UCCISO MONSIGNOR PADOVESE
Monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico dell'Anatolia, 63 anni, è stato ucciso il 3 giugno 2010 a Iskenderun, in Turchia. Lo ha confermato il nunzio apostolico in Turchia mons. Antonio Lucibello. Mons. Padovese è stato assassinato a colpi di coltello nella sua abitazione. Era stato nominato Vicario Apostolico dell'Anatolia l'11 ottobre 2004 e consacrato a Iskenderun il 7 novembre dello stesso anno. I primi sospetti sull’autore dell’assassinio cadono sul suo autista e collaboratore, un musulmano che collaborava da tempo con il prelato, che lo avrebbe accoltellato. Secondo testimoni in questi giorni l’autista sembrava «depresso e violento».
Un «fatto orribile», «incredibile», «siamo costernati»: è questa la prima reazione a caldo - appresa la notizia - di padre Federico Lombardi, portavoce del Vaticano, alla notizia dell'uccisione in Turchia di mons. Padovese. Il viaggio che compirà domani a Cipro Benedetto XVI è stato confermato da padre Federico Lombardi che ha riferito che il Papa "è stato informato" dell'assassinio del Vicario apostolico in Anatolia, e ha espresso "grandissimo sconcerto e dolore". Il Pontefice, ha aggiunto, si è subito raccolto in preghiera. "Ciò che è accaduto - sono ancora le parole di padre Lombardi - è terribile, pensando anche ad altri fatti di sangue in Turchia, come l'omicidio alcuni anni fa di don Santoro". Da parte nostra, ha concluso il gesuita a nome della Santa Sede, "preghiamo perché il Signore lo ricompensi del suo grande servizio per la Chiesa e perché i cristiani non si scoraggino e, seguendo la sua testimonianza così forte, continuino a professare la loro fede nella regione".
LA BIOGRAFIA
Luigi Padovese era nato a Milano il 31 marzo del 1947. Il 4 ottobre del 1965 fa la prima professione nei frati cappuccini ed esattamente 3 anni dopo quella solenne. Il 16 giugno del 1973 viene ordinato sacerdote. Professore titolare della cattedra di Patristica alla Pontificia Università dell'Antonianum. Fino ad essere ordinato vescovo è stato per 16 anni direttore dell'Istituto di Spiritualità nella medesima università. Professore invitato alla Pontificia Università Gregoriana e alla Pontificia Accademia Alfonsiana. Per 10 anni è stato visitatore del Collegio Orientale di Roma per la Congregazione delle Chiese Orientali. Consulente della Congregazione per le Cause dei Santi. L'11 ottobre 2004 viene nominato Vicario Apostolico dell'Anatolia e vescovo titolare di Monteverde. Viene consacrato a Iskenderun il 7 novembre dello stesso anno.
TURCHIA, CONFERMATO L'ARRESTO PER L'ASSASSINO DI PADOVESE
Il Tribunale penale di Iskenderun ha confermato l'arresto per Murat Altun, il 26enne che ha assassinato ieri il vescovo Luigi Padovese, presidente della Conferenza episcopale turca e vicario apostolico dell'Anatolia. Lo rende noto l'agenzia Anatolie, senza però specificare il capo d'accusa. Dovrebbe comunque trattarsi di omicidio. Altun ha dichiarato alla polizia di aver agito dopo aver avuto una "rivelazione divina". Il sospetto omicida, convertito al cattolicesimo, aveva da poco terminato una terapia psichiatrica. Per oltre quattro anni autista del vicario apostolico, Altun ha pugnalato Padovese nel giardino della abitazione a Iskenderun, nel sud della Turchia.
"NON CI SONO MOVENTI POLITICI O RELIGIOSI"
"Siamo praticamente certi che non ci sono moventi di carattere politico o di intolleranza religiosa, che non sono connessi con la situazione di tensione di questi giorni perché l'autore che, da quanto risulta, sarebbe una persona che faceva dei servizi in casa ed era anche l'autista di mons. Padovese soffriva di squilibrio psichico e in particolare negli ultimi giorni di depressione abbastanza evidente". Lo ha detto il portavoce della Santa Sede padre Federico Lombardi, intervistato dalla Radio Vaticana prima della partenza del Papa per Cipro. Questo drammatico episodio, ha aggiunto il gesuita, influenzerà in un certo qual modo la visita del Papa, "le darà un tono diverso da quello che avrebbe avuto senza di esso". In particolare, ha spiegato ancora alla Radio Vaticana, "un tono di grande intensità alla preghiera, di grande serietà di ciò che è in gioco, la testimonianza del Vangelo può costare anche la vita. Ecco - ha spiegato Lombardi - questo ci invita a vivere questi incontri e questo pellegrinaggio del Papa nel cuore del Medio Oriente con una intensità spirituale e con una comprensione della serietà di ciò che è in gioco".
