bigene
Ma se volete venire qui a vedere questo popolo e questa terra, occorre prima terminare la mia casa! A che punto saranno i lavori? Con mia gioia, trovo che i lavori sono proceduti, e la costruzione avanza. Non possiamo aspettarci grandi cose: tutto è fatto manualmente! Ma si vede che il lavoro è avanzato. Speriamo che proceda bene e, con la solidarietà di tanti amici, speriamo di completare anche le opere necessarie attorno alla casa: il foro profondo per l’acqua, una cisterna e l’impianto idrico, un impianto con generatore di corrente.
Nel pomeriggio arriva il temporale africano: imponente, maestoso. E atteso da tutti. La pioggia cade solo d’estate, e negli altri mesi nemmeno una goccia. Quest’estate non è arrivata una quantità consistente di acqua, come se la stagione delle piogge fosse in ritardo. Quest’acqua è una reale benedizione per gli agricoltori, in particolare per quanti lavorano il riso, cibo primario della Guinea-Bissau e di gran parte dell’Africa.
E poi ci sono le piccole necessità, come nella casa delle suore. Da giugno il pozzo non pesca acqua, si è prosciugato. E quando piove, tutti i recipienti sono buoni per raccogliere l’acqua che scende dal tetto, da poter conservare per le varie necessità. Non è la situazione più agevole: con il caldo umido, ci sarebbe la necessità di avere acqua abbondante che scenda dal tubo della doccia …
E in serata arriva anche la prima telefonata dall’Italia. Non lo sapevate, non lo avevo detto a nessuno: la prima persona che mi avesse telefonato, avrebbe vinto un favoloso premio. Curiosi, vero? Non voglio tenervi sulle spine. Il premio è un safari in Africa per due persone!!! Il safari, completamente a mio carico, comprende il tragitto Bissau-Bigene-Bissau, e la seconda persona che può partecipare con il vincitore è solo la prima moglie del vincitore (siamo in un paese poligamo, ma a casa mia entrano solo mariti con la prima moglie!). Il vincitore è Franco, e la sua prima moglie è Mara. Abitano entrambi a Foggia! Complimenti per la prima telefonata inviata e per il safari da compiere.

28 luglio, Bigene
Con Sergio prendiamo la strada per Farim. Andiamo con molta calma: quasi una visita turistica nella quale aiuto Sergio a capire la vita di queste popolazioni. Nessuna pretesa: non posso assolutamente affermare di conoscere l’Africa e i suoi numerosi misteri. Descrivo le mie impressioni, le mie piccole esperienze, le mie prime conoscenze. L’Africa è piena di misteri, spesso incomprensibili per chi non è africano. Le Religioni Tradizionali sono dentro la vita delle persone, e molti aspetti tradizionali permangono anche nei cristiani.
Non riesco a capire come facciano, alcune persone, ad affermare di conoscere l’Africa dopo una visita di pochi giorni. Qualcuno scrive anche dei libri sull’Africa, come se conoscesse pienamente la vitalità e la cultura di questi popoli. Io mi limito a scrivere un diario. Non ho affatto la pretesa di essere completo ed oggettivo nelle mie descrizioni. È un diario, semplicemente un diario. Spero solo che ti possa piacere e ti aiuti a comprendere qualcosa di questa meravigliosa esperienza missionaria che sto vivendo in questo luogo pieno di vita, nonostante tante morti.
Prima di Farim ci fermiamo in un villaggio di etnia mandinga. Questa è una etnia famosa per la sua fede: sono tutti musulmani convinti. A volte, per affermare che non si è musulmani, si usa dire che non si è mandinga. Mi fermo per far vedere a Sergio una cosa interessante: come i bambini creano sempre comunione. Scendo dalla macchina in mezzo al villaggio, ed aspetto. Si avvicinano timidamente cinque-sei piccolini. Guardano incuriositi e sorridenti. Perché i bambini africani sorridono sempre???
Comincio a cantare una canzoncina brasiliana, dei miei anni giovanili. Dopo pochi istanti i bimbi ripetono veloci le parole della canzone e i gesti che l’accompagnano. I suoni arrivano alle orecchie degli altri bambini, e in un paio di minuti arrivano tutti i piccoli del villaggio. Gli adulti cominciano a preoccuparsi: perché i bambini corrono verso l’uomo bianco? Escono dalle capanne anche le mamme, pure loro attente a capire cosa succede. Ma la mia canzone non solo raccoglie con grande gioia tutti i bambini … anche le donne cominciano a coinvolgersi e a cantare. I bambini mi accerchiano battendo le mani e danzando. Le donne partecipano gioiose. Gli uomini guardano felici. Faccio capire ai piccoli di rimanere in silenzio mentre tento di far cantare le loro mamme. Le donne cantano, e gli uomini le guardano con soddisfazione. Poi costringo anche gli uomini a cantare. Provano un po’ di vergogna, ma sentendosi costretti da tutti, anche loro timidamente tirano fuori la voce. Non vi dico la confusione ordinata che ne esce: i bambini che cantano e guardano divertiti gli adulti. Le donne che cantano e guardano stupite i loro uomini. Gli uomini che fanno finta di cantare, imbarazzati ma felici.
Alla fine dello spettacolo mi presento agli uomini adulti: “Sono il Padre di Bigene”. Non dico il mio nome, non serve. Ma da questo momento, in questo villaggio, il mio nome è Padre Aléle, riprendendo le prime parole della canzone. Forse era meglio se insegnavo la canzone di fra Martino campanaro!

