La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati

La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati
Il territorio della missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati, a nord della Guinea-Bissau e confinante con il Senegal.

28 novembre 2011

Capitolo 17: Qualcosa sta cambiando

Anche questo capitolo del “Diario da una missione” non è mio. Giovanni Mirenna, da Torino, è venuto per farmi visita, e mi ha trasmesso questi interessanti appunti. Io stesso trovo grande giovamento nel rileggere quello che vivo con gli occhi di chi mi è accanto, anche per poco tempo. Vi auguro una buona lettura, e sono sicuro che vi piacerà!







io e don Ivo di fronte la sua casa a Bigene









Come raccontare un viaggio in Guinea Bissau? In realtà non ho fatto niente di speciale se non acquistare un biglietto aereo e partire. Cosa raccontare allora? Ho fatto circa 700 foto e scritto 120 pagine su un’agenda per non dimenticare un istante di questo viaggio. Anche se non ho fatto niente non vuol dire che non sia successo niente allora. Una parte l’ho raccontata con delle fotografie (guardate a sinistra il link al mio album su Facebook), una parte la scrivo qui, ospite del blog di Don Ivo. Alcuni episodi tra i tantissimi che in un modo o nell’altro mi hanno colpito, mi hanno fatto riflettere e che mi fa piacere condividere.


Semafori

Dall’aeroporto al centro di Bissau: sono gli unici 8 km di strada in tutta la Guinea Bissau che dal 24 settembre scorso, anniversario dell’indipendenza, sono illuminati la notte. Una strada nuova a 3 corsie per senso di marcia. Vicino alla discoteca però la prima corsia è usata come marciapiede, la seconda come parcheggio e solo la terza per la circolazione. Lungo questa strada, che necessariamente percorre chiunque viene in Guinea Bissau, ci sono tutte le cose di cui essere orgogliosi in Guinea. La strada prima di tutto, la luce, la nuova sede del Parlamento e del Governo (costruito dai cinesi, in cambio di una concessione senza limiti per la pesca, si vede ancora il cancello del cantiere con degli ideogrammi cinesi), la sede della Banca Centrale dell’Africa Occidentale, l’hotel Libia di Gheddafi (chissà di chi è adesso).
E i semafori. Infatti è da pochi giorni che lungo questa strada sono in funzione i primi 3 semafori della Guinea Bissau. Uno anche in corrispondenza di una rotonda. Peccato che nessuno abbia spiegato bene il loro funzionamento e il traffico dei mezzi e dei pedoni, che fino al giorno prima si autoregolava con il buonsenso, adesso genera degli ingorghi incredibili. Ma si passa col verde o col rosso? Il giallo a che serve? E per svoltare come si fa? La sera al telegiornale la notizia principale è il problema dei semafori con tanto di interviste e servizio filmato! A Bissau mi fermerò solo il primo giorno e vi ritornerò due settimane dopo per rientrare in Italia. E quando torno l’ultimo giorno del mio viaggio tutti sanno benissimo come funzionano i semafori. Col rosso ci si ferma, col verde si riparte e se qualcuno esita un secondo di troppo si suona il clacson per farlo muovere. Esattamente come da noi!


La mamma di Clara

Al mattino del mio primo giorno in Guinea Bissau, il 3 ottobre, visito l’ospedale di Cumura e la clinica pediatrica di Bor. Realtà che sono il segno più tangibile e visibile a tutti di cosa fa la Chiesa Cattolica in Guinea Bissau. Solo di queste due visite avrei da scrivere un libro. E’ impressionante come il dolore e l’amore possano essere così vicini in questi luoghi, come tante persone, suore, medici, frati non si facciano prendere dallo sconforto, non si arrendano ma continuino a lavorare giorno dopo giorno. Dei tanti episodi visti in solo mezza giornata di visita volevo raccontarvi di Clara, una bambina di 5 anni incontrata all’uscita di Cumura insieme alla sua mamma e alla nonna. In realtà non l’avevo notata in mezzo a tanta altra gente seduta sotto un albero in attesa di tornare a casa. Io mi ero fermato per fotografare l’ingresso dell’ospedale con il cartello “Hospital do Mal de Hansen di Cumura”: ospedale dei lebbrosi di Cumura.






