La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati

La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati
Il territorio della missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati, a nord della Guinea-Bissau e confinante con il Senegal.

4 ottobre 2012

Dicono di noi 10: Ho visto cose di... un altro mondo!


Tra le esperienze che hanno riempito la mia estate, il viaggio in Africa, per conoscere la missione in cui opera padre Ivo Cavraro, è stato certamente il più significativo. Questa avventura si è arricchita anche della presenza di don Marco Camiletti- che tra qualche mese affiancherà padre Ivo come missionario fidei donum - e di altri giovani accomunati dallo stesso desiderio di incontrare il volto dell’Africa.

Il presente non vuole essere tanto un articolo di cronaca, quanto piuttosto una testimonianza di quello che i miei occhi hanno potuto vedere. E i miei occhi, in terra di Bigene- lì dove 5 anni fa il nostro vescovo ha deciso di aprire una missione in collaborazione con le suore Oblate del S. Cuore che già operavano da prima- hanno visto cose dell’altro mondo!

Hanno visto un popolo a cui manca il necessario per poter vivere dignitosamente, secondo quei canoni che per noi, spesso abituati a vivere nel troppo, sono scontati ma che, di fatto, risultano essere essenziali. Hanno visto un popolo in cui il futuro sembra avere soltanto i tratti di un domani che si contende con il presente il duello della sopravvivenza. Hanno visto donne gravide o lattanti fare la fila presso un centro nutrizionale, non per monitorare lo sviluppo del feto nel proprio grembo o per acquistare prodotti che assicurino una crescita migliore al nascituro, ma per fare l’elemosina di quei beni di prima necessità che permettano a entrambi di poter superare la prova di una bilancia tristemente abituata a pesare bimbi e donne quasi sempre al di sotto del peso ideale. Hanno visto bimbi, disabili o gemelli, essere abbandonati prima che dai propri genitori, da una cultura disumana che, assieme agli ammalati, li relega ai margini della società perché ritenuti essere posseduti da spiriti cattivi. Hanno visto lacrime rigare volti umani, quasi per manifestare quella impotenza nei confronti di una vita così piena di amarezze e stanchezze.

Ma questi occhi hanno potuto vedere anche cose di un altro mondo! Di un mondo segnato dalla fede, spinto verso un futuro carico di speranza, trasformato dalla carità. Di un mondo in cui puoi constatare come il Vangelo diventi il lievito per far fermentare quell’umanità che abita nelle profondità il cuore di ogni uomo e donna. Di un mondo in cui, conosciuto Dio, lo si fa entrare in tutte gli eventi che costellano la quotidianità di una persona e del vivere insieme. Di un mondo in cui la terra vibra sotto i piedi, perché la vita la si prende al ritmo di una danza dalle movenze energiche e gioiose. Di un mondo in cui i sorrisi dei bambini e le loro mani alzate hanno la capacità di farti stupire continuamente della bellezza della vita e che ti fanno accorgere che spesso basta davvero poco per rendere felice chi ti sta accanto. Di un mondo in cui i gesti di attenzione degli adulti e degli anziani si pongono a custodia del tempo che scorre e del bene che ti appartiene. Questi occhi hanno visto come la persona umana non è un’isola autosufficiente ma si dà, nella sua pienezza, solo all’interno di una rete relazionale: è il senso della vita organizzata in villaggi (le tabanke), era il senso delle polis greche, sarebbe dovuto essere stato il senso delle nostre metropoli! Questi occhi hanno visto la solidarietà umana spalancare le proprie braccia, anche in situazioni di indigenza estrema, e donare tutto il possibile a chi gli è rimasta una sola ricchezza: la vita. Questi occhi hanno potuto vedere che l’ospitalità fraterna e senza pregiudizi è un perno della società civile e, forse, per la prima volta, questi occhi si sono dovuti mettere dalla parte di chi, dopo mille peripezie, approda a Nord del globo terrestre e bussa ai portoni delle Nazioni del “Primo mondo” chiedendo accoglienza non tanto per una vita migliore ma per una vita che abbia soltanto il profumo della dignità.

Tornando a casa, questi occhi si sono accorti che un po’ d’Africa c’è anche qui perché la persona umana, dovunque si trovi e a qualunque stato sociale appartenga, di qualunque colore sia la sua pelle e in qualunque modo chiami Dio, sperimenta comunque la propria contingenza. Questa verità ha lasciato in me la grande consapevolezza di sapermi fragile e bisognoso e mi ha dato di imparare a guardare gli altri con gli occhi della misericordia, quegli stessi occhi che duemila anni fa si sono posati sugli uomini e le donne di Palestina e che hanno detto loro che siamo stati fatti per cose più grandi: per amare ed essere amati. E questa verità mi è stata confermata dalla vita di chi, mettendosi alla sequela del Rabbi di Galilea, sta imparando che essa vale nella misura in cui diventa un dono.

Michele Caputo, seminarista V anno, Foggia.

da "Voce di popolo", settimanale diocesano di Foggia-Bovino, 21/09/2012

Nessun commento:

Posta un commento