31 luglio, Bissau
Da Farim siamo già arrivati a Bissau, dove ho fatto visitare a Sergio la clinica per i lebbrosi a Cumura e la clinica per i bambini a Bor. Oggi accompagno Sergio a Bafatá, e sono contento di compiere con lui questo tragitto che non conosco. Fino a Bafatá la strada è ottima: è asfaltata! Si trova nel tragitto internazionale che collega i paesi dell’Africa Occidentale.
Pranziamo con Dom Pedro Zilli, il Vescovo di questa diocesi, originario del Brasile. Sono due le diocesi della Guinea-Bissau: Bissau e Bafatá. Dopo pranzo il Vescovo ci fa visitare la cattedrale: c’è da rimanere senza parole ad entrare in questa chiesa così disadorna e spoglia. Manca anche il tabernacolo! La diocesi di Bafatá è sorta da pochissimi anni, e si vede! Ma Dom Pedro è pieno di attese e di progetti. Speriamo che li possa realizzare.
Nel pomeriggio, salutato Sergio, parto per Farim facendo la strada del “mato”: così si chiama, nella lingua locale, la strada che attraversa la foresta sub-sahariana. Non pensate ad una foresta tropicale! Ma è sempre un percorso pieno di imprevisti e di qualche insidia. Sono da solo in macchina: ho tanta voglia di conoscere questa strada e il tempo sembra buono, senza temporali in vista. Mi butto sul percorso: centoventi chilometri che percorro in circa tre ore, attraversando luoghi sperduti, con piccoli villaggi dimenticati da tutti, dove anche i missionari non sono ancora potuti arrivare.
Dopo i primi chilometri della strada che va verso nord, verso il Senegal, da quando entro nella foresta, girando verso ovest, non incontro una sola macchina. Solo vegetazione, tanto verde in questa stagione delle piogge. È proprio vero che il verde è un colore rilassante! La strada non è piena di buche, si può percorrere con una certa tranquillità. L’unico pensiero che mi crea qualche preoccupazione è dato dalla possibilità di bucare una ruota. Chi mi aiuta a cambiarla? Qui non c’è anima viva per chilometri e chilometri … e mettere mano a segezia non è così facile: è pesante! Ma tutto va per il meglio, senza forature e senza incrociare leoni affamati (!). Un viaggio spettacolare immerso nella creazione di Dio!

4 agosto, Bissau
Dopo essermi confrontato con le suore di Bigene e con Padre Carlo di Farim, ho deciso di rifare il corso di lingua locale, il crioulo. Non sono stato fortunato lo scorso anno: dopo pochi giorni mi sono preso la malaria “uno”, che mi ha bloccato per due settimane e più. Inizio oggi il corso: mi sento favorito rispetto alla ventina di nuovi missionari (sacerdoti, suore e laici di tutto il mondo) che frequentano il corso: dopo un anno trascorso in Guinea-Bissau, la lingua locale mi è certamente più familiare. Speriamo di poterlo fare tutto e bene…

