Bigene (Guinea-Bissau), 27 dicembre 2013
San Giovanni ci insegna ad annunciare ciò che i nostri occhi vedono, ciò che le nostre orecchie odono, quello che tocchiamo con le nostre mani. Parole e testimonianza illuminanti per tutti i credenti, che ho l’ardire di fare mie per raccontarvi un Natale che a Bigene mi riempie di una gioia inesprimibile.
Natale è stato un giorno di grande comunione e partecipazione. Riesco a vedere segni chiari del lavoro che i missionari svolgono a Bigene. Lo scorso anno eravamo in tre, adesso siamo in cinque: la presenza di don Marco e di suor Narliene produce una evidente partecipazione di nuovi fedeli. Abbiamo celebrato nella Notte Santa a Bigene, e poi il giorno di Natale a Bigene, Baro, Farea e Facam. In questi due ultimi villaggi per la prima volta, dopo più di quindici anni di presenza cristiana, gli abitanti hanno avuto la celebrazione del Natale dentro la loro chiesetta. Immaginate la loro gioia! A Farea don Marco ha anche amministrato il battesimo al piccolo Francesco.
Tutte le cinque celebrazioni hanno visto una grande affluenza di fedeli. A Baro mi sono anche preoccupato un poco: i fedeli erano così numerosi che avevano riempito tutti gli spazi del salone che usiamo per la celebrazione. Alcuni erano saliti accanto all’altare per seguire la celebrazione. Erano davvero tanti, forse più di Bigene, e quando abbiamo concluso ho chiesto che tutti si sedessero, lasciando che gli incaricati indicassero come uscire a piccoli gruppi, per evitare che si potesse creare una ressa vicino alla piccola porta di entrata. Non abbiamo la chiesa a Baro, usiamo il salone dei giovani. Spero, quanto prima, di avere le forze per costruire una chiesa. Ci vuole. E la dobbiamo fare con una bella porta grande, e con finestre grandi. Vi confesso che sono andato un pochino veloce durante la celebrazione: poca aria per tanta gente potrebbe essere pericoloso. Anche lo scorso anno ho celebrato a Baro. Il prossimo anno dovremo celebrare all’aperto, all’ombra di qualche grande albero. Eh si. Noi, a Natale, non cantiamo la famosa “… e vieni in una grotta, al freddo, al gelo…”! Cantiamo con un bel sole nel cielo.
Per Santo Stefano avevo organizzato un incontro importante al villaggio di Samudje. Alcune decine di persone del grosso villaggio, 900 abitanti circa, chiedono di iniziare la prima evangelizzazione dentro il loro villaggio. La maggioranza degli abitanti segue la religione musulmana, e dopo due incontri per ascoltare le persone che chiedono di diventare cristiani, all’ultimo dei quali ha partecipato anche il nostro vescovo di Foggia, mons. Francesco Pio, era arrivato il momento di incontrare i responsabili del villaggio e dei musulmani.
In questo ultimo mese ci sono stati chiari segni di coinvolgimento alla vita della comunità cristiana: da Samudje varie persone si sono regolarmente spostate per seguire la catechesi di Facam (il villaggio vicino) o per partecipare alla S. Messa domenicale, manifestando così che la loro domanda li sta già coinvolgendo nella realtà delle loro scelte.
Ma adesso occorre verificare se gli uomini anziani del villaggio (quasi tutti musulmani) e i responsabili della moschea (costruita dai paesi arabi), rimangono sereni davanti alla possibilità di iniziare una presenza della chiesa cattolica accanto alle loro case. Penso che sia sempre opportuno, quando inizia una catechesi in un villaggio, informare i grandi, spiegando chi siamo, cosa facciamo, cosa desideriamo. Noi missionari siamo sempre stranieri, consapevoli che, in passato, gli stranieri hanno fatto quel che han voluto, senza chiedere il permesso a nessuno. Chiederei di fare lo stesso incontro anche se non ci fossero i musulmani. La loro presenza, così già forte e radicata dentro questo villaggio, mi chiede di essere ancor più attendo a non lasciare l’impressione di chi viene senza rispettare chi ha una sua cultura e una sua religione diversa dalla mia.
