La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati

La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati
Il territorio della missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati, a nord della Guinea-Bissau e confinante con il Senegal.

30 novembre 2014

Storie di Bigene 14: "Il parto che non parte, le buche della strada e una nuova evangelizzazione".

Il parto che non parte, le buche della strada e una nuova evangelizzazione.

Questa ve la devo raccontare. Così imparerete a benedire le buche.
L’antefatto: da quasi un anno ci sono delle persone del villaggio di Kunaià che chiedono di entrare nella Chiesa Cattolica e chiedono la catechesi nel loro villaggio. Ci siamo ritrovati nel tempo di Natale dello scorso anno dopo una S. Messa celebrata a Bigene. Kunaià dista 3,5 chilometri da Bigene, vicino alla strada che va verso Farim. In quella occasione avevo suggerito che frequentassero la S. Messa a Bigene, e che si recassero alle catechesi che si tengono al villaggio di Tabadjam, abbastanza vicino al loro.
Poi vediamo cosa succede: il tempo per verificare la loro buona richiesta è necessario. Normalmente si inizia la prima evangelizzazione in un villaggio se vi è una richiesta sentita e se le persone dimostrano di volersi coinvolgere in un cammino che sarà lungo e impegnativo. Durante questo anno non sono accaduti dei segni particolari del loro coinvolgimento: qualcuno ha frequentato qualche volta la catechesi a Tabadjam, qualche altro ha frequentato anche la Messa domenicale a Bigene. Non ci siamo più ritrovati, ne sentiti. Forse doveva arrivare una occasione opportuna, e anch’io non ho posto una attenzione necessaria alla loro iniziale richiesta. Fino a lunedì scorso…
Lunedì scorso, dopo la Messa del mattino, arriva in chiesa un uomo tutto serio e preoccupato, chiedendo aiuto per la moglie che non riesce a partorire:  “Le donne hanno provato in tutti i modi, ma il parto non parte!”. Poche parole che dicono tutto. Torno a casa e prendo la macchina senza tanto pensarci. Se l’uomo è arrivato a piedi fino a Bigene per chiedere aiuto, il villaggio sarà vicino, e ho tempo a disposizione per questa altra vita che dobbiamo “far partire”. Partiamo con la macchia e chiedo a quale villaggio dobbiamo andare: Kunaià. A dire il vero, non mi è nemmeno passata per la mente la richiesta ricevuta lo scorso Natale… Il mio unico pensiero era di arrivare velocemente e poi ripartire, con calma, per far nascere il bambino dentro l’”ospedale” di Bigene. Nella mia mente non vi era spazio per altro.
Arrivati al villaggio, chiedo al papà del nascituro il percorso da compiere per arrivare il più vicino possibile alla sua casa. Non lo conosco questo villaggio. Ci sono passato poche volte. Ricordo che c’è una chiesa che appartiene alla Chiesa Nuova Apostolica, e ricordo di conoscere il maestro della scuola del villaggio: è N’Dani, della comunità cattolica di Bigene. Il papà è felice che sto arrivando con la macchina a prendere la sua sposa, e mi indica dove andare. La strada si fa sempre più stretta. Passata la scuola, mi indica di percorrere una stradina ricoperta da alta erba: si vede solo il tracciato stretto per il passaggio delle biciclette. Per tre volte gli chiedo se la macchina può entrare: non mi fido se non vedo dove devono passare le ruote. Per tre volte lui mi risponde che posso andare avanti, che non ci sono problemi. Lui pensa solo alla sua sposa, e che ne capisce di ruote sulla strada?
Dopo pochi metri la prima ruota di destra entra in una bella buca. Riesco a superarla ma ben nascosta è la seconda buca, che, manco a volerlo calcolare, blocca la prima ruota di destra, mentre la seconda ruota è entrata nella prima buca. Sembra uno scioglilingua! Insomma: le due ruote di destra sono incastrate esattamente dentro due buche, e la ruota di sinistra, dietro, è sollevata dal terreno. Nemmeno con le quattro ruote motrici riesco a spostarmi di un centimetro, né avanti né indietro.