10 agosto, Bissau
Suor Fernanda, la nostra insegnante guineense di lingua locale, fa le cose molto bene. Ma oggi ci mette in crisi. Le finestre sono aperte; anche le porte che danno verso il giardino del Seminario, dove si svolge il corso di lingua, sono completamente spalancate. È normale, per far passare l’aria: il tempo di agosto non è torrido, le piogge rinfrescano il clima, ma rimane sempre un’altissima umidità.
Dunque: aria, amici! Ad un cero punto, suor Fernanda si ferma e annusa l’aria con preoccupazione. “Sentite questo odore?”, dice interrogandoci con le parole e con lo sguardo. Quasi tutti avvertiamo una specie di odore di gas, molto tenue. Forse avranno lasciato aperta una bombola del gas in cucina… “Questo non è il gas della cucina – afferma con sicurezza suor Fernanda – dovete imparare bene questo odore! La cucina è distante da qui. Questo è l’odore di un grosso cobra che sta passando qui vicino…”.
La mia vicina di banco, una giovane brasiliana, fa un salto velocissimo dalla sua sedia e corre a chiudere le porte. Forse è meglio chiudere anche le finestre! Suor Fernanda intuisce il nostro improvviso malessere: “Non preoccupatevi, i cobra non si avvicinano dove ci sono rumori!”. Così, io comincio a cantare a squarciagola: meglio una brutta figura con i missionari che un incontro ravvicinato con un grosso cobra!!!
Avete capito, cari amici? Quando sentite odore di gas, preoccupatevi di chiudere bene i fornelli della cucina, senza toccare gli interruttori elettrici, aprite porte e finestre per far passare l’aria… ma attenzione! Guardate anche bene che non ci sia un bel cobra nel vostro giardino: in quel caso, chiudete tutto e gridate forte!!!! E auguri!

13 agosto, Bissau
Rimango a letto per una improvvisa otite con forti dolori alla testa: ci mancava nella mia lista di nuove malattie…

15 agosto, festa dell’Assunta: Cumura
I dolori sono aumentati, e sono costretto ad un ricovero nella clinica di Cumura, l’ospedale per curare la lebbra e altre gravi malattie. Accanto alla casa delle suore Francescane vi sono due stanzette adibite alla cura dei missionari. Non mi voglio dilungare nella descrizione della mia situazione sanitaria. Sono preoccupato: non ho mai avuto questo tipo di dolori. Anche lo scorso anno, in questa festa, ero ricoverato in ospedale. Che brutto trascorrere questa bella festa senza poter celebrare la S. Messa!
Il dottore che mi segue è un frate: frei Victor del Portogallo. Anche lui comincia a preoccuparsi seriamente: l’otite è andata a infiammare il nervo trigemino, e ad intervalli di cinque/sei ore avverto dolori insopportabili alla testa. Le medicine che assumo non sembrano sufficienti, ed inizia a maturare l’idea di un ricovero in Italia. La ricerca dello specialista cubano nell’ospedale civile non porta alcun risultato.
In serata viene a trovarmi il Vescovo, proprio durante una crisi di dolori. Dom José si mette in un angolo della stanza, in silenzio. Frei Victor non se la sente di usare la morfina per calmare i dolori. Chiedo a Dom José di pregare per me, di recitare una decina del S. Rosario per la mia salute. Anche lui è preoccupato: se un missionario non ha salute, che può fare? Dom José recita la decina con calma, io ascolto in silenzio, rigirandomi nel letto per le fitte che sembrano perforarmi la testa. Poi basta.
Non trovo le parole: terminata la preghiera, terminano anche i dolori. Tornerà ancora qualche piccolo dolore, ma tenue e sopportabile. Certamente le medicine hanno avuto il loro pieno effetto. Di sicuro l’otite si sarà stancata di agitarsi e il nervo trigemino avrà pensato di tornare a casa sua invece di roteare per la mia testa. Ma penso anche che qualcosa sia avvenuto con la preghiera del Vescovo. Lo sa il Signore, e questo mi basta.
Però, cari amici, una cosa mi sento di scriverla bene bene. Quando il Vescovo viene a visitare le nostre comunità cristiane, qualsiasi Vescovo in qualsiasi comunità cristiana, vi consiglio di accogliere con fede la sua benedizione!