Arriviamo con don Marco, Marina e Andrea, nostri ospiti in questo mese. L’inizio è un pochino freddo: siamo ben accolti, ci portano le sedie più comode, le persone arrivano rapidamente. Ma mi sembra di notare un comprensibile distacco. Non ci conosciamo. Ci guardano non con diffidenza; ci guardano per capire meglio. A volte gli occhi e gli sguardi dicono tanto.
Facciamo un bel cerchio. Con me ho portato il bravo capovillaggio di Talicò, un cristiano proprio bravo e serio. Arrivano anche i cristiani adulti di Facam e gli adulti che chiedono la catechesi a Samudje. Ci siamo tutti. Una trentina di persone in cerchio. Le prime parole possono essere decisive, e tocca a me.
Non mi preoccupo più di tanto, non è la prima volta che presento me stesso e la chiesa, e vi voglio risparmiare il mio predicozzo iniziale, visto che già siete stati in chiesa a Natale (almeno, così spero per voi che leggete!).
Ho evidenziato che siamo persone di pace, e che prima di rispondere alla domanda che alcuni di loro mi hanno fatto (iniziare la evangelizzazione), sento importante ascoltare quello che i grandi pensano. Poi evidenzio che la chiesa entra nei villaggi per aiutare le persone (ma loro lo sanno già!), non solo per il loro percorso di fede, ma anche per le necessità umane e sociali del villaggio. Poi ho insistito su una cosa che i musulmani apprezzano sempre molto (imparate, magari vi serve anche in Italia…): il nostro desiderio è quello di aiutare le persone a diventare uomini e donne di preghiera. Perché la persona che prega è di Dio, chi non prega non è completo nella sua vita.
E qui si sciolgono tutti i cuori dei miei fratelli musulmani, a cominciare dall’imam che risponde finalmente con ampi sorrisi.
Adesso vediamo cosa dicono loro. Il primo anziano che parla è ben vestito, e si esprime con parole adatte, forse è una persona che ha studiato, oppure ha viaggiato. E comincia a dire delle parole che saranno poi ripetute da tutti gli altri, più o meno ripetendo le stesse idee.
Le volete sapere? Vi dico subito! Afferma che è una gioia grande, per tutti loro, accoglierci e ascoltare le nostre parole e vedere che la chiesa cattolica arriva anche al loro villaggio. E che, addirittura, avere la presenza dei cristiani in mezzo a loro sarà una ulteriore possibilità, per tutti, di scegliere un cammino giusto che porti a Dio.
Quando sento queste espressioni, ricordo sempre alcune delle difficoltà che vivevo a Segezia (Foggia), durante le 16 estati passate sempre nel campo di accoglienza della parrocchia, a stretto contatto con musulmani del nord Africa che non dimostravano la apertura mentale, la serenità, l’accoglienza che i musulmani di Bigene dimostrano e vivono verso noi cristiani. Sarà che Bigene è speciale (!), sarà che qui non sono ancora arrivate le correnti integraliste di altre parti del mondo, sarà che qui le banane crescono senza conservanti… ma musulmani così belli e disponibili al dialogo e all’amicizia io non li ho mai incontrati prima!
Fossero tutti così…. Ma non voglio entrare in discorsi più grandi di me. Qui i nostri fratelli musulmani sono così. Ma aspetta: non è ancora finita!
Il capovillaggio parla dopo la prima risposta, e oltre a confermare le parole del primo uomo grande locale, ci chiede aiuto per due cose precise: la scuola “portoghese” e il centro medico. La scuola portoghese è chiamata così per distinguerla dalla scuola coranica, presente nel villaggio. È la scuola impostata dai colonizzatori, con le materie normali che si dovrebbero studiare in tutte le scuole: lingua locale, matematica, scienze ecc. Loro ci tengono assai per la scuola coranica (dove i bambini sono indottrinati, e mi fermo qui!), ma chiedono di essere aiutati per la scuola comunitaria con le materie normali. Grande!
