Cari lettori, inizio una nuova sezione del mio blog con il titolo “Diario dei miei amici”. Il blog è iniziato per distribuire a tutti il mio diario (sono arrivato a dodici capitoli) e per permettere a tutti di ritrovare, in internet, quanto ho fino ad ora scritto.
Poi ho iniziato a inserire nuove sezioni nel mio blog, che possono essere utili a quanti desiderano approfondire le varie tematiche della fede e della missione, in modo particolare verso l’Africa. Così, hanno preso corpo queste sezioni:
+ “Testimonianza missionaria” (3 capitoli): sulla testimonianza che alcuni missionari ci donano, fino al martirio;
+ “Conoscere l’Africa” (7 capitoli): sulle varie problematiche di questo continente poco conosciuto;
+ “Camminare con la Chiesa”: (6 capitoli): perché la missione non è un evento personale, ma è “della” Chiesa e “con” la Chiesa;
+ “Dicono di noi” (3 capitoli): perché se qualche articolo che appare sui media italiani parla di me, in realtà parla di noi, di tanti amici che edificano la mia missione;
+ “Chiariamoci le idee” (3 capitoli): nella confusione di chi dice tutto e il contrario di tutto, cerchiamo di non perderci, lasciandoci andare alla corrente del momento, ma di capire con chiarezza ciò che accade attorno a noi.
Con “Diario dei miei amici” desidero iniziare a condividere con voi alcune pagine che ricevo da amici missionari, nei loro luoghi di missione. Vedrete che non sono solo io a scrivere un diario…. E questo mi fa molto piacere. Leggere qualche pagina di chiara e fresca missione, in questo mondo di oscurità ed egoismo, fa tanto bene!
Il primo capitolo di questo “diario dei miei amici” è scritto da padre Celso Corbioli, missionario Oblato di Maria Immacolata a N’Dame, il centro di spiritualità vicino a Bissau. Padre Celso è un veronese in Africa da molti anni, ma sa ancora trasmettere emozioni e impressioni come se fosse all’inizio di un lungo viaggio. Buona lettura
Un altro viaggio particolare
È normale che quando sia viaggia si facciano esperienze particolari, ma credo che per noi il tratto Dakar-Bissau sia tra i più “speciali”. Questa è la seconda volta che scrivo su questo viaggio.
Da Bissau a Dakar, e viceversa, si può andare in due modi: prendendo una strada lunga, di 950 km, evitando un paese che s’insinua dentro il Senegal, chiamato Gambia, oppure attraversare il Gambia e percorrere così “solo” 580 km.
Questa volta all’andata ho preso il percorso più lungo. Non voglio dilungami tanto su questo, perché il viaggio si è svolto in modo “normale”. Partito alle cinque di mattina di giovedì 14 ottobre, raggiunsi la nostra comunità di Farim dopo due ore e mezzo. Da lì continuai il viaggio con Daniel, studente oblato senegalese, che si sta preparando al sacerdozio. Entrati in Senegal, raggiungemmo nel pomeriggio il villaggio di Koumpentoum. È là che si trova un’altra nostra parrocchia, a metà strada circa tra Farim e Dakar. Il giorno successivo, venerdì, continuammo il viaggio con P. George, un missionario senegalese, destinato alla comunità di Farim. Raggiungemmo Dakar nel tardo pomeriggio. Tutto andò secondo il programma prefissato. Il giorno seguente, sabato, alle ore tre di mattino, arrivò P. Giancarlo dalle sue vacanze in Italia. Passammo il resto della giornata di sabato insieme, con tante notizie da comunicarci.
Il giorno dopo, domenica 17 ottobre, ci mettemmo tutti e quattro in viaggio per Bissau, dopo aver celebrato la Messa alle cinque di mattina. E qui inizia il nostro viaggio particolare. Decidemmo di scegliere il percorso più breve (via Gambia) con l’idea di arrivare la sera a N’Dame. Tutto andò bene per i primi 200 km; superata la città di Kaolak, ci dirigemmo verso la frontiera del Gambia. A un certo punto però ci imbattemmo in una lunga fila di camion e macchine. Ci dissero che c’era un senso unico alternato per circa due km. L’acqua piovana aveva invaso la strada, di terra battuta, con conseguenti buche piene di acqua e fango. Venne il nostro turno. Grazie a Dio riuscimmo a superare quel primo ostacolo.
Dopo aver percorso altri 50 km, raggiungemmo la frontiera con il Gambia. Eseguite le formalità con il Senegal, entrammo in Gambia. P. Giancarlo disse: “Credo che questa volta non ci saranno tante macchine, e quindi dovremmo fare abbastanza presto”. Con la polizia, la dogana e i militari del Gambia, non incontrammo tante difficoltà (le solite). Ma quando raggiungemmo la zona del traghetto (c’è un grande braccio di mare da attraversare), una lunga fila di macchine e di camion aspettava il proprio turno. Non rimaneva che mettersi in fila, sperando di poter attraversare in fretta. E invece cominciavano a passare le ore, sotto un sole cocente, con il risultato di avanzare solo di pochi metri. Quando finalmente giungemmo in vista del traghetto, ognuno voleva passare per primo; macchine e camion formavano nuove file, a destra e sinistra. Era un caos generale; gli stessi incaricati dell’ordine si trovavano in grande difficoltà. Erano già passate quasi quattro ore. Mi domandavo come e se avessimo potuto entrare nel traghetto. Ma “Dio è grande”, dice sovente la gente qui, nel senso che può risolvere una situazione ingarbugliata, quando sembra che non ci sia niente da fare. Infatti riuscimmo ad arrivare vicino a un agente del traffico, che ci fece segno di attendere. Dopo avergli spiegato che aspettavamo da quattro ore e che dovevamo arrivare in Guinea, ci disse di entrare nel traghetto. Era come una liberazione! Sbarcati dopo una ventina di minuti nell’altra sponda e percorsi altri 20 km, dovevamo fare le pratiche per uscire dal Gambia. Ci volle un po’ di tempo, ma finalmente riuscimmo a rientrare in Senegal. La distanza per arrivare a Zinguenchor (la città di frontiera, prima della Guinea-Bissau) non era tantissima: 180 km, ma bisognava tener conto che alcuni tratti di strada non erano buoni e che ci sarebbero stati dei posti di blocco tenuti dai militari, essendo la zona non sicura (per il problema del movimento di secessione della Casamance, per chi ne ha sentito parlare).
Continuammo il nostro cammino, sperando di raggiungere la frontiera della Guinea-Bissau prima della sua chiusura (alle ore 19). Ogni tanto dovevamo fermarci per i posti di blocco militari; a volte dovevamo rallentare per qualche tratto di strada non buona (non era sempre facile evitare tutte le buche), ma comunque la speranza di arrivare in tempo diventava sempre più reale. Ero io alla guida in questo tratto di strada. Continuando il cammino, molte volte a zig-zag a causa delle buche, non mi accorsi di un cartello con la scritta: alt, dogana. A un certo punto vidi nel retrovisore un fuoristrada che ci seguiva e che ci segnalava di fermarci. Accostai a destra e la Toyota inseguitrice ci superò e si fermò davanti a noi. Scesero in fretta 5 o 6 giovanotti, e vennero decisi verso di noi (forse pensavano che trasportassimo armi?). Li salutammo cordialmente. E alla domanda: “Chi siete e dove andate”? Rispondemmo quasi in coro: “Siamo sacerdoti della missione cattolica e andiamo in Guinea-Bissau”. Aggiungemmo che andavamo in fretta per paura di non arrivare in tempo alla frontiera. “Va bene, andate”, risposero subito.
Arrivammo a Zinguenchor poco prima delle 18,30. Mancavano ancora una ventina di km per la frontiera, ma la strada era buona. Appena usciti dalla città, nella strada verso la frontiera, una sorpresa: la strada era sbarrata! A destra c’era la polizia. Un giovanotto, in borghese (un poliziotto?) ci disse che non si poteva passare perché erano le 18,30. “Ma non è alle 19 che si chiude?”. “No, alle 18,30. Si riaprirà domattina alle 8!”. “Ma noi dobbiamo andare in Guinea-Bissau! Siamo in ritardo, a causa del traghetto del Gambia…”. “Non so che farci…”. Ma poi continuò: “Se volete, vi indico una strada per contornare questa barriera. Dovete tornare indietro per un kilometro, e prendere a sinistra”. Cominciammo a dubitare se era bene o no accettare questa proposta. Comunque tornammo indietro. Il nostro informatore ci raggiunse e salì in macchina. Entrammo in strade e straduncole, che lui stesso sembrava non conoscere. Ma alla fine rientrammo nella strada principale, lasciando la barriera lontana. Il nostro amico ci disse: “Ora potete proseguire”. “Ma la frontiera sarà chiusa!” “No, potrete passare”. E così continuammo, con una certa ansia, perché se veramente la frontiera era chiusa, non avremmo più saputo come tornare indietro!