20 agosto, Cumura
Grazie a Dio, e ai dottori, la mia otite va verso la completa guarigione. Anche il signor trigemino, che ho imparato a conoscere, si è dato una totale calmata! Ringrazio tanti amici che in tanti modi mi hanno espresso la loro vicinanza. In particolare quei simpaticoni che usano facebook: mi ha fatto bene ricevere i vostri messaggi. Un ringraziamento particolare al dottor frei Victor, che ha trovato il tempo per pensare a me nonostante i tanti ammalati, più bisognosi di me, che riempiono le sue giornate. Nel salutarmi felice, mi incoraggia dicendomi che il primo anno, per i missionari in Africa, è sempre molto duro! Mio Signore: e quando finirà il mio primo anno???
Non vi ho detto chi sono i miei vicini di ospedale: anche loro mi hanno aiutato. Molto! Non perché hanno fatto qualcosa per me, ma perché, a volte, li ho sentiti piangere. I miei vicini di camera sono bambini! Piccoli figli di mamme sieropositive. Anche qualcuno di questi piccoli è nato sieropositivo. Sentir piangere di dolore un bambino è terribile. Già i bambini africani piangono poco; ma quando piangono, ti toccano il cuore. Mi è capitato spesso, in questi giorni, di sentirli piangere mentre io stavo male: la loro sofferenza era quasi una medicina spirituale. Come se il loro dolore alleviasse il mio. Sentir loro è stato come ricevere un forte aiuto, quasi un invito a non ascoltare i miei dolori, che prima o poi sarebbero passati, ma ad ascoltare dolori più grandi, più profondi. Dolori che a volte non terminano. O terminano quando finisce anche la vita su questa terra.
Visito le loro stanze. Una esperienza incredibile. Qualche mamma, visibilmente ammalata, mi fa vedere con gioia il suo bambino, nato da pochi giorni: è sano! Altre mamme, invece, sono immerse in una tristezza indicibile: non solo loro sono ammalate, ma anche il loro piccolo è nato ammalato.
Non mi piace parlare del male. Ve ne parlo perché, in mezzo a tutta questa sofferenza, mi sembra di aver visto degli angeli. Le suore, i Francescani e il personale sanitario, che curano come possono queste persone, mi sembrano degli angeli che portano luce in mezzo alla sofferenza dell’umanità.

23 agosto, XXI domenica ordinaria: Bissau
Uscito dalla clinica, non ho ancora la forza per andare a Bigene. Mi fermo in Curia a Bissau, dove ho una mia stanza. Domani riprenderò il corso di lingua locale. Ma non ho proprio fortuna con la lingua crioula: anche quest’anno non ho potuto fare il corso per intero. Ho deciso che non lo rifarò il prossimo anno: imparerò bene la lingua stando in mezzo alla gente.

29 agosto, Farim
Finalmente, dopo tre settimane, riprendo la strada per Bigene. Parto da Farim nel pomeriggio. Il cielo è pieno di nuvole molto scure che minacciano un grosso temporale. Dopo pochi chilometri di strada inizia il diluvio. Non ho alcuna intenzione di fermarmi, e procedo piano piano. Da Bigene mi telefonano le suore, avvisandomi che il temporale è troppo violento nella loro zona, e mi consigliano di tornare indietro.
Come? Tornare indietro? Sono stato ammalato in Italia, ritardando il mio ritorno di un mese e mezzo. Sono stato di nuovo ammalato in queste ultime tre settimane, e adesso che sto bene mi consigliano di tornare indietro???? “Manco pàa capa!” (espressione del sud Italia: questo pensiero non mi passa proprio per la testa!).
Continuo con fatica, ma continuo. La pioggia riempie la strada fino a trasformarla in un torrente. Anche se segezia è bella pesante, e pur usando le quattro ruote motrici, alcuni tratti in pendenza la fanno scivolare sul fango. In alcuni punti non si capisce proprio dove sia la strada, non si vede. Ed entrare in certe buche, sotto questa pioggia fortissima e insistente, non deve essere molto simpatico.
A ripensarci bene, potevo fermarmi in qualche villaggio lungo la strada ed aspettare che il temporale africano terminasse: una o due ore, e poi finisce. Ma è talmente grande la voglia di arrivare a Bigene, che questa idea non mi arriva proprio! E così, lentamente, tra preghiere poco sincere (troppo facile pregare quando si è preoccupati!) e sospiri di soddisfazione (quando supero ostacoli insidiosi), in tre ore arrivo a Bigene. E arrivo che termina la pioggia, con il sole che illumina tutto il mio villaggio, con le sue capanne e i bambini che corrono nel fango per salutarmi. La luce di Bigene!