Poi hanno già un centro medico, in cui opera un infermiere e una donna educata ad accompagnare i parti delle mamme, ma sono senza medicine.
La mia gioia profonda è dentro queste due richieste precise: la educazione “normale” dei bambini e la loro salute. Perché nella missione stiamo portando avanti proprio questi due progetti, sostenuti dagli amici della onlus “Missionari di Bigene” che ci accompagna con grande attenzione: “Una scuola per tutti” e “Avevo fame…”. Per conoscere meglio i due progetti, andate a vedere nel nostro sito: http://www.missionaridibigene.it/ .
Insomma: il capovillaggio, con cui avevo parlato solo una volta, anni fa, mi chiede di continuare a portare avanti questi due progetti! Ma non vi sembra una grande conferma sul nostro lavoro???
Ma aspetta aspetta, c’è altro! Ovviamente parla anche l’imam con parole adatte a spiegare come dobbiamo essere tutti credenti, e poi anche il maestro della scuola coranica, che quasi ci fa una lezione sulla loro fede in confronto alla nostra. Ovviamente non rispondo. La nostra fede non è la loro stessa fede (o viceversa). Ci sono delle cose importanti che ci uniscono, e che don Marco evidenzia nel suo intervento. Ma poi noi abbiamo in Natale, appena celebrato. Dio che si fa uomo è l’amore di Dio che si realizza. È in Cristo la novità sconvolgente di noi cristiani. Ma non era il momento e il luogo per un confronto a questi livelli più profondi della fede. Al termine di tutti i numerosi e buoni interventi, sapete che cosa ci hanno chiesto???
Ci hanno chiesto di pregare! Ognuno nella modalità della propria religione. I musulmani hanno recitato qualche versetto del corano (immagino che sia così) e noi abbiamo ascoltato in silenzio (e senza capire nulla). Poi noi abbiamo recitato il Padre Nostro in criolo, comprensibile quasi a tutti, e loro hanno ascoltato.
Guardate che non sto raccontando fantasie…. Il capovillaggio ci ha chiesto di pregare!!! E noi abbiamo pregato con le parole di Gesù in mezzo ai musulmani che ci ascoltavano!!!
È finita??? Neanche per sogno!!! Perché quando abbiamo terminato, e ci siamo salutati, il capovillaggio mi ha portato a casa sua, chiedendomi di andare a vedere la sua sorella gravemente ammalata. La donna anziana, poveretta, è ridotta proprio male. Stesa sul letto, piena di dolori, con gli occhi chiusi. Quando le hanno detto che ero accanto a lei, si è messa a sedere e io le ho appoggiato la mano sulla fronte, in segno di offerta della sua vita al Signore e pregando nel mio cuore. Tutti sono rimasti contenti. Per la poveretta sono arrivati gli ultimi giorni, impossibile pensare di spostarla dalla sua stanza. Il capovillaggio musulmano mi ha ringraziato per il gesto e mi ha chiesto di venire presto a parlargli ancora….
Vorrei terminare questa descrizione affermando: cose dell’altro mondo!
Invece vi dico che questo di Bigene è un mondo bello, vero, di comunione, anche se siamo così diversi.
Forse (oso? oso!), forse siete voi che vivete in un altro mondo!!!
Infine oggi, 27 dicembre, che la chiesa vive con la festa di San Giovanni, apostolo e evangelista.
Per oggi e domani è in programma un incontro di formazione per i “novatus”: sono gli amici animatori della catechesi che desiderano diventare catechisti. Questa formazione avviene, normalmente, a livello di vicariato: un paio di incontri di due giorni all’anno. È troppo poco. Ho deciso di iniziare una formazione in parrocchia per questi 11 bravi fratelli. È una esperienza nuova anche per me: formare i catechisti in Italia è ben diverso, dove le diocesi normalmente offrono formazioni a vari livelli per tutti i catechisti parrocchiali. Ma formarli dentro la nostra piccola missione, senza esperienza precisa dei missionari su questo servizio pastorale importante e diretto a queste persone, cercare di educare alla metodologia, ai contenuti e alle responsabilità del futuro catechista, è una esperienza nuova e necessaria. E quindi partiamo, cercando di capire quali passi compiere.
