Cari familiari, amici e conoscenti che seguite il mio blog dalla missione di Bigene (Guinea-Bissau): oggi inizio un modo nuovo di comunicare la mia missione. Su facebook sto per essere bloccato (sono regole interne a questo sistema di comunicazione molto buono, ma anche molto riduttivo: a qualcuno non piace tutto quello che scrivo, e allora segnala il mio nome come persona che scrive cose immorali (!) e facebook blocca il mio account).
Come posso continuare a comunicare la bellezza di questa missione? Ecco la risposta: il blog già esiste, e nessuno lo può bloccare! Inserisco brevi condivisioni in tempo reale (per quanto mi è possibile) su singoli episodi che vivo nelle mie giornate. Poi potrei riunire i singoli episodi in un unico capitolo del mio diario, in modo da conservarli con più ordine.
Su facebook la condivisione è facile da inserire, ma anche nel blog si possono inserire le condivisioni dei singoli lettori, e continuare ad arricchirci reciprocamente.
Affido questa nuovo modo di comunicazione alla protezione di San Giovanni Bosco: un uomo così completo nella sua missione da far paura! Educatore dei giovani, missionario verso terre lontane, anche giornalista e scrittore! Affido proprio a lui, di cui oggi facciamo memoria nella Chiesa, questo mio piccolo desiderio di continuare a comunicare con voi, e sono certo che don Bosco ci aiuterà!
Il titolo delle mie brevi comunicazioni è “storie da Bigene”. Non sono un giornalista, e non so nemmeno scrivere bene, quindi sono ben consapevole che tutto quello che scrivo ha tantissimi limiti, errori, mancanze, omissioni… Quello che scrivo è quello che vedo, che sento, che intuisco. Piccole storie di gioia, di dolore, di speranze, di vita. Storie vere che tocco con le mie mani, che vedo con i miei occhi, che sento con il mio cuore.
Buona lettura
Bigene, 31 gennaio 2011, San Giovanni Bosco.
Mamma Maria
La mamma del villaggio di Mambuloto non riesce a partorire: il marito corre a Talicò, per cercare aiuto. Uno degli uomini che partecipa alla catechesi mi telefona: “Vieni Padre, vieni subito”. Lascio tutto e di corsa mi avvio al villaggio: sono solo dieci chilometri, ma ci vuole quasi un’ora di macchina. Al villaggio tutti sanno che sto arrivando, e hanno fatto spazio tra gli arbusti per arrivare con segezia vicino alla casa dove aspetta la mamma, e tante donne con lei. Poi ripartiamo piano piano: il papà accanto a me, la mamma stesa sul sedile posteriore con la testa sulle ginocchia di sua sorella e i piedi fuori dal finestrino. Altre donne si sono sedute nel vano aperto per i bagagli. Un viaggio in totale silenzio, rotto solo dalle grida della mamma. Vorrei fare qualcosa, ma non so proprio cosa fare, oltre a cercare di guidare con molta calma a ogni buca, per non aumentare il dolore fisico della povera donna. In questi momenti (non è la prima volta) non riesco a essere sereno: penso a quante persone si lamentano di tutto e di tutti… vorrei che ascoltassero cosa è il dolore, cosa è la vita che ti scappa dalle mani e non puoi fare niente di niente.
Arriviamo a Bigene in questo silenzio: anche i bambini, che sempre mi salutano festanti al passaggio della macchina, vedendo quei piedi che fuoriescono, intuiscono la gravità del momento, e rimangono con il loro canto strozzato in gola. All’ospedale (lo chiamano così: ma c’è solo la sedia per partorire, e poco altro) la mamma trova accoglienza; saluto il papà. Non gli ho nemmeno chiesto se è cristiano, non mi ricordo bene di lui. Mi dice che sua moglie si chiama Maria. Gli rispondo che il Signore li aiuterà!
Ritorno a casa, sperando che il bambino possa finalmente nascere: lo affido a Maria, la madre di Gesù. Dopo pochi minuti, rivedo lo sposo di Maria fuori della porta di casa. Serio. Capisco cosa è accaduto, ma gli chiedo ugualmente la notizia. Il bambino è nato morto! È venuto per chiedermi se posso riportare a casa la sua sposa. Riprendo segezia e ci rechiamo assieme all’ospedale: tra poco scende la notte, e viaggiare su queste strade al buio non è consigliabile. Aspetto che Maria si prepari: ha coraggio, vuole andare a casa. Non si regge in piedi, perde sangue lungo le gambe, trema dal freddo (o dal dolore?) e cerco di ricoprirla con alcuni panni, mentre si distende sul sedile. Piange, batte i denti, e mi guarda fisso negli occhi.
Forse Dio si è dimenticato di lei? Mi rimane dentro questa domanda, e aumenta quando vedo la nonna con il fagottino tra le mani che nasconde il corpicino del bambino. Vorrei tirare un calcio alla macchina, ma riesco a controllarmi. Non servirebbe a nulla! Ci rimettiamo in viaggio, con il bambino morto e la mamma che si rilassa: inizia una specie di canto molto leggero, quasi impercettibile. Mi sembra quasi che sia una preghiera. Dopo alcuni chilometri non la sento più: mi preoccupo, non so quanto sangue ha perso. Invece sta dormendo. Mi fermo a chiedere alla sorella se va tutto bene, e mi risponde che possiamo continuare. La domanda che mi era rimasta in gola trova ora una risposta: Dio ha mandato me per salvare Maria. Se non ci fossi stato, se non ci fossi andato a prenderla, se non fossi potuto andare, forse sarebbe morta per il parto. Dio non si è dimenticato di lei. Arriviamo al villaggio, illuminato solo dai fuochi accesi con la legna del bosco. Sono tutti in piedi. Solo i bambini sono rinchiusi nelle capanne: loro non devono vedere il male, loro non devono vedere il funerale di un bambino. Ma gli altri, i giovani e gli adulti, gli uomini, le donne, gli anziani, sono tutti lì, ad aspettare. Se la macchina è ritornata indietro, capiscono che qualcuno è morto. Quando vedono che Maria è ancora viva, tutti si rianimano, e Maria è sollevata da forti braccia fino alla porta della sua casa. La nonna porta il bambino, da sola: è compito suo. Non mi fermo per il funerale: anche se sarà rapido, sono preoccupato per il viaggio di ritorno. Ma Dio non si è dimenticato di Maria: tutto il villaggio è in piedi per lei.
29 gennaio 2011
La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati
31 gennaio 2011
8 gennaio 2011
Testimonianza Missionaria 4: operatori pastorali uccisi nel 2010
ELENCO DEGLI OPERATORI PASTORALI VESCOVI, SACERDOTI, RELIGIOSI, RELIGIOSE E LAICI, UCCISI NELL’ANNO 2010
“Il nostro mondo continua ad essere segnato dalla violenza, specialmente contro i discepoli di Cristo”
Papa Benedetto XVI, 26 dicembre 2010)
GLI OPERATORI PASTORALI UCCISI NELL’ANNO 2010
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Come è consuetudine, l’Agenzia Fides pubblica alla fine dell’anno l’elenco degli operatori pastorali che hanno perso la vita in modo violento nel corso degli ultimi 12 mesi. Secondo le informazioni in nostro possesso, nell’anno 2010 sono stati uccisi 23 operatori pastorali: 1 Vescovo, 15 sacerdoti, 1 religioso, 1 religiosa, 2 seminaristi, 3 laici.
Analizzando l’elenco per continente, anche quest’anno figura al primo posto, con un numero estremamente elevato, l’AMERICA, bagnata dal sangue di 15 operatori pastorali: 10 sacerdoti, 1 religioso, 1 seminarista, 3 laici. Segue l’ASIA, con 1 Vescovo, 4 sacerdoti e 1 religiosa uccisi. Infine l’AFRICA, dove hanno perso la vita in modo violento un sacerdote ed un seminarista.
Il conteggio di Fides non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma tutti gli operatori pastorali morti in modo violento. Non usiamo di proposito il termine “martiri”, se non nel suo significato etimologico di “testimone”, per non entrare in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro, e anche per la scarsità di notizie che, nella maggior parte dei casi, si riescono a raccogliere sulla loro vita e perfino sulle circostanze della loro morte. A tale proposito registriamo, nell’anno che si conclude, l’apertura del processo di beatificazione del sacerdote Fidei donum don Daniele Badiali, originario della diocesi di Faenza (Italia), ucciso in Perù nel 1997, e la beatificazione del polacco p. Jerzy Popieluszko, martire, ucciso in odio alla fede il 20 ottobre 1984 nei pressi di Wroclawek, in Polonia.
Il martirio è “una forma di amore totale a Dio”, si fonda “sulla morte di Gesù, sul suo sacrificio supremo d’amore, consumato sulla croce affinchè noi potessimo avere la vita”, e la forza per affrontarlo viene “dalla profonda e intima unione con Cristo, perché il martirio e la vocazione al martirio non sono il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta ad un’iniziativa e ad una chiamata di Dio, sono un dono della Sua grazia, che rende capaci di offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa, e così al mondo” (Benedetto XVI, udienza generale 11 agosto 2010).
Le scarne note biografiche di questi fratelli e sorelle uccisi ci fanno comprendere come abbiano offerto tutta la loro vita, quasi sempre nel silenzio e nell’umiltà del lavoro quotidiano, “per amore a Cristo e alla Chiesa, e così al mondo”. Il loro impegno radicale e totale era l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo, fatto non solo a parole ma con la testimonianza della propria vita, in situazioni di sofferenza, di povertà, di tensione, di violenza… senza discriminazioni di alcun tipo, ma con l’unico obiettivo di rendere concreto l’amore del Padre e promuovere l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio.
Alcuni sono stati vittime di quella violenza che combattevano o della disponibilità ad aiutare gli altri nelle piccole difficoltà quotidiane, mettendo in secondo piano la propria sicurezza. Anche quest’anno molti sono stati uccisi in tentativi di rapina o di sequestro finiti male, sorpresi nelle loro abitazioni da banditi alla ricerca di tesori immaginari. Altri ancora sono stati eliminati solo perché nel nome di Cristo opponevano l’amore all’odio, la speranza alla disperazione, il dialogo alla contrapposizione violenta, il diritto al sopruso.
“Il nostro mondo continua ad essere segnato dalla violenza, specialmente contro i discepoli di Cristo” ha detto Papa Benedetto XVI (Angelus del 26 dicembre 2010), ricordando come “la terra si è macchiata di sangue” in diverse parti del mondo, colpendo persino le comunità cattoliche riunite in preghiera nei luoghi di culto. A questo elenco provvisorio stilato annualmente dall’Agenzia Fides, deve quindi essere sempre aggiunta la lunga lista dei tanti di cui forse non si avrà mai notizia, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano anche con la vita la loro fede in Cristo. Si tratta di quella “nube di militi ignoti della grande causa di Dio” - secondo l’espressione di Papa Giovanni Paolo II - a cui guardiamo con gratitudine e venerazione, pur senza conoscerne i volti, senza i quali la Chiesa e il mondo sarebbero enormemente più poveri.
PANORAMA DEI CONTINENTI
AMERICA
In America sono stati uccisi 15 operatori pastorali: 10 sacerdoti, 1 religioso, 1 seminarista, 3 laici. Sono stati uccisi in Brasile (5), Colombia (3), Messico (2), Perù (2), Venezuela, Haiti, Ecuador.
In Brasile, che anche quest’anno conta il maggior numero di operatori pastorali uccisi, hanno trovato la morte Don Dejair Gonçalves de Almeida e il laico Epaminondas Marques da Silva, aggrediti nella canonica da banditi in cerca di denaro; Don Rubens Almeida Gonçalves, assassinato nella sua parrocchia probabilmente per un diverbio con una persona a cui avrebbe negato l’affitto della sala parrocchiale; il seminarista Mario Dayvit Pinheiro Reis, ucciso da rapinatori che volevano impossessarsi della sua automobile; Don Bernardo Muniz Rabelo Amaral, aggredito da un uomo a cui aveva dato un passaggio.
In Colombia hanno trovato la morte Don Román de Jesús Zapata, ucciso durante la notte nella canonica della sua parrocchia; Don Herminio Calero Alumia, morto durante una discussione ad un posto di blocco della polizia; Luis Enrique Pineda, coadiutore salesiano, che è stato derubato e poi accoltellato.
In Messico sono morti Don José Luis Parra Puerto, assassinato dopo essere stato derubato del furgoncino su cui viaggiava; Don Carlos Salvador Wotto, trovato nella sua parrocchia imbavagliato e legato, con bruciature di sigaretta sulle braccia e segni di tagli in diverse parti del corpo.
In Perù sono stati vittime di malviventi entrati nel convento per rubare Fra Linán Ruiz Morales, OFM, ed il suo collaboratore, Ananias Aguila: il corpo del primo è stato rinvenuto nella sua camera da letto, messa a soqquadro, il secondo nella cucina a fianco della chiesa, dove c'è la mensa per i poveri.
In Venezuela ha trovato la morte Don Esteban Robert Wood: l'omicidio è stato attribuito ad una rapina perpetrata da sconosciuti e finita con l'assassinio. In Ecuador il corpo del missionario polacco P. Miroslaw Karczewski è stato rinvenuto nella canonica della sua parrocchia, con ferite sul collo e su altre parti del corpo. Dopo averlo ucciso, colpendolo con un grande crocifisso, i malviventi hanno rubato cellulare e computer. Ad Haiti l’operatore della Caritas Julien Kénord, è stato ucciso in seguito ad un tentativo di rapina. Aveva infatti appena riscosso un assegno in una banca locale, quando è stato aggredito a colpi di arma da fuoco da sconosciuti.
ASIA
Nel 2010 si registrano in Asia 6 operatori pastorali uccisi: 1 Vescovo, 4 sacerdoti, 1 religiosa. Hanno trovato la morte in Iraq (2), Cina (2), India, Turchia.
In Turchia è stato assassinato a coltellate dal suo autista, mentre era nella sua abitazione a Iskenderun, Sua Ecc. Mons. Luigi Padovese, Vicario apostolico dell'Anatolia e Presidente della Conferenza Episcopale Turca. In Iraq Don Wasim Sabieh e Don Thaier Saad Abdal sono rimasti uccisi durante l’ attentato nella Cattedrale siro-cattolica di Bagdad, che ha causato decine di morti e feriti fra i fedeli che erano riuniti per la Santa Messa domenicale.
In Cina Don Joseph Zhang Shulai, vicario generale della diocesi di Ningxia, e Suor Maria Wei Yanhui, della stessa diocesi, sono stati uccisi nella Casa per anziani a Wuhai, distretto di Wuda, nella Mongolia interna, da un laico che si era voluto vendicare in quanto era stato licenziato.
In India Don Peter Bombacha è stato assassinato da sconosciuti nell’ashram da lui fondato a Baboola, a circa un chilometro dalla residenza del Vescovo di Vasai, antico centro abitato vicino a Mumbai (India). Il suo corpo era in un lago di sangue, aveva una corda al collo e un paio di forbici infilzate nella gola.