Ieri mons. Franceschini, l'arcivescovo di Smirne, aveva detto di non credere personalmente alla spiegazione dell'omicidio unicamente come gesto di uno squilibrato. Si tratta, ha detto infatti mons. Franceschini, di un "luogo comune che era già stato utilizzato per don Andrea Santoro", e che se non c'è nessun "movente politico" dietro l'omicidio potrebbero esserci "focolai fomentati anche dalla stampa", mentre altre volte ci si è serviti di squilibrati per compiere attentati e aggressioni.
Da parte sua AsiaNews, agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere, registra che "diversi dubbi serpeggiano sulla malattia" dell'autista arrestato e che "tra i fedeli e il mondo turco si fa fatica ad accettare la sola tesi della malattia psichica del giovane". Infatti "diversi attentati negli anni scorsi sono stati compiuti da giovani definiti 'instabili, rivelatisi poi in legame con gruppi ultranazionalisti e anti-cristiani". "A diversi osservatori - afferma l'agenzia del Pime - pare che governanti, politici, autorità civili turche evitino di riflettere con serietà su questi avvenimenti. E si rischia di liquidare tutta questa violenza dicendo solo che non si è d'accordo, che è il gesto di un pazzo isolato, un gesto occasionale di un giovane fanatico dell'Islam".
Dai cristiani e dai volontari di alcune ong turche arriva, scrive AsiaNews, "la richiesta che le indagini non si fermino all'arresto dello squilibrato di turno, ma scavino più in profondo". Il corpo di mons. Padovese, riferisce ancora la fonte, "è stato trasferito all'ospedale di Adana, città vicina, più attrezzata, per essere sottoposto ad autopsia". Secondo AsiaNews, "i funerali di mons. Padovese si svolgeranno a Milano, sua città di nascita, non prima di mercoledì 9 giugno".
ASSALTO IN CASA
Era tornato alla residenza vicino al mare per riposare. In un quieto giardino a Iskenderun, nel sud della Turchia, monsignor Luigi Padovese è morto, accoltellato da chi era considerato uno dei suoi collaboratori più fedeli, trattato da sempre come un figlio. A uccidere il vicario apostolico di Anatolia e presidente della Conferenza episcopale turca è stato infatti il suo autista personale, Murat Altun, di appena 26 anni, che da cinque anni accompagnava monsignor Padovese in tutti i suoi spostamenti, Italia compresa. Una persona fidata, sicura, conosciuta da tutto lo staff del presule, che ieri è stato fermato dalla polizia.
Ancora incerto il movente dell’omicidio. Le autorità turche e la prefettura stanno facendo tutti i riscontri della situazione. Rimangono aperte le diverse piste ma per il momento quella dell’omicidio a sfondo politico-religioso sarebbe la meno ipotizzabile, mentre sembra più probabile quella di un raptus di follia da parte del giovane, che da qualche tempo pareva soffrire di crisi depressive. Un’opinione condivisa anche dal Nunzio Apostolico, monsignor Antonio Lucibello, che esclude «una relazione o analogia tra i precedenti fatti di sangue accaduti in questo Paese», in particolare con l’assassinio di don Andrea Santoro avvenuto nel febbraio del 2006 a Trebisonda. «Padre Santoro – spiega il nunzio apostolico – fu ucciso da un giovane per un atto di fanatismo politico-religioso. In questo caso mi sento di escludere un simile gesto di fanatismo compiuto da uno stretto collaboratore, che ha sempre dato l’impressione di essere una persona di fiducia. Tutto è possibile, ma al momento non ci sono spiegazioni plausibili».