Il vescovo di Bissau, Dom José, mi aveva indicato un metodo preciso, che oggi ho provato ad adottare: fare una catechesi ai novatus, e poi chiedere a ognuno di loro di ripeterla a tutti gli altri. Ho scelto un argomento impegnativo, che si trova verso la fine del testo di catechesi pre-catecumenale: “Tu accetti di vivere nelle abitudini della famiglia cristiana?”. Si tratta di capire che le tradizioni culturali locali, molto forti in tutta la Guinea-Bissau, non sono il modo migliore di realizzare la vita della persona. Un cristiano, che desidera vivere bene la sua fede nella famiglia cristiana, deve prendere quello che c’è di buono nella cultura locale e eliminare quelle cerimonie tradizionali che sono contrarie alla Parola di Dio e all’insegnamento della chiesa. Non è facile. Ci sono certe cerimonie tradizionali che potrebbero essere anche pericolose, come quando si cerca la presenza degli spiriti che non sono sicuramente gli angeli che parlano ai pastori di Betlemme, o come quando si cerca il colpevole della morte di qualcuno. Poi ci sono altre cose poco “carine” come le presunte ispirazioni degli stregoni locali.
Niente di nuovo, non preoccupatevi. Se fossi in Italia, direi ai cristiani la stessa cosa: smettetela di giocare con le sedute spiritiche e di frequentare i vostri maghi per risolvere i vostri problemi, perché non solo state abbandonando Dio, ma vi mettete anche in mano di non-angeli e non-profeti. Vedete voi se vi conviene!
Finita la ma catechesi, il catechista in formazione del villaggio di Djambam, di nome Malì, si offre di ripetere la catechesi ai presenti.
Che vi devo dire? Sarà che Malì, insegnante nella scuola della missione, ha capacità ed esperienza, sarà che è coraggioso e bravo, fatto sta che ha svolto una catechesi bellissima, e gli altri novatus sono intervenuti facendo domande tutte appropriate all’argomento, come se fossero cristiani inesperti, e lui ha risposto benissimo, trasmettendomi una grande consolazione pastorale. Non pensavo che fosse così capace di ripetere la catechesi così bene. Davvero. Eppure è in formazione solo da un paio di anni. Ma che bravo! Io me lo vedo già, tra qualche anno, capace di andare da solo in un villaggio per donare la catechesi ad altre persone.
Non potete immaginare come sono contento di questa prima esperienza. Siamo partiti bene, con il piede giusto, e potremo solo continuare meglio. Domani sentiamo gli altri novatus come si potranno esprimere, magari tra di loro ci sono alcuni più timidi, o meno capaci. Fa niente. Oggi ho sentito una bella lezione di catechesi, e vedo che il futuro della missione avrà nuovi catechisti capaci di aiutare la propria gente.
Perché noi missionari siamo di passaggio: qualche anno passa in fretta. Ma loro ci rimangono: sono loro che avranno una “missione pastorale” molto più lunga della nostra. Un catechista, in Guinea-Bissau, è catechista per sempre!
Ecco, cari amici. Quello che ho visto, sentito, toccato con mano, lo annuncio anche a voi, perché siate felici anche voi. Bigene è solo un granellino di sabbia sull’ampia spiaggia dell’umanità. Ma anche se siamo così piccoli, vi posso assicurare che il Natale, a Bigene, accade sempre di più.
Quei pastori di Betlemme erano un poco come la mia povera gente di Bigene. Ma proprio a loro Dio ha mandato i suoi angeli! Il Natale, per Grazia di Dio, accade sempre di più!
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