AFRICA
Un sacerdote ed un seminarista sono rimasti uccisi in Africa, entrambi nella Repubblica Democratica del Congo. Don Christian Bakulene stava tornando, insieme ad un amico, nella sua parrocchia nel nord Kivu quando due uomini armati, in uniforme militare, lo hanno bloccato e ucciso dopo aver sottratto il denaro al suo amico. Il seminarista gesuita di nazionalità togolese, Nicolas Eklou Komla, è stato ucciso alla periferia della capitale, Kinshasa, mentre stava rientrando allo scolasticato con alcuni amici. Un uomo armato e mascherato li ha fermati, probabilmente per rapinarli, e nella discussione che ne è nata il bandito ha sparato alcuni colpi di arma da fuoco che hanno colpito a morte il seminarista.
CENNI BIOGRAFICI E CIRCOSTANZE DELLA MORTE
Don José Luis Parra Puerto, 50 anni, è stato assassinato in Messico il 17 febbraio 2010, mercoledì delle ceneri, dopo essere stato derubato del furgoncino su cui viaggiava. Padre José Luis Parra e un suo accompagnatore sono stati costretti da alcuni sconosciuti a uscire da un negozio dove si trovavano. Durante l’aggressione il sacerdote è stato ferito alla testa, subito dopo i malviventi hanno portato via il furgoncino con il sacerdote ferito, mentre l'accompagnatore è stato fatto scendere, così ha chiesto aiuto alle forze di sicurezza. Il cadavere di don Parra Puerto è stato rinvenuto all'interno del furgoncino in località Netzahualcóyotl. Originario di Merida, era vicario della Chiesa del Sagrario Metropolitano di Città del Messico e Cappellano dei Cavalieri di Colombo. Mons. Antonio Ortega Franco, Vescovo ausiliare dell'Arcidiocesi di Mexico, durante l'omelia ai funerali ha ricordato don José Luis Parra come un sacerdote esemplare e un buon samaritano, che per tutta la sua vita si è dedicato a costruire con gli altri sacerdoti un progetto vivo di pastorale sociale.
Don Dejair Gonçalves de Almeida, 32 anni, è morto martedì 16 marzo 2010 alle ore 7 del mattino presso l'Ospedale San Giovanni Battista a Volta Redonda, circa 80 km da Rio de Janeiro (Brasile), per le conseguenze di una aggressione. Domenica 14 marzo, il sacerdote era stato aggredito mentre tornava a Volta Redonda dalla Comunità ecclesiale “Signore Buon Gesù”, nel quartiere Agua Limpa. Insieme a lui era l'ex-seminarista Epaminondas Marques da Silva, 26 anni, che è morto colpito alla testa. Secondo le informazioni della Diocesi di Barra do Pirai a Volta Redonda, padre Dejair e Epaminondas erano stati rapiti e portati in canonica nelle prime ore di domenica 14 marzo. I rapitori volevano soldi e, poiché non hanno trovato nulla, hanno colpito alla testa i due. L'ex seminarista è morto all'istante e il sacerdote ha subito un intervento chirurgico, cui però non è sopravvissuto. L'ex seminarista era stato coordinatore della Comunità Ecclesiale di Santa Cruz. Padre Dejair Gonçalves de Almeida era nato ad Arantina (MG), era Cancelliere della Diocesi e assessore dell'Apostolato Diocesano della Preghiera. Aveva svolto il ministero sacerdotale nella zona Nostra Signora delle Grazie, aveva servito otto Comunità Ecclesiali.
Sabato 20 marzo 2010, Luis Enrique Pineda, coadiutore salesiano dell’Ispettoria “San Pietro Claver” di Colombia-Bogotá (COB), è stato assassinato nella capitale, Bogotà, alle 8 di sera. Mentre si recava a far visita ai suoi familiari è stato aggredito da tre malfattori che lo hanno derubato e poi accoltellato, lasciandolo a terra. Nonostante le ferite, è riuscito a fermare un taxi e a chiedere di essere portato al pronto soccorso dove poi è deceduto. Luis Enrique Pineda era nato il 24 maggio 1953 ad Otanche–Boyacá, ed aveva emesso la prima professione religiosa a Rionegro, Antioquia, il 24 gennaio 1977. Per essere professionalmente competente e mettersi al servizio dei giovani, si era laureato in Psicologia. E’ stato autore di varie ricerche e di studi da lui realizzati per aiutare i ragazzi ad elaborare un progetto di vita coerente.
Il corpo senza vita di don Román de Jesús Zapata, colombiano, è stato trovato il 24 marzo 2010 nella canonica della parrocchia della giurisdizione di Currulao, a Turbo, a circa 500 km dalla capitale, Bogotà, dove era parroco. Il sacerdote diocesano, 51 anni, è stato trovato nel bagno, con le mani legate e con metà del corpo coperta da un lenzuolo, il che fa presumere alle autorità che sia morto per asfissia. Secondo i familiari, il religioso non aveva ricevuto minacce di morte. Il corpo senza vita del sacerdote è stato trovato dalla donna incaricata di suonare le campane, che non lo aveva visto arrivare per la Messa del mattino ed era andata a cercarlo.
Il sacerdote di origine statunitense p. Esteban Robert Wood, 68 anni, parroco della Parrocchia “Sagrada Familia” a Puerto Ordaz, è stato assassinato la sera di mercoledì 28 aprile 2010 presso la casa parrocchiale nel quartiere Unare, a Puerto Ordaz, nello stato di Bolivar, in Venezuela. Il sacerdote era originario di Vancouver, nello stato di Washington (Stati Uniti d'America) ed ha vissuto più di 23 anni in Venezuela. Uno degli operai che lavorano in parrocchia ha trovato il sacerdote morto, con delle ferite provocate da un coltello. Sia il Vescovo che la stampa locale attribuiscono l'omicidio a una rapina perpetrata da sconosciuti e finita con l'assassinio del sacerdote. Chi lo ha conosciuto ricorda p. Wood come “una persona eccellente e molto umile”, “impegnato per la comunità e lavorava molto, anche per i progetti di Ciudad Guayana”. Poche settimane prima dell’atto criminiale aveva iniziato una “Campagna per la difesa della Vita e della Pace”, contro quella violenza di cui è stato vittima.
P. Peter Bombacha, 74 anni, è stato assassinato da sconosciuti nella notte del 28 aprile 2010 nell’ashram da lui fondato a Baboola, a circa un chilometro dalla residenza del Vescovo di Vasai, antico centro abitato vicino a Mumbai (India). Il corpo di p. Peter era in un lago di sangue, aveva una corda al collo e forbici infilzate nella gola. Secondo il Vescovo, Mons. Felix Machado, “P. Peter aveva creato e gestiva, grazie alla collaborazione di alcuni laici, una casa di recupero per alcolisti. Era originario di Vasai e veniva da una comunità di pescatori: per questo il suo nome era ‘Pietro’. Era ben voluto e stimato da tutti. Non abbiamo idea dei motivi dell’assassinio: forse un furto o forse qualcuno ce l’aveva con lui” dice il Vescovo, escludendo la pista delle violenze dei fondamentalisti indù: “Non pensiamo a gruppi estremisti indù. Prima di tutto perché in questa zona non ve ne sono. Anzi, le relazioni con la comunità indù sul territorio sono ottime. Molti fedeli indù sono venuti oggi a manifestare sconcerto e solidarietà”.
Padre Rubens Almeida Gonçalves, 35 anni, è stato assassinato mentre si trovava nella sua parrocchia di Nostra Signora dell’Immacolata Concezione, nella città di Campo Belos (GO), diocesi brasiliana di Porto Nacional. Secondo la ricostruzione, padre Rubens de Almeida Gonçalves è stato colpito a morte con un colpo di pistola sparato alla testa il 20 maggio ed è spirato il giorno dopo a Brasilia, dove era stato ricoverato. Sercondo alcuni testimoni all’origine del delitto ci sarebbe la richiesta di affitto della sala parrocchiale che il sacerdote avrebbe negato all’uomo che poi gli ha sparato uccidendolo. Noto per il suo impegno tra i poveri e gli emarginati “p. Rubens è morto nel pieno esercizio del suo ministero sacerdotale, che è sempre stato segnato dallo zelo missionario e dalla fede nel Cristo risorto. Tutte le comunità per le quali egli ha lavorato, hanno offerto la loro testimonianza sull'impegno appassionato con cui ha esercitato la sua missione di evangelizzazione” afferma la nota firmata da P. Paulo Sérgio Maya Barbosa, Cancelliere della Curia Diocesana.
Sua Ecc. Mons. Luigi Padovese, Vicario apostolico dell'Anatolia e Presidente della Conferenza Episcopale Turca, è stato assassinato a coltellate dal suo autista nella sua abitazione a Iskenderun (Turchia), il 3 giugno 2010. Nato a Milano il 31 marzo del 1947, Padovese era entrato nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini il 3 ottobre 1964. Ordinato sacerdote il 16 giugno 1973, era stato professore titolare della cattedra di Patristica alla Pontificia Università dell'Antonianum e per sedici anni direttore dell'Istituto di Spiritualità nella medesima università. Ha ricoperto una cattedra anche alla Pontificia Università Gregoriana e alla Pontificia Accademia Alfonsiana. Per 10 anni è stato poi visitatore del Collegio Orientale di Roma per la Congregazione delle Chiese Orientali. L’11 agosto 2004 era stato nominato Vicario apostolico dell'Anatolia e consacrato Vescovo.
Il Seminarista Mario Dayvit Pinheiro Reis, 31 anni, dell’Arcidiocesi di Sao Luis (Brasile), è stato ucciso nella capitale la sera del 4 luglio 2010, colpito da un proiettile che lo ha raggiunto all’addome. Intorno alle ore 20,30 si trovava di fronte alla abitazione della famiglia, in macchina con sua nonna, quando è stato avvicinato da due rapinatori, che li hanno costretti ad uscire fuori dalla macchina. Dopo aver consegnato le chiavi, all’improvviso è stato raggiunto dal colpo di arma da fuoco sparato da uno dei malviventi che gli ha reciso l’aorta e raggiunto un polmone. Trasportato in ospedale, è morto intorno alle 21,30. Studente del quarto anno di teologia, sarebbe stato ordinato diacono l’anno prossimo ed avrebbe dovuto recarsi in Francia per gli studi biblici. Durante la messa funebre, l’Arcivescovo José da Silva Belisario, nella sua omelia ha sottolineato che pur essendo ancora piuttosto giovane, Mario ha dato una vera testimonianza di fede e di impegno per il sacerdozio, e attendeva con grande trepidazione l’ordinazione diaconale.
Don Joseph Zhang Shulai, 55 anni, vicario generale della diocesi di Ningxia, e suor Maria Wei Yanhui, 32 anni, della stessa diocesi, sono stati uccisi nella Casa per anziani a Wuhai, distretto di Wuda, nella Mongolia interna. I loro corpi sono stati trovati la mattina del 6 luglio 2010 dal personale della casa: non avendoli visti arrivare per la Santa Messa, sono andati a cercarli nelle loro stanze e li hanno trovati in un lago di sangue. Il corpo del sacerdote, trovato nella sua stanza al piano terreno, presentava numerose ferite da arma da taglio e c’erano evidenti i segni di una lotta, mentre la suora è stata uccisa nella sua camera al piano superiore, con un solo fendente, al petto. La religiosa era la direttrice della Casa per anziani, che accoglie una sessantina di persone, uomini e donne. La polizia ha arrestato nei giorni seguenti l’assassino: un laico che era stato licenziato dalla Casa per anziani e per questo si era voluto vendicare.
Don Carlos Salvador Wotto, 83 anni, parroco della chiesa di Nuestra Señora de las Nieves, nello stato di Oaxaca al sud del Messico, è stato trovato morto nella sua parrocchia la sera del 28 luglio 2010. Il sacerdote era stato imbavagliato e legato, aveva bruciature di sigaretta sulle braccia e segni di tagli su diversi parte del corpo, ma la morte è avvenuta per soffocamento perché aveva una busta di plastica sul viso. Il sagrestano della parrocchia, scoperto il corpo, ha chiamato un’ambulanza, ma i soccorsi sono stati inutili perché il parroco era già morto. La città di Oaxaca è spesso scenario di scontri delle diverse bande tra i cartelli del narcotraffico e le autorità statali del Messico.
In una situazione molto confusa è morto il sacerdote Herminio Calero Alumia, 36 anni, nativo di Buenaventura, parroco della chiesa di Santiago de la Atalaya, nella città di Bosa (Colombia). L'incidente è avvenuto intorno alle 03.00 di venerdì 20 agosto 2010 sulla strada tra Bogotà e Soacha, nella zona chiamata Quintanares. Ci sono diverse versioni del fatto, secondo alcune fonti il sacerdote viaggiava in un taxi con altre persone, quando il veicolo è stato fermato ad un posto di blocco della polizia ed è nato un diverbio tra una delle persone e un agente di polizia, l'agente ha tirato fuori la pistola ed è partito un colpo accidentalmente, che ha ucciso il sacerdote all'istante. Secondo altre versioni, gli uomini che viaggiavano con il sacerdote erano ubriachi, e nel tafferuglio seguito al controllo della polizia hanno cercato di aggredire l'agente e rubargli la pistola quando è accaduto il tragico evento. Padre Reynaldo Vargas, Cancelliere della diocesi di Soacha, ha ricordato che padre Calero era “un uomo molto tranquillo”.
Fra Linán Ruiz Morales, OFM, 80 anni, è stato trovato morto la mattina di venerdì 27 agosto 2010 nella sua camera da letto, situata al primo piano del convento di San Francisco, ubicato nel centro della capitale peruviana, con una serie di tagli sul collo. Il corpo del suo collaboratore, Ananias Aguila, 26 anni, è stato trovato nella cucina a fianco della chiesa, dove c'è una mensa per le persone bisognose, anch’egli colpito da numerose coltellate. Secondo il rapporto della polizia, quando i delinquenti sono entrati nella casa parrocchiale molto probabilmente il sacerdote si è accorto della loro presenza, la stanza del sacerdote infatti era a soqquadro e la cassaforte aperta e vuota. Padre Ruiz, di nazionalità portoricana, nel 1978 giunse in Perù a proporre il Movimento "Encuentros de Promoción Juvenil" ai giovani, un tipo di pastorale giovanile che lo fece conoscere ed amare da molti giovani dell'Arcidiocesi di Lima. Negli ultimi anni si era dedicato in particolare ai più poveri: la mensa della quale era incaricato dava da mangiare a 1.200 fra bambini e anziani molto bisognosi che venivano da diverse parti della città.