l'ingresso dell'Ospedale di Cumura, dove ho conosciuto Clara








La lebbra non è contagiosa e colpisce le persone malnutrite e che vivono in condizioni igieniche precarie. Mentre scatto la mia fotografia Don Ivo saluta le persone, chiede come stanno, che in Guinea fa parte integrante del saluto. E in quel momento che ci accorgiamo di Clara, timidissima, forse anche perché non parla neanche il criolo, ma solo il dialetto della sua tribù. Sulla fronte ha delle piccole escoriazioni bianche. I primissimi segni della lebbra. La mamma ci fa notare segni analoghi sulle spalle e sulle gambe. Clara è dolcissima e timidissima, la madre e la nonna invece affettuose con lei. Ci raccontano che sono state dal dottore e ci fanno vedere le medicine che hanno preso per Clara. Chi è malato di lebbra in Guinea è considerato impuro, colpito dagli spiriti maligni e quindi deve essere allontanato, non può più far parte della società, del villaggio. Spesso quindi lascia il villaggio e lentamente viene consumato dalla lebbra fino a morire in solitudine. Chi riesce ad arrivare all’ospedale di Cumura viene invece curato, la malattia viene fermata ma i danni alle mani, alle gambe, al viso sono indelebili e le ferite continuano ad aprirsi e infettarsi anche molto tempo dopo che sono guariti dalla lebbra. Il rientro nella società è praticamente precluso e infatti molti restano nell’ospedale a lavorare nella falegnameria o curare le aiuole. Un modo per rendersi utili e mantenere un minimo di rapporti sociali in una società che li rifiuta. Clara invece è stata portata in ospedale dalla mamma subito, ai primi sintomi. Non si vergogna di sua figlia la mamma di Clara. Ci fa vedere le prime piaghe, le hanno spiegato come curarla e sicuramente lo farà. A Clara molto probabilmente non rimarrà alcun segno di questa terribile malattia, guarirà completamente grazie a sua mamma che è andata contro la cultura dominante perché si è fidata dei medici di Cumura. Qualcosa forse sta cambiando in Guinea Bissau.


Padrone

Il pomeriggio invece visitiamo Bissau con i suoi mille banchetti e negozi dalle merci improbabili che da noi non avrebbero alcun mercato. A volte il negozio è ricavato all’interno di un container e un secondo container accanto funge da casa. C’è pure un negozio “degli italiani” gestito da un portoghese e sua moglie ucraina. È detto “degli italiani” perché vende prodotti italiani a prezzi circa doppi rispetto all’Italia: pasta Barilla, sugo Star e Nutella. Disposti sugli scaffali come un iphone o un ipad in un Applestore. Le strade asfaltate sono pochissime, appena una striscia sottile di asfalto al centro della strada, piene di buche e piene di polvere rossa della terra dei marciapiedi e dalle strade laterali non asfaltate. La case sono tutte fatiscenti e sopravvivono all’incuria. Normale in un paese uscito da poco dalla guerra civile; forse. Il palazzo presidenziale con il tetto sfondato dalle bombe e le pareti crivellate di colpi è un simbolo per tutti i guineani. Però è un segno positivo che 3 anni fa c’era una sola banca in città e adesso ci sono gli sportelli di 3 banche diverse. Le poste invece hanno ancora un unico sportello: la sede centrale. In tutto il paese. Facciamo visita al porto dove c’è il mercato del pesce e in fondo al molo gli attracchi della marina militare: 3 gommoni e 2 motovedette. Sempre guaste o senza benzina.
Parcheggiando, un ragazzo seduto lì vicino ad aspettare non si sa che cosa dice a Don Ivo: “Padrone, attento che qui passano dei camion”.
Don Ivo risponde: “Io sono padrone solo della mia vita e di nient’altro. E tu sei padrone della tua vita.”
“Si, ma tu hai la macchina e per questo sei un padrone.”
“È vero ho la macchina, ma non ce l’ho per arricchirmi. Ce l’ho per aiutare chi ha bisogno a Bigene dove sono parroco. Senza macchina come potrei raggiungere tutta la mia gente? Come potrei portare chi sta male in ospedale?”
Il ragazzo sorride, sembra senza ironia, forse ha riconosciuto in Don Ivo un amico e non un padrone. I bianchi in Guinea Bissau sono chiamati Padroni. E in criolo uomo si dice “pecadur”. Come i colonizzatori chiamavano gli uomini guineani: peccatori. Abbiamo molto da farci perdonare da questo popolo…