In poco tempo raggiungemmo la frontiera del Senegal. Era buio e la polizia e i militari erano occupati in ben altre cose. P. Giancarlo uscì, parlò con gli uni e con gli altri. Un poliziotto gli disse: “Se i militari sono d’accordo, potete andare”. E i militari: “Se la polizia è d’accordo, potete passare”. E così passammo senza timbri e perquisizioni. Dopo un km eravamo alla frontiera della Guinea Bissau. Nel sentire che eravamo i padri di N’Dame, non fecero nessun problema. Uno di loro ci disse: “Perché non mi date un Rosario? Quello che avevo, l’ho perso”. P. Giancarlo, che normalmente è provvisto di tutto, ne trovò uno in formato ridotto, ma andava bene! E così, arrivati in Guinea, tirammo un sospiro di sollievo.
Mancavano ancora poco più di cento km per casa, ma l’importante era essere arrivati “di là”. Suor Nella, da N’Dame, ci avvertì per telefono di non prendere la solita strada per arrivare, quando saremmo stati vicini, perché c’era stata tanta pioggia e non si poteva passare. E così, seguendo le istruzioni, giungemmo a N’Dame per una strada diversa, poco dopo le ventidue. Non ci sembrava quasi vero. Dio è veramente grande! Pur essendo notte, le Suore che lavorano in questo Centro, le Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù, erano là ad attenderci. Un’accoglienza speciale, con canti di benvenuto, fu riservata a P. Giancarlo, che rientrava dall’Italia, e a P. George, che andava per la prima volta nell’altra nostra missione della Guinea-Bissau, a Farim.
E qui finisce il “viaggio speciale”.
Ora, prima di terminare una parola sulla Guinea-Bissau. Pochi giorni fa, a un incontro tra i sacerdoti e il vescovo della diocesi, fu invitato un esperto in sociologia e politica. La descrizione che ci fece della Guinea era piuttosto triste e scoraggiante. Il paese è in mano a gente poco raccomandabile, coinvolta nel traffico di droga e nella corruzione. La droga arriva dalla Colombia, e con la complicità delle autorità locali, si dirige verso il Nord-Africa, e in Europa. Per quanto riguarda la Giustizia: normalmente non vince una causa chi ha ragione, ma chi ha soldi. “Si è mai visto un ricco condannato?”, ci diceva il nostro esperto.
Cosa si può fare per cambiare questa situazione? Il vescovo si domandava se i cristiani non avessero niente da dire, e da fare, per intraprendere un cammino diverso. Eravamo tutti d’accordo nell’affermare che il lavoro più urgente non è risolvere il problema economico, per quanto grave possa essere (la Guinea-Bissau è uno dei paesi più poveri del mondo), ma la formazione delle coscienze, per il corretto uso del bene pubblico e per evitare la tentazione della corruzione e della droga.
Se da una parte nel nostro paese la gente mostra tanta umanità e tanto buon senso, che sa andare al di là delle leggi scritte (vedi il passaggio alla frontiera…), dall’altra l’abbaglio di soldi facili trasforma coloro che hanno il potere politico e militare in persone egoiste, che li porta a dimenticare completamente la propria gente. Per questo c’è bisogno di una generazione nuova, che prenda in mano le leve del potere politico ed economico e per una corretta amministrazione del bene comune. I cristiani sono chiamati a dare l’esempio attraverso una testimonianza credibile. “Voi siete la luce del mondo. Una città sopra il monte non può rimanere nascosta”, disse Gesù (Matteo 5,14).
N’Dame, 29 ottobre 2010
p. Celso Corbioli, omi
Centro de N’Dame
C.P. 20
1001 Bissau Codex
Guinea Bissau
Tel. 00245 6615927
celsocorbioli@msn.com
celso.omi@libero.it
La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati
30 ottobre 2010
18 ottobre 2010
Camminare con la Chiesa 6: Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2010
LA COSTRUZIONE DELLA COMUNIONE ECCLESIALE È LA CHIAVE DELLA MISSIONE
Cari fratelli e sorelle,
Il mese di ottobre, con la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale, offre alle Comunità diocesane e parrocchiali, agli Istituti di Vita Consacrata, ai Movimenti Ecclesiali, all’intero Popolo di Dio, l’occasione per rinnovare l’impegno di annunciare il Vangelo e dare alle attività pastorali un più ampio respiro missionario. Tale annuale appuntamento ci invita a vivere intensamente i percorsi liturgici e catechetici, caritativi e culturali, mediante i quali Gesù Cristo ci convoca alla mensa della sua Parola e dell’Eucaristia, per gustare il dono della sua Presenza, formarci alla sua scuola e vivere sempre più consapevolmente uniti a Lui, Maestro e Signore. Egli stesso ci dice: “Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21). Solo a partire da questo incontro con l’Amore di Dio, che cambia l’esistenza, possiamo vivere in comunione con Lui e tra noi, e offrire ai fratelli una testimonianza credibile, rendendo ragione della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15). Una fede adulta, capace di affidarsi totalmente a Dio con atteggiamento filiale, nutrita dalla preghiera, dalla meditazione della Parola di Dio e dallo studio delle verità della fede, è condizione per poter promuovere un umanesimo nuovo, fondato sul Vangelo di Gesù.
A ottobre, inoltre, in molti Paesi riprendono le varie attività ecclesiali dopo la pausa estiva, e la Chiesa ci invita ad imparare da Maria, mediante la preghiera del Santo Rosario, a contemplare il progetto d’amore del Padre sull’umanità, per amarla come Lui la ama. Non è forse questo anche il senso della missione?
Il Padre, infatti, ci chiama ad essere figli amati nel suo Figlio, l’Amato, e a riconoscerci tutti fratelli in Lui, Dono di Salvezza per l’umanità divisa dalla discordia e dal peccato, e Rivelatore del vero volto di quel Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
“Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21), è la richiesta che, nel Vangelo di Giovanni, alcuni Greci, giunti a Gerusalemme per il pellegrinaggio pasquale, presentano all’apostolo Filippo. Essa risuona anche nel nostro cuore in questo mese di ottobre, che ci ricorda come l’impegno e il compito dell’annuncio evangelico spetti all’intera Chiesa, “missionaria per sua natura” (Ad gentes, 2), e ci invita a farci promotori della novità di vita, fatta di relazioni autentiche, in comunità fondate sul Vangelo. In una società multietnica che sempre più sperimenta forme di solitudine e di indifferenza preoccupanti, i cristiani devono imparare ad offrire segni di speranza e a divenire fratelli universali, coltivando i grandi ideali che trasformano la storia e, senza false illusioni o inutili paure, impegnarsi a rendere il pianeta la casa di tutti i popoli.
Come i pellegrini greci di duemila anni fa, anche gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti non solo di “parlare” di Gesù, ma di “far vedere” Gesù, far risplendere il Volto del Redentore in ogni angolo della terra davanti alle generazioni del nuovo millennio e specialmente davanti ai giovani di ogni continente, destinatari privilegiati e soggetti dell’annuncio evangelico. Essi devono percepire che i cristiani portano la parola di Cristo perché Lui è la Verità, perché hanno trovato in Lui il senso, la verità per la loro vita.
Queste considerazioni rimandano al mandato missionario che hanno ricevuto tutti i battezzati e l’intera Chiesa, ma che non può realizzarsi in maniera credibile senza una profonda conversione personale, comunitaria e pastorale. Infatti, la consapevolezza della chiamata ad annunciare il Vangelo stimola non solo ogni singolo fedele, ma tutte le Comunità diocesane e parrocchiali ad un rinnovamento integrale e ad aprirsi sempre più alla cooperazione missionaria tra le Chiese, per promuovere l’annuncio del Vangelo nel cuore di ogni persona, di ogni popolo, cultura, razza, nazionalità, ad ogni latitudine. Questa consapevolezza si alimenta attraverso l’opera di Sacerdoti Fidei Donum, di Consacrati, di Catechisti, di Laici missionari, in una ricerca costante di promuovere la comunione ecclesiale, in modo che anche il fenomeno dell’“interculturalità” possa integrarsi in un modello di unità, nel quale il Vangelo sia fermento di libertà e di progresso, fonte di fraternità, di umiltà e di pace (cfr Ad gentes, 8). La Chiesa, infatti, “è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, 1).
La comunione ecclesiale nasce dall’incontro con il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che, nell’annuncio della Chiesa, raggiunge gli uomini e crea comunione con Lui stesso e quindi con il Padre e lo Spirito Santo (cfr 1Gv 1,3). Il Cristo stabilisce la nuova relazione tra l’uomo e Dio. “Egli ci rivela «che Dio è carità» (1 Gv 4,8) e insieme ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell’amore. Coloro, pertanto, che credono alla carità divina, sono da Lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani” (Gaudium et spes, 38).
La Chiesa diventa “comunione” a partire dall’Eucaristia, in cui Cristo, presente nel pane e nel vino, con il suo sacrificio di amore edifica la Chiesa come suo corpo, unendoci al Dio uno e trino e fra di noi (cfr 1Cor 10,16ss). Nell’Esortazione apostolica Sacramentum caritatis ho scritto: “Non possiamo tenere per noi l’amore che celebriamo nel Sacramento. Esso chiede per sua natura di essere comunicato a tutti. Ciò di cui il mondo ha bisogno è l’amore di Dio, è incontrare Cristo e credere in Lui” (n. 84). Per tale ragione l’Eucaristia non è solo fonte e culmine della vita della Chiesa, ma anche della sua missione: “Una Chiesa autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria” (Ibid.), capace di portare tutti alla comunione con Dio, annunciando con convinzione: “quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1Gv 1,3).
