proverbio locale: DEUS FALA: “PUI MON, ‘NJUDAU”
traduzione letterale: Dio dice: “Mettici la mano, Io ti aiuterò”
interpretazione: “Aiuta te stesso, e Dio ti aiuterà”
Cari amici e conoscenti, sarebbe ora di ricevere il diario, che ne dite?
Sono stati mesi pieni di missione: l’evangelizzazione nei villaggi prende la maggior parte del mio tempo, e sono contento che questo accada. Sono in missione per annunciare il Vangelo! Ho trovato anche il tempo per un veloce viaggio a Foggia, ho completato l’anno pastorale della missione di Bigene con la festa del Sacro Cuore, mi sono preso la terza malaria e mi sono poi “ripreso”, sono riuscito a organizzare il trasporto del secondo container da Bissau a Bigene, e a iniziare a predisporre tutto il suo contenuto (un container pieno pieno non è cosa da poco).
Ed eccomi all’inizio di agosto: termino questa puntata mentre molti di voi sono in vacanza, troverete le mie note al rientro. La cosa importante è che io ci sono: non penserete che sia scomparso, vero? Molti di voi mi seguono su facebook, e hanno mie continue notizie. Ma è giunto il momento di rimettere mano al diario!
Dove eravamo rimasti? A Natale! Forse ricorderete la novità del precedente capitolo del diario: l’aggiunta di alcune vostre brevi condivisioni a quanto ho già scritto su facebook, che riporto poi su queste pagine. Mi piace l’idea che il mio diario possa trovare una condivisione più allargata. Vi chiedevo cosa ne pensavate di questa novità…
Sergio (Foggia): “Leggere il diario è sempre emozionante e mi fa tornare in quella parte di mondo almeno col pensiero, per ora… Sarà ancora più emozionante tornarvi di persona per continuare il nostro progetto comune! Padre noi siamo lì con te, come tu sei qui con noi, ogni giorno”.
Sonia (Segezia, Foggia): “Mi è sembrato di aver vissuto con te tutto ciò che ci hai detto!”.
Giovanni (Torino): “Insomma, don Ivo, alla fine hai ucciso un lombrico o giù di lì? Ahahahah! Bello rileggere tante cose che sono successe in questi mesi. Don Ivo, sappi che sei missionario non solo in Africa ma anche in Italia. La tua missione va ben oltre, probabilmente, le intenzioni iniziali tue e del tuo Vescovo”.
Con la conferma di questi amici, e di altri che non trascrivo, continuiamo il mio diario. In parte, anche il “nostro” diario. Aggiungo una novità: alcuni eventi portano un titolo. Sono come delle piccole storie all’interno del mio diario. Fatti che accadono nella mia vita di missionario e che, a volte, riesco a trascrivere (non sempre riesco a narrare tutto quello che mi accade di importante). Buona lettura.
2 gennaio
Sono agitato: il viaggio di Enzo e Ilde verso Bigene non mi ha fatto dormire. Non mi sembra vero… Ma veramente sono partiti da Foggia per venire in missione a Bigene per due mesi?
Enzo e Ilde La Pietra sono amici di Segezia (Foggia) con i quali ho condiviso tante esperienze pastorali nella mia ex-parrocchia dell’Immacolata di Fatima. Ci conosciamo da vent’anni. La loro venuta a Bigene, per condividere la vita di missione, mi sembra un dono grande mandato dal Signore.
3 gennaio
Enzo e Ilde sono arrivati bene: solo leggermente impressionati dal caldo (in maniche corte in piena notte di gennaio). Oggi visitiamo la clinica di Cumura (l’ospedale per la cura della lebbra e altre gravi malattie) e di Bor (cure per i bambini).
5 gennaio
Arriviamo a Bigene: gli amici sono stanchi del viaggio (hanno capito bene come sono le mie strade) e felici di scoprire con i loro occhi la realtà di questa missione. Sono felici. Io non sono felice. Sono strafelice: si dice così?
7 gennaio
Giornata triste: suor Teresa lascia Bigene e ritorna in Brasile. Dopo vari anni di missione in India e in Guinea-Bissau rientra nella sua terra. Ringraziamo assieme il buon Dio per tutto il bene che ha potuto compiere nella comunità di Bigene, e offriamo al Signore anche la tristezza di questo distacco.
Nella comunità delle Suore Oblate a Bigene sono ora presenti: suor Rosa (Deliceto, Foggia), suor Merione (Brasile) e suor Benna (India).
10 gennaio
Accompagno i miei ospiti in una visita alla "nuova" scuola di Mambuloto. Questo è un villaggio molto povero, collocato fuori della strada principale, e quindi con minori possibilità di piccolo commercio dei prodotti agricoli. La scuola è nuova nel senso che è stata costruita, dagli abitanti del villaggio, da poche settimane, utilizzando il materiale del bosco: bastoni di legno e foglie di palma. È la prima scuola costruita a Mambuloto, e questo fatto conferma la precarietà della vita di questo villaggio poverissimo, disperso nella foresta. Enzo e Ilde consegnano la lavagna arrivata da Foggia, tra lo stupore dei bambini che hanno iniziato la prima elementare. Poi distribuiscono anche dei maglioncini, arrivati da Foggia nel primo container. Io sono particolarmente felice che questi amici possano loro stessi vedere e toccare la realtà a cui sono destinate queste donazioni e le necessità che la mia gente vive. Una scuola che in Italia si potrebbe definire una baracca di legno, ma che qui è già un segno di crescita per questa popolazione. Tanti villaggi non hanno nemmeno questa baracca!