Julien Kénord, 27 anni, operatore della Caritas svizzera, è stato ucciso a Port-au-Prince, la capitale di Haiti, l’8 ottobre 2010, in seguito ad un tentativo di rapina. Aveva infatti appena riscosso un assegno di 2.000 dollari in una banca locale, quando è stato aggredito a colpi di arma da fuoco da sconosciuti mentre era nella sua macchina. Trasportato in ospedale, è morto poco dopo a causa delle ferite riportate. La Segretaria generale di Caritas Internationalis, Lesley-Anne Knight, ha affermato che era “un collaboratore molto leale e dedito al suo lavoro. Aveva aiutato le vittime del terremoto a ricostruire la loro vita”. La Caritas lavora ad Haiti da molto tempo, e subito dopo la tragedia del terremoto del 12 gennaio 2010 ha fornito viveri, acqua, medicine, assistenza sanitaria e sostegno alla popolazione disastrata. Julien aveva perso la sorella nel terremoto del 12 gennaio.
D. Wasim Sabieh e d. Thaier Saad Abdal, sono rimasti uccisi la sera del 31 ottobre 2010 durante il gravissimo attentato compiuto nella Cattedrale siro-cattolica di Bagdad, che ha causato decine di morti e feriti fra i fedeli che erano riuniti per la Santa Messa domenicale. Un terzo sacerdote è rimasto gravemente ferito. Secondo il racconto dei testimoni, p. Thaier ha detto ai terroristi che hanno fatto irruzione in chiesa: “uccidete me, non questa famiglia con bambini” facendo loro scudo col suo corpo. I due sacerdoti morti, nemmeno trentenni, erano molto attivi nell’apostolato biblico, nel dialogo interreligioso e nella carità. P. Thaier era responsabile di un Centro di Studi Islamici, mentre p. Wasim era molto impegnato nell’aiuto alle famiglie povere.
Don Christian Bakulene, parroco di Saint Jean-Baptiste de Kanyabayonga a sud di Butembo, nel territorio di Lubero, nel nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, è stato assassinato l’8 novembre 2010. Il sacerdote stava tornando in motocicletta, insieme ad un amico, nella sua parrocchia quando, all’altezza del villaggio di Mapere, due uomini armati, in uniforme militare, lo hanno bloccato. Il malfattore in uniforme ha domandato: “Chi di voi è il parroco”. Don Bakulene ha risposto “Sono io”. Dopo aver sottratto del denaro all’accompagnatore del sacerdote, il bandito ha ucciso con diversi colpi don Bakulene. Prima della moto di don Bakulene, l’assassinio aveva fermato altre motociclette, e agli occupanti era stata rivolta la stessa domanda: “sei tu il prete?”. Si tratterebbe dunque di un omicidio mirato, mascherato da rapina di strada degenerata in assassinio.
Don Bernardo Muniz Rabelo Amaral, 28 anni, viceparroco nella città di Humberto de Campos (Brasile), è morto verso le 21 di sabato 20 novembre 2010 nell’ospedale della città, dove era stato trasportato in seguito all’aggressione di un uomo a cui aveva dato un passaggio sulla sua automobile. Il sacerdote è stato raggiunto al collo e al torace da alcuni colpi di arma da fuoco sparati dal malvivente che si è poi impossessato del veicolo, di più di 400 dollari brasiliani e del telefono cellulare del sacerdote. Quando è stato soccorso, il sacerdote era ancora cosciente. Portato all'ospedale, non ha resistito alla gravità delle ferite. Quinto di sei fratelli, era stato ordinato sacerdote il 5 settembre di quest'anno.
Il seminarista gesuita di nazionalità togolese, Nicolas Eklou Komla, è stato ucciso domenica 5 dicembre 2010 sulla strada Belair di Mont Ngafula, alla periferia di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo. Nella notte tra il 4 e il 5 dicembre, il seminarista stava rientrando a piedi con alcuni colleghi allo scolasticato gesuita “St Pierre Canisius” di Kimwenza, quando un uomo armato e mascherato ha bloccato il loro cammino, probabilmente per rapinarli. Ne è una nata una discussione che è presto degenerata: il bandito ha sparato alcuni colpi di arma da fuoco che hanno colpito il seminarista, che è deceduto alcune ore dopo. Nicolas Eklou Komla era nato il 4 giugno 1985 in Togo, ed era entrato nella Compagnia di Gesù il 7 ottobre 2008. Aveva emesso i primi voti il 2 ottobre 2010. Nicolas Eklou Komla era giunto nella RDC due mesi fa per studiare filosofia.
P. Miroslaw Karczewski, 45 anni, polacco, sacerdote dei Frati Minori Conventuali (OFM conv), è stato ucciso nel pomeriggio di lunedì 6 dicembre 2010 nella canonica della parrocchia di Sant'Antonio da Padova a Santo Domingo de Los Colorados (Ecuador), nella parte nord del paese, a circa 300 km da Quito. Il sacerdote, che da cinque anni svolgeva il suo ministero presso questa parrocchia, doveva celebrare la Messa alle ore 19, ma non si è presentato, così i parrocchiani sono andati a cercarlo a casa, e lo hanno trovato morto, con ferite sul collo e su altre parti del corpo. Dopo averlo ucciso, colpendolo con un grande crocifisso, i malviventi hanno rubato cellulare e computer del sacerdote. La polizia ha riferito che il sacerdote era già stato aggredito un anno fa, in casa sua, e aveva visto in faccia i criminali che avevano minacciato di ucciderlo se li avesse denunciati.
30 dicembre 2010
“Il nostro mondo continua ad essere segnato dalla violenza, specialmente contro i discepoli di Cristo”
Papa Benedetto XVI, 26 dicembre 2010)
GLI OPERATORI PASTORALI UCCISI NELL’ANNO 2010
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Come è consuetudine, l’Agenzia Fides pubblica alla fine dell’anno l’elenco degli operatori pastorali che hanno perso la vita in modo violento nel corso degli ultimi 12 mesi. Secondo le informazioni in nostro possesso, nell’anno 2010 sono stati uccisi 23 operatori pastorali: 1 Vescovo, 15 sacerdoti, 1 religioso, 1 religiosa, 2 seminaristi, 3 laici.
Analizzando l’elenco per continente, anche quest’anno figura al primo posto, con un numero estremamente elevato, l’AMERICA, bagnata dal sangue di 15 operatori pastorali: 10 sacerdoti, 1 religioso, 1 seminarista, 3 laici. Segue l’ASIA, con 1 Vescovo, 4 sacerdoti e 1 religiosa uccisi. Infine l’AFRICA, dove hanno perso la vita in modo violento un sacerdote ed un seminarista.
Il conteggio di Fides non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma tutti gli operatori pastorali morti in modo violento. Non usiamo di proposito il termine “martiri”, se non nel suo significato etimologico di “testimone”, per non entrare in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro, e anche per la scarsità di notizie che, nella maggior parte dei casi, si riescono a raccogliere sulla loro vita e perfino sulle circostanze della loro morte. A tale proposito registriamo, nell’anno che si conclude, l’apertura del processo di beatificazione del sacerdote Fidei donum don Daniele Badiali, originario della diocesi di Faenza (Italia), ucciso in Perù nel 1997, e la beatificazione del polacco p. Jerzy Popieluszko, martire, ucciso in odio alla fede il 20 ottobre 1984 nei pressi di Wroclawek, in Polonia.
Il martirio è “una forma di amore totale a Dio”, si fonda “sulla morte di Gesù, sul suo sacrificio supremo d’amore, consumato sulla croce affinchè noi potessimo avere la vita”, e la forza per affrontarlo viene “dalla profonda e intima unione con Cristo, perché il martirio e la vocazione al martirio non sono il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta ad un’iniziativa e ad una chiamata di Dio, sono un dono della Sua grazia, che rende capaci di offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa, e così al mondo” (Benedetto XVI, udienza generale 11 agosto 2010).
Le scarne note biografiche di questi fratelli e sorelle uccisi ci fanno comprendere come abbiano offerto tutta la loro vita, quasi sempre nel silenzio e nell’umiltà del lavoro quotidiano, “per amore a Cristo e alla Chiesa, e così al mondo”. Il loro impegno radicale e totale era l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo, fatto non solo a parole ma con la testimonianza della propria vita, in situazioni di sofferenza, di povertà, di tensione, di violenza… senza discriminazioni di alcun tipo, ma con l’unico obiettivo di rendere concreto l’amore del Padre e promuovere l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio.
Alcuni sono stati vittime di quella violenza che combattevano o della disponibilità ad aiutare gli altri nelle piccole difficoltà quotidiane, mettendo in secondo piano la propria sicurezza. Anche quest’anno molti sono stati uccisi in tentativi di rapina o di sequestro finiti male, sorpresi nelle loro abitazioni da banditi alla ricerca di tesori immaginari. Altri ancora sono stati eliminati solo perché nel nome di Cristo opponevano l’amore all’odio, la speranza alla disperazione, il dialogo alla contrapposizione violenta, il diritto al sopruso.
“Il nostro mondo continua ad essere segnato dalla violenza, specialmente contro i discepoli di Cristo” ha detto Papa Benedetto XVI (Angelus del 26 dicembre 2010), ricordando come “la terra si è macchiata di sangue” in diverse parti del mondo, colpendo persino le comunità cattoliche riunite in preghiera nei luoghi di culto. A questo elenco provvisorio stilato annualmente dall’Agenzia Fides, deve quindi essere sempre aggiunta la lunga lista dei tanti di cui forse non si avrà mai notizia, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano anche con la vita la loro fede in Cristo. Si tratta di quella “nube di militi ignoti della grande causa di Dio” - secondo l’espressione di Papa Giovanni Paolo II - a cui guardiamo con gratitudine e venerazione, pur senza conoscerne i volti, senza i quali la Chiesa e il mondo sarebbero enormemente più poveri.
PANORAMA DEI CONTINENTI
AMERICA
In America sono stati uccisi 15 operatori pastorali: 10 sacerdoti, 1 religioso, 1 seminarista, 3 laici. Sono stati uccisi in Brasile (5), Colombia (3), Messico (2), Perù (2), Venezuela, Haiti, Ecuador.
In Brasile, che anche quest’anno conta il maggior numero di operatori pastorali uccisi, hanno trovato la morte Don Dejair Gonçalves de Almeida e il laico Epaminondas Marques da Silva, aggrediti nella canonica da banditi in cerca di denaro; Don Rubens Almeida Gonçalves, assassinato nella sua parrocchia probabilmente per un diverbio con una persona a cui avrebbe negato l’affitto della sala parrocchiale; il seminarista Mario Dayvit Pinheiro Reis, ucciso da rapinatori che volevano impossessarsi della sua automobile; Don Bernardo Muniz Rabelo Amaral, aggredito da un uomo a cui aveva dato un passaggio.
In Colombia hanno trovato la morte Don Román de Jesús Zapata, ucciso durante la notte nella canonica della sua parrocchia; Don Herminio Calero Alumia, morto durante una discussione ad un posto di blocco della polizia; Luis Enrique Pineda, coadiutore salesiano, che è stato derubato e poi accoltellato.
In Messico sono morti Don José Luis Parra Puerto, assassinato dopo essere stato derubato del furgoncino su cui viaggiava; Don Carlos Salvador Wotto, trovato nella sua parrocchia imbavagliato e legato, con bruciature di sigaretta sulle braccia e segni di tagli in diverse parti del corpo.
In Perù sono stati vittime di malviventi entrati nel convento per rubare Fra Linán Ruiz Morales, OFM, ed il suo collaboratore, Ananias Aguila: il corpo del primo è stato rinvenuto nella sua camera da letto, messa a soqquadro, il secondo nella cucina a fianco della chiesa, dove c'è la mensa per i poveri.
In Venezuela ha trovato la morte Don Esteban Robert Wood: l'omicidio è stato attribuito ad una rapina perpetrata da sconosciuti e finita con l'assassinio. In Ecuador il corpo del missionario polacco P. Miroslaw Karczewski è stato rinvenuto nella canonica della sua parrocchia, con ferite sul collo e su altre parti del corpo. Dopo averlo ucciso, colpendolo con un grande crocifisso, i malviventi hanno rubato cellulare e computer. Ad Haiti l’operatore della Caritas Julien Kénord, è stato ucciso in seguito ad un tentativo di rapina. Aveva infatti appena riscosso un assegno in una banca locale, quando è stato aggredito a colpi di arma da fuoco da sconosciuti.
ASIA
Nel 2010 si registrano in Asia 6 operatori pastorali uccisi: 1 Vescovo, 4 sacerdoti, 1 religiosa. Hanno trovato la morte in Iraq (2), Cina (2), India, Turchia.
In Turchia è stato assassinato a coltellate dal suo autista, mentre era nella sua abitazione a Iskenderun, Sua Ecc. Mons. Luigi Padovese, Vicario apostolico dell'Anatolia e Presidente della Conferenza Episcopale Turca. In Iraq Don Wasim Sabieh e Don Thaier Saad Abdal sono rimasti uccisi durante l’ attentato nella Cattedrale siro-cattolica di Bagdad, che ha causato decine di morti e feriti fra i fedeli che erano riuniti per la Santa Messa domenicale.
In Cina Don Joseph Zhang Shulai, vicario generale della diocesi di Ningxia, e Suor Maria Wei Yanhui, della stessa diocesi, sono stati uccisi nella Casa per anziani a Wuhai, distretto di Wuda, nella Mongolia interna, da un laico che si era voluto vendicare in quanto era stato licenziato.
In India Don Peter Bombacha è stato assassinato da sconosciuti nell’ashram da lui fondato a Baboola, a circa un chilometro dalla residenza del Vescovo di Vasai, antico centro abitato vicino a Mumbai (India). Il suo corpo era in un lago di sangue, aveva una corda al collo e un paio di forbici infilzate nella gola.
AFRICA
Un sacerdote ed un seminarista sono rimasti uccisi in Africa, entrambi nella Repubblica Democratica del Congo. Don Christian Bakulene stava tornando, insieme ad un amico, nella sua parrocchia nel nord Kivu quando due uomini armati, in uniforme militare, lo hanno bloccato e ucciso dopo aver sottratto il denaro al suo amico. Il seminarista gesuita di nazionalità togolese, Nicolas Eklou Komla, è stato ucciso alla periferia della capitale, Kinshasa, mentre stava rientrando allo scolasticato con alcuni amici. Un uomo armato e mascherato li ha fermati, probabilmente per rapinarli, e nella discussione che ne è nata il bandito ha sparato alcuni colpi di arma da fuoco che hanno colpito a morte il seminarista.
