La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati

La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati
Il territorio della missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati, a nord della Guinea-Bissau e confinante con il Senegal.

4 dicembre 2009

Conoscere l'Africa 3: intervento di Piero Gheddo

NON SOLTANTO AIUTI ECONOMICI.
SVILUPPO E GIUSTIZIA COMINCIANO CON L’ISTRUZIONE


L’allarme continua a risuonare, sempre uguale eppure sempre più forte: nel 1996 c’erano 830 milioni di affamati nel mondo; oggi a soffrire sono un miliardo e venti milioni di persone. Un popolo sterminato davanti al quale è impossibile chiudere gli occhi. Il segretario generale della Fao, il senegalese Jacques Diouf, afferma che questa è «la peggiore crisi di fame nel mondo degli ultimi quarant’anni» e spiega che «servono circa 44 miliardi di dollari» per ingaggiare e vincere la battaglia. Richiesta sacrosanta, che rimbalza nei mass media internazionali, ma a quanto pare – oggi come ieri – senza la minima possibilità di ottenere più di un’eco. Il mondo è ancora in crisi economica, e a tutti sembra che la fame di così tanti esseri umani sia soprattutto il risultato di una mancanza di soldi.
Da cinquant’anni visito l’Africa. Il ritornello che più spesso ho sentito ripetere da missionari e volontari italiani tra i contadini più poveri e meno istruiti è questo: «Qui si produce troppo poco per mantenere un Paese come questo, la cui popolazione aumenta rapidamente». La Fao stessa, sin dal principio di questo terzo millennio, segnala che l’Africa profonda importa circa il 30% del cibo di base che consuma (riso, grano, mais). E io cito spesso questa esperienza esemplare e significativa: a Vercelli produciamo 80 quintali di riso all’ettaro, nell’agricoltura tradizionale dell’Africa a sud del Sahara 5 quintali. La differenza tra 80 e 5 è l’abisso che c’è tra ricchi e poveri del mondo. E si noti, la minor produzione non è data dalla mancanza di macchine, ma dalla poca istruzione del contadino africano. Le campagne africane sono un cimitero di trattori che non funzionano, di pozzi da cui non si sa più tirar su l’acqua.
In altre parole, i soldi per lo sviluppo ci vogliono e tutti ci auguriamo che il mondo sviluppato tiri fuori i 44 miliardi richiesti dalla Fao. Ma assieme ai finanziamenti e alle tecnologie sono indispensabili uomini e donne che consacrino la vita (o qualche anno della loro vita) per compiere con le popolazioni locali un cammino di crescita comune, anche in campo agricolo. Giovanni Paolo II scriveva nella Redemptoris Missio (n. 58): «I missionari sono riconosciuti anche come promotori di sviluppo da governi ed esperti internazionali, i quali restano ammirati del fatto che si ottengano notevoli risultati con scarsi mezzi». Visitando l’Africa rurale, si incontrano fiorenti poli di sviluppo tra popolazioni poverissime, originati da missionari e da volontari che hanno puntato sulla sviluppo umano della gente del posto. Bisogna rendersi conto del fatto che i governanti africani, per mille motivi fra i quali anzitutto la corruzione e anche per la vastità del territori loro affidati, trascurano le campagne (e magari le cedono a società o, direttamente, a potenze straniere). In molti villaggi africani si ignora la ruota, la carriola e il carro agricolo (le donne portano tutto sulla testa), l’aratro, i fertilizzanti, il piccolo mulino ad acqua, l’irrigazione artificiale, la piscicoltura nei laghetti artificiali... Ma chi va a insegnare la via verso queste piccole e decisive rivoluzioni non violente?
E ancora: il 50% degli africani è analfabeta e molti di quelli già 'alfabetizzati' non sanno più leggere né scrivere. Come può svilupparsi un popolo semi-analfabeta in un mondo come il nostro? Dell’emergenza educativa in Africa, però, non si parla mai. Si parla – quasi sempre senza seguito – di aumentare gli aiuti economici, dei prezzi delle derrate alimentari e di altre situazioni che opprimono i popoli più poveri e meno istruiti, che non hanno la forza e, spesso, nemmeno la coscienza di dover protestare. Eppure lo sviluppo di un popolo parte dall’interno del popolo stesso e passa inevitabilmente per l’istruzione. Primo investimento strutturale contro il sottosviluppo, la sottomissione e la corruzione.
PIERO GHEDDO