ecco a cosa serve l'auto a don Ivo







Imbarazzo a Mansoa

Il giorno dopo, 4 ottobre, lasciamo Bissau e partiamo per Bigene facendo tappa a Mansoa. Con noi viaggia il parroco di Mansoa, Padre Bernardo. Portiamo alla scuola gestita dalla parrocchia un po’ del materiale scolastico raccolto nell’ultimo anno e arrivato qui con il secondo container. La parrocchia di Mansoa è una delle poche parrocchie diocesane della Guinea mentre la maggior parte sono parrocchie missionarie. Ciò significa che non può contare sugli aiuti provenienti dai paesi d’origine dei missionari ma solo sul contributo della diocesi di Bissau: 75 euro al mese. I quaderni, i colori, gli album che abbiamo portato sono motivo di grande festa. Quando arriviamo i bambini sono raccolti sotto due gazebo a prendere il fresco durante l’intervallo.
“Branku branku”, bianco, bianco urlano eccitati i più piccoli vedendoci arrivare. Li incontriamo, conosciamo le maestre e i bambini che fanno a gara a farsi fotografare. Recuperata un po’ di calma consegniamo il materiale. Sono tutti sorridenti: le maestre, i bambini padre Bernardo e padre Maxi. I bambini vengono disposti in file in ordine di altezza e “a braccia conserte”. Immagino che qualcuno di loro un giorno abbia chiesto: cosa vuol dire a braccia conserte? Con le mani sotto le ascelle, gli avranno risposto. E infatti hanno letteralmente le mani sotto le ascelle. Sono buffi e teneri al tempo stesso in quella posa un po’ strana per noi. Cantano l’inno nazionale in nostro onore. Arriva pure il capo villaggio a ringraziarci, probabilmente musulmano a giudicare dalla tunica bianca che indossa. Non si ferma un secondo con quello che intuisco essere ringraziamenti e complimenti. Mi stringe il braccio, mi avvicina a sé e mi parla guardandomi negli occhi per farmi capire la sua riconoscenza. Io in realtà non ho fatto niente e mi sento parecchio in imbarazzo di fronte a queste manifestazioni che mi sembrano un retaggio dell’antico servilismo verso i colonizzatori. Non mi sembra di essere diverso da tanti che arrivano in Africa, fanno la foto con i selvaggi redenti e poi tornano a casa contenti della loro buona azione.
Poi però penso a tutto il lavoro che c’è stato per fare arrivare quei pacchi lì, alle attese e alle speranze che tante persone in Guinea e in Italia hanno verso questi bambini che adesso vedo sorridenti non solo mentre cantano l’inno. Finita la scuola infatti faccio un giro con Padre Bernardo per Mansoa e vediamo i bambini che camminano per strada mettendo ben in mostra l’album da disegno appena ricevuto in modo che tutti possano vederlo. E quando ci incontrano corrono da noi a salutarci. Hanno ricevuto veramente un dono prezioso e quindi che manifestino la loro gioia! Anche se mi mette in imbarazzo.