CENNI BIOGRAFICI E CIRCOSTANZE DELLA MORTE
Don José Luis Parra Puerto, 50 anni, è stato assassinato in Messico il 17 febbraio 2010, mercoledì delle ceneri, dopo essere stato derubato del furgoncino su cui viaggiava. Padre José Luis Parra e un suo accompagnatore sono stati costretti da alcuni sconosciuti a uscire da un negozio dove si trovavano. Durante l’aggressione il sacerdote è stato ferito alla testa, subito dopo i malviventi hanno portato via il furgoncino con il sacerdote ferito, mentre l'accompagnatore è stato fatto scendere, così ha chiesto aiuto alle forze di sicurezza. Il cadavere di don Parra Puerto è stato rinvenuto all'interno del furgoncino in località Netzahualcóyotl. Originario di Merida, era vicario della Chiesa del Sagrario Metropolitano di Città del Messico e Cappellano dei Cavalieri di Colombo. Mons. Antonio Ortega Franco, Vescovo ausiliare dell'Arcidiocesi di Mexico, durante l'omelia ai funerali ha ricordato don José Luis Parra come un sacerdote esemplare e un buon samaritano, che per tutta la sua vita si è dedicato a costruire con gli altri sacerdoti un progetto vivo di pastorale sociale.
Don Dejair Gonçalves de Almeida, 32 anni, è morto martedì 16 marzo 2010 alle ore 7 del mattino presso l'Ospedale San Giovanni Battista a Volta Redonda, circa 80 km da Rio de Janeiro (Brasile), per le conseguenze di una aggressione. Domenica 14 marzo, il sacerdote era stato aggredito mentre tornava a Volta Redonda dalla Comunità ecclesiale “Signore Buon Gesù”, nel quartiere Agua Limpa. Insieme a lui era l'ex-seminarista Epaminondas Marques da Silva, 26 anni, che è morto colpito alla testa. Secondo le informazioni della Diocesi di Barra do Pirai a Volta Redonda, padre Dejair e Epaminondas erano stati rapiti e portati in canonica nelle prime ore di domenica 14 marzo. I rapitori volevano soldi e, poiché non hanno trovato nulla, hanno colpito alla testa i due. L'ex seminarista è morto all'istante e il sacerdote ha subito un intervento chirurgico, cui però non è sopravvissuto. L'ex seminarista era stato coordinatore della Comunità Ecclesiale di Santa Cruz. Padre Dejair Gonçalves de Almeida era nato ad Arantina (MG), era Cancelliere della Diocesi e assessore dell'Apostolato Diocesano della Preghiera. Aveva svolto il ministero sacerdotale nella zona Nostra Signora delle Grazie, aveva servito otto Comunità Ecclesiali.
Sabato 20 marzo 2010, Luis Enrique Pineda, coadiutore salesiano dell’Ispettoria “San Pietro Claver” di Colombia-Bogotá (COB), è stato assassinato nella capitale, Bogotà, alle 8 di sera. Mentre si recava a far visita ai suoi familiari è stato aggredito da tre malfattori che lo hanno derubato e poi accoltellato, lasciandolo a terra. Nonostante le ferite, è riuscito a fermare un taxi e a chiedere di essere portato al pronto soccorso dove poi è deceduto. Luis Enrique Pineda era nato il 24 maggio 1953 ad Otanche–Boyacá, ed aveva emesso la prima professione religiosa a Rionegro, Antioquia, il 24 gennaio 1977. Per essere professionalmente competente e mettersi al servizio dei giovani, si era laureato in Psicologia. E’ stato autore di varie ricerche e di studi da lui realizzati per aiutare i ragazzi ad elaborare un progetto di vita coerente.
Il corpo senza vita di don Román de Jesús Zapata, colombiano, è stato trovato il 24 marzo 2010 nella canonica della parrocchia della giurisdizione di Currulao, a Turbo, a circa 500 km dalla capitale, Bogotà, dove era parroco. Il sacerdote diocesano, 51 anni, è stato trovato nel bagno, con le mani legate e con metà del corpo coperta da un lenzuolo, il che fa presumere alle autorità che sia morto per asfissia. Secondo i familiari, il religioso non aveva ricevuto minacce di morte. Il corpo senza vita del sacerdote è stato trovato dalla donna incaricata di suonare le campane, che non lo aveva visto arrivare per la Messa del mattino ed era andata a cercarlo.
Il sacerdote di origine statunitense p. Esteban Robert Wood, 68 anni, parroco della Parrocchia “Sagrada Familia” a Puerto Ordaz, è stato assassinato la sera di mercoledì 28 aprile 2010 presso la casa parrocchiale nel quartiere Unare, a Puerto Ordaz, nello stato di Bolivar, in Venezuela. Il sacerdote era originario di Vancouver, nello stato di Washington (Stati Uniti d'America) ed ha vissuto più di 23 anni in Venezuela. Uno degli operai che lavorano in parrocchia ha trovato il sacerdote morto, con delle ferite provocate da un coltello. Sia il Vescovo che la stampa locale attribuiscono l'omicidio a una rapina perpetrata da sconosciuti e finita con l'assassinio del sacerdote. Chi lo ha conosciuto ricorda p. Wood come “una persona eccellente e molto umile”, “impegnato per la comunità e lavorava molto, anche per i progetti di Ciudad Guayana”. Poche settimane prima dell’atto criminiale aveva iniziato una “Campagna per la difesa della Vita e della Pace”, contro quella violenza di cui è stato vittima.
P. Peter Bombacha, 74 anni, è stato assassinato da sconosciuti nella notte del 28 aprile 2010 nell’ashram da lui fondato a Baboola, a circa un chilometro dalla residenza del Vescovo di Vasai, antico centro abitato vicino a Mumbai (India). Il corpo di p. Peter era in un lago di sangue, aveva una corda al collo e forbici infilzate nella gola. Secondo il Vescovo, Mons. Felix Machado, “P. Peter aveva creato e gestiva, grazie alla collaborazione di alcuni laici, una casa di recupero per alcolisti. Era originario di Vasai e veniva da una comunità di pescatori: per questo il suo nome era ‘Pietro’. Era ben voluto e stimato da tutti. Non abbiamo idea dei motivi dell’assassinio: forse un furto o forse qualcuno ce l’aveva con lui” dice il Vescovo, escludendo la pista delle violenze dei fondamentalisti indù: “Non pensiamo a gruppi estremisti indù. Prima di tutto perché in questa zona non ve ne sono. Anzi, le relazioni con la comunità indù sul territorio sono ottime. Molti fedeli indù sono venuti oggi a manifestare sconcerto e solidarietà”.
Padre Rubens Almeida Gonçalves, 35 anni, è stato assassinato mentre si trovava nella sua parrocchia di Nostra Signora dell’Immacolata Concezione, nella città di Campo Belos (GO), diocesi brasiliana di Porto Nacional. Secondo la ricostruzione, padre Rubens de Almeida Gonçalves è stato colpito a morte con un colpo di pistola sparato alla testa il 20 maggio ed è spirato il giorno dopo a Brasilia, dove era stato ricoverato. Sercondo alcuni testimoni all’origine del delitto ci sarebbe la richiesta di affitto della sala parrocchiale che il sacerdote avrebbe negato all’uomo che poi gli ha sparato uccidendolo. Noto per il suo impegno tra i poveri e gli emarginati “p. Rubens è morto nel pieno esercizio del suo ministero sacerdotale, che è sempre stato segnato dallo zelo missionario e dalla fede nel Cristo risorto. Tutte le comunità per le quali egli ha lavorato, hanno offerto la loro testimonianza sull'impegno appassionato con cui ha esercitato la sua missione di evangelizzazione” afferma la nota firmata da P. Paulo Sérgio Maya Barbosa, Cancelliere della Curia Diocesana.
Sua Ecc. Mons. Luigi Padovese, Vicario apostolico dell'Anatolia e Presidente della Conferenza Episcopale Turca, è stato assassinato a coltellate dal suo autista nella sua abitazione a Iskenderun (Turchia), il 3 giugno 2010. Nato a Milano il 31 marzo del 1947, Padovese era entrato nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini il 3 ottobre 1964. Ordinato sacerdote il 16 giugno 1973, era stato professore titolare della cattedra di Patristica alla Pontificia Università dell'Antonianum e per sedici anni direttore dell'Istituto di Spiritualità nella medesima università. Ha ricoperto una cattedra anche alla Pontificia Università Gregoriana e alla Pontificia Accademia Alfonsiana. Per 10 anni è stato poi visitatore del Collegio Orientale di Roma per la Congregazione delle Chiese Orientali. L’11 agosto 2004 era stato nominato Vicario apostolico dell'Anatolia e consacrato Vescovo.
Il Seminarista Mario Dayvit Pinheiro Reis, 31 anni, dell’Arcidiocesi di Sao Luis (Brasile), è stato ucciso nella capitale la sera del 4 luglio 2010, colpito da un proiettile che lo ha raggiunto all’addome. Intorno alle ore 20,30 si trovava di fronte alla abitazione della famiglia, in macchina con sua nonna, quando è stato avvicinato da due rapinatori, che li hanno costretti ad uscire fuori dalla macchina. Dopo aver consegnato le chiavi, all’improvviso è stato raggiunto dal colpo di arma da fuoco sparato da uno dei malviventi che gli ha reciso l’aorta e raggiunto un polmone. Trasportato in ospedale, è morto intorno alle 21,30. Studente del quarto anno di teologia, sarebbe stato ordinato diacono l’anno prossimo ed avrebbe dovuto recarsi in Francia per gli studi biblici. Durante la messa funebre, l’Arcivescovo José da Silva Belisario, nella sua omelia ha sottolineato che pur essendo ancora piuttosto giovane, Mario ha dato una vera testimonianza di fede e di impegno per il sacerdozio, e attendeva con grande trepidazione l’ordinazione diaconale.
Don Joseph Zhang Shulai, 55 anni, vicario generale della diocesi di Ningxia, e suor Maria Wei Yanhui, 32 anni, della stessa diocesi, sono stati uccisi nella Casa per anziani a Wuhai, distretto di Wuda, nella Mongolia interna. I loro corpi sono stati trovati la mattina del 6 luglio 2010 dal personale della casa: non avendoli visti arrivare per la Santa Messa, sono andati a cercarli nelle loro stanze e li hanno trovati in un lago di sangue. Il corpo del sacerdote, trovato nella sua stanza al piano terreno, presentava numerose ferite da arma da taglio e c’erano evidenti i segni di una lotta, mentre la suora è stata uccisa nella sua camera al piano superiore, con un solo fendente, al petto. La religiosa era la direttrice della Casa per anziani, che accoglie una sessantina di persone, uomini e donne. La polizia ha arrestato nei giorni seguenti l’assassino: un laico che era stato licenziato dalla Casa per anziani e per questo si era voluto vendicare.
Don Carlos Salvador Wotto, 83 anni, parroco della chiesa di Nuestra Señora de las Nieves, nello stato di Oaxaca al sud del Messico, è stato trovato morto nella sua parrocchia la sera del 28 luglio 2010. Il sacerdote era stato imbavagliato e legato, aveva bruciature di sigaretta sulle braccia e segni di tagli su diversi parte del corpo, ma la morte è avvenuta per soffocamento perché aveva una busta di plastica sul viso. Il sagrestano della parrocchia, scoperto il corpo, ha chiamato un’ambulanza, ma i soccorsi sono stati inutili perché il parroco era già morto. La città di Oaxaca è spesso scenario di scontri delle diverse bande tra i cartelli del narcotraffico e le autorità statali del Messico.
In una situazione molto confusa è morto il sacerdote Herminio Calero Alumia, 36 anni, nativo di Buenaventura, parroco della chiesa di Santiago de la Atalaya, nella città di Bosa (Colombia). L'incidente è avvenuto intorno alle 03.00 di venerdì 20 agosto 2010 sulla strada tra Bogotà e Soacha, nella zona chiamata Quintanares. Ci sono diverse versioni del fatto, secondo alcune fonti il sacerdote viaggiava in un taxi con altre persone, quando il veicolo è stato fermato ad un posto di blocco della polizia ed è nato un diverbio tra una delle persone e un agente di polizia, l'agente ha tirato fuori la pistola ed è partito un colpo accidentalmente, che ha ucciso il sacerdote all'istante. Secondo altre versioni, gli uomini che viaggiavano con il sacerdote erano ubriachi, e nel tafferuglio seguito al controllo della polizia hanno cercato di aggredire l'agente e rubargli la pistola quando è accaduto il tragico evento. Padre Reynaldo Vargas, Cancelliere della diocesi di Soacha, ha ricordato che padre Calero era “un uomo molto tranquillo”.
Fra Linán Ruiz Morales, OFM, 80 anni, è stato trovato morto la mattina di venerdì 27 agosto 2010 nella sua camera da letto, situata al primo piano del convento di San Francisco, ubicato nel centro della capitale peruviana, con una serie di tagli sul collo. Il corpo del suo collaboratore, Ananias Aguila, 26 anni, è stato trovato nella cucina a fianco della chiesa, dove c'è una mensa per le persone bisognose, anch’egli colpito da numerose coltellate. Secondo il rapporto della polizia, quando i delinquenti sono entrati nella casa parrocchiale molto probabilmente il sacerdote si è accorto della loro presenza, la stanza del sacerdote infatti era a soqquadro e la cassaforte aperta e vuota. Padre Ruiz, di nazionalità portoricana, nel 1978 giunse in Perù a proporre il Movimento "Encuentros de Promoción Juvenil" ai giovani, un tipo di pastorale giovanile che lo fece conoscere ed amare da molti giovani dell'Arcidiocesi di Lima. Negli ultimi anni si era dedicato in particolare ai più poveri: la mensa della quale era incaricato dava da mangiare a 1.200 fra bambini e anziani molto bisognosi che venivano da diverse parti della città.
Julien Kénord, 27 anni, operatore della Caritas svizzera, è stato ucciso a Port-au-Prince, la capitale di Haiti, l’8 ottobre 2010, in seguito ad un tentativo di rapina. Aveva infatti appena riscosso un assegno di 2.000 dollari in una banca locale, quando è stato aggredito a colpi di arma da fuoco da sconosciuti mentre era nella sua macchina. Trasportato in ospedale, è morto poco dopo a causa delle ferite riportate. La Segretaria generale di Caritas Internationalis, Lesley-Anne Knight, ha affermato che era “un collaboratore molto leale e dedito al suo lavoro. Aveva aiutato le vittime del terremoto a ricostruire la loro vita”. La Caritas lavora ad Haiti da molto tempo, e subito dopo la tragedia del terremoto del 12 gennaio 2010 ha fornito viveri, acqua, medicine, assistenza sanitaria e sostegno alla popolazione disastrata. Julien aveva perso la sorella nel terremoto del 12 gennaio.
D. Wasim Sabieh e d. Thaier Saad Abdal, sono rimasti uccisi la sera del 31 ottobre 2010 durante il gravissimo attentato compiuto nella Cattedrale siro-cattolica di Bagdad, che ha causato decine di morti e feriti fra i fedeli che erano riuniti per la Santa Messa domenicale. Un terzo sacerdote è rimasto gravemente ferito. Secondo il racconto dei testimoni, p. Thaier ha detto ai terroristi che hanno fatto irruzione in chiesa: “uccidete me, non questa famiglia con bambini” facendo loro scudo col suo corpo. I due sacerdoti morti, nemmeno trentenni, erano molto attivi nell’apostolato biblico, nel dialogo interreligioso e nella carità. P. Thaier era responsabile di un Centro di Studi Islamici, mentre p. Wasim era molto impegnato nell’aiuto alle famiglie povere.