Carissimi, in questa Giornata Missionaria Mondiale in cui lo sguardo del cuore si dilata sugli immensi spazi della missione, sentiamoci tutti protagonisti dell’impegno della Chiesa di annunciare il Vangelo. La spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità per le nostre Chiese (cfr Lett. enc. Redemptoris missio, 2) e la loro cooperazione è testimonianza singolare di unità, di fraternità e di solidarietà, che rende credibili annunciatori dell’Amore che salva!
Rinnovo, pertanto, a tutti l’invito alla preghiera e, nonostante le difficoltà economiche, all’impegno dell’aiuto fraterno e concreto a sostegno delle giovani Chiese. Tale gesto di amore e di condivisione, che il servizio prezioso delle Pontificie Opere Missionarie, cui va la mia gratitudine, provvederà a distribuire, sosterrà la formazione di sacerdoti, seminaristi e catechisti nelle più lontane terre di missione e incoraggerà le giovani comunità ecclesiali.
A conclusione dell’annuale messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, desidero esprimere, con particolare affetto, la mia riconoscenza ai missionari e alle missionarie, che testimoniano nei luoghi più lontani e difficili, spesso anche con la vita, l’avvento del Regno di Dio. A loro, che rappresentano le avanguardie dell’annuncio del Vangelo, va l’amicizia, la vicinanza e il sostegno di ogni credente. “Dio, (che) ama chi dona con gioia” (2Cor 9,7) li ricolmi di fervore spirituale e di profonda letizia.
Come il “sì” di Maria, ogni generosa risposta della Comunità ecclesiale all’invito divino all’amore dei fratelli susciterà una nuova maternità apostolica ed ecclesiale (cfr Gal 4,4.19.26), che lasciandosi sorprendere dal mistero di Dio amore, il quale “quando venne la pienezza del tempo… mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4,4), donerà fiducia e audacia a nuovi apostoli. Tale risposta renderà tutti i credenti capaci di essere “lieti nella speranza” (Rm 12,12) nel realizzare il progetto di Dio, che vuole “la costituzione di tutto il genere umano nell’unico popolo di Dio, la sua riunione nell’unico corpo di Cristo, la sua edificazione nell’unico tempio dello Spirito Santo” (Ad gentes, 7).
Dal Vaticano, 6 Febbraio 2010
BENEDICTUS PP. XVI
Cari fratelli e sorelle,
Il mese di ottobre, con la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale, offre alle Comunità diocesane e parrocchiali, agli Istituti di Vita Consacrata, ai Movimenti Ecclesiali, all’intero Popolo di Dio, l’occasione per rinnovare l’impegno di annunciare il Vangelo e dare alle attività pastorali un più ampio respiro missionario. Tale annuale appuntamento ci invita a vivere intensamente i percorsi liturgici e catechetici, caritativi e culturali, mediante i quali Gesù Cristo ci convoca alla mensa della sua Parola e dell’Eucaristia, per gustare il dono della sua Presenza, formarci alla sua scuola e vivere sempre più consapevolmente uniti a Lui, Maestro e Signore. Egli stesso ci dice: “Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21). Solo a partire da questo incontro con l’Amore di Dio, che cambia l’esistenza, possiamo vivere in comunione con Lui e tra noi, e offrire ai fratelli una testimonianza credibile, rendendo ragione della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15). Una fede adulta, capace di affidarsi totalmente a Dio con atteggiamento filiale, nutrita dalla preghiera, dalla meditazione della Parola di Dio e dallo studio delle verità della fede, è condizione per poter promuovere un umanesimo nuovo, fondato sul Vangelo di Gesù.
A ottobre, inoltre, in molti Paesi riprendono le varie attività ecclesiali dopo la pausa estiva, e la Chiesa ci invita ad imparare da Maria, mediante la preghiera del Santo Rosario, a contemplare il progetto d’amore del Padre sull’umanità, per amarla come Lui la ama. Non è forse questo anche il senso della missione?
Il Padre, infatti, ci chiama ad essere figli amati nel suo Figlio, l’Amato, e a riconoscerci tutti fratelli in Lui, Dono di Salvezza per l’umanità divisa dalla discordia e dal peccato, e Rivelatore del vero volto di quel Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
“Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21), è la richiesta che, nel Vangelo di Giovanni, alcuni Greci, giunti a Gerusalemme per il pellegrinaggio pasquale, presentano all’apostolo Filippo. Essa risuona anche nel nostro cuore in questo mese di ottobre, che ci ricorda come l’impegno e il compito dell’annuncio evangelico spetti all’intera Chiesa, “missionaria per sua natura” (Ad gentes, 2), e ci invita a farci promotori della novità di vita, fatta di relazioni autentiche, in comunità fondate sul Vangelo. In una società multietnica che sempre più sperimenta forme di solitudine e di indifferenza preoccupanti, i cristiani devono imparare ad offrire segni di speranza e a divenire fratelli universali, coltivando i grandi ideali che trasformano la storia e, senza false illusioni o inutili paure, impegnarsi a rendere il pianeta la casa di tutti i popoli.
Come i pellegrini greci di duemila anni fa, anche gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti non solo di “parlare” di Gesù, ma di “far vedere” Gesù, far risplendere il Volto del Redentore in ogni angolo della terra davanti alle generazioni del nuovo millennio e specialmente davanti ai giovani di ogni continente, destinatari privilegiati e soggetti dell’annuncio evangelico. Essi devono percepire che i cristiani portano la parola di Cristo perché Lui è la Verità, perché hanno trovato in Lui il senso, la verità per la loro vita.
Queste considerazioni rimandano al mandato missionario che hanno ricevuto tutti i battezzati e l’intera Chiesa, ma che non può realizzarsi in maniera credibile senza una profonda conversione personale, comunitaria e pastorale. Infatti, la consapevolezza della chiamata ad annunciare il Vangelo stimola non solo ogni singolo fedele, ma tutte le Comunità diocesane e parrocchiali ad un rinnovamento integrale e ad aprirsi sempre più alla cooperazione missionaria tra le Chiese, per promuovere l’annuncio del Vangelo nel cuore di ogni persona, di ogni popolo, cultura, razza, nazionalità, ad ogni latitudine. Questa consapevolezza si alimenta attraverso l’opera di Sacerdoti Fidei Donum, di Consacrati, di Catechisti, di Laici missionari, in una ricerca costante di promuovere la comunione ecclesiale, in modo che anche il fenomeno dell’“interculturalità” possa integrarsi in un modello di unità, nel quale il Vangelo sia fermento di libertà e di progresso, fonte di fraternità, di umiltà e di pace (cfr Ad gentes, 8). La Chiesa, infatti, “è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, 1).
La comunione ecclesiale nasce dall’incontro con il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che, nell’annuncio della Chiesa, raggiunge gli uomini e crea comunione con Lui stesso e quindi con il Padre e lo Spirito Santo (cfr 1Gv 1,3). Il Cristo stabilisce la nuova relazione tra l’uomo e Dio. “Egli ci rivela «che Dio è carità» (1 Gv 4,8) e insieme ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell’amore. Coloro, pertanto, che credono alla carità divina, sono da Lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani” (Gaudium et spes, 38).
La Chiesa diventa “comunione” a partire dall’Eucaristia, in cui Cristo, presente nel pane e nel vino, con il suo sacrificio di amore edifica la Chiesa come suo corpo, unendoci al Dio uno e trino e fra di noi (cfr 1Cor 10,16ss). Nell’Esortazione apostolica Sacramentum caritatis ho scritto: “Non possiamo tenere per noi l’amore che celebriamo nel Sacramento. Esso chiede per sua natura di essere comunicato a tutti. Ciò di cui il mondo ha bisogno è l’amore di Dio, è incontrare Cristo e credere in Lui” (n. 84). Per tale ragione l’Eucaristia non è solo fonte e culmine della vita della Chiesa, ma anche della sua missione: “Una Chiesa autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria” (Ibid.), capace di portare tutti alla comunione con Dio, annunciando con convinzione: “quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1Gv 1,3).
Carissimi, in questa Giornata Missionaria Mondiale in cui lo sguardo del cuore si dilata sugli immensi spazi della missione, sentiamoci tutti protagonisti dell’impegno della Chiesa di annunciare il Vangelo. La spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità per le nostre Chiese (cfr Lett. enc. Redemptoris missio, 2) e la loro cooperazione è testimonianza singolare di unità, di fraternità e di solidarietà, che rende credibili annunciatori dell’Amore che salva!
Rinnovo, pertanto, a tutti l’invito alla preghiera e, nonostante le difficoltà economiche, all’impegno dell’aiuto fraterno e concreto a sostegno delle giovani Chiese. Tale gesto di amore e di condivisione, che il servizio prezioso delle Pontificie Opere Missionarie, cui va la mia gratitudine, provvederà a distribuire, sosterrà la formazione di sacerdoti, seminaristi e catechisti nelle più lontane terre di missione e incoraggerà le giovani comunità ecclesiali.
A conclusione dell’annuale messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, desidero esprimere, con particolare affetto, la mia riconoscenza ai missionari e alle missionarie, che testimoniano nei luoghi più lontani e difficili, spesso anche con la vita, l’avvento del Regno di Dio. A loro, che rappresentano le avanguardie dell’annuncio del Vangelo, va l’amicizia, la vicinanza e il sostegno di ogni credente. “Dio, (che) ama chi dona con gioia” (2Cor 9,7) li ricolmi di fervore spirituale e di profonda letizia.