consegna di materiale scolastico a P. Bernardo e ai bambini di Mansoa









Amici a Ponta Nobo

Mansoa è un paesino molto povero, molto più povero di Bissau, ma proseguendo il mio viaggio verso Bigene la strada non è più asfaltata, lo sterrato si riempie di buche sempre più grandi e il pickup di don Ivo fa sempre più fatica. Per fare gli ultimi 30 km di sterrato ci mettiamo due ore. E i paesi che incontriamo sono sempre più piccoli, sempre più poveri fino a Bigene. Le case in muratura non ci sono più. Solo a Bigene resistono ancora alcune case in muratura retaggio del periodo coloniale. Per il resto le case sono costruite con mattoni di fango cotti al sole e tetto con foglie di palma o lamiera per i più fortunati. E tutte sono costruite su un terrapieno in modo che i cobra non si avvicinino alla casa (i serpenti non riescono a superare i gradini). Se Bissau mi era sembrata povera e mi aveva lasciato una sensazione di tristezza queste impressioni e sensazioni si rafforzano sempre di più ad ogni villaggio che incontriamo, sempre più povero e sempre più isolato. A volte neanche vedo il villaggio, vedo solo l’inizio del sentiero perdersi nel bosco a partire dalla strada verso Bigene. Uno di questi sentieri porta a Ponta Nobo che visito il giorno seguente, il 5 ottobre. Anche qui portiamo del materiale scolastico e del cibo fornito dal PAM (Programma per l’Alimentazione Mondiale). Come per la visita all’ospedale di Cumura anche la visita di questo villaggio meriterebbe un libro per raccontare tutto. Riporto un episodio minore ma che mi ha toccato il cuore. Arrivando al villaggio i bambini dentro la scuola sono subito corsi fuori a salutarci e a cantare. Mentre eravamo sotto quest’assedio gioioso vedo che da una delle due aule esce un bambino su una sedia a rotelle per una grave malformazione alle gambe. A parte chiedersi come una sedia a rotelle sia arrivata in questo posto, era bellissimo vedere che la sedia era spinta dai compagni di questo bambino e tutti insieme facevano festa esattamente come tutti gli altri bambini. Pochi istanti e il maestro richiama all’ordine i bambini che corrono di nuovo in aula aspettando la nostra visita. Anche la carrozzina con tutti i bambini che la spingono fa dietrofront e ritorna in aula di corsa. Visitando quell’aula poi ho fatto fatica a individuare il bambino con la carrozzina. Era perfettamente integrato con i suoi compagni. L’ho invece rivisto sempre assieme ai suoi compagni dopo, all’incontro con tutto il villaggio. Un bel gesto d’amore che si ripete giorno dopo giorno tra quei bambini. Si tenga presente che come da noi c’è l’aborto per controllare le nascite indesiderate in Guinea Bissau i bambini deformati o denutriti al punto di essere in pericolo di morte sono considerati bimbi scimmia, non umani. Per decidere la loro sorte si portano al fiume e si aspetta. Se la corrente li porta via vuol dire che non erano più umani e gli spiriti li portano a sé. Se la corrente li lascia lì vengono ripresi. Suor Rosa nei quasi vent’anni che è da queste parti mi dice che ha visto sparire così tre bambini da un giorno all’altro senza che nessuno ne sapesse più niente. Questo bambino invece vive felice con i suoi amici in un villaggio sperduto in Africa.






il bambino in carrozzina tra i suoi amici











Un uomo completo

Don Ivo a Bigene ha una macchina, una casa con le mattonelle e le finestre con le zanzariere, la luce, l’acqua corrente.
Nessuno a Bigene ha le stesse cose. L’acqua si prende al pozzo comune e per la corrente i più fortunati hanno un piccolo gruppo elettrogeno di fabbricazione cinese. Sempre che funzioni e che ci siano i soldi per comprare una bottiglia di benzina. Possibile che non ci sia invidia per questo? Come può don Ivo incontrare le persone di Bigene se queste lo considerano uno diverso da loro? Don Ivo un giorno ha preso coraggio e ha chiesto ai catechisti cosa pensava la gente della sua macchina e della sua casa.
“Don Ivo tu sei un uomo completo perché ti sei costruito una casa per vivere in mezzo a noi. Se ti sei costruito una casa vuol dire che vuoi viere a lungo con noi, non sei di passaggio. La macchina la usi per venirci a trovare, per celebrare la messa nei nostri villaggi e ad aiutarci quando qualcuno sta male. L’acqua del tuo pozzo è a disposizione di tutti e così pure le prese della tua casa per caricare i nostri cellulari. Le cose utili che hai sono utili per tutti per questo non sei un padrone ma un uomo completo”.
Don Ivo aiuta tutti ma non fa l’elemosina a nessuno. Anche la scuola, l’ambulanza non esisterebbero senza l’aiuto di don Ivo. Ma gli abitanti di Bigene sono chiamati a contribuire alle spese comuni che poi don Ivo integra in modo che si riesca effettivamente a mantenere le scuole nei villaggi e il servizio di ambulanza, per quanto precario. Le cose scontate in Italia in Africa sono una conquista e le persone si impegnano per averle. Don Ivo non è venuto per risolvere i problemi di tutti senza fatica come un deus ex machina ma aiuta gli uomini e le donne volenterosi di Bigene a costruire un futuro migliore. C’è sempre chi prova a chiedere denaro come elemosina, vedendo nel branku una fonte di denaro. Pure un iman del Senegal ho visto chiedere del denaro a don Ivo! Oppure l’acquisto di una balla di vestiti per rivenderla al mercato. Don Ivo non è un dispensatore di soldi ma un uomo completo che lavora con Dio insieme agli altri uomini, donne e bambini completi di Bigene. E magari con l’aiuto di tanti altri anche in Italia.