Di «gesto di uno squilibrato» ha subito parlato il governatore della regione di Hatay, Celalettin Lekesiz e la stessa assistente del vicario ha confermato il precario stato di salute mentale del giovane autista. «Murat da almeno una quindicina di giorni soffriva di una grave depressione, nell’ultimo periodo si vedeva spesso con monsignor Padovese che stava cercando di aiutarlo a risollevarsi. Gli aveva anche chiesto di accompagnarlo a Cipro, ma l’autista si era rifiutato», ha spiegato ieri suor Eleonora de Stefano, francescana delle missionarie dell’Immacolata Concezione, che ha raccontato le ultime ore di vita del vicario apostolico all’agenzia missionaria Misna. Assistente personale e segretaria di monsignor Padovese da ben 22 anni, suor Eleonora ha raccontato che monsignor Padovese se ne è andato dal vicariato verso le 11.30 alla volta della casa al mare. «Murat l’ha raggiunto più tardi. Doveva pranzare con monsignor Padovese per parlare del prossimo viaggio a Cipro, dove il vicario si sarebbe dovuto recare per la visita del Papa. Alle 13, quando l’ho sentito per l’ultima volta, mi ha detto di annullare sia il biglietto di Murat per Cipro sia il suo, visto che non si sentiva molto bene», racconta ancora suor Eleonora. Su quello che è accaduto dopo, per ora è buio completo, ma dal vicariato sembrano certi che i due uomini fossero da soli a pranzo quando si è verificato l’omicidio.
di Francesca Bertoldi
IL SANGUE E LA PAROLA
La pugnalata che ha colpito a morte il vicario apostolico dell’Anatolia è arrivata alla vigilia del viaggio del Papa a Cipro, l’ultimo Paese diviso d’Europa, occupato per un terzo del suo territorio dall’esercito di Ankara, ma anche laboratorio di dialogo e riconciliazione tra le fedi. Probabilmente, (così almeno vogliamo sperare), il turco che ha spento per sempre il sorriso di un uomo saggio e buono come monsignor Luigi Padovese ne era ignaro.
Ma la coincidenza è sconvolgente e non fa che aggiungere ulteriore sgomento e preoccupazione al grande turbamento e alla profonda tristezza di queste ore. «È stato il gesto di uno squilibrato», si sono subito affrettati a dichiarare le autorità turche, mentre l’effettiva dinamica del brutale omicidio resta tutta da spiegare. Atto di follia? Può darsi, ma non possiamo non domandarci come mai siano così numerosi nel Paese della Mezzaluna, e perché siano quasi sempre diretti contro gli esponenti delle minoranze religiose.
È una lunga scia di sangue, iniziata quattro anni fa con l’assassinio di don Andrea Santoro a Trebisonda, proseguita con l’uccisione in pieno centro ad Istanbul del giornalista armeno Hrant Dink, simbolo di una diversità etnica e religiosa aperta al dialogo, e poi con la macabra esecuzione a Malatya di tre protestanti evangelici, senza contare le minacce e le aggressioni ai preti cattolici fra cui il ferimento del padre cappuccino Andrea Franchini di Smirne. Tutti uomini di pace, colpiti dall’odio e dalla violenza. Lo era in modo del tutto speciale monsignor Padovese, impegnato nel dialogo con il mondo musulmano e tenace negoziatore, stimato anche dalla controparte governativa, deciso a strappare spazi sempre più larghi per la libertà religiosa in un Paese dove al vecchio laicismo nazionalista imposto da Atatürk si è sovrapposto il recente islamismo politico del premier Erdogan.
Sognava «una Chiesa turca rinvigorita e più consapevole della propria fede» il vescovo dell’Anatolia. L’aveva affermato in un’intervista pochi giorni fa, mentre si preparava a partire per Cipro dove domenica prossima, insieme con i capi delle Chiese orientali, avrebbe ricevuto dalla mani di Benedetto XVI l’ “Instrumentum laboris” in vista del Sinodo sul Medio Oriente che si terrà a Roma in autunno. La sua tragica scomparsa ci ricorda l’estrema precarietà della condizione dei cristiani in questa regione dove la Chiesa mosse i suoi primi passi.