Don Christian Bakulene, parroco di Saint Jean-Baptiste de Kanyabayonga a sud di Butembo, nel territorio di Lubero, nel nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, è stato assassinato l’8 novembre 2010. Il sacerdote stava tornando in motocicletta, insieme ad un amico, nella sua parrocchia quando, all’altezza del villaggio di Mapere, due uomini armati, in uniforme militare, lo hanno bloccato. Il malfattore in uniforme ha domandato: “Chi di voi è il parroco”. Don Bakulene ha risposto “Sono io”. Dopo aver sottratto del denaro all’accompagnatore del sacerdote, il bandito ha ucciso con diversi colpi don Bakulene. Prima della moto di don Bakulene, l’assassinio aveva fermato altre motociclette, e agli occupanti era stata rivolta la stessa domanda: “sei tu il prete?”. Si tratterebbe dunque di un omicidio mirato, mascherato da rapina di strada degenerata in assassinio.
Don Bernardo Muniz Rabelo Amaral, 28 anni, viceparroco nella città di Humberto de Campos (Brasile), è morto verso le 21 di sabato 20 novembre 2010 nell’ospedale della città, dove era stato trasportato in seguito all’aggressione di un uomo a cui aveva dato un passaggio sulla sua automobile. Il sacerdote è stato raggiunto al collo e al torace da alcuni colpi di arma da fuoco sparati dal malvivente che si è poi impossessato del veicolo, di più di 400 dollari brasiliani e del telefono cellulare del sacerdote. Quando è stato soccorso, il sacerdote era ancora cosciente. Portato all'ospedale, non ha resistito alla gravità delle ferite. Quinto di sei fratelli, era stato ordinato sacerdote il 5 settembre di quest'anno.
Il seminarista gesuita di nazionalità togolese, Nicolas Eklou Komla, è stato ucciso domenica 5 dicembre 2010 sulla strada Belair di Mont Ngafula, alla periferia di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo. Nella notte tra il 4 e il 5 dicembre, il seminarista stava rientrando a piedi con alcuni colleghi allo scolasticato gesuita “St Pierre Canisius” di Kimwenza, quando un uomo armato e mascherato ha bloccato il loro cammino, probabilmente per rapinarli. Ne è una nata una discussione che è presto degenerata: il bandito ha sparato alcuni colpi di arma da fuoco che hanno colpito il seminarista, che è deceduto alcune ore dopo. Nicolas Eklou Komla era nato il 4 giugno 1985 in Togo, ed era entrato nella Compagnia di Gesù il 7 ottobre 2008. Aveva emesso i primi voti il 2 ottobre 2010. Nicolas Eklou Komla era giunto nella RDC due mesi fa per studiare filosofia.
P. Miroslaw Karczewski, 45 anni, polacco, sacerdote dei Frati Minori Conventuali (OFM conv), è stato ucciso nel pomeriggio di lunedì 6 dicembre 2010 nella canonica della parrocchia di Sant'Antonio da Padova a Santo Domingo de Los Colorados (Ecuador), nella parte nord del paese, a circa 300 km da Quito. Il sacerdote, che da cinque anni svolgeva il suo ministero presso questa parrocchia, doveva celebrare la Messa alle ore 19, ma non si è presentato, così i parrocchiani sono andati a cercarlo a casa, e lo hanno trovato morto, con ferite sul collo e su altre parti del corpo. Dopo averlo ucciso, colpendolo con un grande crocifisso, i malviventi hanno rubato cellulare e computer del sacerdote. La polizia ha riferito che il sacerdote era già stato aggredito un anno fa, in casa sua, e aveva visto in faccia i criminali che avevano minacciato di ucciderlo se li avesse denunciati.
30 dicembre 2010
1 gennaio 2011
Camminare con la Chiesa 8: Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1 gennaio 2011, del Papa Benedetto XVI
LIBERTÀ RELIGIOSA, VIA PER LA PACE
1. All’inizio di un Nuovo Anno il mio augurio vuole giungere a tutti e a ciascuno; è un augurio di serenità e di prosperità, ma è soprattutto un augurio di pace. Anche l’anno che chiude le porte è stato segnato, purtroppo, dalla persecuzione, dalla discriminazione, da terribili atti di violenza e di intolleranza religiosa.
Il mio pensiero si rivolge in particolare alla cara terra dell'Iraq, che nel suo cammino verso l’auspicata stabilità e riconciliazione continua ad essere scenario di violenze e attentati. Vengono alla memoria le recenti sofferenze della comunità cristiana, e, in modo speciale, il vile attacco contro la Cattedrale siro-cattolica “Nostra Signora del Perpetuo Soccorso” a Baghdad, dove, il 31 ottobre scorso, sono stati uccisi due sacerdoti e più di cinquanta fedeli, mentre erano riuniti per la celebrazione della Santa Messa. Ad esso hanno fatto seguito, nei giorni successivi, altri attacchi, anche a case private, suscitando paura nella comunità cristiana ed il desiderio, da parte di molti dei suoi membri, di emigrare alla ricerca di migliori condizioni di vita. A loro manifesto la mia vicinanza e quella di tutta la Chiesa, sentimento che ha visto una concreta espressione nella recente Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi. Da tale Assise è giunto un incoraggiamento alle comunità cattoliche in Iraq e in tutto il Medio Oriente a vivere la comunione e a continuare ad offrire una coraggiosa testimonianza di fede in quelle terre.
Ringrazio vivamente i Governi che si adoperano per alleviare le sofferenze di questi fratelli in umanità e invito i Cattolici a pregare per i loro fratelli nella fede che soffrono violenze e intolleranze e ad essere solidali con loro. In tale contesto, ho sentito particolarmente viva l’opportunità di condividere con tutti voi alcune riflessioni sulla libertà religiosa, via per la pace. Infatti, risulta doloroso constatare che in alcune regioni del mondo non è possibile professare ed esprimere liberamente la propria religione, se non a rischio della vita e della libertà personale. In altre regioni vi sono forme più silenziose e sofisticate di pregiudizio e di opposizione verso i credenti e i simboli religiosi. I cristiani sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede. Tanti subiscono quotidianamente offese e vivono spesso nella paura a causa della loro ricerca della verità, della loro fede in Gesù Cristo e del loro sincero appello perché sia riconosciuta la libertà religiosa. Tutto ciò non può essere accettato, perché costituisce un’offesa a Dio e alla dignità umana; inoltre, è una minaccia alla sicurezza e alla pace e impedisce la realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale.[1]
Nella libertà religiosa, infatti, trova espressione la specificità della persona umana, che per essa può ordinare la propria vita personale e sociale a Dio, alla cui luce si comprendono pienamente l’identità, il senso e il fine della persona. Negare o limitare in maniera arbitraria tale libertà significa coltivare una visione riduttiva della persona umana; oscurare il ruolo pubblico della religione significa generare una società ingiusta, poiché non proporzionata alla vera natura della persona umana; ciò significa rendere impossibile l’affermazione di una pace autentica e duratura di tutta la famiglia umana.
Esorto, dunque, gli uomini e le donne di buona volontà a rinnovare l’impegno per la costruzione di un mondo dove tutti siano liberi di professare la propria religione o la propria fede, e di vivere il proprio amore per Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente (cfr Mt 22,37). Questo è il sentimento che ispira e guida il Messaggio per la XLIV Giornata Mondiale della Pace, dedicato al tema: Libertà religiosa, via per la pace.
Sacro diritto alla vita e ad una vita spirituale
2. Il diritto alla libertà religiosa è radicato nella stessa dignità della persona umana,[2] la cui natura trascendente non deve essere ignorata o trascurata. Dio ha creato l’uomo e la donna a sua immagine e somiglianza (cfr Gen 1,27). Per questo ogni persona è titolare del sacro diritto ad una vita integra anche dal punto di vista spirituale. Senza il riconoscimento del proprio essere spirituale, senza l’apertura al trascendente, la persona umana si ripiega su se stessa, non riesce a trovare risposte agli interrogativi del suo cuore circa il senso della vita e a conquistare valori e principi etici duraturi, e non riesce nemmeno a sperimentare un’autentica libertà e a sviluppare una società giusta.[3]
La Sacra Scrittura, in sintonia con la nostra stessa esperienza, rivela il valore profondo della dignità umana: “Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,tutto hai posto sotto i suoi piedi” (Sal 8, 4-7).
Dinanzi alla sublime realtà della natura umana, possiamo sperimentare lo stesso stupore espresso dal salmista. Essa si manifesta come apertura al Mistero, come capacità di interrogarsi a fondo su se stessi e sull’origine dell’universo, come intima risonanza dell’Amore supremo di Dio, principio e fine di tutte le cose, di ogni persona e dei popoli.[4] La dignità trascendente della persona è un valore essenziale della sapienza giudaico-cristiana, ma, grazie alla ragione, può essere riconosciuta da tutti. Questa dignità, intesa come capacità di trascendere la propria materialità e di ricercare la verità, va riconosciuta come un bene universale, indispensabile per la costruzione di una società orientata alla realizzazione e alla pienezza dell’uomo. Il rispetto di elementi essenziali della dignità dell’uomo, quali il diritto alla vita e il diritto alla libertà religiosa, è una condizione della legittimità morale di ogni norma sociale e giuridica.
Libertà religiosa e rispetto reciproco
3. La libertà religiosa è all’origine della libertà morale. In effetti, l’apertura alla verità e al bene, l’apertura a Dio, radicata nella natura umana, conferisce piena dignità a ciascun uomo ed è garante del pieno rispetto reciproco tra le persone. Pertanto, la libertà religiosa va intesa non solo come immunità dalla coercizione, ma prima ancora come capacità di ordinare le proprie scelte secondo la verità.
Esiste un legame inscindibile tra libertà e rispetto; infatti, “nell’esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtù della legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune”.[5]
Una libertà nemica o indifferente verso Dio finisce col negare se stessa e non garantisce il pieno rispetto dell’altro. Una volontà che si crede radicalmente incapace di ricercare la verità e il bene non ha ragioni oggettive né motivi per agire, se non quelli imposti dai suoi interessi momentanei e contingenti, non ha una “identità” da custodire e costruire attraverso scelte veramente libere e consapevoli. Non può dunque reclamare il rispetto da parte di altre “volontà”, anch’esse sganciate dal proprio essere più profondo, che quindi possono far valere altre “ragioni” o addirittura nessuna “ragione”. L’illusione di trovare nel relativismo morale la chiave per una pacifica convivenza, è in realtà l’origine della divisione e della negazione della dignità degli esseri umani. Si comprende quindi la necessità di riconoscere una duplice dimensione nell’unità della persona umana: quella religiosa e quella sociale. Al riguardo, è inconcepibile che i credenti “debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti”.[6]
La famiglia, scuola di libertà e di pace
4. Se la libertà religiosa è via per la pace, l’educazione religiosa è strada privilegiata per abilitare le nuove generazioni a riconoscere nell’altro il proprio fratello e la propria sorella, con i quali camminare insieme e collaborare perché tutti si sentano membra vive di una stessa famiglia umana, dalla quale nessuno deve essere escluso.
La famiglia fondata sul matrimonio, espressione di unione intima e di complementarietà tra un uomo e una donna, si inserisce in questo contesto come la prima scuola di formazione e di crescita sociale, culturale, morale e spirituale dei figli, che dovrebbero sempre trovare nel padre e nella madre i primi testimoni di una vita orientata alla ricerca della verità e all’amore di Dio. Gli stessi genitori dovrebbero essere sempre liberi di trasmettere senza costrizioni e con responsabilità il proprio patrimonio di fede, di valori e di cultura ai figli. La famiglia, prima cellula della società umana, rimane l’ambito primario di formazione per relazioni armoniose a tutti i livelli di convivenza umana, nazionale e internazionale. Questa è la strada da percorrere sapientemente per la costruzione di un tessuto sociale solido e solidale, per preparare i giovani ad assumere le proprie responsabilità nella vita, in una società libera, in uno spirito di comprensione e di pace.
Un patrimonio comune
5. Si potrebbe dire che, tra i diritti e le libertà fondamentali radicati nella dignità della persona, la libertà religiosa gode di uno statuto speciale. Quando la libertà religiosa è riconosciuta, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice, e si rafforzano l’ethos e le istituzioni dei popoli. Viceversa, quando la libertà religiosa è negata, quando si tenta di impedire di professare la propria religione o la propria fede e di vivere conformemente ad esse, si offende la dignità umana e, insieme, si minacciano la giustizia e la pace, le quali si fondano su quel retto ordine sociale costruito alla luce del Sommo Vero e Sommo Bene.
La libertà religiosa è, in questo senso, anche un’acquisizione di civiltà politica e giuridica. Essa è un bene essenziale: ogni persona deve poter esercitare liberamente il diritto di professare e di manifestare, individualmente o comunitariamente, la propria religione o la propria fede, sia in pubblico che in privato, nell’insegnamento, nelle pratiche, nelle pubblicazioni, nel culto e nell’osservanza dei riti. Non dovrebbe incontrare ostacoli se volesse, eventualmente, aderire ad un’altra religione o non professarne alcuna. In questo ambito, l’ordinamento internazionale risulta emblematico ed è un riferimento essenziale per gli Stati, in quanto non consente alcuna deroga alla libertà religiosa, salvo la legittima esigenza dell’ordine pubblico informato a giustizia.[7] L’ordinamento internazionale riconosce così ai diritti di natura religiosa lo stesso status del diritto alla vita e alla libertà personale, a riprova della loro appartenenza al nucleo essenziale dei diritti dell’uomo, a quei diritti universali e naturali che la legge umana non può mai negare.
La libertà religiosa non è patrimonio esclusivo dei credenti, ma dell’intera famiglia dei popoli della terra. È elemento imprescindibile di uno Stato di diritto; non la si può negare senza intaccare nel contempo tutti i diritti e le libertà fondamentali, essendone sintesi e vertice. Essa è “la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani”.[8] Mentre favorisce l’esercizio delle facoltà più specificamente umane, crea le premesse necessarie per la realizzazione di uno sviluppo integrale, che riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione.[9]
La dimensione pubblica della religione
6. La libertà religiosa, come ogni libertà, pur muovendo dalla sfera personale, si realizza nella relazione con gli altri. Una libertà senza relazione non è libertà compiuta. Anche la libertà religiosa non si esaurisce nella sola dimensione individuale, ma si attua nella propria comunità e nella società, coerentemente con l’essere relazionale della persona e con la natura pubblica della religione.
La relazionalità è una componente decisiva della libertà religiosa, che spinge le comunità dei credenti a praticare la solidarietà per il bene comune. In questa dimensione comunitaria ciascuna persona resta unica e irripetibile e, al tempo stesso, si completa e si realizza pienamente.