un uomo completo (don Ivo) tra la sua gente








La scuola di Bigene

La scuola e il centro nutrizionale di Bigene vanno avanti soprattutto grazie a Suor Rosa, italiana, Suor Merione, brasiliana, e Suor Binna, indiana. Assieme a loro lavorano tanti abitanti di Bigene. I 100 euro che don Ivo raccoglie con le adozioni a distanza rendono possibile tutto questo. Si pagano i maestri, il cibo, le medicine, i quaderni. Ovviamente l’adozione è simbolica, il bambino non saprà mai che tu lo stai aiutando ed è giusto che non lo sappia. Anche qui gli episodi di amore e solidarietà di cui sono stato testimone sono innumerevoli, anche solo in due settimane che sono stato qui. Ne scelgo uno. Arrivando alla scuola una mattina vedo una ragazzina seduta su una sedia con le braccia sotto lo maglietta. E’ scossa dai brividi di freddo, probabilmente i primi sintomi della malaria. Accanto a lei Suor Rosa arrabbiata col mondo, perché nessuno si è preoccupato di cosa avesse quella bambina, e al tempo stesso tenerissima se l’abbracciava e se la coccolava come una mamma con l’aria preoccupata. E la ragazzina sempre silenziosa appoggiava la testa al fianco di Suor Rosa mentre l’abbracciava. Si vedeva che si volevano bene. Così come si vedeva quando sempre Suor Rosa faceva la giravolta con i bambini o Suor Binna, la bonta fattà persona, richiama Maio che faceva il dispettoso con un bambino più piccolo durante la messa. Anche Suor Rosa, Merione e Binna sono donne complete.








una donna completa (suor Rosa) tra la sua gente







Il centro nutrizionale di Bigene

La sanità in Guinea funziona così: se stai male l’ospedale ti garantisce un posto. Un posto nel vero senso della parola: le stanze degli ospedali hanno si i letti come da noi ma i ricoverati sono tutte le persone che ci stanno nella stanza, in qualunque posto e in qualunque condizione. Il sevizio sanitario nazionale ti garantisce anche una visita che se sei fortunato ti dicono che cosa hai. Qualunque medicina o visita aggiuntiva o specialistica però te la devi pagare tu. Anche l’ambulanza è a pagamento: 10000 franchi a fronte di uno stipendio medio di 30-40000 franchi al mese. Poi ci sono malattie che letteralmente non sono curabili in Guinea o perché mancano le medicine o perché i dottori non sono in grado di fare l’operazione necessaria. I tumori per esempio sono tutti incurabili in Guinea Bissau. Le eccezioni sono gli ospedali di Cumura e di Bor a Bissau e il centro nutrizionale di Bigene. Al centro nutrizionale di Bigene però non ci sono medici, non ci sono infermieri. I massimi esperti sono Suor Binna e Joaquim che con tanta esperienza aiutano le donne e i bambini di Bigene. Quasi 400 mamme con i loro bambini ogni mese passano per il centro nutrizionale a far controllare i loro bambini e recuperare un po’ di cibo che integri il latte materno o il riso, cibo principale per la maggior parte dei guineani. Un lavoro silenzioso quello di Joaquim e Suor Binna che salva tante vite e rende tante mamme più consapevoli di come allevare un bambino. Il tutto in modo gratuito per chiunque si presenti al centro e con l’apporto fondamentale degli aiuti dell’Unicef e del PAM, Programma di Alimentazione Mondiale. Personalmente sono sempre stato scettico riguardo queste grosse organizzazioni. È vero ci sono molte inefficienze nel loro operato ma riescono comunque a raccogliere milioni di dollari e, anche se molti dei soldi raccolti vanno sprecati, comunque scuole, medicinali cibo arrivano capillarmente dove ce n’è bisogno. Senza il loro contributo l’opera di don Ivo, delle suore e dei loro collaboratori sarebbe fortemente ridimensionata. Gli “Amici di Bissau” nonostante i loro sforzi e impegnando il 100% di quanto raccolto a Bigene senza lo spreco di un euro, non sarebbero mai in grado di raccogliere tanto quanto PAM o Unicef. Quindi ben vengano anche queste organizzazioni!