17 gennaio: una giornata da non ripetere
Una giornata che spero di non ripetere mai più: questa mattina incontro al villaggio di Suar una bambina di quattro anni in stato di grave denutrizione, anemica, con i vermi nella pancia… chiusa nel suo silenzio, senza alcuna parola, senza alcun sorriso. Nel suo turbamento fisico e mentale, pensa di poter uccidere i vermi mangiando sabbia!
Nel pomeriggio mi chiede aiuto una mamma di Bigene, che ha evidenti lacerazioni agli arti dovute alla lebbra: non ce la fa più a rimanere nascosta con la sua malattia devastante e umiliante, i dolori sono diventati troppo forti.
Signore, dammi sempre il coraggio e la forza di aiutare le persone che mi affidi…
Mara (Foggia): “Un bambino senza sorriso è come un corpo senza anima, è quanto di peggio ti possa capitare di vedere, parola di maestra!”.
Giovanni (Torino): “La mia vita è veramente piccola, i suoi problemi e i suoi successi sono insignificanti. Questa bimba e questa donna, assieme a tutte le persone che ci stai facendo conoscere, sono un urlo che ci chiede di svegliarci dal nostro torpore. La vita è una cosa seria che non va sprecata”.
18 gennaio: i miei capitribù sono persone serie
Leggo un commento sui fatti e i problemi politici in Italia, che riporta queste espressioni: “Siamo lo zimbello di tutti. Ci considerano dei primitivi della democrazia perché la reputazione di XXX è uguale a quella di un capotribù, un re della repubblica delle banane”.
Questo commento contiene un errore gravissimo! Ora che li ho conosciuti, vi posso assicurare che i capitribù sono persone di grande onore, di grande esempio per tutta la tribù, di sicuro riferimento per tutte le persone. I capitribù sono persone che meritano il più grande rispetto anche da chi non appartiene alla tribù, e vi posso testimoniare che è una grande gioia poter comunicare con alcuni di loro: ascoltano ogni mia parola, e le loro parole sono tutte colme di saggezza. Se i politici italiani (tutti!) fossero come i capitribù della Guinea-Bissau, ci sarebbe una politica sana e costruttiva! Chi non ci crede, venga a vedere...
18 gennaio: il capovillaggio musulmano vuole mettere la prima pietra della nuova chiesa
Una delegazione dei partecipanti alla catechesi a Jambam è venuta ieri a incontrarmi: chiedono sostegno per costruire un nuovo pozzo per l’acqua ed esprimono il desiderio di costruire la chiesa per pregare e riunirsi nella catechesi settimanale. Queste richieste mi trovano sempre molto disponibile: sono assai felice di poter sostenere queste opere. La comunità cristiana del villaggio segue con buona partecipazione l’incontro settimanale; ci vorranno ancora diversi anni perché alcuni di loro possano arrivare al battesimo, ma intanto si guarda avanti. Per costruire il pozzo dispongo di un fondo lasciatomi da un sacerdote che ha devoluto una eredità familiare per questo tipo di opere. Per aiutare a costruire la chiesa del villaggio posso utilizzare le offerte che normalmente ricevo dagli amici in Europa. Gli abitanti stessi del posto costruiscono, con l’argilla del terreno, i mattoni necessari per l’edificazione; io partecipo con l’acquisto del tetto in lamiera, della porta e delle finestre. Poi serviranno anche i sacchi di cemento per le pareti e per il pavimento, il colore, le panche di legno. Tutto questo lo potrò fare con calma, nel tempo. Prima di ogni decisione, però, occorre che ci sia la disponibilità degli abitanti del villaggio a collaborare in queste opere, e che tutti siano contenti.
Ho appena terminato l’incontro nel villaggio: vi hanno partecipato anche i musulmani, guidati dal capovillaggio, pure lui musulmano. Ho guidato l’incontro spiegando che l’acqua è un dono di Dio, ed è un dono per tutti. Se costruiamo un nuovo pozzo (quello esistente è insufficiente: si crea sempre una fila di donne per “tirare” l’acqua), tutti gli abitanti del villaggio ne devono poter usufruire. Questa realizzazione sarà sicuramente accolta con favore da tutti. Ma riguardo alla costruzione della chiesa, cosa diranno i musulmani?
Motivo il desiderio di una chiesa con la possibilità di pregare con più attenzione per tutte le necessità del villaggio, e i cristiani che si riuniranno pregheranno anche per i fratelli musulmani che qui abitano. Poi sottolineo che le opere della missione sono per tutti: la scuola, il centro di recupero per bambini denutriti, l’infermeria sono a disposizione di tutti, non solo dei cristiani, ma anche di coloro che seguono altre religioni. Però, per costruire la chiesa del villaggio, io posso procedere se i musulmani del villaggio sono contenti. Non uso mezze parole (la diplomazia non è il mio forte…) e vado diritto alla domanda precisa. Se i musulmani sono sereni, si fa, altrimenti non si fa.
Prende la parola il capovillaggio musulmano. Sono curioso di ascoltare le sue parole. Parla a lungo: ringrazia Dio per il dono del nuovo pozzo e afferma con sicurezza che tutti sono contenti per quest’opera, non vi può essere qualcuno che non sia contento di avere un nuovo pozzo. Dopo le sue parole rimango sempre con il dubbio: non ha detto nulla riguardo alla costruzione della chiesa! Gli chiedo direttamente che cosa lui pensi non solo del pozzo, ma anche della chiesa. E la sua risposta è di una bellezza unica: “Padre, ma è ovvio che noi tutti siamo felici di costruire anche la chiesa, e per farti vedere che io sono felice, voglio costruire con le mie stesse mani il primo mattone da collocare nella chiesa!”. Mentre parla, compie il gesto con le mani per indicare che vuole raccogliere la terra, costruire il mattone, e collocarlo all’inizio della costruzione. Scatta l’applauso di tutti i presenti.