«Le radici sono in Terra Santa, i rami sono in tutto il mondo ma il tronco dell’albero è cresciuto qui in Turchia», era solito dire monsignor Padovese. Parole che suonano come viatico alla visita pastorale di Benedetto XVI a Cipro dove ha sede la più antica comunità cristiana dopo quella di Gerusalemme. Fu qui che San Paolo compì il suo primo viaggio missionario che, secondo la tradizione, si concluse a Pafos, legato e flagellato a una colonna. E oggi, per la prima volta in duemila anni, giunge il Pontefice di Roma, «l’uomo che costruisce i ponti». Ma qualcuno ha voluto metterci una mina distruttiva, tanto più deflagrante quanto più l’intero Medio Oriente è tornato in questi ultimi giorni a riesplodere pericolosamente.
Tante, troppe coincidenze inquietanti che aleggiano su quella che intende essere una visita nel segno della pace, del perdono e della riconciliazione. Improvvisamente e brutalmente il viaggio di Benedetto XVI a Cipro inizia nel segno del sacrificio, con il sangue versato di un testimone della fede che, come diceva Tertulliano, è fecondo di nuova vita.
di Luigi Geninazzi
DON ANDREA, SACERDOTE E MARTIRE
Questo è il testo dell'omelia pronunciata da mons. Luigi Padovese a Trabzon, il 5 febbraio 2010, in occasione dell'anniversario dell'uccisione di don Andrea Santoro.
Cari fratelli, sono passati quattro anni da quando don Andrea è stato ucciso in questa Chiesa. Oggi, come quattro anni fa, ritorna sempre a stessa domanda: Perché? E’ lo stesso interrogativo che ci poniamo davanti a tante altre vittime innocenti dell’ingiustizia: Perché? Uccidendo don Andrea che cosa si è voluto annientare? La sola persona o anche quello che la persona rappresentava? Certamente nel colpire don Andrea era il sacerdote cattolico che si voleva colpire. Il suo sacerdozio è stata perciò la causa del suo martirio. Attraverso il suo sangue Don Andrea ha celebrato con Cristo l’unica eucaristia: “Questo è il mio sangue versato per voi e per tutti per il perdono dei peccati”.
Leggiamo nell’Antico Testamento che il sangue versato chiama altro sangue, ossia si ripaga con la vendetta. Eppure, da quando Gesù è morto in croce, il sangue versato non richiama più alla vendetta, ma al perdono. E’ un sangue che lava, purifica, dà vita. Perché? La risposta si trova nelle parole di Gesù sulla croce: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”. Se infatti l’avessero saputo non l’avrebbero fatto. Spesso la colpa di chi fa il male sta nella sua cecità o nel ritenere vero e giusto ciò che non lo è. Non è mai giusto sopprimere una vita per affermare una idea. Non è mai giusto ritenere che chi non la pensa come noi è nel torto e va annientato. Questo è fondamentalismo che distrugge la società perché distrugge la convivenza. Questo fondamentalismo, a qualsiasi religione o partito politico appartenga, potrà forse vincere qualche battaglia, ma è destinato a perdere la guerra. Ed è la storia che ce l’insegna. Cari fratelli, il sangue che don Andrea ha versato in questa Chiesa non è stato inutile. Pensiamo a quanti fratelli e sorelle in tutto il mondo hanno conosciuto il suo sacrificio e sono stati confermati nella volontà di vivere per Cristo e, se necessario, di morire per Lui. Questo umile sacerdote, conosciuto da pochi, con la sua morte è divenuto testimone per molti. Chi voleva farlo scomparire, in realtà ha prodotto l’effetto contrario. Ora, per molti, in tutto il mondo il nome di Trebisonda è legato a quello di don Andrea. Egli voleva creare in questa città un punto d’incontro e un centro di dialogo tra cristiani e musulmani. Io spero vivamente che un giorno questo suo sogno si possa realizzare e che la città di Trebisonda divenga un esempio di pacifica convivenza e di fraternità dove tutti gli uomini sono uniti nella ricerca del bene comune. Non abbiamo tutti lo stesso Dio?
INTERVISTA A MONS. PADOVESE: UN ANNO DOPO LA TURCHIA CHIEDE VERITÀ...