13 settembre, XXIV domenica ordinaria: Bigene
Le giornate trascorrono senza particolari impegni: continua la stagione delle piogge, in alcuni villaggi non si può proprio arrivare, in altri è pericoloso per la macchina che potrebbe sprofondarsi nel fango. Seguo da vicino i lavori della casa in costruzione: con Giusi abbiamo fatto il disegno per l’impianto elettrico, e mi ritrovo ad istruire gli operai su dove collocare interruttori, prese di corrente, punti luce… Che strano missionario sto diventando!
Oggi, però, accade una cosa grande, nuova. Al termine della S. Messa, una giovane cristiana di Bigene, Inés, saluta la nostra piccola comunità cristiana. Si trasferisce a N’Dame, vicino a Bissau, per iniziare il cammino nella congregazione religiosa delle suore Oblate. La commozione è piena in tutti i presenti: Inés, che lascia la sua famiglia e il suo villaggio per iniziare una vita nuova con il Signore. Il papà che, pur non essendo cristiano (vive in poligamia, come accade in molte famiglie di questa terra), è sempre presente alle celebrazioni e alle preghiere; è felice della scelta della figlia, anche se rimane un velo di tristezza perché la mamma di Inés non condivide pienamente. Le suore Oblate, che vedono in questa giovane un segnale della bontà del loro apostolato, lungo e impegnativo, in questo paese. I giovani, amici e conoscenti di Inés: sono felici, e augurano ogni bene alla loro amica. Che il Signore benedica questa giovane, e chiami altri operai alla sua vigna.

19 settembre, Bigene
Giornata di grande tristezza. Arriva la notizia della morte di Pe. Ruggero Ruvoletto, missionario “fidei donum” di Padova a Manaus (Brasile). Siamo coetanei, abbiamo trascorso assieme cinque anni nel Seminario Teologico di Padova. Poi le nostre strade si sono divise, e solo da poco tempo, entrambi, ci ritroviamo missionari. Pe. Ruggero in Brasile, io in Guinea-Bissau. L’amico missionario è stato ucciso da balordi, entrati nella casa della missione per una rapina. Non poteva aprire la cassaforte, in disuso da molto tempo e di cui non conosceva la combinazione, ma non gli hanno creduto. Due colpi di pistola hanno posto fine alla sua missione. Ciao Ruggero, la tua missione è terminata sulla terra: guarda dal cielo la mia missione che continua.

4 ottobre, XXVII domenica ordinaria: Bigene
Giornata di grande gioia, di grande attesa, di grande speranza. In Vaticano inizia la seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Anche il nostro Vescovo di Bissau, Dom José, è presente per questo Sinodo. Il primo Sinodo sull’Africa, che si è svolto nel 1994, “è stato un evento certamente storico, ma non isolato. È stato il punto di arrivo di un cammino, che in seguito è proseguito, e che ora giunge ad una nuova significativa tappa di verifica e di rilancio” (Benedetto XVI). Ancora il Santo Padre, nella celebrazione di apertura del Sinodo, afferma che “l’Africa rappresenta un immenso "polmone" spirituale, per un’umanità che appare in crisi di fede e di speranza”.
Un’assemblea per la Chiesa in Africa, ma non solo per questo continente. La prospettiva che ci dona il Papa è per tutta l’umanità: dall’Africa, ora terra di missione, partiranno un giorno nuovi missionari per i paesi in crisi di fede e di speranza! Sarà un grande mese missionario!

5 ottobre, Bigene
Primo giorno di scuola per i 170 bambini della scuola della missione, guidata dalle suore Oblate. Una grande festa per tutti. I bambini arrivano contenti e interessati. Solo i più piccoli, del giardino dell’infanzia (la scuola materna), dopo la curiosità iniziale, cominciano a tirar fuori qualche lacrima. Ma quando arriva il buon riso dalla cucina, non c’è più tempo per piangere: correre a lavarsi le mani e mangiare!
Anche Giusi, salita a Bigene per controllare i lavori della casa, partecipa a questa grande festa: la scuola è fondamentale per lo sviluppo di tutto questo popolo. Ai tanti amici, che in tanti modi partecipano alla vitalità di questa scuola, il sincero ringraziamento da parte di tutti questi bambini!

16 ottobre, Bissau
I giorni passano veloci, ma ci sono giorni attesi con trepidazione, come oggi. I giovani del Centro Missionario di Foggia hanno organizzato un collegamento video per la veglia missionaria diocesana che si svolge nella chiesa di S. Giovanni Battista. Sono a Bissau per potermi collegare in internet, usando skype. Da Bigene non è possibile.
Quando inizia il collegamento video, riesco a udire l’applauso che gli amici e i fedeli riuniti a Foggia fanno in quel momento. Un nodo sta per salirmi alla gola, ma riesco a trattenere la commozione e inizio a parlare affermando che sto bene di salute, sono felice della missione che vivo, mi sento Chiesa con tutti loro. Anche Giusi condivide in video l’esperienza di questo primo anno di missione. Concludiamo chiedendo a tutti la preghiera per noi e la nostra missione.
La notte non riesco a prendere sonno: mi sembra tutto così bello, così vero, così pieno di comunione. È proprio vero che la comunicazione agevola la comunione. Sono così contento che devo, per forza, chiamare qualcuno, per sapere com’è andata … Risponde da Segezia la nuova nonna Pina, che con altre persone ha organizzato un banchetto per la rivendita di materiale missionario. La sento un po’ addormentata! Non ho calcolato bene la differenza del fuso orario: in Italia è l’una e mezza di notte!!! Grazie Pina, grazie amici, tutti! Mi fate sentire più missionario con la vostra amicizia. E buonanotte!