Dopo vari interventi, che ripetono la stessa gioia, desidero terminare con una semplice preghiera. Chiedo al capovillaggio se posso guidare la preghiera per tutti; lui mi ascolta con molta attenzione mentre chiedo a Dio il dono della pace e della comunione tra tutti noi. Poi recitiamo il Padre Nostro, solo noi cattolici, ovviamente. Terminiamo con un segno di Croce. Anche lui, trasportato dalla partecipazione alla preghiera, alza la mano destra sulla fronte. Poi, forse, capisce che quel gesto non gli appartiene, e fa finta di grattarsi il naso… Però, era partito per farsi il segno di Croce! I miei musulmani sono così.
20 gennaio
Domani notte arriveranno a Bissau don Saverio da Foggia, Michele e due tecnici da Lucera (Foggia), per montare l'impianto fotovoltaico, donato dalla ditta Piacquadio (Lucera), sulla casa dei missionari. Beh, don Saverio viene solo a benedire! Sono felice e... comincio ad agitarmi!!!! Ma perché un missionario si deve agitare tanto???? Ormai, alla mia età, dovrei essere pronto per l'uso!
Rosanna (Foggia): “Ti agiti? Beh! non sei cambiato! Mi ricordo come eri emozionato per la diretta da Segezia su Radio Maria! Che il Signore benedica questo nuovo lavoro!”.
22 gennaio
La nostra “foggia” (la casa dei missionari) è piena di foggiani! Oltre ad Enzo e Ilde, ci sono don Saverio Trotta (parroco di S. Pietro in Foggia), Michele Piacquadio, Giuseppe Di Gioia e Arnaldo Lombardi (di Lucera). Finalmente suor Rosa (di Deliceto) può sfogarsi in foggiano!
23 gennaio
Don Saverio visita la scuola del villaggio di Farea. Il suo desiderio è di fare l'adozione di tutta la scuola attraverso i suoi parrocchiani (San Pietro, Foggia) e i suoi amici. Attualmente la scuola è sostenuta dalla missione di Bigene, ed un aiuto potrebbe essere molto utile per realizzare una pavimentazione (i bambini respirano polvere durante le lezioni) e intonacare i muri dell'edificio (costruito dai genitori dei 40 alunni). Un ottimo desiderio che don Saverio sicuramente riuscirà a portare avanti, e un reale esempio per le altre parrocchie.
24 gennaio
Che sensazione! Vado a dormire senza spegnere il generatore, e la luce in camera rimane..... l'impianto fotovoltaico funziona davvero!!!!!
Maria (Massa della Lucania, Salerno): “Soprattutto, se non si esce di notte, non si fanno più incontri pericolosi!”.
Mara (Foggia): “Penso che i tuoi amici abbiano realizzato qualcosa di davvero molto grande, è meraviglioso”.
25 gennaio
Continua la sensazione straordinaria! Suona la sveglia alle 6.00, premi l'interruttore in camera e... la luce si accende!!! Grazie, Michele!!! “4P di Michele Piacquadio”, Lucera: questa è pubblicità sana e necessaria! Hanno regalato tutto e sono venuti a montare a Bigene tutto l'impianto fotovoltaico. Cosa vuoi di più dalla vita? Come? L'Amaro Lucano? Hanno portato anche quello!
Don Remigio (Vaticano!): “Invece in Vaticano, stamattina, è saltato l'impianto elettrico”.
Marianna (Lucera, Foggia): “Grazie anche a te, don Ivo, che hai dato la possibilità a questi ragazzi di fare questa bellissima esperienza. Sono sicura che ritorneranno molto più carichi!”.
Anna Maria (Cagliari): “Che bella sorpresa... Che grandi amici hai don Ivo!”.
26 gennaio
Svegliarti alle 6 del mattino, premere l’interruttore della lampada e osservare che la lampadina si accende, entrare in bagno, in cucina, nella sala, e tutto si accende al solo premere gli interruttori … è una grande soddisfazione: l’impianto fotovoltaico funziona!!!
27 gennaio
Gli amici di Lucera, con don Saverio, sono ripartiti la notte scorsa. Un viaggio missionario importante: l’energia elettrica prodotta dai pannelli potrà alimentare non solo la casa dei missionari e dei volontari (in costruzione), ma anche la scuola della missione e altro. Ancora un sentito GRAZIE alla ditta Piacquadio di Lucera (Foggia) che ha offerto e montato tutto l’impianto.
Michelangelo (da Foggia): “Però, almeno don Saverio, potevi tenertelo un altro po' ”.
28 gennaio: giornata da missionari
Dopo la catechesi a Barro, mi ferma un insegnante che desidera parlarmi del suo villaggio, Ponta Novo. Anche loro desiderano la catechesi. Allora decido di andarci per una breve visita. 8,7 km dopo Barro, sulla sinistra: un paesaggio meraviglioso! Il villaggio è circondato da centinaia di palme che si alzano ai bordi del fiume Cacheo e sulla grande risaia, ancora piena di fiori bianchi che assomigliano a ninfee. Gli abitanti del villaggio sono molto accoglienti; seguono la religione tradizionale dell’Africa Occidentale (noi li chiamiamo animisti) ma desiderano conoscere la religione cristiana. Chiedo loro di ritrovarsi con il capovillaggio e con gli altri anziani per valutare assieme se desiderano veramente iniziare un’evangelizzazione. Poi mi faranno sapere se sono convinti di compiere questo passo, e in quanti desiderano iniziare a conoscere Cristo. Mi sembra già di capire che hanno questo desiderio, ma è ugualmente importante avere altre conferme. Il villaggio è grande, forse 300-400 persone. E sulla strada, che percorro per la prima volta, vedo altri sentieri che conducono a nuovi villaggi che non conosco ma che appartengono alla parrocchia di Bigene: Sarba, Langhe e Kubutul. Il numero globale dei villaggi di cui sono parroco sale a 54: ma ce ne sono altri, attorno a Barro, che ancora non conosco. Cari amici: la missione aumenta, questa è una grande notizia! Non vi pare?