E’ innegabile il contributo che le comunità religiose apportano alla società. Sono numerose le istituzioni caritative e culturali che attestano il ruolo costruttivo dei credenti per la vita sociale. Più importante ancora è il contributo etico della religione nell’ambito politico. Esso non dovrebbe essere marginalizzato o vietato, ma compreso come valido apporto alla promozione del bene comune. In questa prospettiva bisogna menzionare la dimensione religiosa della cultura, tessuta attraverso i secoli grazie ai contributi sociali e soprattutto etici della religione. Tale dimensione non costituisce in nessun modo una discriminazione di coloro che non ne condividono la credenza, ma rafforza, piuttosto, la coesione sociale, l’integrazione e la solidarietà.
Libertà religiosa, forza di libertà e di civiltà:
i pericoli della sua strumentalizzazione
7. La strumentalizzazione della libertà religiosa per mascherare interessi occulti, come ad esempio il sovvertimento dell’ordine costituito, l’accaparramento di risorse o il mantenimento del potere da parte di un gruppo, può provocare danni ingentissimi alle società. Il fanatismo, il fondamentalismo, le pratiche contrarie alla dignità umana, non possono essere mai giustificati e lo possono essere ancora di meno se compiuti in nome della religione. La professione di una religione non può essere strumentalizzata, né imposta con la forza. Bisogna, allora, che gli Stati e le varie comunità umane non dimentichino mai che la libertà religiosa è condizione per la ricerca della verità e la verità non si impone con la violenza ma con “la forza della verità stessa”.[10] In questo senso, la religione è una forza positiva e propulsiva per la costruzione della società civile e politica.
Come negare il contributo delle grandi religioni del mondo allo sviluppo della civiltà? La sincera ricerca di Dio ha portato ad un maggiore rispetto della dignità dell’uomo. Le comunità cristiane, con il loro patrimonio di valori e principi, hanno fortemente contribuito alla presa di coscienza delle persone e dei popoli circa la propria identità e dignità, nonché alla conquista di istituzioni democratiche e all’affermazione dei diritti dell’uomo e dei suoi corrispettivi doveri.
Anche oggi i cristiani, in una società sempre più globalizzata, sono chiamati, non solo con un responsabile impegno civile, economico e politico, ma anche con la testimonianza della propria carità e fede, ad offrire un contributo prezioso al faticoso ed esaltante impegno per la giustizia, per lo sviluppo umano integrale e per il retto ordinamento delle realtà umane. L’esclusione della religione dalla vita pubblica sottrae a questa uno spazio vitale che apre alla trascendenza. Senza quest’esperienza primaria risulta arduo orientare le società verso principi etici universali e diventa difficile stabilire ordinamenti nazionali e internazionali in cui i diritti e le libertà fondamentali possano essere pienamente riconosciuti e realizzati, come si propongono gli obiettivi - purtroppo ancora disattesi o contraddetti - della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948.
Una questione di giustizia e di civiltà:
il fondamentalismo e l’ostilità contro i credenti pregiudicano
la laicità positiva degli Stati
8. La stessa determinazione con la quale sono condannate tutte le forme di fanatismo e di fondamentalismo religioso, deve animare anche l’opposizione a tutte le forme di ostilità contro la religione, che limitano il ruolo pubblico dei credenti nella vita civile e politica.
Non si può dimenticare che il fondamentalismo religioso e il laicismo sono forme speculari ed estreme di rifiuto del legittimo pluralismo e del principio di laicità. Entrambe, infatti, assolutizzano una visione riduttiva e parziale della persona umana, favorendo, nel primo caso, forme di integralismo religioso e, nel secondo, di razionalismo. La società che vuole imporre o, al contrario, negare la religione con la violenza, è ingiusta nei confronti della persona e di Dio, ma anche di se stessa. Dio chiama a sé l’umanità con un disegno di amore che, mentre coinvolge tutta la persona nella sua dimensione naturale e spirituale, richiede di corrispondervi in termini di libertà e di responsabilità, con tutto il cuore e con tutto il proprio essere, individuale e comunitario. Anche la società, dunque, in quanto espressione della persona e dell’insieme delle sue dimensioni costitutive, deve vivere ed organizzarsi in modo da favorirne l’apertura alla trascendenza. Proprio per questo, le leggi e le istituzioni di una società non possono essere configurate ignorando la dimensione religiosa dei cittadini o in modo da prescinderne del tutto. Esse devono commisurarsi - attraverso l’opera democratica di cittadini coscienti della propria alta vocazione - all’essere della persona, per poterlo assecondare nella sua dimensione religiosa. Non essendo questa una creazione dello Stato, non può esserne manipolata, dovendo piuttosto riceverne riconoscimento e rispetto.
L’ordinamento giuridico a tutti i livelli, nazionale e internazionale, quando consente o tollera il fanatismo religioso o antireligioso, viene meno alla sua stessa missione, che consiste nel tutelare e nel promuovere la giustizia e il diritto di ciascuno. Tali realtà non possono essere poste in balia dell’arbitrio del legislatore o della maggioranza, perché, come insegnava già Cicerone, la giustizia consiste in qualcosa di più di un mero atto produttivo della legge e della sua applicazione. Essa implica il riconoscere a ciascuno la sua dignità,[11] la quale, senza libertà religiosa, garantita e vissuta nella sua essenza, risulta mutilata e offesa, esposta al rischio di cadere nel predominio degli idoli, di beni relativi trasformati in assoluti. Tutto ciò espone la società al rischio di totalitarismi politici e ideologici, che enfatizzano il potere pubblico, mentre sono mortificate o coartate, quasi fossero concorrenziali, le libertà di coscienza, di pensiero e di religione.
Dialogo tra istituzioni civili e religiose
9. Il patrimonio di principi e di valori espressi da una religiosità autentica è una ricchezza per i popoli e i loro ethos. Esso parla direttamente alla coscienza e alla ragione degli uomini e delle donne, rammenta l’imperativo della conversione morale, motiva a coltivare la pratica delle virtù e ad avvicinarsi l’un l’altro con amore, nel segno della fraternità, come membri della grande famiglia umana.[12]
Nel rispetto della laicità positiva delle istituzioni statali, la dimensione pubblica della religione deve essere sempre riconosciuta. A tal fine è fondamentale un sano dialogo tra le istituzioni civili e quelle religiose per lo sviluppo integrale della persona umana e dell'armonia della società.
Vivere nell’amore e nella verità
10. Nel mondo globalizzato, caratterizzato da società sempre più multi-etniche e multi-confessionali, le grandi religioni possono costituire un importante fattore di unità e di pace per la famiglia umana. Sulla base delle proprie convinzioni religiose e della ricerca razionale del bene comune, i loro seguaci sono chiamati a vivere con responsabilità il proprio impegno in un contesto di libertà religiosa. Nelle svariate culture religiose, mentre dev’essere rigettato tutto quello che è contro la dignità dell’uomo e della donna, occorre invece fare tesoro di ciò che risulta positivo per la convivenza civile.
Lo spazio pubblico, che la comunità internazionale rende disponibile per le religioni e per la loro proposta di “vita buona”, favorisce l’emergere di una misura condivisibile di verità e di bene, come anche un consenso morale, fondamentali per una convivenza giusta e pacifica. I leader delle grandi religioni, per il loro ruolo, la loro influenza e la loro autorità nelle proprie comunità, sono i primi ad essere chiamati al rispetto reciproco e al dialogo.
I cristiani, da parte loro, sono sollecitati dalla stessa fede in Dio, Padre del Signore Gesù Cristo, a vivere come fratelli che si incontrano nella Chiesa e collaborano all’edificazione di un mondo dove le persone e i popoli “non agiranno più iniquamente né saccheggeranno […], perché la conoscenza del Signore riempirà la terracome le acque ricoprono il mare” (Is 11, 9).
Dialogo come ricerca in comune
11. Per la Chiesa il dialogo tra i seguaci di diverse religioni costituisce uno strumento importante per collaborare con tutte le comunità religiose al bene comune. La Chiesa stessa nulla rigetta di quanto è vero e santo nelle varie religioni. “Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini”.[13]
Quella indicata non è la strada del relativismo, o del sincretismo religioso. La Chiesa, infatti, “annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è «via, verità e vita» (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose”.[14] Ciò non esclude tuttavia il dialogo e la ricerca comune della verità in diversi ambiti vitali, poiché, come recita un’espressione usata spesso da san Tommaso d’Aquino, “ogni verità, da chiunque sia detta, proviene dallo Spirito Santo”.[15]
Nel 2011 ricorre il 25° anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace, convocata ad Assisi nel 1986 dal Venerabile Giovanni Paolo II. In quell’occasione i leader delle grandi religioni del mondo hanno testimoniato come la religione sia un fattore di unione e di pace, e non di divisione e di conflitto. Il ricordo di quell’esperienza è un motivo di speranza per un futuro in cui tutti i credenti si sentano e si rendano autenticamente operatori di giustizia e di pace.
Verità morale nella politica e nella diplomazia
12. La politica e la diplomazia dovrebbero guardare al patrimonio morale e spirituale offerto dalle grandi religioni del mondo per riconoscere e affermare verità, principi e valori universali che non possono essere negati senza negare con essi la dignità della persona umana. Ma che cosa significa, in termini pratici, promuovere la verità morale nel mondo della politica e della diplomazia? Vuol dire agire in maniera responsabile sulla base della conoscenza oggettiva e integrale dei fatti; vuol dire destrutturare ideologie politiche che finiscono per soppiantare la verità e la dignità umana e intendono promuovere pseudo-valori con il pretesto della pace, dello sviluppo e dei diritti umani; vuol dire favorire un impegno costante per fondare la legge positiva sui principi della legge naturale.[16] Tutto ciò è necessario e coerente con il rispetto della dignità e del valore della persona umana, sancito dai Popoli della terra nella Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite del 1945, che presenta valori e principi morali universali di riferimento per le norme, le istituzioni, i sistemi di convivenza a livello nazionale e internazionale.
Oltre l’odio e il pregiudizio
13. Nonostante gli insegnamenti della storia e l’impegno degli Stati, delle Organizzazioni internazionali a livello mondiale e locale, delle Organizzazioni non governative e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà che ogni giorno si spendono per la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, nel mondo ancora oggi si registrano persecuzioni, discriminazioni, atti di violenza e di intolleranza basati sulla religione. In particolare, in Asia e in Africa le principali vittime sono i membri delle minoranze religiose, ai quali viene impedito di professare liberamente la propria religione o di cambiarla, attraverso l’intimidazione e la violazione dei diritti, delle libertà fondamentali e dei beni essenziali, giungendo fino alla privazione della libertà personale o della stessa vita.
Vi sono poi - come ho già affermato - forme più sofisticate di ostilità contro la religione, che nei Paesi occidentali si esprimono talvolta col rinnegamento della storia e dei simboli religiosi nei quali si rispecchiano l’identità e la cultura della maggioranza dei cittadini. Esse fomentano spesso l’odio e il pregiudizio e non sono coerenti con una visione serena ed equilibrata del pluralismo e della laicità delle istituzioni, senza contare che le nuove generazioni rischiano di non entrare in contatto con il prezioso patrimonio spirituale dei loro Paesi.
La difesa della religione passa attraverso la difesa dei diritti e delle libertà delle comunità religiose. I leader delle grandi religioni del mondo e i responsabili delle Nazioni rinnovino, allora, l’impegno per la promozione e la tutela della libertà religiosa, in particolare per la difesa delle minoranze religiose, le quali non costituiscono una minaccia contro l’identità della maggioranza, ma sono al contrario un’opportunità per il dialogo e per il reciproco arricchimento culturale. La loro difesa rappresenta la maniera ideale per consolidare lo spirito di benevolenza, di apertura e di reciprocità con cui tutelare i diritti e le libertà fondamentali in tutte le aree e le regioni del mondo.
Libertà religiosa nel mondo
14. Mi rivolgo, infine, alle comunità cristiane che soffrono persecuzioni, discriminazioni, atti di violenza e intolleranza, in particolare in Asia, in Africa, nel Medio Oriente e specialmente nella Terra Santa, luogo prescelto e benedetto da Dio. Mentre rinnovo ad esse il mio affetto paterno e assicuro la mia preghiera, chiedo a tutti i responsabili di agire prontamente per porre fine ad ogni sopruso contro i cristiani, che abitano in quelle regioni. Possano i discepoli di Cristo, dinanzi alle presenti avversità, non perdersi d’animo, perché la testimonianza del Vangelo è e sarà sempre segno di contraddizione.
Meditiamo nel nostro cuore le parole del Signore Gesù: “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati […]. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati [...]. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5,4-12). Rinnoviamo allora “l’impegno da noi assunto all’indulgenza e al perdono, che invochiamo nel Pater noster da Dio, per aver noi stessi posta la condizione e la misura della desiderata misericordia. Infatti, preghiamo così: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12)”.[17] La violenza non si supera con la violenza. Il nostro grido di dolore sia sempre accompagnato dalla fede, dalla speranza e dalla testimonianza dell’amore di Dio. Esprimo anche il mio auspicio affinché in Occidente, specie in Europa, cessino l’ostilità e i pregiudizi contro i cristiani per il fatto che essi intendono orientare la propria vita in modo coerente ai valori e ai principi espressi nel Vangelo. L’Europa, piuttosto, sappia riconciliarsi con le proprie radici cristiane, che sono fondamentali per comprendere il ruolo che ha avuto, che ha e che intende avere nella storia; saprà, così, sperimentare giustizia, concordia e pace, coltivando un sincero dialogo con tutti i popoli.
Libertà religiosa, via per la pace
15. Il mondo ha bisogno di Dio. Ha bisogno di valori etici e spirituali, universali e condivisi, e la religione può offrire un contributo prezioso nella loro ricerca, per la costruzione di un ordine sociale giusto e pacifico, a livello nazionale e internazionale.
La pace è un dono di Dio e al tempo stesso un progetto da realizzare, mai totalmente compiuto. Una società riconciliata con Dio è più vicina alla pace, che non è semplice assenza di guerra, non è mero frutto del predominio militare o economico, né tantomeno di astuzie ingannatrici o di abili manipolazioni. La pace invece è risultato di un processo di purificazione ed elevazione culturale, morale e spirituale di ogni persona e popolo, nel quale la dignità umana è pienamente rispettata. Invito tutti coloro che desiderano farsi operatori di pace, e soprattutto i giovani, a mettersi in ascolto della propria voce interiore, per trovare in Dio il riferimento stabile per la conquista di un’autentica libertà, la forza inesauribile per orientare il mondo con uno spirito nuovo, capace di non ripetere gli errori del passato. Come insegna il Servo di Dio Paolo VI, alla cui saggezza e lungimiranza si deve l’istituzione della Giornata Mondiale della Pace: “Occorre innanzi tutto dare alla Pace altre armi, che non quelle destinate ad uccidere e a sterminare l'umanità. Occorrono sopra tutto le armi morali, che danno forza e prestigio al diritto internazionale; quelle, per prime, dell’osservanza dei patti”.[18] La libertà religiosa è un’autentica arma della pace, con una missione storica e profetica. Essa infatti valorizza e mette a frutto le più profonde qualità e potenzialità della persona umana, capaci di cambiare e rendere migliore il mondo. Essa consente di nutrire la speranza verso un futuro di giustizia e di pace, anche dinanzi alle gravi ingiustizie e alle miserie materiali e morali. Che tutti gli uomini e le società ad ogni livello ed in ogni angolo della Terra possano presto sperimentare la libertà religiosa, via per la pace!