donne in attesa davanti al Centro Nutrizionale con i loro bambini








La bambina triste

Tra i tanti bambini che ho visto giocare, correre e ridere nella scuola di Bigene c’è pure una bimba sempre seria, non parla mai e ti guarda senza alcuna reazione ai tuoi saluti, alle tue smorfie. Non si nasconde neanche, non sembra timida. Soltanto non sorride mai. Don Ivo mi spiega che da piccola è stata molto male, ha sofferto parecchio prima di riprendersi. Può darsi che la malattia l’abbia segnata a tal punto che non è più capace di sorridere. Un giorno con don Ivo andiamo a Ganturé, il porto di Bigene. In realtà un villaggio molto piccolo difficile da raggiungere anche con il fuoristrada di don Ivo. Ci accompagna Alfredo, il catechista che aiuta don Ivo. Alfredo è anche il papà della bambina triste. Uscendo da Bigene passiamo di fronte la casa di Alfredo e sulla soglia c’è sua figlia. Quando vede suo papà passare in macchina si illumina in un bellissimo sorriso e agitata felice la manina come tutti i bambini. Suo papà riesce a farla sorridere! In Guinea Bissau i bambini in generale contano poco. Muoiono facilmente e se ne fanno tanti. Un padre si interessa poco dei propri figli, al massimo ai figli ci pensa la madre. Vedere quel sorriso nella figlia di Alfredo al passaggio del suo papà mi fa pensare che qualcosa sta cambiando.





la bambina triste
















La domanda di Joaquim

Joaquim oltre che lavorare al centro nutrizionale, la sera mi aiuta a imparare qualche parola di criolo. Sa tante cose, è vestito sempre in modo pulito, porta gli occhiali, ha due bambine e la moglie sta studiando come infermiera a Bissau. Conosce la medicina occidentale ed è la colonna portante del centro nutrizionale. Grazie a lui tante donne vengono al centro. La diffidenza verso l’uomo bianco è ancora tanta. E come potrebbe essere diversamente? Un tempo gli africani pensavano che l’uomo bianco fosse un cannibale. Infatti prendeva tanti uomini con sé che poi non tornavano più. Che ne faceva? Li mangiava, appunto. È giovane Joaquim ma è un uomo veramente grande di Bigene. Senza di lui sarebbe difficile entrare in contatto con tante persone. Una sera, qualche giorno dopo che mi ha visto armeggiare alle batterie dell’impianto fotovoltaico della casa di don Ivo, mi chiede: “Ma in Italia tutte le case hanno la luce di sera? Tutte tutte?”. Mi sono sentito mancare. Nonostante tutto quello che Joaquim sa, la distanza tra l’Italia e la Guinea Bissau è ancora enorme. Neanche le persone migliori della Guinea Bissau, se non sono venute in Europa, si rendono veramente conto di come è la vita da noi. Ho esitato qualche secondo. “Si tutte le case hanno la luce in Italia.” “Ma tutte hanno i pannelli solari?” “No, soprattutto le case più nuove e più piccole.” “E le altre come fanno?” “Sono collegate a delle grandi centrali dove si brucia carbone, petrolio e si genera energia che tramite dei fili raggiunge tutte le case”. Mentre dicevamo questo eravamo seduti nella casa di don Ivo, con le luci accese e le ventole che giravano. Come in ogni casa italiana ma impossibile in quelle non solo di Bigene ma di tutta la Guinea. Me lo ricorderò sempre ogni volta che accenderò una lampadina nella mia vita.






Joaquim di fronte all'armadio delle medicine del Centro Nutrizionale









Bar Barack Obama

Martedi è giorno di mercato a Bigene, e camion che non sai come sia possibile che camminino ancora portano a Bigene persone e merci dai villaggi vicini. Prodotti della terra come riso, arachidi, vari tipi di peperoncini, arance. E prodotti di importazione cinese come vestiti, medicine, orologi. Ci sono anche banchetti che vendono foglie di tabacco o friggono delle frittelle. I sarti, solo uomini, cuciono le stoffe che gli portano le donne. Girando per il mercato passiamo vicino a una porta chiusa accanto alla quale è scritto “Bar Barack Obama”. Quel bar, mi spiega don Ivo, è stato aperto nei giorni in cui Obama stava per essere eletto presidente degli Stati Uniti d’America. Un Africano Presidente! La gente era euforica in quei giorni. Nessuno ha lavorato il giorno delle elezioni per seguirle alla tv o alla radio. Il presidente Africano avrebbe finalmente risolto i problemi dell’Africa. Oggi nessuno parla più del presidente africano e il Bar Barack Obama ha chiuso per sempre.