Come il “sì” di Maria, ogni generosa risposta della Comunità ecclesiale all’invito divino all’amore dei fratelli susciterà una nuova maternità apostolica ed ecclesiale (cfr Gal 4,4.19.26), che lasciandosi sorprendere dal mistero di Dio amore, il quale “quando venne la pienezza del tempo… mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4,4), donerà fiducia e audacia a nuovi apostoli. Tale risposta renderà tutti i credenti capaci di essere “lieti nella speranza” (Rm 12,12) nel realizzare il progetto di Dio, che vuole “la costituzione di tutto il genere umano nell’unico popolo di Dio, la sua riunione nell’unico corpo di Cristo, la sua edificazione nell’unico tempio dello Spirito Santo” (Ad gentes, 7).
Dal Vaticano, 6 Febbraio 2010
BENEDICTUS PP. XVI
12 ottobre 2010
Camminare con la Chiesa 5: Bem formar a consciência moral, para melhor testemunhar nossa fé em Cristo Ressuscitado
cari amici, quella che segue è LETTERA PASTORALE che il Vescovo di Bissau, dom José Câmnate na Bissign, ha donato alla nostra Chiesa. Il documento è in lingua portoghese: la sua comprensione risulta difficile, o impossibile, per molti di voi. Ma sono in aumento gli amici di lingua portoghese che seguono questo blog, e che potranno trovare grande giovamento dalle indicazioni che il nostro Vescovo propone. Buona lettura.
Ano Pastoral 2010/2011
BEM FORMAR A CONSCIÊNCIA MORAL, PARA MELHOR TESTEMUNHAR NOSSA FÉ EM CRISTO RESSUSCITADO
Não é difícil constatar como, também na sociedade guineense (e sobretudo nos ambientes citadinos), a consciência moral dos cidadãos dá sinais claros de estar a ficar um tanto ofuscada, ou mesmo pervertida, diante dos novos ambientes em que vivemos desde há já algumas décadas. Como consequência da mentalidade materialista e subjectivista que nos é transmitida por alguns meios de comunicação social e por organismos nacionais e internacionais de carácter político ou económico, deixámos perder bastantes valores da educação tradicional africana e não conseguimos assimilar ou conservar outros valores da chamada “modernidade”, aí incluídos também os valores cristãos.
O resultado é inquietante, sobretudo quando se pensa na construção do nosso destino comum, a curto e médio prazo. Num bom número de famílias e na maioria das Escolas dá-se aos alunos instrução, mas não se dá formação: ensinam-se meios de ganhar dinheiro e de singrar na vida, mas não se ensinam modos de adquirir virtudes. Retiram-se ou estragam-se, para proveito particular dinheiros e outros bens que são propriedade de todos, e as pessoas já se vão habituando a olhar isso como “coisa normal” e até como “esperteza”da parte de quem o faz. Participa-se no negócio da droga, que vai afectar gravemente a saúde de quem a vier a consumir, e acha-se isso “um negócio como qualquer outro” e “um modo de enriquecimento rápido embora arriscado. Por vezes, faz-se ou recomenda-se o aborto com enorme leviandade, como se se tratasse dum simples método de planeamento familiar. Pensando particularmente nos cristãos, verifica-se em muitos deles uma enorme ignorância em matéria de consciência moral: pede-se ou exige-se o acesso aos sacramentos (sobretudo os da Iniciação) mas sem conhecer ou aceitar as exigências morais que isso acarreta.
Em consequência de tudo isto e diante dos problemas morais concretos de nossa vida em sociedade, não é raro ouvir da boca das pessoas tanto a confissão sincera de sua ignorância (“ah, eu não sabia; julgava que estava a agir bem”!), como a afirmação individualista da intocabilidade de todas as consciências (“eu agi segundo a minha consciência e isso me basta; cada qual é o único senhor do seu destino”!).
Diante desta situação, e em sintonia com o parecer do Conselho presbiteral manifestado na sua reunião de 23 de Junho último, pareceu-me conveniente dirigir esta mensagem a todos os cristãos da Diocese, principalmente aos agentes directos da pastoral, e a todos eles convidar para, ao longo do próximo ano pastoral 2010/11, nas suas respectivas comunidades, aprofundarem este tema da formação da consciência moral que possibilite depois um testemunho cristão mais exigente e mais credível na sociedade onde vivemos.
I POR UMA CONSCIÊNCIA MORAL BEM FORMADA:
Bibliografia de base:
- Gaudium et Spes (Vat.II), nn.16-17
- Dignitatis humanae (Vat.II), nº3
- João Paulo II: Enc.Veritatis splendor (1993), nn.54-64
- Catecismo da Igreja Católica (1992), nn.1776-1794
1. Grandeza e fraqueza da consciência moral:
O ser humano recebeu do seu Criador a inteligência, a liberdade, a vontade, a sensibilidade, a consciência e os demais atributos que fazem dele o “rei” do universo. Mas, de todos esses atributos, a primazia está na sua consciência, porque é ela a luz que ilumina e dirige o exercício dos demais talentos. Ela é o espaço sacrossanto de cada indivíduo, onde só ele pode entrar e onde ressoa a voz de Deus. Ela é um juízo da razão humana que, no momento oportuno, ordena ao homem que pratique o bem e evite o mal. Graças a ela, a pessoa humana percebe a qualidade moral dum acto a realizar ou já realizado, permitindo-lhe assumir a respectiva responsabilidade. Quando escuta a sua consciência moral, o homem prudente pode efectivamente ouvir a voz de Deus que lhe fala. Para destacar a importância desta consciência, o célebre cardeal Newman escreveu que ela “é uma lei do nosso espírito, mas que o ultrapassa, que nos dá ordens, que significa responsabilidade e poder” (carta ao duque de Norfolk, 5) e Pascal sintetizou de maneira feliz: ““a consciência é o melhor livro de moral, e aquele que mais devia ser consultado”!
Mas foi sobretudo o Concílio Vaticano II quem destacou a importância da consciência moral de maneira mais incisiva e explícita: “no fundo da própria consciência, o homem descobre uma lei que não se impôs a si mesmo, mas à qual deve obedecer; essa voz, que sempre o está a chamar ao amor do bem e fuga do mal, soa no momento oportuno, na intimidade do seu coração: faz isto, evita aquilo. O homem tem no coração uma lei escrita pelo próprio Deus; a sua dignidade está em obedecer-lhe, e por ela é que será julgado. A consciência é o centro mais secreto e o santuário do homem, no qual se encontra a sós com Deus, cuja voz se faz ouvir na intimidade do seu ser“(GS.16).
Entre as criaturas do universo, só ao homem foi concedido este santuário interior. E a sua dignidade está justamente em saber escutar essa voz interior e ser fiel aos seus ditames, que o encaminham para a prática do bem, ou seja, para seguir o que é justo e bom segundo a razão e a lei divina. Esta exigência de “interiorização” por parte do homem é fundamental para o seu recto comportamento na sociedade.
Porém, a consciência moral também revela os seus limites e a sua fraqueza, mostrando-se por vezes incapaz de responder rectamente à voz da lei divina e de dignificar o homem que a possui. Por razões variadas (nomeadamente a realidade do pecado na vida de cada homem e mesmo nas estruturas da sociedade, os interesses de instituições políticas ou económicas, a mentalidade subjectivista e hedonista veiculada por certos meios de comunicação social, uma enorme ignorância a respeito da fé e da moral por parte de muitos cristãos, etc.), assistimos hoje a um certo eclipse das consciências individuais bem formadas bem como à tentativa, mais ou menos explícita, de as silenciar, preferindo-se avançar por outros géneros de comportamento moral à margem de Deus e da lei divina. Estamos hoje numa situação parecida ao que Santo Agostinho chamava o “jejum da luz”. Escreveu ele: “os nossos olhos refazem-se vendo a luz corpórea. Muitos, quando estão às escuras durante muito tempo, ficam fracos quanto à acuidade da vista, e essa fraqueza provém duma espécie de jejum da luz. Os olhos são prejudicados no seu alimento, que é a luz. Fatigam-se com o jejum, debilitam-se, a ponto de não poderem ver depois a própria luz com que se alimentam. E, se a luz continuar a faltar por muito mais tempo, deixam de ver, morre neles de certo modo a capacidade de receber o brilho da luz” (Trat.XIII sobre Ev.de S.João, par.5).
Diante das sugestões variadas que lhe advêm do meio ambiente onde se situa, situações essas muitas vezes fora da “luz de Deus”, a consciência individual é tentada a desabituar-se de escutar a voz de Deus que lhe fala no seu íntimo e a virar-se para “outras vozes” do exterior, longe da verdade e longe de Deus. Nessas alturas, não é a sua grandeza e dignidade que nos aparece, mas sim a sua debilidade e fraqueza. O resultado poderão ser juízos duvidosos (hesitando sobre o caminho certo a escolher) ou mesmo erróneos (enganando-se na escolha moral feita, considerando bem o que é mal ou vice-versa).
Colocados, deste modo, diante da grandeza e ao mesmo tempo da fragilidade da consciência humana, a dignidade humana nos exige que procuremos agir sempre com uma consciência recta e certa (que esteja de acordo com o que é justo e bom segundo a razão e a lei divina) e que respeitemos igualmente a consciência dos outros. Mas, para isso, temos necessidade de formar incessantemente a nossa consciência moral.