23 ottobre, Bigene
“Cara Famiglia di Dio in Africa, tutti voi uomini e donne di buona volontà in Africa e altrove, condividiamo con voi la forte convinzione di questo Sinodo: l'Africa non è impotente. Il nostro destino è ancora nelle nostre mani. Tutto ciò che essa chiede è lo spazio per respirare e per prosperare. L'Africa si è già messa in moto e la Chiesa si muove con lei, offrendole la luce del Vangelo. Le acque possono essere burrascose, ma con lo sguardo puntato su Cristo Signore (cfr. Mt 14,28-32) arriveremo sicuri al porto della riconciliazione, della giustizia e della pace. Africa, alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina! (Gv 5,8)”.
Così termina il Messaggio conclusivo del Sinodo Africano. Sento molto forte questo richiamo: un invito a camminare con questa Chiesa Africana. Un invito a camminare! Forse questo è il momento migliore da quando sono in Africa: la salute è piena, e la voglia di buttarmi nella vita missionaria è forte. Le grandi piogge stanno finendo: e fra poco si parte per evangelizzare! Ma tutto questo lo leggerete nella prossima puntata del mio diario. Cari amici: grazie della vostra preghiera e del vostro aiuto. Il Signore vi benedica tutti. Ciao.

Pe. Ivo Cavraro, Curia Diocesana – Missão de Begene,
Av. 14 de Novembro, apartado 20
1001 Bissau Codex, GUINÉ-BISSAU
email: ivocav@yahoo.it
tel: 00245.6544756
varie foto e altre comunicazioni: http://www.facebook.com/donivone

3 novembre 2009

Conoscere l’Africa 2: intervista a Giovanni Martinelli, vicario apostolico a Tripoli

«Finché in Africa si muore si continuerà a partire»