APPELLO URGENTE: AIUTI PER IL CORNO D'AFRICA,
28 MILIONI DI PERSONE SONO A RISCHIO


Le agenzie umanitarie continuano a lanciare appelli urgenti con la richiesta di aiuti per la più grande siccità che abbia colpito l’Africa orientale negli ultimi dieci anni. Gli esperti ritengono che la sopravvivenza di 28 milioni di persone in alcune aree di Kenya, Etiopia, Uganda, Tanzania ed Eritrea sia a forte rischio, minacciata dalla mancanza di piogge e dal deperimento dei campi coltivabili, che non producono cibo a sufficienza. Una delle peggiori situazioni si ha nel Nord-Est del Kenya, dove la mancanza di piogge che si protrae da tre anni ha inasprito ancor più il terreno, provocando un accumularsi di scheletriche carcasse di animali morti lungo le strade. Il 70% del bestiame, tra vacche e capre, è stato completamente sterminato solo nell’ultimo anno, mettendo in pericolo le comunità che da esso dipendono per l’alimentazione e il commercio. «In alcune zone del Kenya – afferma John Morris, responsabile dell’agenzia umanitaria keniota Plan – i bambini sotto i sei anni non hanno mai visto precipitazioni. Ciò dimostra quanto difficili siano le sfide a lungo termine che affrontiamo per via del cambiamento climatico».
Matteo Fraschini Koffi

IL MISSIONARIO: «Qui tè mattina e sera, non c’è più altro cibo»

«Tutto bruciato. Un anno da diventare pazzi. L’unica acqua che abbiamo è quella del pozzo, che per fortuna non è mai scesa. C’è solo una parola per descrivere la situazione: tremenda. Noi ci troviamo dentro una piana enorme. Non si vede una montagna all’orizzonte. Un avamposto che conterà duemila anime, tra Isiolo e Marsabit, e che si chiama Sereolipi, nella lingua locale significa 'Fiume sterile'. E questo, mi pare, già dice molto sulla nostra condizione sfavorevole. Mentre fuori, nel deserto attorno, chissà, vi saranno altri 6- 7mila individui».
Trentino di Novaledo, Valsugana, faccia, barba e capelli bianchi che ricordano Ernest Hemingway, invidiabili 70 anni, padre Egidio Pedenzini, missionario della Consolata, 42 anni di 'safari', come si usa dire in Africa, ancora non è stanco di costruire nuove cisterne. Quello che da un anno sta facendo a Sereolipi, nel distretto di Samburu. Insieme al padre colombiano Alberto Jairo.
«La scorsa settimana ha piovuto, e speriamo che lo faccia ancora per le cisterne di 47mila e 69mila litri che abbiamo realizzato a favore della gente di Sereolipi. Gli unici collettori d’acqua in non so quanti chilometri quadrati di territorio – racconta padre Egidio –. Altrimenti, i nomadi scavano nel letto di un fiume e da lì tirano fuori l’acqua che filtra dalla sabbia. Più pantano che liquido. E devono scavare sempre più in profondità per trovarla, per loro e per il bestiame». A Nairobi per una visita medica – a 'Fiume sterile' non esiste nulla se non la missione in costruzione, dove ancora i religiosi dormono per terra e per cercare campo per il telefono sono obbligati a fare in auto 70 chilometri – il missionario aggiunge: «La fame dalle nostre parti è tremenda. Dovreste sentire l’odore dei corpi degli animali morti che ammorba l’aria ovunque. Le capre rinsecchite, le vacche schiantate dalla fame. Questa è fame anche per la nostra gente. Dovreste vedere i loro volti macilenti e tristi. Cosa possiamo fare?
Quando siamo in grado, li aiutiamo con un po’ di fagioli e di olio. Poche cose, quello che abbiamo: giusto per sopravvivere uno, due giorni. Viviamo in una realtà in cui dobbiamo importare tutto da fuori, dalla benzina per i viaggi ai chiodi. Se ci si ammala, resta solo da pregare Dio. Da noi diciamo: non farti distrarre da quelli che sulla strada ti possono sparare, ma tieni d’occhio la strada che stai percorrendo. Mulattiere indecenti, corrugate all’inverosimile, se prendi male una piega, ti ribalti e ti spezzi l’osso del collo».
Gli chiediamo se è a conoscenza di vittime per fame: «Morti per fame da noi? Non ancora. Tanti giovani, e questo mi fa tristezza, vengono da me per chiedermi cibo. Di quelli ce ne sono, eccome: 'Padre, dammi qualcosa da mangiare. Ho fame'. Ha piovuto nei giorni scorsi, ed è una speranza. Basta poca acqua per far riprendere la natura, il pascolo per il bestiame, quindi il latte.
Nutrimento essenziale per la nostra gente.
Perché dovete sapere che in tempi normali loro bevono solo una tazza di tè la mattina, con un po’ di latte. Se riescono a mangiare qualcosa a mezzodì, bene. Altrimenti tè e molto zucchero, di cui sono ghiotti, anche la sera, quando hanno l’opportunità di poter vendere un animale. Se quello, però, non muore. Il futuro? È nelle mani di Dio. Se le piogge sono già finite, è la fine».
Claudio Monici

da "Avvenire", 15 novembre 2009

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