2. A necessidade de permanente formação da consciência moral:
O mundo jamais poderá ser humano enquanto cada homem não deixar de espezinhar a própria consciência. Será inútil encher as páginas de leis e de códigos ou encher as ruas de polícias, enquanto a humanidade não for chamada a cultivar a consciência individual. Quem desejar reformar o mundo, deve começar pela reforma da própria consciência. É urgente que se recuperem as consciências, formando-as no seio das famílias, nos grupos paroquiais, nas escolas (sobretudo naquelas que sejam orientadas por nós). E este é um trabalho de toda a vida.
a)- O caminho aberto por S.Paulo:
S.Paulo preocupou-se de maneira especial por formar a consciência moral das comunidades cristãs primitivas por ele fundadas. A análise pormenorizada do caso de consciência que lhe foi posto pelos Coríntios – “pode-se comer a carne sacrificada aos ídolos? – é um exemplo paradigmático de pedagogia moral (1 Cor 8-10). Trabalho idêntico fez ele ao propor o modo de se comportar com os “pouco esclarecidos” em questões de fé e moral (Rm 14). Além destes dois exemplos de formação da consciência moral, há recomendações paulinas directamente orientadas para o trabalho educativo neste campo. Para S.Paulo, os cristãos têm de formar a sua consciência em três aspectos:
- Examinando-se a si mesmos (1 Cor 11,28; 2 Cor 13,5; Gl 6,4)
- Procurando a vontade de Deus (Rm 12,2; Ef 5,10)
- Ponderando o que mais convém em cada momento ((Fl 1,10)
Esta tríplice recomendação, em vista dum conveniente discernimento, continua ainda válida para nós, hoje.
b)- A necessidade de agir com uma consciência certa e recta:
A vocação do ser humano é cumprir a vontade de Deus, que nos é indicada pela consciência. Mas, em cada momento concreto, nem sempre se conhece facilmente qual será a vontade de Deus. E, em caso de não estarmos seguros, expomo-nos a agir contra o que Deus quer e arriscamo-nos a pecar.
Por isso, no discernimento da moralidade dum acto, é necessário agir sempre com a consciência certa e recta, ou seja, com a segurança de que a moralidade desse acto é justamente como a consciência no-lo apresenta, em sintonia com a lei moral inscrita em nosso coração. A pessoa não poderá deixar-se ficar apenas numa consciência “duvidosa”, hesitando na decisão a tomar, sem saber qual juízo formar com segurança; e, muito menos ainda, a pessoa não poderá deixar-se conduzir por juízos “erróneos”, em que o juízo moral não se ajusta à lei moral, em que aquilo que toma por bem é objectivamente mal e vice-versa.
É certo que nos juízos erróneos nem sempre o mal é imputável à pessoa que os emite se esta, por ignorância invencível, não teve verdadeiramente nenhuma possibilidade de vencer o erro respectivo; e isso acontece efectivamente em vários casos em que a pessoa não teve realmente nenhuma oportunidade de formação, embora haja certos princípios básicos da moral que é impossível alguém ignorar, pois todos os trazemos naturalmente impressos no coração (Rm 2,15). Mas, em muitos outros casos de juízos erróneos que são vencíveis, a pessoa não poderá continuar a escusar-se indefinidamente com a desculpa de que “ eu não sabia que estava a agir mal”. Pelo contrário, terá de se esforçar por ultrapassar esses erros de consciência com a conveniente formação que está ao seu alcance, evitando a “ignorância afectada”, que prefere “não ficar a saber” para poder agir com maior liberdade e menos peso na consciência! E evitar sobretudo a consciência “voluntariamente deformada”, em que a pessoa não ignora a verdade, mas tenta deformá-la, mentindo-se a si mesmos e tentando mentir a Deus; neste caso, fazem literalmente o que já dizia S.Paulo nos inícios do cristianismo: “virá um tempo em que os homens já não suportarão a sã doutrina da salvação. Levados pelas próprias paixões e pelo prurido de escutar novidades, ajustarão mestres para si, apartarão os ouvidos da verdade e se atirarão às fábulas” (2 Tim 4,3-4).
Em síntese e como forma de orientação geral, há três normas fundamentais que a consciência sempre deverá respeitar:
- Nunca é permitido fazer o mal para que daí se obtenha um bem.
- A chamada “regra de ouro”: tudo quanto quiserdes que os homens vos façam, fazei-lho vós também” (Mt 7,12).
- Actuar sempre respeitando o próximo e a sua consciência, embora isto não signifique aceitar como um bem aquilo que objectivamente seja um mal.
c)- Os meios para a formação da consciência moral:
Para a conveniente formação de nossa consciência moral, de modo a que ela seja o mais possível certa e verdadeira, podemos felizmente lançar mão de vários recursos ao nosso alcance, nomeadamente:
- antes de mais, ler e meditar a Palavra de Deus (a Bíblia e especialmente o Novo Testamento), onde se contém a doutrina e a lei do Senhor, acolhendo-a com fé e fazendo oração sobre ela: uma reflexão pausada e fervorosa que permita assimilá-la bem; se possível dedicando a essa meditação tão salutar, no mínimo uns dez ou quinze minutos por dia. Ela é “inspirada por Deus e adequada para ensinar, refutar, corrigir e educar na justiça” (2 Tm 3,16).
- depois, fazer diariamente um exame de consciência. No final do dia, antes de nos recolhermos para o descanso da noite, paremos uns minutos, situemo-nos com fé na presença de Deus que nos vê e nos ouve e façamos um balanço cheio de sinceridade: “o que fiz bem, o que fiz mal, o que poderia ter feito melhor”. Quem for constante nessa prática, irá adquirindo uma finura e lucidez de consciência cada vez maiores; deixará de viver na nebulosa da inconsciência para se abrir cada vez mais à luz de Deus.
- igualmente, devemos rezar: pedir os dons do Espírito Santo. Quando uma alma é sincera, cheia de fé e generosidade, então com frequência recebe no entendimento a claridade de Deus por meio dos dons do Espírito Santo (dom de sabedoria, de entendimento, de ciência e outros), que lhe inspiram um juízo moral luminoso e certo.
- também: procurar ajuda nos conselhos de outros: na formação da consciência, é de grande ajuda o saber consultar um amigo bem formado (um bom cristão, um catequista ou um professor idóneos, um sacerdote). Para muitas pessoas, a melhor garantia de manter sempre a “boa voz” da consciência é o hábito de se confessarem periodicamente (por ex. mensalmente) e de terem com o sacerdote uma conversa de orientação espiritual.
- e, finalmente, deixar-se guiar pelo “ensinamento autorizado da Igreja”: a nossa consciência pode errar, a sua voz pode emitir uma nota falsa. Mas a voz de Deus, não. E essa voz de Deus deixa-se escutar com clareza, sem sombras nem deturpações, no ensinamento autorizado do Magistério da Igreja: “quem vos ouve, a mim ouve; quem vos rejeita a mim rejeita” (Lc 10,6) – dizia Cristo a Pedro e aos Apóstolos que com ele estavam, bem como aos seus sucessores no tempo. Por isso mesmo, é tão importante conhecer bem o que a Igreja, em nome de Deus e assistida por Deus, ensina em matérias de moral! De particular importância, a este respeito, é a Encíclica “O esplendor da Verdade” (VS), publicada por João Paulo II em Agosto de 1993. Nela se afirma: “por vontade de Cristo, a Igreja Católica é mestra da verdade e tem por encargo dar a conhecer e ensinar autenticamente a Verdade que é Cristo, e ao mesmo tempo declara e confirma, com a sua autoridade, os princípios de ordem moral que dimanam da natureza humana. Portanto, a autoridade da Igreja, que se pronuncia sobre questões morais, não lesa de modo algum a liberdade de consciência dos cristãos: não apenas porque a liberdade da consciência nunca é liberdade “da” verdade, mas sempre e só “na” verdade, mas também porque o Magistério não apresenta à consciência cristã verdades que lhe sejam estranhas, antes manifesta as verdades que ela já deveria possuir, desenvolvendo-as a partir do acto originário da fé. A Igreja coloca-se sempre e só ao serviço da consciência, ajudando-a a não se deixar levar cá e lá por qualquer sopro de doutrina, ao sabor da maldade dos homens” (VS.nº64).
II. PARA UM TESTEMUNHO CRISTÃO E CREDÍVEL
São bem conhecidas as palavras do Papa Paulo VI, em 1975, quando afirmou: “para a Igreja, o testemunho duma vida autenticamente cristã, entregue nas mãos de Deus, numa comunhão que nada deverá interromper e dedicada ao próximo com zelo sem limites, é o primeiro meio de evangelização. O homem contemporâneo escuta
com melhor boa vontade as testemunhas do que os mestres, ou então, se escuta os mestres, é porque eles são testemunhas” (Evangelii Nuntiandi, nº 41.). O Papa João Paulo II repeti-las-ia em 1990, a propósito do testemunho como primeira forma de evangelização (Redemptoris missio, nº42).