30 Gennaio 2007
È passato un anno dalla morte di don Andrea Santoro, il sacerdote italiano assassinato mentre pregava nella sua chiesa di Trabzon. «Una testimonianza esemplare di umanità e di fede, la sua, che ha dato nuovo vigore alla Chiesa in Turchia, anche se c'è un'esigenza di verità da colmare e molte ferite restano ancora aperte - spiega monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico in Anatolia - . Nuovo vigore è arrivato anche dalla visita di Benedetto XVI, che ha contribuito a superare pregiudizi e disinformazione nei confronti del cristianesimo. Ma molto resta ancora da fare perché in questo Paese la libertà di coscienza e i diritti dell'uomo trovino l'accoglienza che meritano in un Paese che ambisce a entrare nell'Unione Europea».
Da più parti sono state notate inquietanti somiglianze tra l'assassinio di don Santoro del 5 febbraio scorso e quello recente del giornalista turco-armeno Hrant Dink. Un gruppo ultranazionalista - le Brigate delle vendetta turca, frazione dei Lupi grigi - ha rivendicato entrambi gli omicidi con una e-mail indirizzata al giornale di Dink, in cui si dice: «Dopo il prete Santoro, abbiamo eliminato un altro nemico della Turchia». Lei che ne pensa?
Non voglio sostituirmi alla magistratura, ma certamente esistono motivi di preoccupazione molto fondati. È significativo il fatto che anche l'assassino di Dink provenisse dalla zona di Trabzon, dove operano gruppi che appartengono all'area del radicalismo nazionalista e islamico. Pochi giorni fa la famiglia del giornalista armeno assassinato ha detto che se fosse stata piena luce sull'omicidio di don Santoro, forse Dink non sarebbe morto. Parole emblematiche, che personalmente condivido. Niente teoremi, per carità, ma è innegabile che c'è chi alimenta sentimenti di odio e di ostilità nei confronti dei cristiani, degli armeni e di chiunque venga ritenuto colpevole di atteggiamenti sbrigativamente definiti come «contrari agli interessi della nazione».
A questo proposito, proprio ieri il premier Erdogan ha dichiarato la volontà di rivedere (ma non di abolire) l'articolo 301 del codice penale, che punisce le «offese all'identità turca», una norma spesso usata per mettere a tacere qualsiasi opposizione.
Sull'argomento c'è una forte pressione dell'opinione pubblica, che chiede maggiore libertà di pensiero e di espressione. Anche la Ue sollecita provvedimenti in questa direzione. Vedremo se saranno cambiamenti sostanziali o di facciata.
La massiccia partecipazione popolare ai funerali di Dink indica che qualcosa si muove anche nella società civile?
Mi hanno colpito quelle scritte «Siamo tutti armeni», e la presenza di tanti musulmani. Segni eloquenti dell'insofferenza che cresce tra la gente comune, del desiderio di una svolta vera. Come pure mi ha colpito la decisione del ministro dell'Interno di rimuovere il prefetto e il capo della polizia di Trabzon, che avevano minimizzato la portata della morte di Dink e i collegamenti degli esecutori con gli ambienti del nazionalismo radicale. Come si vede, siamo in presenza di segnali contrastanti. La grande partecipazione popolare ai funerali evidenzia che la società è nel complesso una pianta sana e capace di reagire - anche pubblicamente - alle minacce portate alla sua coesione. Ma non bisogna sottovalutare che alcune radici della pianta sono malate, c'è il pericolo di un contagio.
Cosa si può fare perché il contagio non si diffonda?
Da parte delle autorità civili è necessaria un'azione più rigorosa perché, oltre a individuare gli esecutori, si risalga agli ambienti dove maturano simili gesti. Ci sono cattivi maestri che educano all'intolleranza e hanno un forte ascendente sui giovani. Da parte delle autorità religiose islamiche serve una condanna più esplicita del fanatismo e di chi usa la religione per giustificare la violenza. La stampa turca ha pubblicato una frase dell'assassino di Dink che è atroce nella sua eloquenza: «Ho fatto la preghiera del venerdì e poi ho colpito».
Che ne pensa dell'esito del processo per la morte di don Santoro, che si è concluso con la condanna a 18 anni dell'omicida?