E così, non c’è solo il parto che non parte, ma anche la macchina che non parte!!!!
Mi vengono i famosi 5 minuti….. e grido al poveretto le parole di circostanza…. “Corri subito a chiamare 20 uomini che vengano ad alzare la macchina, se vuoi che tua moglie arrivi in ospedale!”.
Quello scappa verso casa sua, ed io penso al mio errore di non essermi fermato prima, per guardare con i miei occhi il percorso da compiere. Dopo qualche minuto cominciano ad arrivare dei giovani muniti di alcuni miseri attrezzi agricoli. Arrivano anche le donne che accompagnano la partoriente. Poveretta come sta: non riesce a camminare e la tengono in piedi! Mi preoccupo anche di lei, facendola distendere in qualche modo su uno spazio libero dagli arbusti.
La macchina non parte e il parto non parte. Però, Signore, fai prima partire la mia macchina, che è meglio!
I giovani tentano di spingere la macchina in avanti, ma niente. Le buche sono belle fonde, e occorre togliere il terreno che blocca non solo le ruote, ma anche la parte sottostante il motore. Scava da una parte, metti dall’altra parte, legni secchi da collocare sotto la ruota rialzata, scavare sotto il motore e attorno alle ruote… sembravano degli artisti. Un po’ guardavo loro con ammirazione, e un po’ guardavo la mamma con preoccupazione.
Proviamo e riproviamo, ma niente, segezia non si muove. I “volontari” aumentano e cominciano a fare una bella confusione terribile, finché non arriva l’esperto del settore, che di macchine non ne capisce niente, ma di buche ne capisce tanto. Siccome è un anziano, i giovani lo ascoltano con più attenzione. Dirige tutti, e alla fine degli interventi mi dice: “Prova adesso!”. Provo, e la macchina parte! Finalmente è uscita dalle buche e faccio un giro largo per entrare nel campo sportivo. Portano di corsa la mamma partoriente, il papà si nasconde in mezzo agli altri (avrà paura che gli dica altre parole!), e sembra che siamo pronti per ritornare a Bigene. Sono tutti felici per il buon esito del “disbucamento” (si dice così?), quando mi arriva un bel tipetto che si era sporcato tutto di terra, tentando di aggiustare le buche con le sue stesse mani, e mi dice candidamente: “Padre, adesso che hai conosciuto il nostro villaggio, vieni a farci la catechesi?”.
“Adesso ho fretta, ne riparliamo!”. “Va bene padre, ti aspettiamo”.
Ma guarda cosa mi combina il Signore!
Mi sento in grande imbarazzo, ma nello stesso tempo sono felice. Quelle persone che mi hanno tolto la macchina dalle buche, sono le stesse che mi chiedono di diventare cristiane! E se non fossi entrato nelle buche, non ci sarebbe stata occasione di stare assieme alcuni minuti a sudare per uno scopo comune, a rincuorarci, a lavorare assieme per aiutare quella poveretta di mamma.
Non c’è veramente tempo per fermarmi a conversare con loro. Perché se la macchia, finalmente, parte, il parto ancora non parte! (e meno male!).
Il viaggio è tutto normale. La mamma si lamenta per i dolori, ma arriviamo in tempo. Consegnati tutti alla ostetrica, me ne ritorno a casa tranquillo, e pensando solo alle buche….
Nel pomeriggio passa a trovarmi N’Dani, il maestro di quel villaggio. Mi porta tutto contento un foglio con su scritti i nomi di una trentina di persone. Sono i nomi degli abitanti di Kunaià che chiedono la catechesi. Non hanno perso tempo: dopo che hanno fatto partire la macchina e avermi salutato, si sono riuniti e hanno raccolto i nomi.
Lo vedo come un messaggio chiaro, che attende una risposta.
Con N’Dani decidiamo che ritorno al villaggio oggi, per incontrarmi con loro con calma, e ascoltare bene le loro parole e i desideri dei cuori.
Ritorno oggi pomeriggio al villaggio di Kunaià. La strada la riconosco, e sto ben attento a non ripercorrere quel pezzo terribile già sperimentato. Con me vengono anche alcuni amici di Bigene, e le persone che ci aspettavano erano già pronte all'incontro. Un bel cortile ripulito dalle foglie, gli sgabelli preparati per tutti.