É deste testemunho que agora queremos tratar, em referência sobretudo à sociedade guineense, de que fazemos parte. A sociedade guineense precisa do testemunho cristão credível dos cristãos. Ser testemunha da fé em Cristo ressuscitado é alguém que, pela sua vida, palavras e obras (e, se necessário, pelo sacrifício de sua própria vida) revela e confessa a presença de Cristo na sua vida e no mundo. Jesus Cristo deixou aos seus discípulos a missão de serem “sal da terra e luz do mundo” (Mt 5, 13-16), continuando pelos séculos fora a anunciar a boa-nova do reino de Deus e a curar, purificar, perdoar e ressuscitar, em seu nome (Mt 10,7-8) e sendo suas testemunhas até às extremidades da terra (Act 1,8).
Então, testemunhar Jesus Cristo ressuscitado, hoje, é torná-lo presente na sociedade e nas pessoas concretas com quem vivemos, e permitir que Ele continue aí a sua obra de salvação plena. Mas ninguém poderá ser testemunha credível de Jesus, o Salvador por excelência, sem uma consciência moral bem formada, como atrás indicámos: sabendo identificar os desafios maiores da sociedade em que vive e enfrentando-os com a coragem e a “luz” duma consciência recta e verdadeira.
1. A consciência bem formada diante de alguns desafios da sociedade guineense actual:
O testemunho cristão não tem, naturalmente, qualquer limitação no referente ao momento em que deve ser dado. Ele deve acontecer sempre e em cada hora do nosso dia, conforme os problemas concretos da sociedade nos vão desafiando. Apesar de tudo, há seguramente alguns domínios sociais mais sensíveis ou urgentes, onde o testemunho credível dos cristãos se torna mais necessário e premente.
Por isso mesmo, eu gostaria agora de incentivar e desafiar todos os cristãos, sobretudo os agentes de pastoral, a, nas suas comunidades respectivas, aproveitarem o próximo ano pastoral 2010/11para reflectirem sobre os domínios concretos que mais exigirão o testemunho de nossa consciência moral bem formada, no actual momento sócio-religioso da Guiné-Bissau.
O inventário desses domínios concretos irá seguramente variar, conforme as situações das diferentes regiões ou instituições do país; mas é natural que, nas reuniões locais a fazer, rapidamente aflorem também algumas preocupações comuns.
Apenas a título de exemplo, e como incentivo para as reuniões das diferentes comunidades da Diocese, interroguemo-nos sobre o seguinte:
a)-no campo político:
- A pobreza, a instabilidade e a suspeição mútua em que vivemos no nosso país, residem nos males que conhecemos. Mas, em verdade, estaremos nós dispostos a identificar e eliminar esses males? Por exemplo:
- O “suco di bás”, sem o qual muitos processos burocráticos não avançam, que atitude moral merece da parte dos cristãos?
- Porque é que há tanta desconfiança entre as pessoas, no nosso país?
- Diante do facto de na Guiné-Bissau os julgamentos por indícios de corrupção quase nunca chegarem ao fim, qual será a atitude moral mais aconselhável para um cristão?
- Uma das causas da nossa situação actual foi a eliminação física dos adversários políticos. Esta prática será moralmente justa? Em caso negativo, como proceder hoje para não considerarmos os adversários políticos como inimigos a abater?
- Outra das causas de nossa situação actual é o abuso injustificado da força e do poder. Como fazermos para que o poder e a força sejam instrumentos para a promoção da justiça, da reconciliação e da paz?
- Etc. ….
b)- no campo sócio-económico:
- Poderá um cristão bem formado danificar ou furtar os bens públicos, apenas para seu proveito pessoal ou de sua família?
- O costume generalizado, na Guiné-Bissau, de não revelar de modo algum o nome de quem delapidou ou furtou os bens públicos, será um costume moralmente intocável?
- Não pensando apenas em militares e políticos, mas também em círculos mais específicos e cada vez mais alargados (ex. religiões de diferentes credos, escolas, bairros, famílias...), que ajuda material e moral poderão dar para o melhoramento das condições de vida e consequentemente para a promoção da paz?
- Etc. …
c)- no campo eclesial: dignificação das famílias cristãs:
- Se o matrimónio cristão é uma vocação e um sacramento, será moralmente aceitável que a enorme maioria dos cristãos ache normal não o realizar, ou então realizá-lo apenas ao fim de muitos anos de convivência real?
- As poucas famílias cristãs existentes na Diocese não terão também elas a sua parte de responsabilidade moral sobre o modo como os jovens olham para as relações pré-matrimoniais e para a necessidade do casamento religioso?
- Que aspectos dos “usos e costumes” do casamento tradicional guineense nos parecem moralmente positivos e assumíveis também pelos cristãos?
- Etc. …
2. O trabalho que agora se espera para o ano pastoral 2010/2011
Estes três domínios concretos, aqui deixados, onde mais se faz sentir a necessidade de consciências morais bem formadas, são apenas três exemplos possíveis e o abrir de caminho para as reuniões necessárias que hão-de ser feitas nas diferentes comunidades cristãs de nossa diocese ao longo do próximo ano pastoral. O importante é que essas reuniões se façam e possam contribuir para um testemunho mais exigente e mais perfeito de cada um de nós, fruto da “luz” orientadora de nossa consciência bem formada. O trabalho de aperfeiçoamento desta consciência é um trabalho de toda a vida, e um cristão deve tentar “ser perfeito como o Pai que está nos céus” (Mt 5,48).
Para todos vós, a minha bênção de pastor e os meus votos sinceros dum bom “novo ano pastoral”!
Bissau, 28 de Setembro de 2010
† José Câmnate na Bissign
(Bispo de Bissau)
Ano Pastoral 2010/2011
BEM FORMAR A CONSCIÊNCIA MORAL, PARA MELHOR TESTEMUNHAR NOSSA FÉ EM CRISTO RESSUSCITADO
Não é difícil constatar como, também na sociedade guineense (e sobretudo nos ambientes citadinos), a consciência moral dos cidadãos dá sinais claros de estar a ficar um tanto ofuscada, ou mesmo pervertida, diante dos novos ambientes em que vivemos desde há já algumas décadas. Como consequência da mentalidade materialista e subjectivista que nos é transmitida por alguns meios de comunicação social e por organismos nacionais e internacionais de carácter político ou económico, deixámos perder bastantes valores da educação tradicional africana e não conseguimos assimilar ou conservar outros valores da chamada “modernidade”, aí incluídos também os valores cristãos.
O resultado é inquietante, sobretudo quando se pensa na construção do nosso destino comum, a curto e médio prazo. Num bom número de famílias e na maioria das Escolas dá-se aos alunos instrução, mas não se dá formação: ensinam-se meios de ganhar dinheiro e de singrar na vida, mas não se ensinam modos de adquirir virtudes. Retiram-se ou estragam-se, para proveito particular dinheiros e outros bens que são propriedade de todos, e as pessoas já se vão habituando a olhar isso como “coisa normal” e até como “esperteza”da parte de quem o faz. Participa-se no negócio da droga, que vai afectar gravemente a saúde de quem a vier a consumir, e acha-se isso “um negócio como qualquer outro” e “um modo de enriquecimento rápido embora arriscado. Por vezes, faz-se ou recomenda-se o aborto com enorme leviandade, como se se tratasse dum simples método de planeamento familiar. Pensando particularmente nos cristãos, verifica-se em muitos deles uma enorme ignorância em matéria de consciência moral: pede-se ou exige-se o acesso aos sacramentos (sobretudo os da Iniciação) mas sem conhecer ou aceitar as exigências morais que isso acarreta.
Em consequência de tudo isto e diante dos problemas morais concretos de nossa vida em sociedade, não é raro ouvir da boca das pessoas tanto a confissão sincera de sua ignorância (“ah, eu não sabia; julgava que estava a agir bem”!), como a afirmação individualista da intocabilidade de todas as consciências (“eu agi segundo a minha consciência e isso me basta; cada qual é o único senhor do seu destino”!).
Diante desta situação, e em sintonia com o parecer do Conselho presbiteral manifestado na sua reunião de 23 de Junho último, pareceu-me conveniente dirigir esta mensagem a todos os cristãos da Diocese, principalmente aos agentes directos da pastoral, e a todos eles convidar para, ao longo do próximo ano pastoral 2010/11, nas suas respectivas comunidades, aprofundarem este tema da formação da consciência moral que possibilite depois um testemunho cristão mais exigente e mais credível na sociedade onde vivemos.
I POR UMA CONSCIÊNCIA MORAL BEM FORMADA:
Bibliografia de base:
- Gaudium et Spes (Vat.II), nn.16-17
- Dignitatis humanae (Vat.II), nº3
- João Paulo II: Enc.Veritatis splendor (1993), nn.54-64
- Catecismo da Igreja Católica (1992), nn.1776-1794
1. Grandeza e fraqueza da consciência moral:
O ser humano recebeu do seu Criador a inteligência, a liberdade, a vontade, a sensibilidade, a consciência e os demais atributos que fazem dele o “rei” do universo. Mas, de todos esses atributos, a primazia está na sua consciência, porque é ela a luz que ilumina e dirige o exercício dos demais talentos. Ela é o espaço sacrossanto de cada indivíduo, onde só ele pode entrar e onde ressoa a voz de Deus. Ela é um juízo da razão humana que, no momento oportuno, ordena ao homem que pratique o bem e evite o mal. Graças a ela, a pessoa humana percebe a qualidade moral dum acto a realizar ou já realizado, permitindo-lhe assumir a respectiva responsabilidade. Quando escuta a sua consciência moral, o homem prudente pode efectivamente ouvir a voz de Deus que lhe fala. Para destacar a importância desta consciência, o célebre cardeal Newman escreveu que ela “é uma lei do nosso espírito, mas que o ultrapassa, que nos dá ordens, que significa responsabilidade e poder” (carta ao duque de Norfolk, 5) e Pascal sintetizou de maneira feliz: ““a consciência é o melhor livro de moral, e aquele que mais devia ser consultado”!