Dal Vaticano, 8 dicembre 2010
BENEDICTUS PP XVI
________________________________________
[1] Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 29.55-57.
[2] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 2.
[3] Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 78.
[4]Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 1.
[5] Id., Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 7.
[6] Benedetto XVI, Discorso all’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (18 aprile 2008): AAS 100 (2008), 337.
[7] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 2
[8] Giovanni Paolo II, Discorso ai Partecipanti all’Assemblea Parlamentare dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) (10 ottobre 2003), 1: AAS 96 (2004), 111.
[9] Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 11.
[10] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 1.
[11] Cfr Cicerone, De inventione, II, 160.
[12] Cfr Benedetto XVI, Discorso ai Rappresentanti di altre Religioni del Regno Unito (17 settembre 2010): L’Osservatore Romano (18 settembre 2010), p. 12.
[13] Conc. Ecum. Vat. II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 2.
[14] Ibidem.
[15] Super evangelium Joannis, I, 3.
[16] Cfr Benedetto XVI, Discorso alle Autorità civili e al Corpo diplomatico a Cipro (5 giugno 2010): L’Osservatore Romano (6 giugno 2010), p. 8; Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale: uno sguardo sulla legge naturale, Città del Vaticano 2009.
[17] Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1976: AAS 67 (1975), 671.
[18] Ibid., p. 668.
1. All’inizio di un Nuovo Anno il mio augurio vuole giungere a tutti e a ciascuno; è un augurio di serenità e di prosperità, ma è soprattutto un augurio di pace. Anche l’anno che chiude le porte è stato segnato, purtroppo, dalla persecuzione, dalla discriminazione, da terribili atti di violenza e di intolleranza religiosa.
Il mio pensiero si rivolge in particolare alla cara terra dell'Iraq, che nel suo cammino verso l’auspicata stabilità e riconciliazione continua ad essere scenario di violenze e attentati. Vengono alla memoria le recenti sofferenze della comunità cristiana, e, in modo speciale, il vile attacco contro la Cattedrale siro-cattolica “Nostra Signora del Perpetuo Soccorso” a Baghdad, dove, il 31 ottobre scorso, sono stati uccisi due sacerdoti e più di cinquanta fedeli, mentre erano riuniti per la celebrazione della Santa Messa. Ad esso hanno fatto seguito, nei giorni successivi, altri attacchi, anche a case private, suscitando paura nella comunità cristiana ed il desiderio, da parte di molti dei suoi membri, di emigrare alla ricerca di migliori condizioni di vita. A loro manifesto la mia vicinanza e quella di tutta la Chiesa, sentimento che ha visto una concreta espressione nella recente Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi. Da tale Assise è giunto un incoraggiamento alle comunità cattoliche in Iraq e in tutto il Medio Oriente a vivere la comunione e a continuare ad offrire una coraggiosa testimonianza di fede in quelle terre.
Ringrazio vivamente i Governi che si adoperano per alleviare le sofferenze di questi fratelli in umanità e invito i Cattolici a pregare per i loro fratelli nella fede che soffrono violenze e intolleranze e ad essere solidali con loro. In tale contesto, ho sentito particolarmente viva l’opportunità di condividere con tutti voi alcune riflessioni sulla libertà religiosa, via per la pace. Infatti, risulta doloroso constatare che in alcune regioni del mondo non è possibile professare ed esprimere liberamente la propria religione, se non a rischio della vita e della libertà personale. In altre regioni vi sono forme più silenziose e sofisticate di pregiudizio e di opposizione verso i credenti e i simboli religiosi. I cristiani sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede. Tanti subiscono quotidianamente offese e vivono spesso nella paura a causa della loro ricerca della verità, della loro fede in Gesù Cristo e del loro sincero appello perché sia riconosciuta la libertà religiosa. Tutto ciò non può essere accettato, perché costituisce un’offesa a Dio e alla dignità umana; inoltre, è una minaccia alla sicurezza e alla pace e impedisce la realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale.[1]
Nella libertà religiosa, infatti, trova espressione la specificità della persona umana, che per essa può ordinare la propria vita personale e sociale a Dio, alla cui luce si comprendono pienamente l’identità, il senso e il fine della persona. Negare o limitare in maniera arbitraria tale libertà significa coltivare una visione riduttiva della persona umana; oscurare il ruolo pubblico della religione significa generare una società ingiusta, poiché non proporzionata alla vera natura della persona umana; ciò significa rendere impossibile l’affermazione di una pace autentica e duratura di tutta la famiglia umana.
Esorto, dunque, gli uomini e le donne di buona volontà a rinnovare l’impegno per la costruzione di un mondo dove tutti siano liberi di professare la propria religione o la propria fede, e di vivere il proprio amore per Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente (cfr Mt 22,37). Questo è il sentimento che ispira e guida il Messaggio per la XLIV Giornata Mondiale della Pace, dedicato al tema: Libertà religiosa, via per la pace.
Sacro diritto alla vita e ad una vita spirituale
2. Il diritto alla libertà religiosa è radicato nella stessa dignità della persona umana,[2] la cui natura trascendente non deve essere ignorata o trascurata. Dio ha creato l’uomo e la donna a sua immagine e somiglianza (cfr Gen 1,27). Per questo ogni persona è titolare del sacro diritto ad una vita integra anche dal punto di vista spirituale. Senza il riconoscimento del proprio essere spirituale, senza l’apertura al trascendente, la persona umana si ripiega su se stessa, non riesce a trovare risposte agli interrogativi del suo cuore circa il senso della vita e a conquistare valori e principi etici duraturi, e non riesce nemmeno a sperimentare un’autentica libertà e a sviluppare una società giusta.[3]
La Sacra Scrittura, in sintonia con la nostra stessa esperienza, rivela il valore profondo della dignità umana: “Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,tutto hai posto sotto i suoi piedi” (Sal 8, 4-7).
Dinanzi alla sublime realtà della natura umana, possiamo sperimentare lo stesso stupore espresso dal salmista. Essa si manifesta come apertura al Mistero, come capacità di interrogarsi a fondo su se stessi e sull’origine dell’universo, come intima risonanza dell’Amore supremo di Dio, principio e fine di tutte le cose, di ogni persona e dei popoli.[4] La dignità trascendente della persona è un valore essenziale della sapienza giudaico-cristiana, ma, grazie alla ragione, può essere riconosciuta da tutti. Questa dignità, intesa come capacità di trascendere la propria materialità e di ricercare la verità, va riconosciuta come un bene universale, indispensabile per la costruzione di una società orientata alla realizzazione e alla pienezza dell’uomo. Il rispetto di elementi essenziali della dignità dell’uomo, quali il diritto alla vita e il diritto alla libertà religiosa, è una condizione della legittimità morale di ogni norma sociale e giuridica.
Libertà religiosa e rispetto reciproco
3. La libertà religiosa è all’origine della libertà morale. In effetti, l’apertura alla verità e al bene, l’apertura a Dio, radicata nella natura umana, conferisce piena dignità a ciascun uomo ed è garante del pieno rispetto reciproco tra le persone. Pertanto, la libertà religiosa va intesa non solo come immunità dalla coercizione, ma prima ancora come capacità di ordinare le proprie scelte secondo la verità.
Esiste un legame inscindibile tra libertà e rispetto; infatti, “nell’esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtù della legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune”.[5]
Una libertà nemica o indifferente verso Dio finisce col negare se stessa e non garantisce il pieno rispetto dell’altro. Una volontà che si crede radicalmente incapace di ricercare la verità e il bene non ha ragioni oggettive né motivi per agire, se non quelli imposti dai suoi interessi momentanei e contingenti, non ha una “identità” da custodire e costruire attraverso scelte veramente libere e consapevoli. Non può dunque reclamare il rispetto da parte di altre “volontà”, anch’esse sganciate dal proprio essere più profondo, che quindi possono far valere altre “ragioni” o addirittura nessuna “ragione”. L’illusione di trovare nel relativismo morale la chiave per una pacifica convivenza, è in realtà l’origine della divisione e della negazione della dignità degli esseri umani. Si comprende quindi la necessità di riconoscere una duplice dimensione nell’unità della persona umana: quella religiosa e quella sociale. Al riguardo, è inconcepibile che i credenti “debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti”.[6]
La famiglia, scuola di libertà e di pace
4. Se la libertà religiosa è via per la pace, l’educazione religiosa è strada privilegiata per abilitare le nuove generazioni a riconoscere nell’altro il proprio fratello e la propria sorella, con i quali camminare insieme e collaborare perché tutti si sentano membra vive di una stessa famiglia umana, dalla quale nessuno deve essere escluso.
La famiglia fondata sul matrimonio, espressione di unione intima e di complementarietà tra un uomo e una donna, si inserisce in questo contesto come la prima scuola di formazione e di crescita sociale, culturale, morale e spirituale dei figli, che dovrebbero sempre trovare nel padre e nella madre i primi testimoni di una vita orientata alla ricerca della verità e all’amore di Dio. Gli stessi genitori dovrebbero essere sempre liberi di trasmettere senza costrizioni e con responsabilità il proprio patrimonio di fede, di valori e di cultura ai figli. La famiglia, prima cellula della società umana, rimane l’ambito primario di formazione per relazioni armoniose a tutti i livelli di convivenza umana, nazionale e internazionale. Questa è la strada da percorrere sapientemente per la costruzione di un tessuto sociale solido e solidale, per preparare i giovani ad assumere le proprie responsabilità nella vita, in una società libera, in uno spirito di comprensione e di pace.
Un patrimonio comune
5. Si potrebbe dire che, tra i diritti e le libertà fondamentali radicati nella dignità della persona, la libertà religiosa gode di uno statuto speciale. Quando la libertà religiosa è riconosciuta, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice, e si rafforzano l’ethos e le istituzioni dei popoli. Viceversa, quando la libertà religiosa è negata, quando si tenta di impedire di professare la propria religione o la propria fede e di vivere conformemente ad esse, si offende la dignità umana e, insieme, si minacciano la giustizia e la pace, le quali si fondano su quel retto ordine sociale costruito alla luce del Sommo Vero e Sommo Bene.
La libertà religiosa è, in questo senso, anche un’acquisizione di civiltà politica e giuridica. Essa è un bene essenziale: ogni persona deve poter esercitare liberamente il diritto di professare e di manifestare, individualmente o comunitariamente, la propria religione o la propria fede, sia in pubblico che in privato, nell’insegnamento, nelle pratiche, nelle pubblicazioni, nel culto e nell’osservanza dei riti. Non dovrebbe incontrare ostacoli se volesse, eventualmente, aderire ad un’altra religione o non professarne alcuna. In questo ambito, l’ordinamento internazionale risulta emblematico ed è un riferimento essenziale per gli Stati, in quanto non consente alcuna deroga alla libertà religiosa, salvo la legittima esigenza dell’ordine pubblico informato a giustizia.[7] L’ordinamento internazionale riconosce così ai diritti di natura religiosa lo stesso status del diritto alla vita e alla libertà personale, a riprova della loro appartenenza al nucleo essenziale dei diritti dell’uomo, a quei diritti universali e naturali che la legge umana non può mai negare.
La libertà religiosa non è patrimonio esclusivo dei credenti, ma dell’intera famiglia dei popoli della terra. È elemento imprescindibile di uno Stato di diritto; non la si può negare senza intaccare nel contempo tutti i diritti e le libertà fondamentali, essendone sintesi e vertice. Essa è “la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani”.[8] Mentre favorisce l’esercizio delle facoltà più specificamente umane, crea le premesse necessarie per la realizzazione di uno sviluppo integrale, che riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione.[9]
La dimensione pubblica della religione
6. La libertà religiosa, come ogni libertà, pur muovendo dalla sfera personale, si realizza nella relazione con gli altri. Una libertà senza relazione non è libertà compiuta. Anche la libertà religiosa non si esaurisce nella sola dimensione individuale, ma si attua nella propria comunità e nella società, coerentemente con l’essere relazionale della persona e con la natura pubblica della religione.
La relazionalità è una componente decisiva della libertà religiosa, che spinge le comunità dei credenti a praticare la solidarietà per il bene comune. In questa dimensione comunitaria ciascuna persona resta unica e irripetibile e, al tempo stesso, si completa e si realizza pienamente.
E’ innegabile il contributo che le comunità religiose apportano alla società. Sono numerose le istituzioni caritative e culturali che attestano il ruolo costruttivo dei credenti per la vita sociale. Più importante ancora è il contributo etico della religione nell’ambito politico. Esso non dovrebbe essere marginalizzato o vietato, ma compreso come valido apporto alla promozione del bene comune. In questa prospettiva bisogna menzionare la dimensione religiosa della cultura, tessuta attraverso i secoli grazie ai contributi sociali e soprattutto etici della religione. Tale dimensione non costituisce in nessun modo una discriminazione di coloro che non ne condividono la credenza, ma rafforza, piuttosto, la coesione sociale, l’integrazione e la solidarietà.
Libertà religiosa, forza di libertà e di civiltà:
i pericoli della sua strumentalizzazione
7. La strumentalizzazione della libertà religiosa per mascherare interessi occulti, come ad esempio il sovvertimento dell’ordine costituito, l’accaparramento di risorse o il mantenimento del potere da parte di un gruppo, può provocare danni ingentissimi alle società. Il fanatismo, il fondamentalismo, le pratiche contrarie alla dignità umana, non possono essere mai giustificati e lo possono essere ancora di meno se compiuti in nome della religione. La professione di una religione non può essere strumentalizzata, né imposta con la forza. Bisogna, allora, che gli Stati e le varie comunità umane non dimentichino mai che la libertà religiosa è condizione per la ricerca della verità e la verità non si impone con la violenza ma con “la forza della verità stessa”.[10] In questo senso, la religione è una forza positiva e propulsiva per la costruzione della società civile e politica.
Come negare il contributo delle grandi religioni del mondo allo sviluppo della civiltà? La sincera ricerca di Dio ha portato ad un maggiore rispetto della dignità dell’uomo. Le comunità cristiane, con il loro patrimonio di valori e principi, hanno fortemente contribuito alla presa di coscienza delle persone e dei popoli circa la propria identità e dignità, nonché alla conquista di istituzioni democratiche e all’affermazione dei diritti dell’uomo e dei suoi corrispettivi doveri.