29 gennaio: mamma Maria
Una mamma del villaggio di Mambuloto non riesce a partorire: il marito corre a Talicò, per cercare aiuto. Qui, uno degli uomini che partecipa alla catechesi mi telefona: “Vieni Padre, vieni subito”. Lascio tutto e di corsa mi dirigo al villaggio: sono solo dieci chilometri, ma ci vuole quasi un’ora di macchina. Al villaggio tutti sanno che sto arrivando, e fanno spazio tra gli arbusti per farmi arrivare con segezia vicino alla casa dove aspetta la mamma, e tante donne con lei. Poi ripartiamo piano piano: il papà accanto a me, la mamma stesa sul sedile posteriore, con la testa sulle ginocchia di sua sorella e i piedi fuori dal finestrino. Altre donne si siedono nel vano scoperto riservato ai bagagli. Un viaggio in totale silenzio, rotto solo dalle grida della mamma. Vorrei fare qualcosa, ma non so proprio cosa fare, oltre a cercare di guidare con molta calma a ogni buca, per non aumentare il dolore fisico della povera donna. In questi momenti (non è la prima volta) non riesco a essere sereno: penso a quante persone si lamentano di tutto e di tutti… Vorrei che ascoltassero cosa è il dolore, cosa è la vita che ti scappa dalle mani e non puoi fare niente di niente.
Arriviamo a Bigene in questo silenzio: anche i bambini, che sempre mi salutano festanti al passaggio della macchina, intuiscono la gravità del momento vedendo quei piedi che fuoriescono, e rimangono con il loro canto strozzato in gola. All’ospedale (lo chiamano così, ma c’è solo la sedia per partorire e poco altro) la mamma trova accoglienza. Saluto il papà. Non gli ho nemmeno chiesto se è cristiano, non mi ricordo bene di lui. Mi dice che sua moglie si chiama Maria, gli rispondo che il Signore li aiuterà!
Ritorno a casa, sperando che il bambino possa finalmente nascere: lo affido a Maria, la madre di Gesù. Dopo pochi minuti, rivedo lo sposo di Maria fuori della porta di casa mia. Serio. Capisco cosa è accaduto, ma gli chiedo ugualmente la notizia. Il bambino è nato morto! È venuto per chiedermi se posso riportare a casa la sua sposa. Riprendo segezia e ci rechiamo assieme all’ospedale: tra poco scenderà la notte, e viaggiare su queste strade al buio non è consigliabile. Aspetto che Maria si prepari: ha coraggio, vuole andare a casa. Non si regge in piedi, perde sangue lungo le gambe, trema dal freddo (o dal dolore?) e cerco di ricoprirla con alcuni panni mentre si distende sul sedile. Piange, batte i denti, e mi guarda fisso negli occhi. Forse Dio si è dimenticato di lei? Mi rimane dentro questa domanda, e si fa più pressante quando vedo la nonna con il fagottino tra le mani che nasconde il corpicino del bambino. Vorrei tirare un calcio alla macchina, ma riesco a controllarmi. Non servirebbe a nulla!
Ci rimettiamo in viaggio, con il bambino morto e la mamma, che si rilassa e dà inizio a una specie di canto molto leggero, quasi impercettibile. Mi sembra quasi che sia una preghiera. Dopo alcuni chilometri non la sento più: mi preoccupo, non so quanto sangue ha perso. Invece sta dormendo. Mi fermo a chiedere alla sorella se va tutto bene, e lei mi risponde che possiamo continuare. La domanda che mi era rimasta in gola trova ora una risposta: Dio ha mandato me per salvare Maria. Se non ci fossi stato, se non fossi andato a prenderla, se non fossi potuto andare, forse sarebbe morta per il parto. Dio non si è dimenticato di lei. Arriviamo al villaggio, illuminato solo dai fuochi accesi con la legna del bosco. Sono tutti in piedi: solo i bambini sono rinchiusi nelle capanne, loro non devono vedere il male, loro non devono vedere il funerale di un bambino. Ma gli altri, i giovani e gli adulti, gli uomini, le donne, gli anziani, sono tutti lì, ad aspettare. Se la macchina è ritornata indietro, capiscono che qualcuno è morto. Quando vedono che Maria è ancora viva, tutti si rianimano, e Maria è sollevata da forti braccia fino alla porta della sua casa. La nonna porta il bambino, da sola: è compito suo. Non mi fermo per il funerale: anche se sarà rapido, sono preoccupato per il viaggio di ritorno. Ma Dio non si è dimenticato di Maria: tutto il villaggio è in piedi per lei.
Francesca (Foggia): “Dio non si è dimenticato di Maria, e neanche del suo bimbo che certamente, ora, è fra le Sue braccia amorevoli. Immagino il tuo dolore impotente, ma è come tu hai detto: sei stato uno strumento nelle mani del Signore, attraverso di te Lui ha salvato Maria! Dio ti ama!”.