Ivo 4 non vuole

In queste due settimane abbiamo visitato tanti villaggi e tante scuole. In ognuna abbiamo portato il materiale scolastico, in alcune anche del cibo del PAM o dei banchi recuperati da una scuola con qualche banco in più. Uno degli ultimi villaggi visitati è Facam, dove la scuola ha il pavimento in terra battuta, 2 aule dove si alternano 4 classi, 2 al mattino e 2 al pomeriggio. Uscendo dalla scuola incontriamo Sanà, catechista del villaggio che stringe la mano del suo bambino, Ivo 4. E si, perché di Ivo, a Bigene, ce ne sono più di dieci, compresa una Maria Ivone. Un motivo ci sarà del successo di questo nome…. Don Ivo si stupisce perché Sanà, giorni addietro, gli aveva detto che avrebbero affidato per un po’ di tempo il figlio alla zia che vive a Bissau. Abbastanza normale in Guinea dove il legame genitori figli non è molto forte e invece è fortissimo il legame tra tutti i membri della famiglia. Come mai allora il bambino era ancora lì? “Sai don Ivo, il bambino non voleva e allora non lo abbiamo più portato via.” Un papà che ascolta ed esaudisce il desiderio di un bambino! Anche questo è un segno che qualcosa sta cambiando a Bigene…..





Sanà, il papà di Ivo 4, al lavoro al Centro Nutrizionale








Uomini e donne completi

Ero partito convinto di capire meglio come aiutare la Guinea Bissau, di trovare delle soluzioni ai problemi che avrei trovato. I problemi li ho trovati, e tanti. Soluzioni immediate poche. Ma ho trovate anche un’altra cosa che non mi aspettavo. Le persone. Fatemi citare, don Ivo a parte, almeno suor Rosa, Binna, Merione e tanti degli abitanti di Bigene come Neia, Joaquim o Alfredo. E Giusy, signora foggiana volontaria a Bissau. Ognuno diverso, ognuno con qualche difetto, come tutti d’altronde. Ma ognuno con un punto di forza che, loro si, hanno avuto il coraggio e la volontà di mettere a disposizione delle persone che incontrano nella loro vita, il loro prossimo. Nessuno da solo sarà in grado di risolvere niente. Neanch’io da solo sono in grado di risolvere un bel niente. Ma Padre Marco nel suo viaggio di quest’estate scopre che all’ospedale di Baro manca un semplice stetoscopio e un misuratore di pressione. Io riesco a procurarli e a portarli a Baro insieme a don Ivo. Mara riesce a recuperare delle lavagne e dei banchi. Sergio fonda l’onlus “Amici di Bissau” e riesce a coinvolgere tante persone in tante iniziative. Don Ivo incontra e fa incontrare le persone, soprattutto con Dio. Suor Rosa dirige una scuola e fa crescere delle persone migliori. Tutti siamo stati in grado di fare qualcosa. Nulla indispensabile ma tutto importante nel suo insieme. E allora ecco che le cose cominciano a funzionare: la scuola, il centro nutrizionale, i piccoli miracoli di ogni giorno di Bigene. Tutti insieme, ognuno per quel che sa e può fare. Da credente permettetemi di dire anche con l’aiuto di Dio.
Quello che voglio dire è che anche quello che ci sembra poca roba fatta dall’Italia (cos’è in fondo comprare qualche quaderno, per esempio?) qui in Guinea Bissau ci si accorge di quanto sia prezioso il contributo di tutti. Nulla è superfluo, nulla è inutile.


E’ proprio vero che: “Il vertice della conoscenza di Dio si raggiunge nell’amore; quell’amore che sa andare alla radice, che non si accontenta di occasionali espressioni filantropiche, ma illumina il senso della vita con la Verità di Cristo, che trasforma il cuore dell’uomo e lo strappa dagli egoismi che generano miseria e morte.” (Papa Benedetto XVI durante l’udienza particolare all’Università Cattolica di Milano in occasione del 90° dalla fondazione, 21 maggio 2011).





don Ivo insieme ai bambini del villaggio di Liman









Giovanni Mirenna

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