Un abruzzese, figlio di immigrati italiani in Libia. I capelli bianchi, la croce vescovile sulla giacca nera, nel dopo Sinodo africano fende la folla dei turisti che assediano il Vaticano, nel tiepido ottobre romano. Il vicario apostolico di Tripoli Giovanni Innocenzo Martinelli, francescano, 67 anni, ha la faccia di un uomo semplice. Vive in Libia da molti anni. La sua è una Chiesa, dice, «di stranieri»: 50mila lavoratori asiatici residenti in quel Paese sono cattolici. Ma, accanto a loro, c’è l’onda, la grande inarrestabile onda dei migranti che si riversano su Tripoli varcando il confine invisibile che scorre lungo la sabbia del deserto. Non pochi – eritrei soprattutto, e nigeriani – sono cristiani. E allora accade che la chiesa di San Francesco, cattedrale di Tripoli, sia anche una 'parrocchia' per i migranti venuti dal Sahara. Gli stessi che sbarcano a Lampedusa o in Sicilia, o vengono respinti in mare; o naufragano, o talvolta scompaiono fra le onde. Al tavolo di una trattoria di Borgo Pio, Martinelli racconta com’è, l’onda dei boat people che preme sull’Europa mediterranea: vista dall’altra parte del mare.
«Sono tantissimi – dice –. Impossibile contarli. Molte decine di migliaia, forse centomila tra Tripoli e la costa libica. Vengono dal Corno d’Africa e dall’Africa sub-sahariana, viaggiando nel deserto su camion di fortuna, ammassati come merci nel cassone. C’è chi in un viaggio simile, che dura molte settimane, ci lascia la vita. Ad ogni frontiera, ad ogni trasbordo, un pedaggio. La frontiera libica è una linea infinita nel deserto; sorvegliarla è impossibile. Una piccola parte dei clandestini finisce nei centri del governo; la maggioranza resta fuori e sopravvive con lavori saltuari o in nero. Molte donne finiscono nella prostituzione. I clandestini non possono andare in ospedale, se si ammalano. Come Chiesa noi facciamo ciò che possiamo: una volta alla settimana un ambulatorio presta assistenza ai malati, e lo stesso fa la Chiesa Copta con gli ortodossi. Facciamo fronte, per quanto riusciamo, a un grande bisogno».
Monsignore, molte Ong e lo stesso Alto commissario dell’Onu per i rifugiati hanno definito le condizioni nei centri di accoglienza libici « terribili » ... Martinelli: «I nostri sacerdoti e suore hanno accesso ad alcuni di questi centri e anche, periodicamente, alle carceri. Certo, sono centri per migranti in un Paese africano; tuttavia i libici sono per tradizione un popolo accogliente e non razzista, e fanno quel che possono per gestire con decoro questi posti. Se non altro, sfamano quella gente; e permettono a noi di entrare. Anche nelle carceri ci è permesso ogni tanto di accedere, di confessare, di dire una Messa. In realtà, in Libia l’islam è tollerante e in rapporto di dialogo con le Chiese cristiane. Noi collaboriamo con l’Islamic Call Society, una organizzazione islamica per la formazione e diffusione dell’islam nel mondo, che fa anche attività assistenziale. Io trovo in sostanza che la Libia, sovrastata da un’emergenza migratoria che è al di sopra delle sue forze, fa quel che può. E certe critiche feroci mi sembrano inquinate dalla politicizzazione. Certo, i centri libici non sono posti in cui si vive bene. Ma vorrei sapere quante carceri italiane lo sono ».
Fuori dai centri, ci sono le migliaia che vivono per strada e di espedienti. Quelli che sognano di passare il mare. Che spendono gli ultimi dollari per un passaggio su un fragile barcone, stretti in ottanta.
Martinelli: «Non tutti i clandestini tentano la traversata. Molti cercano di arrangiarsi e sopravvivere in Libia o nei Paesi della costa. Alcuni, giunti qui, si arrendono e accettano di essere aiutati dalle organizzazioni internazionali a tornare in patria: è il caso di alcune nigeriane, quando capiscono che il lavoro promesso in Europa è la prostituzione. Ma c’è chi, proprio, indietro non può tornare, perché fugge dalla guerra o da una dittatura. I più disperati sono gli eritrei: decisi a tutto, a ogni pericolo, pur di non rimpatriare. Gente decisa a partire ad ogni costo. Non pochi hanno studiato, però sono pronti a fare in Europa qualsiasi mestiere. E questi profughi sono quelli che hanno diritto all’accoglienza, secondo la legge internazionale. Io comprendo la necessità di controllare il flusso migratorio, tuttavia la nuova legge italiana secondo me è inaccettabile non solo per una cultura cristiana, ma anche umana. È qualcosa che tradisce la nostra stessa storia. Ad Ellis Island, i nostri bisnonni venivano lasciati sbarcare. Sì, la legge ha frenato il flusso dei migranti verso l’Italia. Ma – dice Martinelli pacatamente – non c’è da illudersi: riprenderanno a partire, e a premere sull’Europa, finché a casa loro non potranno sopravvivere».
E come aiutarli, nei loro Paesi?
Martinelli sorride amaramente come di una domanda troppo difficile. «Vede, bisognerebbe poter scavalcare la maggior parte dei governi africani. Aiutare direttamente le popolazioni. Non aiuti per mangiare, occorrono. È necessario finanziare strade, ponti, dighe: perché in buona parte dell’Africa la situazione è ferma al Medio Evo. Ci vogliono ospedali. E scuole. Chi aiuterà l’Africa ? L’Europa, si occupa soprattutto di pattugliare i suoi confini. Nemmeno di tutte le Ong ci si può fidare. Io vedo come una nuova forma di colonialismo: alcune organizzazioni che, sotto l’aura benefica, di fatto conducono i loro interessi. Eppure, l’Africa ha straordinarie risorse naturali. Colonizzata dalle multinazionali, depredata nel suo territorio, l’Africa però è ricca. Del suo grande popolo. Delle sue donne. Le donne africane sono straordinariamente forti. L’Africa deve puntare sulle sue donne, lo si è detto al Sinodo. L’Africa , credo, deve puntare sul dialogo interreligioso: è una sfida questa, tra le forze di buona volontà. Il Sinodo ci ha insegnato a capire i problemi dell’Africa per valorizzare questo grande polmone spirituale, come lo definì Giovanni Paolo II».
Intanto però, in Somalia c’è la guerra, in Eritrea una dittatura, in Etiopia la fame. In migliaia cercano di andarsene. Sbarcano in Libia. Arrivano, alcuni, a San Francesco. Dopo la Messa, qualcuno timidamente si avvicina al sacerdote. «Father, bless me » (padre, mi benedica). E non c’è bisogno di domande. Domani, dopodomani, da una insenatura della costa partirà un altro barcone. Viaggerà nella notte, senza luci. Verso l’Europa. Magari, intercettato, tornerà indietro.
«Ma quello che gli europei non capiscono è che in questo movimento migratorio – dice Martinelli – c’è qualcosa di epocale. C’è un popolo giovane e pieno di figli, mentre noi ne abbiamo così pochi, che domanda di vivere. E non è una pressione, questa, che si possa tacitare con misure di polizia. Finché in Africa si muore, continueranno a partire. A qualsiasi costo: perché vogliono vivere, e la volontà di vivere è, di tutte le forze, la più grande».