Mas foi sobretudo o Concílio Vaticano II quem destacou a importância da consciência moral de maneira mais incisiva e explícita: “no fundo da própria consciência, o homem descobre uma lei que não se impôs a si mesmo, mas à qual deve obedecer; essa voz, que sempre o está a chamar ao amor do bem e fuga do mal, soa no momento oportuno, na intimidade do seu coração: faz isto, evita aquilo. O homem tem no coração uma lei escrita pelo próprio Deus; a sua dignidade está em obedecer-lhe, e por ela é que será julgado. A consciência é o centro mais secreto e o santuário do homem, no qual se encontra a sós com Deus, cuja voz se faz ouvir na intimidade do seu ser“(GS.16).
Entre as criaturas do universo, só ao homem foi concedido este santuário interior. E a sua dignidade está justamente em saber escutar essa voz interior e ser fiel aos seus ditames, que o encaminham para a prática do bem, ou seja, para seguir o que é justo e bom segundo a razão e a lei divina. Esta exigência de “interiorização” por parte do homem é fundamental para o seu recto comportamento na sociedade.
Porém, a consciência moral também revela os seus limites e a sua fraqueza, mostrando-se por vezes incapaz de responder rectamente à voz da lei divina e de dignificar o homem que a possui. Por razões variadas (nomeadamente a realidade do pecado na vida de cada homem e mesmo nas estruturas da sociedade, os interesses de instituições políticas ou económicas, a mentalidade subjectivista e hedonista veiculada por certos meios de comunicação social, uma enorme ignorância a respeito da fé e da moral por parte de muitos cristãos, etc.), assistimos hoje a um certo eclipse das consciências individuais bem formadas bem como à tentativa, mais ou menos explícita, de as silenciar, preferindo-se avançar por outros géneros de comportamento moral à margem de Deus e da lei divina. Estamos hoje numa situação parecida ao que Santo Agostinho chamava o “jejum da luz”. Escreveu ele: “os nossos olhos refazem-se vendo a luz corpórea. Muitos, quando estão às escuras durante muito tempo, ficam fracos quanto à acuidade da vista, e essa fraqueza provém duma espécie de jejum da luz. Os olhos são prejudicados no seu alimento, que é a luz. Fatigam-se com o jejum, debilitam-se, a ponto de não poderem ver depois a própria luz com que se alimentam. E, se a luz continuar a faltar por muito mais tempo, deixam de ver, morre neles de certo modo a capacidade de receber o brilho da luz” (Trat.XIII sobre Ev.de S.João, par.5).
Diante das sugestões variadas que lhe advêm do meio ambiente onde se situa, situações essas muitas vezes fora da “luz de Deus”, a consciência individual é tentada a desabituar-se de escutar a voz de Deus que lhe fala no seu íntimo e a virar-se para “outras vozes” do exterior, longe da verdade e longe de Deus. Nessas alturas, não é a sua grandeza e dignidade que nos aparece, mas sim a sua debilidade e fraqueza. O resultado poderão ser juízos duvidosos (hesitando sobre o caminho certo a escolher) ou mesmo erróneos (enganando-se na escolha moral feita, considerando bem o que é mal ou vice-versa).
Colocados, deste modo, diante da grandeza e ao mesmo tempo da fragilidade da consciência humana, a dignidade humana nos exige que procuremos agir sempre com uma consciência recta e certa (que esteja de acordo com o que é justo e bom segundo a razão e a lei divina) e que respeitemos igualmente a consciência dos outros. Mas, para isso, temos necessidade de formar incessantemente a nossa consciência moral.
2. A necessidade de permanente formação da consciência moral:
O mundo jamais poderá ser humano enquanto cada homem não deixar de espezinhar a própria consciência. Será inútil encher as páginas de leis e de códigos ou encher as ruas de polícias, enquanto a humanidade não for chamada a cultivar a consciência individual. Quem desejar reformar o mundo, deve começar pela reforma da própria consciência. É urgente que se recuperem as consciências, formando-as no seio das famílias, nos grupos paroquiais, nas escolas (sobretudo naquelas que sejam orientadas por nós). E este é um trabalho de toda a vida.
a)- O caminho aberto por S.Paulo:
S.Paulo preocupou-se de maneira especial por formar a consciência moral das comunidades cristãs primitivas por ele fundadas. A análise pormenorizada do caso de consciência que lhe foi posto pelos Coríntios – “pode-se comer a carne sacrificada aos ídolos? – é um exemplo paradigmático de pedagogia moral (1 Cor 8-10). Trabalho idêntico fez ele ao propor o modo de se comportar com os “pouco esclarecidos” em questões de fé e moral (Rm 14). Além destes dois exemplos de formação da consciência moral, há recomendações paulinas directamente orientadas para o trabalho educativo neste campo. Para S.Paulo, os cristãos têm de formar a sua consciência em três aspectos:
- Examinando-se a si mesmos (1 Cor 11,28; 2 Cor 13,5; Gl 6,4)
- Procurando a vontade de Deus (Rm 12,2; Ef 5,10)
- Ponderando o que mais convém em cada momento ((Fl 1,10)
Esta tríplice recomendação, em vista dum conveniente discernimento, continua ainda válida para nós, hoje.
b)- A necessidade de agir com uma consciência certa e recta:
A vocação do ser humano é cumprir a vontade de Deus, que nos é indicada pela consciência. Mas, em cada momento concreto, nem sempre se conhece facilmente qual será a vontade de Deus. E, em caso de não estarmos seguros, expomo-nos a agir contra o que Deus quer e arriscamo-nos a pecar.
Por isso, no discernimento da moralidade dum acto, é necessário agir sempre com a consciência certa e recta, ou seja, com a segurança de que a moralidade desse acto é justamente como a consciência no-lo apresenta, em sintonia com a lei moral inscrita em nosso coração. A pessoa não poderá deixar-se ficar apenas numa consciência “duvidosa”, hesitando na decisão a tomar, sem saber qual juízo formar com segurança; e, muito menos ainda, a pessoa não poderá deixar-se conduzir por juízos “erróneos”, em que o juízo moral não se ajusta à lei moral, em que aquilo que toma por bem é objectivamente mal e vice-versa.
É certo que nos juízos erróneos nem sempre o mal é imputável à pessoa que os emite se esta, por ignorância invencível, não teve verdadeiramente nenhuma possibilidade de vencer o erro respectivo; e isso acontece efectivamente em vários casos em que a pessoa não teve realmente nenhuma oportunidade de formação, embora haja certos princípios básicos da moral que é impossível alguém ignorar, pois todos os trazemos naturalmente impressos no coração (Rm 2,15). Mas, em muitos outros casos de juízos erróneos que são vencíveis, a pessoa não poderá continuar a escusar-se indefinidamente com a desculpa de que “ eu não sabia que estava a agir mal”. Pelo contrário, terá de se esforçar por ultrapassar esses erros de consciência com a conveniente formação que está ao seu alcance, evitando a “ignorância afectada”, que prefere “não ficar a saber” para poder agir com maior liberdade e menos peso na consciência! E evitar sobretudo a consciência “voluntariamente deformada”, em que a pessoa não ignora a verdade, mas tenta deformá-la, mentindo-se a si mesmos e tentando mentir a Deus; neste caso, fazem literalmente o que já dizia S.Paulo nos inícios do cristianismo: “virá um tempo em que os homens já não suportarão a sã doutrina da salvação. Levados pelas próprias paixões e pelo prurido de escutar novidades, ajustarão mestres para si, apartarão os ouvidos da verdade e se atirarão às fábulas” (2 Tim 4,3-4).
Em síntese e como forma de orientação geral, há três normas fundamentais que a consciência sempre deverá respeitar:
- Nunca é permitido fazer o mal para que daí se obtenha um bem.
- A chamada “regra de ouro”: tudo quanto quiserdes que os homens vos façam, fazei-lho vós também” (Mt 7,12).
- Actuar sempre respeitando o próximo e a sua consciência, embora isto não signifique aceitar como um bem aquilo que objectivamente seja um mal.
c)- Os meios para a formação da consciência moral:
Para a conveniente formação de nossa consciência moral, de modo a que ela seja o mais possível certa e verdadeira, podemos felizmente lançar mão de vários recursos ao nosso alcance, nomeadamente:
- antes de mais, ler e meditar a Palavra de Deus (a Bíblia e especialmente o Novo Testamento), onde se contém a doutrina e a lei do Senhor, acolhendo-a com fé e fazendo oração sobre ela: uma reflexão pausada e fervorosa que permita assimilá-la bem; se possível dedicando a essa meditação tão salutar, no mínimo uns dez ou quinze minutos por dia. Ela é “inspirada por Deus e adequada para ensinar, refutar, corrigir e educar na justiça” (2 Tm 3,16).