Personalmente sono insoddisfatto e amareggiato. Ritengo che non sia stata fatta luce sul movente e sui mandanti del gesto, attribuito «solo» all'azione di un giovane squilibrato. Il processo si è svolto a porte chiuse perché l'imputato era un minorenne, sappiamo solo ciò che è filtrato attraverso la stampa. Si è in attesa del testo scritto della sentenza, non ancora trasmesso alle competenti autorità italiane, anche per valutare gli eventuali passi da fare in sede giudiziaria. La verità totale non è l'esigenza di una parte, ma un bene per tutta la Turchia.
Qual è la situazione oggi nella chiesetta di Trabzon di cui era parroco don Andrea?
Ora lì c'è un sacerdote polacco, insieme a una famiglia di collaboratori romeni. La vita è piuttosto difficile, i cristiani sono pochi e un po' isolati, ma si continua nel solco tracciato da don Santoro, che ha portato frutti: condivisione della vita quotidiana in semplicità e umiltà, testimonianza e accoglienza di chiunque si avvicina per curiosità o per desiderio di conoscere il cristianesimo.
Quale eredità ha lasciato la visita di Benedetto XVI?
Il clima è più disteso e meno ostile. La stima che ha espresso per il popolo turco, il rispetto per i musulmani e la loro fede, la semplicità e cordialità con cui si è rivolto a loro chiamandoli amici, sono stati determinanti per superare molti dei pregiudizi che circolavano prima del suo arrivo. E anche il comportamento delle autorità ha permesso che la visita non venisse turbata in alcun modo. Mi permetta di aggiungere che ritengo fondamentali le preghiere che da molte parti del mondo hanno accompagnato quel viaggio che si presentava così rischioso: abbiamo ricevuto tante testimonianze di gente che ha affidato quei giorni alla Provvidenza. E credo che… abbia fatto un buon lavoro.
Quali sono le difficoltà principali con cui deve misurarsi la Chiesa?
Scontiamo le conseguenze degli incameramenti di beni fatti dallo Stato: chiese, ospedali, scuole, collegi. Sarebbe opportuna la creazione di una commissione bilaterale che affronti il nodo della restituzione, arrivando a un onorevole compromesso. Il fatto che la Chiesa non ha personalità giuridica rende tutto più difficile. Per questo pochi giorni fa il Papa, ricevendo il nuovo ambasciatore turco presso la Santa Sede, è tornato a chiedere il riconoscimento giuridico della Chiesa. Poi ci sono problemi legati al modo con cui il cristianesimo viene presentato sui libri di testo, e un'ostilità presente in una parte della società, che spesso nasce da ignoranza o da pregiudizi.
Cosa si può fare per superarli?
Anzitutto costruire rapporti di amicizia nella vita quotidiana, nei quali emerga la bellezza della fede cristiana e il desiderio di costruire insieme il futuro della Turchia. Poi, presentare il cristianesimo per ciò che autenticamente è con l'ausilio di mezzi di comunicazione promossi dalla Chiesa. L'anno scorso abbiamo dato vita a un sito Internet e stiamo lavorando alla costruzione di una radio con la quale trasmettere programmi di informazione. La visita del Papa ha modificato anche la posizione dei media turchi, ma dobbiamo ancora fare i conti con letture riduttive e fuorvianti del cristianesimo e della presenza dei cattolici. Bisogna far arrivare la nostra voce nelle case della gente senza che venga filtrata e deformata.
Non teme l'accusa di proselitismo?
Macché proselitismo, ci sta a cuore solo dire chi siamo. Senza secondi fini, ma senza timori reverenziali. E comunque la Turchia deve accettare di misurarsi con la sfida della libertà religiosa: è un passaggio necessario per continuare il cammino verso l'Europa.
Un cammino, quello verso la Ue, che appare ancora lungo e in salita…
Episodi come l'assassinio di don Santoro o del giornalista Dink testimoniano che c'è chi si oppone al processo di avvicinamento all'Unione Europea in nome di una malintesa difesa dell'identità turco-islamica della nazione. Noi riteniamo che la Ue debba essere esigente ma non chiusa rispetto all'ingresso di Ankara. Gli aspetti economici delle trattative in corso non sono tutto. Devono arrivare segnali più forti nel campo dei diritti umani e della libertà religiosa e di pensiero. Insomma, credo che ci voglia un «sì» con molti «ma».
di Giorgio Paolucci
da Avvenire, 3 e 4 giugno 2010
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