«Padre, mi benedica». Poi il viaggio

Il venerdì, nella chiesa di San Francesco a Tripoli, c’è una Messa speciale. Anzi, tante Messe. Quelle dei coreani e dei filippini legalmente residenti in Libia; e poi quella degli eritrei, dei nigeriani, dei migranti e dei profughi arrivati qui dal deserto. Ci sono le eritree sfuggite al regime, a volte sole con i loro bambini aggrappati alle gonne; e quelle gravide, che, ad interrogarle, racconterebbero delle violenze subite nel viaggio nel Sahara, in balia dei trafficanti. E tuttavia questa folla di povera gente che gremisce la chiesa prega, dice monsignor Martinelli, «in un modo straordinario. Con una fede, con una gioia che sbalordiscono e commuovono noi occidentali. Pregano, cantano, e in quel pregare si trasformano, è evidente nelle facce come la loro fede sia concreta, l’àncora che li sorregge».
Sono, aggiunge il vicario apostolico, popoli molto solidali: benché poveri, «generosi nel dare il poco che hanno. Se c’è un bambino che ha perso i genitori, naturalmente viene accolto da un’altra famiglia. E non ho mai sentito queste donne, nemmeno quelle incinte dopo una violenza, parlare di aborto. Non è nella loro cultura. Le guardi con questi neonati in braccio, avvinghiati, e se scherzando dici: 'Lascialo a me', vedi come si ritraggono, gelose del figlio. E sono ragazzine, spesso non hanno vent’anni».
A San Francesco si distribuiscono cibo, vestiti, coperte. Si assistono i malati. Le suore seguono le donne gravide. Nascono, su questo margine estremo d’Africa , molti bambini. Alcuni partiranno con i genitori in quei viaggi sui barconi. Ne seguiranno la sorte, qualsiasi essa sia, tra le braccia delle madri. I popoli dell’Africa non abbandonano i figli. Solo una donna, una volta a San Francesco, ha lasciato un neonato fra le braccia di una vicina, e non è più tornata. La donna cui quel fagotto era stato affidato ha voluto adottarlo. Un’altra volta monsignor Martinelli ha trovato un clandestino davanti alla chiesa. Un uomo handicappato, in carrozzella. Lasciato lì, probabilmente, perché sui gommoni le carrozzelle proprio non riescono a salire. Per un anno il vicario apostolico ha ospitato quel poveretto in casa. «Ho bussato a mille porte. Le uniche che alla fine lo hanno accolto, sono state le suore di Madre Teresa di Roma».
Eppure, l’onda dei migranti vista di là del mare non è, nel racconto di Martinelli, disperata. Miserabile sì, senza un tetto, né un soldo, sì. Ma non disperata. Spinta da una irriducibile speranza di una vita migliore per sé, per i figli. Sanno, chiedi, che rischiano la vita nel traversare il mare?
Lo sanno bene, risponde Martinelli, «e noi cerchiamo di scoraggiarli». Ma non demordono. La vita stessa li spinge. E allora, «Father, bless me», sussurrano a bassa voce una sera, e poi non si vedono più. Talvolta, dopo mesi, qualcuno telefona: è passato, ha un lavoro, ce l’ha fatta.
I disperati dei barconi, diciamo noi. Martinelli scuote la testa, non convinto della esattezza di questa espressione: «Bisognerebbe vederli, quando pregano – ripete –. Con quale fede. Con quale affidamento». E chi li ha visti da una motovedetta della Finanza avvicinarsi a Lampedusa, sotto il sole a picco, assetati, sfiniti, si ricorda però che in quel momento della gente pregava, sulle pagine di piccoli libri bagnati dalle onde. Ringraziavano Dio, alla vista della terra. Come una forza possente dentro questi uomini, ai nostri occhi miserabili. La fede, la voglia di vivere e aver figli. Disperati? Forse, meno di noi, in questo vecchio Occidente.

Marina Corradi in “Avvenire”, 31 ottobre 2009