3 febbraio
Anche Enzo e Ilde sono in viaggio per rientrare a Foggia....
Gaetano (Foggia): “Conosco la tua tristezza in questo momento, ma sono certo che l'esperienza di Ilde ed Enzo non rimarrà isolata, anche perché ha un significato diverso rispetto al nostro viaggio. Hanno dimostrato che non c'è un limite di età per mettersi in gioco e che vivere questa bella avventura, alla fin dei conti, è alla portata di tutti. Sicuramente ci saranno altri amici che verranno a trovarti, ma nei momenti in cui sentirai un po’ di solitudine, scoprirai sempre più l'affetto di questa nuova e meravigliosa famiglia che sono gli amici di Bigene”.
9 febbraio
Sono a Bula, dai Padri Giuseppini, per programmare lo scavo di quattro pozzi nei villaggi della missione. Il primo dovrebbe iniziare la prossima settimana, a Bucaur. È una grande cosa portare acqua dove la gente ha questa necessità. Vorrei che fosse qui con me, in questi giorni, chi ha donato l’aiuto per la realizzazione di questi pozzi nei villaggi: ma sono certo che verrà quando saranno completati!
11 febbraio
Gli orari del mio venerdì (e non siamo ancora in Quaresima…): 5.50 sveglia; 6.45 S. Messa dalle suore; 7.30 colazione; 8.30 catechesi al villaggio di Liman; 11.00 catechesi al villaggio di Barro; 13.30 incontro di preparazione alla catechesi nel villaggio di Ponta Novo; 15.30: verifica del cammino di catechesi al villaggio di Bucaur; 18.30: a casa. In totale: 12 ore no-stop con 52 km. 19.00: veloce pranzo-cena; 19.30: 4 righe su facebook.
Spero di poter ripetere i miei venerdì con la stessa gioia e intensità di oggi: centinaia di persone che mi aspettano… In Quaresima? Aggiungo la Via Crucis in chiesa!
15 febbraio
Ho rotto la barra di sospensione di segezia. È la quinta volta che accade! Segezia è un’ottima macchina, su queste strade è indispensabile. Un po’ le buche, un po’ io che carico troppe persone, e la barra fa crack!
Nina (Foggia): “Te l'avevo detto io che dovevi dimagrire, Padre! La sospensione non ce la fa a reggerti... è inutile... non ce la fa!!!”.
19 febbraio: prima evangelizzazione a Ponta Novo
Dopo due settimane ritorno al villaggio di Ponta Novo, a più di venti chilometri da Bigene. Nel primo veloce incontro organizzato da Inasio, il giovane professore del villaggio che viene alle catechesi di Barro, avevo detto che era necessario compiere una verifica alla sua domanda di iniziare una evangelizzazione nel suo villaggio. Mi ha telefonato, avvisandomi che l'incontro di verifica è già avvenuto: il capovillaggio e gli anziani confermano il desiderio dell'insegnamento della Chiesa Cattolica. Dopo la catechesi di Barro, accompagnato da 6-7 catecumeni (i catecumeni sono coloro che hanno già ricevuto la catechesi iniziale, e che si preparano a ricevere il battesimo), mi avvicino felice a Ponta Novo.
Amici: uno spettacolo!!! Non solo per la bellezza della natura che qui ha distribuito centinaia di palme, baobab e manghi, ma per le persone che mi aspettano. Nonostante l’orario poco piacevole, l’una del pomeriggio, sono tutti in attesa al centro del villaggio. I bambini cominciano a cantare la mia canzone (oh, alelé…) prima ancora che io riesca a vederli, e tutto un movimento di persone mi fa capire che c’è un grande fermento. Ci vogliono alcuni minuti per organizzarci nell’incontro: intanto io faccio sfogare il centinaio di bambini con alcune variazioni del canto. Poi riesco anche a far cantare gli uomini, e poi anche le donne. I bambini rimangono stupiti nel vedere i loro genitori cantare: non se lo aspettavano! Poi inizio un gioco del silenzio… e fanno silenzio! Incredibile! Provate voi a mettere in silenzio cento bambini che stanno assieme… Ed è solo la seconda volta che ci incontriamo.
Prendo la parola rivolgendomi a tutti i presenti, e confermando la bellezza di quello che può accadere dentro il villaggio con l’annuncio di Cristo Signore. Racconto qualcosa della mia vita: perché sono sacerdote della Chiesa Cattolica, perché sono missionario in Guinea-Bissau, come mai sono parroco a Bigene. Mi ascoltano tutti con grande attenzione. Io stesso sono stupito: i bambini sono tutti zitti (non gli ho spiegato che il gioco del silenzio era finito…), e gli adulti, anche loro un centinaio, non si perdono una parola. Poi faccio la domanda diretta: “Io vengo in mezzo a voi solo se voi lo desiderate, se voi lo volete. Vengo in mezzo a voi se il villaggio lo chiede e se la mia presenza non crea difficoltà a qualcuno del villaggio. Desidero ascoltare da voi stessi la risposta alle mie domande”.