Ridiamo tutti felici ricordando l’affossamento di segezia e come l’abbiamo tirata fuori. Mi sembra quasi di conoscere già da tempo queste persone, tanto intensi sono stati quei minuti passati assieme per riportare la macchina sulla strada libera da buche.
Dopo le parole e i saluti di circostanza, andiamo subito al motivo del nostro incontro e chiedo direttamente ai presenti di dirmi perché mi chiedono di diventare cristiani, perché hanno questo desiderio nel loro cuore.
La situazione non è del tutto semplice. Sintetizzo: hanno deciso di abbandonare la Chiesa Nuova Apostolica (in realtà, sono loro che si sentono abbandonati da quella Chiesa) perché sperano in un aiuto più vero da parte della Chiesa Cattolica. E per aiuto intendono aiuto spirituale, nel senso di un accompagnamento reale nella conoscenza di Dio. Il pastore di quella chiesa va a trovarli due-tre volte all’anno, e a loro non basta più.
Ma c’è una cosa ancor più rilevante che scopro mentre parlano del loro desiderio di entrare nella Chiesa Cattolica. Queste persone non parlano di una scelta che desiderano compiere, e che chiedono a me. Parlano di una scelta già compiuta dentro i loro cuori. Non dicono: “vogliamo diventare cristiani”, ma “noi cattolici …”. Testimoniano tutti una scelta già compiuta, e parlano come se fossero già dentro la famiglia della nostra chiesa.
Da quando me ne hanno parlato lo scorso anno, per loro la scelta è già stata fatta! E di sicuro, il Signore che legge i cuori meglio di qualsiasi persona, vede la loro fede così semplice, eppure vera!
Sono stupito del loro modo di parlare: questi sono già cristiani! Alla fine del suo intervento, la signora più anziana mi chiede con tanta spontaneità: “Stiamo aspettando da un anno. Quanto tempo dobbiamo ancora aspettare?”. Me lo dice così bene, senza alcuna ombra di polemica, quasi con filiale rispetto, che dentro il mio cuore le rispondo “vengo domani!”.
L’incontro è vissuto con grande comunione e amicizia. Spiego che dovremo parlarne nel Consiglio Pastorale della parrocchia e con gli altri catechisti, ma con tutti questi segni così evidenti, anche questo villaggio avrà il suo catechista tra poco. Non so come faremo e chi potrà venire qui, ma qualcuno verrà. Non possiamo non rispondere! Questi sono cristiani che chiedono di diventare cristiani. Ma che belli che sono!!!!!
Insomma, avete capito? Spesso capita che le buche delle nostre strade (delle strade della Guinea-Bissau, ma anche di certe strade italiane) siano causa di “paroline” poco edificanti da parte nostra. Questa è la storia che ci insegna a guardare anche le buche stradali come una possibile benedizione del Signore! Se io non mi incastravo dentro quelle buche, non avrei avuto l’occasione di stare con quelle persone e di suscitare in loro l’incontro realizzato oggi, e che porterà ad iniziare una nuova evangelizzazione.
Sante buche!!!
Ops…. ci siamo dimenticati del parto che non parte!
Finito l’incontro ci rechiamo alla casa della mamma che ha partorito all’ospedale di Bigene. La mamma non c’è, è al lavoro nella risaia. La nonna, anziana e quasi tremante, esce dalla casa con una pargoletta tutta bella, avvolta in un bel panno colorato e con un ciuffo esagerato di capelli in testa. Ciao piccola, benvenuta! Perché, a parte le buche, sei tu la causa vera di questa nuova evangelizzazione. Ti benedico! Amen!

Arriva anche la mamma che sono andati a chiamare. Arriva di corsa. Quando è vicina le chiedo se sta bene e se è contenta della sua bella bambina. La sua risposta è un bel sorriso. Che il Signore benedica anche te, cara mamma. Hai sofferto in quei minuti di attesa, aspettando che i giovani tirassero fuori la macchina dalle buche, ma sapessi che benedizione è nata da quei minuti…
Bigene, 21 novembre 2014

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