Anche oggi i cristiani, in una società sempre più globalizzata, sono chiamati, non solo con un responsabile impegno civile, economico e politico, ma anche con la testimonianza della propria carità e fede, ad offrire un contributo prezioso al faticoso ed esaltante impegno per la giustizia, per lo sviluppo umano integrale e per il retto ordinamento delle realtà umane. L’esclusione della religione dalla vita pubblica sottrae a questa uno spazio vitale che apre alla trascendenza. Senza quest’esperienza primaria risulta arduo orientare le società verso principi etici universali e diventa difficile stabilire ordinamenti nazionali e internazionali in cui i diritti e le libertà fondamentali possano essere pienamente riconosciuti e realizzati, come si propongono gli obiettivi - purtroppo ancora disattesi o contraddetti - della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948.
Una questione di giustizia e di civiltà:
il fondamentalismo e l’ostilità contro i credenti pregiudicano
la laicità positiva degli Stati
8. La stessa determinazione con la quale sono condannate tutte le forme di fanatismo e di fondamentalismo religioso, deve animare anche l’opposizione a tutte le forme di ostilità contro la religione, che limitano il ruolo pubblico dei credenti nella vita civile e politica.
Non si può dimenticare che il fondamentalismo religioso e il laicismo sono forme speculari ed estreme di rifiuto del legittimo pluralismo e del principio di laicità. Entrambe, infatti, assolutizzano una visione riduttiva e parziale della persona umana, favorendo, nel primo caso, forme di integralismo religioso e, nel secondo, di razionalismo. La società che vuole imporre o, al contrario, negare la religione con la violenza, è ingiusta nei confronti della persona e di Dio, ma anche di se stessa. Dio chiama a sé l’umanità con un disegno di amore che, mentre coinvolge tutta la persona nella sua dimensione naturale e spirituale, richiede di corrispondervi in termini di libertà e di responsabilità, con tutto il cuore e con tutto il proprio essere, individuale e comunitario. Anche la società, dunque, in quanto espressione della persona e dell’insieme delle sue dimensioni costitutive, deve vivere ed organizzarsi in modo da favorirne l’apertura alla trascendenza. Proprio per questo, le leggi e le istituzioni di una società non possono essere configurate ignorando la dimensione religiosa dei cittadini o in modo da prescinderne del tutto. Esse devono commisurarsi - attraverso l’opera democratica di cittadini coscienti della propria alta vocazione - all’essere della persona, per poterlo assecondare nella sua dimensione religiosa. Non essendo questa una creazione dello Stato, non può esserne manipolata, dovendo piuttosto riceverne riconoscimento e rispetto.
L’ordinamento giuridico a tutti i livelli, nazionale e internazionale, quando consente o tollera il fanatismo religioso o antireligioso, viene meno alla sua stessa missione, che consiste nel tutelare e nel promuovere la giustizia e il diritto di ciascuno. Tali realtà non possono essere poste in balia dell’arbitrio del legislatore o della maggioranza, perché, come insegnava già Cicerone, la giustizia consiste in qualcosa di più di un mero atto produttivo della legge e della sua applicazione. Essa implica il riconoscere a ciascuno la sua dignità,[11] la quale, senza libertà religiosa, garantita e vissuta nella sua essenza, risulta mutilata e offesa, esposta al rischio di cadere nel predominio degli idoli, di beni relativi trasformati in assoluti. Tutto ciò espone la società al rischio di totalitarismi politici e ideologici, che enfatizzano il potere pubblico, mentre sono mortificate o coartate, quasi fossero concorrenziali, le libertà di coscienza, di pensiero e di religione.
Dialogo tra istituzioni civili e religiose
9. Il patrimonio di principi e di valori espressi da una religiosità autentica è una ricchezza per i popoli e i loro ethos. Esso parla direttamente alla coscienza e alla ragione degli uomini e delle donne, rammenta l’imperativo della conversione morale, motiva a coltivare la pratica delle virtù e ad avvicinarsi l’un l’altro con amore, nel segno della fraternità, come membri della grande famiglia umana.[12]
Nel rispetto della laicità positiva delle istituzioni statali, la dimensione pubblica della religione deve essere sempre riconosciuta. A tal fine è fondamentale un sano dialogo tra le istituzioni civili e quelle religiose per lo sviluppo integrale della persona umana e dell'armonia della società.
Vivere nell’amore e nella verità
10. Nel mondo globalizzato, caratterizzato da società sempre più multi-etniche e multi-confessionali, le grandi religioni possono costituire un importante fattore di unità e di pace per la famiglia umana. Sulla base delle proprie convinzioni religiose e della ricerca razionale del bene comune, i loro seguaci sono chiamati a vivere con responsabilità il proprio impegno in un contesto di libertà religiosa. Nelle svariate culture religiose, mentre dev’essere rigettato tutto quello che è contro la dignità dell’uomo e della donna, occorre invece fare tesoro di ciò che risulta positivo per la convivenza civile.
Lo spazio pubblico, che la comunità internazionale rende disponibile per le religioni e per la loro proposta di “vita buona”, favorisce l’emergere di una misura condivisibile di verità e di bene, come anche un consenso morale, fondamentali per una convivenza giusta e pacifica. I leader delle grandi religioni, per il loro ruolo, la loro influenza e la loro autorità nelle proprie comunità, sono i primi ad essere chiamati al rispetto reciproco e al dialogo.
I cristiani, da parte loro, sono sollecitati dalla stessa fede in Dio, Padre del Signore Gesù Cristo, a vivere come fratelli che si incontrano nella Chiesa e collaborano all’edificazione di un mondo dove le persone e i popoli “non agiranno più iniquamente né saccheggeranno […], perché la conoscenza del Signore riempirà la terracome le acque ricoprono il mare” (Is 11, 9).
Dialogo come ricerca in comune
11. Per la Chiesa il dialogo tra i seguaci di diverse religioni costituisce uno strumento importante per collaborare con tutte le comunità religiose al bene comune. La Chiesa stessa nulla rigetta di quanto è vero e santo nelle varie religioni. “Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini”.[13]
Quella indicata non è la strada del relativismo, o del sincretismo religioso. La Chiesa, infatti, “annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è «via, verità e vita» (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose”.[14] Ciò non esclude tuttavia il dialogo e la ricerca comune della verità in diversi ambiti vitali, poiché, come recita un’espressione usata spesso da san Tommaso d’Aquino, “ogni verità, da chiunque sia detta, proviene dallo Spirito Santo”.[15]
Nel 2011 ricorre il 25° anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace, convocata ad Assisi nel 1986 dal Venerabile Giovanni Paolo II. In quell’occasione i leader delle grandi religioni del mondo hanno testimoniato come la religione sia un fattore di unione e di pace, e non di divisione e di conflitto. Il ricordo di quell’esperienza è un motivo di speranza per un futuro in cui tutti i credenti si sentano e si rendano autenticamente operatori di giustizia e di pace.
Verità morale nella politica e nella diplomazia
12. La politica e la diplomazia dovrebbero guardare al patrimonio morale e spirituale offerto dalle grandi religioni del mondo per riconoscere e affermare verità, principi e valori universali che non possono essere negati senza negare con essi la dignità della persona umana. Ma che cosa significa, in termini pratici, promuovere la verità morale nel mondo della politica e della diplomazia? Vuol dire agire in maniera responsabile sulla base della conoscenza oggettiva e integrale dei fatti; vuol dire destrutturare ideologie politiche che finiscono per soppiantare la verità e la dignità umana e intendono promuovere pseudo-valori con il pretesto della pace, dello sviluppo e dei diritti umani; vuol dire favorire un impegno costante per fondare la legge positiva sui principi della legge naturale.[16] Tutto ciò è necessario e coerente con il rispetto della dignità e del valore della persona umana, sancito dai Popoli della terra nella Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite del 1945, che presenta valori e principi morali universali di riferimento per le norme, le istituzioni, i sistemi di convivenza a livello nazionale e internazionale.
Oltre l’odio e il pregiudizio
13. Nonostante gli insegnamenti della storia e l’impegno degli Stati, delle Organizzazioni internazionali a livello mondiale e locale, delle Organizzazioni non governative e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà che ogni giorno si spendono per la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, nel mondo ancora oggi si registrano persecuzioni, discriminazioni, atti di violenza e di intolleranza basati sulla religione. In particolare, in Asia e in Africa le principali vittime sono i membri delle minoranze religiose, ai quali viene impedito di professare liberamente la propria religione o di cambiarla, attraverso l’intimidazione e la violazione dei diritti, delle libertà fondamentali e dei beni essenziali, giungendo fino alla privazione della libertà personale o della stessa vita.
Vi sono poi - come ho già affermato - forme più sofisticate di ostilità contro la religione, che nei Paesi occidentali si esprimono talvolta col rinnegamento della storia e dei simboli religiosi nei quali si rispecchiano l’identità e la cultura della maggioranza dei cittadini. Esse fomentano spesso l’odio e il pregiudizio e non sono coerenti con una visione serena ed equilibrata del pluralismo e della laicità delle istituzioni, senza contare che le nuove generazioni rischiano di non entrare in contatto con il prezioso patrimonio spirituale dei loro Paesi.
La difesa della religione passa attraverso la difesa dei diritti e delle libertà delle comunità religiose. I leader delle grandi religioni del mondo e i responsabili delle Nazioni rinnovino, allora, l’impegno per la promozione e la tutela della libertà religiosa, in particolare per la difesa delle minoranze religiose, le quali non costituiscono una minaccia contro l’identità della maggioranza, ma sono al contrario un’opportunità per il dialogo e per il reciproco arricchimento culturale. La loro difesa rappresenta la maniera ideale per consolidare lo spirito di benevolenza, di apertura e di reciprocità con cui tutelare i diritti e le libertà fondamentali in tutte le aree e le regioni del mondo.
Libertà religiosa nel mondo
14. Mi rivolgo, infine, alle comunità cristiane che soffrono persecuzioni, discriminazioni, atti di violenza e intolleranza, in particolare in Asia, in Africa, nel Medio Oriente e specialmente nella Terra Santa, luogo prescelto e benedetto da Dio. Mentre rinnovo ad esse il mio affetto paterno e assicuro la mia preghiera, chiedo a tutti i responsabili di agire prontamente per porre fine ad ogni sopruso contro i cristiani, che abitano in quelle regioni. Possano i discepoli di Cristo, dinanzi alle presenti avversità, non perdersi d’animo, perché la testimonianza del Vangelo è e sarà sempre segno di contraddizione.
Meditiamo nel nostro cuore le parole del Signore Gesù: “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati […]. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati [...]. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5,4-12). Rinnoviamo allora “l’impegno da noi assunto all’indulgenza e al perdono, che invochiamo nel Pater noster da Dio, per aver noi stessi posta la condizione e la misura della desiderata misericordia. Infatti, preghiamo così: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12)”.[17] La violenza non si supera con la violenza. Il nostro grido di dolore sia sempre accompagnato dalla fede, dalla speranza e dalla testimonianza dell’amore di Dio. Esprimo anche il mio auspicio affinché in Occidente, specie in Europa, cessino l’ostilità e i pregiudizi contro i cristiani per il fatto che essi intendono orientare la propria vita in modo coerente ai valori e ai principi espressi nel Vangelo. L’Europa, piuttosto, sappia riconciliarsi con le proprie radici cristiane, che sono fondamentali per comprendere il ruolo che ha avuto, che ha e che intende avere nella storia; saprà, così, sperimentare giustizia, concordia e pace, coltivando un sincero dialogo con tutti i popoli.
Libertà religiosa, via per la pace
15. Il mondo ha bisogno di Dio. Ha bisogno di valori etici e spirituali, universali e condivisi, e la religione può offrire un contributo prezioso nella loro ricerca, per la costruzione di un ordine sociale giusto e pacifico, a livello nazionale e internazionale.
La pace è un dono di Dio e al tempo stesso un progetto da realizzare, mai totalmente compiuto. Una società riconciliata con Dio è più vicina alla pace, che non è semplice assenza di guerra, non è mero frutto del predominio militare o economico, né tantomeno di astuzie ingannatrici o di abili manipolazioni. La pace invece è risultato di un processo di purificazione ed elevazione culturale, morale e spirituale di ogni persona e popolo, nel quale la dignità umana è pienamente rispettata. Invito tutti coloro che desiderano farsi operatori di pace, e soprattutto i giovani, a mettersi in ascolto della propria voce interiore, per trovare in Dio il riferimento stabile per la conquista di un’autentica libertà, la forza inesauribile per orientare il mondo con uno spirito nuovo, capace di non ripetere gli errori del passato. Come insegna il Servo di Dio Paolo VI, alla cui saggezza e lungimiranza si deve l’istituzione della Giornata Mondiale della Pace: “Occorre innanzi tutto dare alla Pace altre armi, che non quelle destinate ad uccidere e a sterminare l'umanità. Occorrono sopra tutto le armi morali, che danno forza e prestigio al diritto internazionale; quelle, per prime, dell’osservanza dei patti”.[18] La libertà religiosa è un’autentica arma della pace, con una missione storica e profetica. Essa infatti valorizza e mette a frutto le più profonde qualità e potenzialità della persona umana, capaci di cambiare e rendere migliore il mondo. Essa consente di nutrire la speranza verso un futuro di giustizia e di pace, anche dinanzi alle gravi ingiustizie e alle miserie materiali e morali. Che tutti gli uomini e le società ad ogni livello ed in ogni angolo della Terra possano presto sperimentare la libertà religiosa, via per la pace!
Dal Vaticano, 8 dicembre 2010
BENEDICTUS PP XVI
________________________________________
[1] Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 29.55-57.
[2] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 2.
[3] Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 78.
[4]Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 1.
[5] Id., Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 7.
[6] Benedetto XVI, Discorso all’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (18 aprile 2008): AAS 100 (2008), 337.
[7] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 2
[8] Giovanni Paolo II, Discorso ai Partecipanti all’Assemblea Parlamentare dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) (10 ottobre 2003), 1: AAS 96 (2004), 111.
[9] Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 11.
[10] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 1.
[11] Cfr Cicerone, De inventione, II, 160.
[12] Cfr Benedetto XVI, Discorso ai Rappresentanti di altre Religioni del Regno Unito (17 settembre 2010): L’Osservatore Romano (18 settembre 2010), p. 12.
[13] Conc. Ecum. Vat. II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 2.
[14] Ibidem.
[15] Super evangelium Joannis, I, 3.
[16] Cfr Benedetto XVI, Discorso alle Autorità civili e al Corpo diplomatico a Cipro (5 giugno 2010): L’Osservatore Romano (6 giugno 2010), p. 8; Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale: uno sguardo sulla legge naturale, Città del Vaticano 2009.
[17] Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1976: AAS 67 (1975), 671.
[18] Ibid., p. 668.
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