Prende la parola il capovillaggio: dice che non voleva perdersi questo incontro, nonostante la febbre della malaria che obbliga a rimanere in casa. Afferma con sicurezza: “Padre, noi abbiamo bisogno di conoscere Dio. Noi abbiamo bisogno dell’insegnamento della Chiesa Cattolica. Ci siamo già riuniti, e tutti siamo d’accordo di iniziare il cammino di Dio nella Chiesa”. Una risposta più chiara e grande non ci può essere! Chiedo di intervenire anche ad altre persone, che rispondono nello stesso modo, con poche parole ma chiare. Sono due uomini anziani, i due professori della scuola, anche una donna. Con loro posso verificare che non vi sono difficoltà poste da altre persone non presenti all’incontro: tutti seguono la religione tradizionale africana, e sono aperti alla novità della catechesi cristiana. Riscontro che in passato hanno avuto qualche piccolissimo contatto con gli evangelici di Ingoré e con la “Chiesa Nuova Apostolica”, che ha qualche aderente in Guinea-Bissau (è una setta di origine brasiliana, che conosco poco). Ma questi brevi contatti non hanno avuto alcun seguito: forse perché è scomodo arrivare in questo bellissimo villaggio, o forse perché una catechesi organizzata è un impegno serio, che altri non riescono ad affrontare.
Non mi pare vero quello che accade: sto per iniziare una prima evangelizzazione in un villaggio che aspetta con grande disponibilità, direi anche con gioia, certo con tanta curiosità, l’annuncio di Cristo Salvatore. Ci vorranno dei passi precisi per una successiva verifica del loro desiderio: dovrò convocare una loro rappresentanza nel Consiglio Pastorale della parrocchia di Bigene. Inoltre, è un’esperienza completamente nuova per me, e dovrò farmi spiegare bene, da altri missionari, come si deve iniziare. Tutte le catechesi che sto svolgendo (a Bigene, e nei villaggi di Talicò, Farea, Liman, Barro) erano già state avviate prima della mia venuta a Bigene. È una cosa totalmente nuova nella mia vita di sacerdote, e vi devo confessare che mi affascina!
Non faccio nemmeno il segno della Croce, forse non lo conoscono, di sicuro non ne sanno il significato. Ma proprio da questo segno voglio iniziare, al prossimo incontro. Nel segno della Croce, che indica la nostra appartenenza a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo: da questo segno voglio iniziare questa evangelizzazione a Ponta Novo.
Sono così felice che vorrei essere qui con voi, e farvi toccare con mano cosa il Signore può compiere….
Penso che segezia si mangerà tante volte, e con soddisfazione del suo autista, questi venti chilometri che mi separano da Bigene. Magari mi aiutate anche voi: una preghierina perché lo Spirito illumini queste persone e illumini anche le mie parole verso di loro.
4 marzo
Sono iniziati gli scavi per quattro pozzi nei villaggi di Bucaur (2 pozzi), Jambam e Senker Ba. La realizzazione di questi pozzi è finanziata dalla missione, tramite un benefattore che ha questo grande desiderio di donare acqua a chi ne ha poca. Vi assicuro che è un’esperienza bellissima: questi tre villaggi sono in grande festa!
6 marzo
Distrutto! Presiedo il Consiglio Pastorale nel pomeriggio. Due giovani sono venuti a piedi da Ponta Nobo (21 km) per presentare la richiesta del loro villaggio di iniziare l’evangelizzazione. L’incontro è ben partecipato. Al Consiglio, oltre a me e alle Suore Oblate, partecipano i catechisti e altri rappresentanti della piccola comunità cristiana di Bigene. Vi sono anche i rappresentanti dei villaggi di Barro e dei villaggi vicini a Barro: anche loro chiedono la catechesi, iniziata molti anni fa con la comunità di Ingoré, e poi interrotta. Siamo tutti gioiosi che si possa iniziare una nuova evangelizzazione. Terminato l’incontro, accompagno al loro villaggio i due giovani di Ponta Novo. Rientro a casa alle 21.30 (80 chilometri in tutto, per oggi), e il Vescovo mi chiama: domani mi vuole vedere alle 9 a Bissau...
11 marzo
Cinque catechesi in 12 ore no-stop: Liman, Barro, Ponta Novo, Djebacunda e Sindjàn. Iniziare a insegnare il “Padre Nostro” a Ponta Nobo, dove nessuno conosce la preghiera cristiana, e incontrare per la prima volta le persone di Djebacunda, con l’anziano capovillaggio che arriva di corsa, è una gioia così grande da far superare ogni stanchezza.
Devo spendere una parola per quest’uomo. È la prima volta che mi reco a Djebacunda, e sono curioso di vedere com’è il villaggio, come sono le persone che ancora non conosco. Sotto un grande mango hanno preparato il luogo per l’incontro: gli sgabelli ben allineati, un tavolino con una tovaglietta pulita, una sedia più grande per me. Inizio l’incontro con i saluti rituali e poi mi presento, spiegando i motivi della mia presenza in mezzo a loro. Il villaggio è piccolo, gli abitanti sono alcune decine: la mia impressione è che siano quasi tutti lì, davanti a me. Chiedo chi è il capovillaggio e un giovane mi risponde, in tono sicuro, che adesso viene. Continuiamo a conversare: chiedo dove i bambini vanno a scuola e se hanno avuto altre catechesi in passato. Mentre sto parlando, vedo che una persona, lontana, sta arrivando di corsa verso il villaggio. La persona è ben visibile: indossa un bel vestito africano, una tunica di colore azzurro cielo. Ma la cosa che mi preoccupa è vederla correre in quel modo, così veloce! Non è normale veder correre una persona, da queste parti. Per tanti motivi, il principale dei quali penso sia la malaria. La malaria ti toglie le forze, e ci vogliono diversi giorni per riprendere a camminare normalmente. E se una persona prende la malaria tante volte, come succede per tanti africani, farà una grande fatica a correre!