- depois, fazer diariamente um exame de consciência. No final do dia, antes de nos recolhermos para o descanso da noite, paremos uns minutos, situemo-nos com fé na presença de Deus que nos vê e nos ouve e façamos um balanço cheio de sinceridade: “o que fiz bem, o que fiz mal, o que poderia ter feito melhor”. Quem for constante nessa prática, irá adquirindo uma finura e lucidez de consciência cada vez maiores; deixará de viver na nebulosa da inconsciência para se abrir cada vez mais à luz de Deus.
- igualmente, devemos rezar: pedir os dons do Espírito Santo. Quando uma alma é sincera, cheia de fé e generosidade, então com frequência recebe no entendimento a claridade de Deus por meio dos dons do Espírito Santo (dom de sabedoria, de entendimento, de ciência e outros), que lhe inspiram um juízo moral luminoso e certo.
- também: procurar ajuda nos conselhos de outros: na formação da consciência, é de grande ajuda o saber consultar um amigo bem formado (um bom cristão, um catequista ou um professor idóneos, um sacerdote). Para muitas pessoas, a melhor garantia de manter sempre a “boa voz” da consciência é o hábito de se confessarem periodicamente (por ex. mensalmente) e de terem com o sacerdote uma conversa de orientação espiritual.
- e, finalmente, deixar-se guiar pelo “ensinamento autorizado da Igreja”: a nossa consciência pode errar, a sua voz pode emitir uma nota falsa. Mas a voz de Deus, não. E essa voz de Deus deixa-se escutar com clareza, sem sombras nem deturpações, no ensinamento autorizado do Magistério da Igreja: “quem vos ouve, a mim ouve; quem vos rejeita a mim rejeita” (Lc 10,6) – dizia Cristo a Pedro e aos Apóstolos que com ele estavam, bem como aos seus sucessores no tempo. Por isso mesmo, é tão importante conhecer bem o que a Igreja, em nome de Deus e assistida por Deus, ensina em matérias de moral! De particular importância, a este respeito, é a Encíclica “O esplendor da Verdade” (VS), publicada por João Paulo II em Agosto de 1993. Nela se afirma: “por vontade de Cristo, a Igreja Católica é mestra da verdade e tem por encargo dar a conhecer e ensinar autenticamente a Verdade que é Cristo, e ao mesmo tempo declara e confirma, com a sua autoridade, os princípios de ordem moral que dimanam da natureza humana. Portanto, a autoridade da Igreja, que se pronuncia sobre questões morais, não lesa de modo algum a liberdade de consciência dos cristãos: não apenas porque a liberdade da consciência nunca é liberdade “da” verdade, mas sempre e só “na” verdade, mas também porque o Magistério não apresenta à consciência cristã verdades que lhe sejam estranhas, antes manifesta as verdades que ela já deveria possuir, desenvolvendo-as a partir do acto originário da fé. A Igreja coloca-se sempre e só ao serviço da consciência, ajudando-a a não se deixar levar cá e lá por qualquer sopro de doutrina, ao sabor da maldade dos homens” (VS.nº64).
II. PARA UM TESTEMUNHO CRISTÃO E CREDÍVEL
São bem conhecidas as palavras do Papa Paulo VI, em 1975, quando afirmou: “para a Igreja, o testemunho duma vida autenticamente cristã, entregue nas mãos de Deus, numa comunhão que nada deverá interromper e dedicada ao próximo com zelo sem limites, é o primeiro meio de evangelização. O homem contemporâneo escuta
com melhor boa vontade as testemunhas do que os mestres, ou então, se escuta os mestres, é porque eles são testemunhas” (Evangelii Nuntiandi, nº 41.). O Papa João Paulo II repeti-las-ia em 1990, a propósito do testemunho como primeira forma de evangelização (Redemptoris missio, nº42).
É deste testemunho que agora queremos tratar, em referência sobretudo à sociedade guineense, de que fazemos parte. A sociedade guineense precisa do testemunho cristão credível dos cristãos. Ser testemunha da fé em Cristo ressuscitado é alguém que, pela sua vida, palavras e obras (e, se necessário, pelo sacrifício de sua própria vida) revela e confessa a presença de Cristo na sua vida e no mundo. Jesus Cristo deixou aos seus discípulos a missão de serem “sal da terra e luz do mundo” (Mt 5, 13-16), continuando pelos séculos fora a anunciar a boa-nova do reino de Deus e a curar, purificar, perdoar e ressuscitar, em seu nome (Mt 10,7-8) e sendo suas testemunhas até às extremidades da terra (Act 1,8).
Então, testemunhar Jesus Cristo ressuscitado, hoje, é torná-lo presente na sociedade e nas pessoas concretas com quem vivemos, e permitir que Ele continue aí a sua obra de salvação plena. Mas ninguém poderá ser testemunha credível de Jesus, o Salvador por excelência, sem uma consciência moral bem formada, como atrás indicámos: sabendo identificar os desafios maiores da sociedade em que vive e enfrentando-os com a coragem e a “luz” duma consciência recta e verdadeira.
1. A consciência bem formada diante de alguns desafios da sociedade guineense actual:
O testemunho cristão não tem, naturalmente, qualquer limitação no referente ao momento em que deve ser dado. Ele deve acontecer sempre e em cada hora do nosso dia, conforme os problemas concretos da sociedade nos vão desafiando. Apesar de tudo, há seguramente alguns domínios sociais mais sensíveis ou urgentes, onde o testemunho credível dos cristãos se torna mais necessário e premente.
Por isso mesmo, eu gostaria agora de incentivar e desafiar todos os cristãos, sobretudo os agentes de pastoral, a, nas suas comunidades respectivas, aproveitarem o próximo ano pastoral 2010/11para reflectirem sobre os domínios concretos que mais exigirão o testemunho de nossa consciência moral bem formada, no actual momento sócio-religioso da Guiné-Bissau.
O inventário desses domínios concretos irá seguramente variar, conforme as situações das diferentes regiões ou instituições do país; mas é natural que, nas reuniões locais a fazer, rapidamente aflorem também algumas preocupações comuns.
Apenas a título de exemplo, e como incentivo para as reuniões das diferentes comunidades da Diocese, interroguemo-nos sobre o seguinte:
a)-no campo político:
- A pobreza, a instabilidade e a suspeição mútua em que vivemos no nosso país, residem nos males que conhecemos. Mas, em verdade, estaremos nós dispostos a identificar e eliminar esses males? Por exemplo:
- O “suco di bás”, sem o qual muitos processos burocráticos não avançam, que atitude moral merece da parte dos cristãos?
- Porque é que há tanta desconfiança entre as pessoas, no nosso país?
- Diante do facto de na Guiné-Bissau os julgamentos por indícios de corrupção quase nunca chegarem ao fim, qual será a atitude moral mais aconselhável para um cristão?
- Uma das causas da nossa situação actual foi a eliminação física dos adversários políticos. Esta prática será moralmente justa? Em caso negativo, como proceder hoje para não considerarmos os adversários políticos como inimigos a abater?
- Outra das causas de nossa situação actual é o abuso injustificado da força e do poder. Como fazermos para que o poder e a força sejam instrumentos para a promoção da justiça, da reconciliação e da paz?
- Etc. ….
b)- no campo sócio-económico:
- Poderá um cristão bem formado danificar ou furtar os bens públicos, apenas para seu proveito pessoal ou de sua família?
- O costume generalizado, na Guiné-Bissau, de não revelar de modo algum o nome de quem delapidou ou furtou os bens públicos, será um costume moralmente intocável?
- Não pensando apenas em militares e políticos, mas também em círculos mais específicos e cada vez mais alargados (ex. religiões de diferentes credos, escolas, bairros, famílias...), que ajuda material e moral poderão dar para o melhoramento das condições de vida e consequentemente para a promoção da paz?
- Etc. …
c)- no campo eclesial: dignificação das famílias cristãs:
- Se o matrimónio cristão é uma vocação e um sacramento, será moralmente aceitável que a enorme maioria dos cristãos ache normal não o realizar, ou então realizá-lo apenas ao fim de muitos anos de convivência real?
- As poucas famílias cristãs existentes na Diocese não terão também elas a sua parte de responsabilidade moral sobre o modo como os jovens olham para as relações pré-matrimoniais e para a necessidade do casamento religioso?
- Que aspectos dos “usos e costumes” do casamento tradicional guineense nos parecem moralmente positivos e assumíveis também pelos cristãos?
- Etc. …
2. O trabalho que agora se espera para o ano pastoral 2010/2011
Estes três domínios concretos, aqui deixados, onde mais se faz sentir a necessidade de consciências morais bem formadas, são apenas três exemplos possíveis e o abrir de caminho para as reuniões necessárias que hão-de ser feitas nas diferentes comunidades cristãs de nossa diocese ao longo do próximo ano pastoral. O importante é que essas reuniões se façam e possam contribuir para um testemunho mais exigente e mais perfeito de cada um de nós, fruto da “luz” orientadora de nossa consciência bem formada. O trabalho de aperfeiçoamento desta consciência é um trabalho de toda a vida, e um cristão deve tentar “ser perfeito como o Pai que está nos céus” (Mt 5,48).
Para todos vós, a minha bênção de pastor e os meus votos sinceros dum bom “novo ano pastoral”!
Bissau, 28 de Setembro de 2010
† José Câmnate na Bissign
(Bispo de Bissau)
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