Mi preoccupo e chiedo chi è che corre in quel modo, e perché! I presenti sorridono tutti: “Ma Padre! È il nostro capovillaggio che arriva dal bosco!”. Rimango senza parole, e continuo a guardare quest’uomo che seguita a correre. Arriva per la stradina vicino al villaggio e poi viene, sempre di corsa, accanto a me, per presentarsi. Non riesce a parlare: è senza fiato! Riesce solo a balbettare qualche vocabolo: gli faccio il segno di sedersi sulla mia sedia, ma lui rifiuta. Ci penserà un giovane a trovargli una comoda sedia accanto a me. Lo fisso con ammirazione: anziano, il volto segnato dalle rughe di un lavoro duro di tutta una vita, magro come un chiodo, respira con affanno. Poi, ripreso fiato, si presenta e chiede scusa del suo ritardo.
Capite come sono i capivillaggio della mia Africa? Sono persone esemplari! Dopo un primo incontro così, tutto il villaggio di Djebacunda mi è entrato nel cuore!
21 marzo
Rientro in Italia per pochi giorni, fino all’8 di aprile. Il motivo principale è dato dall’ordinazione sacerdotale di don Marco Camilletti. Sono giorni intensi, in cui posso salutare molti amici di Foggia. Sono impressionato dall’accoglienza veramente positiva dei sacerdoti di Foggia, che mi cercano per celebrazioni comunitarie e incontri formativi sulla missione nelle loro parrocchie: la Cattedrale, S. Pietro, il SS. Salvatore, la Madonna del Rosario, S. Ciro, la Madre di Dio, l’Immacolata di Fatima. In altre comunità non sono proprio riuscito ad arrivare. Questo segno di comunione con i sacerdoti e le loro comunità mi dona una grande gioia e mi permette di guardare al futuro della mia missione con più speranze. Mi sembra di poter dire che la Chiesa di Foggia-Bovino è attenta alla missione diocesana nella diocesi di Bissau.
Con i giovani sacerdoti che incontro mi permetto anche di scherzare (ma non troppo!) invitandoli a venire in missione. Qualcuno mi dice subito di no, che non si sente “fatto” per la missione, e qualcun altro non mi dice di no….
Affidiamo tutto al Signore e al discernimento del Vescovo e della diocesi di Foggia-Bovino. Certo, la missione di Bigene richiede la presenza di almeno due sacerdoti: le persone che dimorano nel territorio della missione (esteso per circa 300 Km quadrati) sono più di 20.000, sparse in 54 villaggi oltre a Bigene. Ci sono villaggi che non ho ancora visitato. Attendiamo buone notizie…
26 marzo
Partecipo alla “Veglia di preghiera” in memoria dei missionari martiri, organizzata dal Centro Missionario Diocesano. La preghiera si tiene nella chiesa di San Pietro, con buona partecipazione di fedeli e amici. Terminata la preghiera, ben organizzata da don Pasquale e da Gaetano con i suoi giovani amici, mi viene chiesta una condivisione con i presenti, dal titolo: “Bigene, una grande comunità… La mia nuova famiglia”. Il mio grazie a tutti gli amici che hanno partecipato.
30 marzo
Giorni di grande lavoro per gli “Amici di Bissau” che, assieme ad altri volontari, hanno organizzato la raccolta di materiale scolastico per le scuole di Bigene e delle missioni del nord Guinea-Bissau (settore Oio). Tanti amici, da tanti luoghi dell’Italia (è una lunga lista, non riesco a trascriverla) e soprattutto dalla città e dalla provincia di Foggia, hanno raccolto e inviato tantissimo materiale, selezionato e inscatolato nei locali della parrocchia di Segezia. Una grande azione di carità per aiutare i miei bambini e tanti altri bambini. Vi potrò dare maggiori spiegazioni nella prossima puntata del diario.
5 aprile
FOGGIA, GRAZIE !!!! Ma perdonami se ti dico che non vedo l'ora di tornare a Bigene. Mi aspettano in tanti... Non hanno niente da offrirmi, ma mi aspettano in tanti.... Ciao Foggia: ti voglio bene!
Petronilla (Foggia): “Foggia ti vuole bene DON, la dimostrazione sono i tanti pacchi di materiale didattico giunti a destinazione nelle varie sedi. Chi semina bene, sempre raccoglie”.
Sonia (Segezia, Foggia): “Perdonato! Abbiamo visto, anche noi, che non vedevi l'ora... Ma proprio niente da offrirti? I loro meravigliosi sorrisi, ti stanno aspettando impazienti. Va’ con Dio: vi vogliamo bene!”.
Nicola (Palazzo San Gervasio, Potenza): “Ti conosco da poco, ma per quel poco che ti conosco sono certo che la tua ("non hanno niente da offrirmi") è solo una provocazione: sai bene che qui in Italia potremmo riempire le tue stanze di pacchi regalo, ma non avrebbero mai il valore dei mille sorrisi e dell'affetto di quella povera gente che ti aspetta (ti aspettano in tanti!). Buon apostolato in Guinea Bissau”.
Pe. Ivo Cavraro
Curia Diocesana – Missão de Begene, Av. 14 de Novembro, apartado 20 1001 Bissau Codex, GUINÉ-BISSAU
email: ivocav@yahoo.it tel: 00245.6544756;
varie foto e altre comunicazioni: http://www.facebook.com/donivone
La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati
7 agosto 2011
4 agosto 2011
Dicono di noi 8: Una vacanza alternativa
Dopo un anno di frenesia, studio e lavoro, l'estate rappresenta il momento delle tante attese e meritate vacanze.
Maree di turisti con valigie a seguito, cariche di confort e precauzioni, partono alla volta di viaggi organizzati dove con la formula “all inclusive” il turista rimane bloccato nei villaggi subendo la riproposta di un mondo artificiale, a portata di mano. Raggiungere mete, staccare la spina, non “fare niente” è l'obiettivo finale. Ed ecco il business dei tour operator che mostra una intera vetrina ben accessoriata: donne in costume, spiagge bellissime, posti dove si fa festa fino al mattino. Solo in pochi decidono di trascorrere la loro vacanza in modo alternativo, di essere “turisti responsabili”. Partire per tornare con la propria valigia pesante di esperienza, confronto e conoscenza, in questo consiste la responsabilità del viaggiatore.
Pensare una vacanza come un'opportunità per caricarsi piuttosto che scaricare pensieri e stress, come una possibilità di viaggiare per incontrare persone diverse, relazionarsi alle comunità locali, scoprire nuove culture e condividere esperienze; preferire al consumo sfrenato delle risorse la scoperta della natura, la salvaguardia del territorio e dell’ambiente; meno impatto possibile per entrare in sintonia con la madre terra, assaporare nuovi gusti, sentire nuovi odori, essere curiosi del mondo. Per chi non ha paura della diversità, c’è un mondo intero da scoprire attraverso le diverse culture, i colori, i sapori.
Molte sono le realtà impegnate nel sociale, oggi, quali associazioni culturali, sociali, ambientali, ong, che propongono percorsi sostenibili e viaggi di turismo responsabile e solidale in cui è possibile vivere un’esperienza umana significativa e mettersi in gioco attraverso l’impegno concreto. Tra le proposte: viaggi di conoscenza tra le comunità più vulnerabili del mondo, come in Africa o in America del sud, campi di lavoro nell’ambito di progetti di cooperazione, nelle periferie delle città, esperienze di convivenza in comunità di emarginati quali migranti, tossicodipendenti, percorsi naturali.
L’importante è essere disponibili ad incontrare l’Altro e a guardare dal suo punto di vista. E tu come scegli di viaggiare? Hai mai pensato di viaggiare senza frontiere, alla scoperta di un mondo sgombro da apparenze e pregiudizi per guardare il mondo da un'altra prospettiva? Non è importante la meta ma il modo di viaggiare e come ci insegna Proust “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi”.
Un viaggio responsabile è un viaggio che faccia prendere coscienza del mondo reale, dei suoi aspetti più disumani e di quelli più belli e armoniosi, che permetta di far riflettere sulla sostenibilità del proprio stile di vita per diventare cittadini del mondo sempre più attivi e responsabili.
Che ne dite di un viaggio a Bigene?
Per informazioni: Contatta Don Ivo su questo Link https://www.facebook.com/media/set/?set=a.1078119969354.10130.1716918628
(R.I.R.)
da ASSONEWS, 3 agosto 2011
www.assonews.it
Maree di turisti con valigie a seguito, cariche di confort e precauzioni, partono alla volta di viaggi organizzati dove con la formula “all inclusive” il turista rimane bloccato nei villaggi subendo la riproposta di un mondo artificiale, a portata di mano. Raggiungere mete, staccare la spina, non “fare niente” è l'obiettivo finale. Ed ecco il business dei tour operator che mostra una intera vetrina ben accessoriata: donne in costume, spiagge bellissime, posti dove si fa festa fino al mattino. Solo in pochi decidono di trascorrere la loro vacanza in modo alternativo, di essere “turisti responsabili”. Partire per tornare con la propria valigia pesante di esperienza, confronto e conoscenza, in questo consiste la responsabilità del viaggiatore.
Pensare una vacanza come un'opportunità per caricarsi piuttosto che scaricare pensieri e stress, come una possibilità di viaggiare per incontrare persone diverse, relazionarsi alle comunità locali, scoprire nuove culture e condividere esperienze; preferire al consumo sfrenato delle risorse la scoperta della natura, la salvaguardia del territorio e dell’ambiente; meno impatto possibile per entrare in sintonia con la madre terra, assaporare nuovi gusti, sentire nuovi odori, essere curiosi del mondo. Per chi non ha paura della diversità, c’è un mondo intero da scoprire attraverso le diverse culture, i colori, i sapori.
Molte sono le realtà impegnate nel sociale, oggi, quali associazioni culturali, sociali, ambientali, ong, che propongono percorsi sostenibili e viaggi di turismo responsabile e solidale in cui è possibile vivere un’esperienza umana significativa e mettersi in gioco attraverso l’impegno concreto. Tra le proposte: viaggi di conoscenza tra le comunità più vulnerabili del mondo, come in Africa o in America del sud, campi di lavoro nell’ambito di progetti di cooperazione, nelle periferie delle città, esperienze di convivenza in comunità di emarginati quali migranti, tossicodipendenti, percorsi naturali.
L’importante è essere disponibili ad incontrare l’Altro e a guardare dal suo punto di vista. E tu come scegli di viaggiare? Hai mai pensato di viaggiare senza frontiere, alla scoperta di un mondo sgombro da apparenze e pregiudizi per guardare il mondo da un'altra prospettiva? Non è importante la meta ma il modo di viaggiare e come ci insegna Proust “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi”.
Un viaggio responsabile è un viaggio che faccia prendere coscienza del mondo reale, dei suoi aspetti più disumani e di quelli più belli e armoniosi, che permetta di far riflettere sulla sostenibilità del proprio stile di vita per diventare cittadini del mondo sempre più attivi e responsabili.
Che ne dite di un viaggio a Bigene?
Per informazioni: Contatta Don Ivo su questo Link https://www.facebook.com/media/set/?set=a.1078119969354.10130.1716918628
(R.I.R.)
da ASSONEWS, 3 agosto 2011
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