La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati

La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati
Il territorio della missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati, a nord della Guinea-Bissau e confinante con il Senegal.

16 aprile 2014

Diario 26: Cristo Parola per una nuova Africa


14 Gennaio 2014
L'anno nuovo è iniziato con nuove prospettive di evangelizzazione: dal villaggio di Kunaià sono venute varie persone alla S. Messa a Bigene, chiedendo di poter entrare nella Chiesa Cattolica. E dal villaggio di Saiam Mandinga sono venute alcune persone alla prima evangelizzazione che si tiene a Sanò 2. Sale così a 34 il numero complessivo dei villaggi che ricevono la nostra evangelizzazione (su 58): 21 i villaggi che accolgono il catechista in mezzo alle loro abitazioni, 13 i villaggi che si recano a ricevere l'evangelizzazione nel villaggio vicino. Di questi ultimi, il villaggio di Samudje in questo mese inizierà la prima evangelizzazione al proprio interno (22 villaggi ricevono evangelizzazione diretta e 12 si recano vicino). Mi sembra che siano segni del Signore che rallegrano i cuori. E chiediamo forza allo Spirito: la nostra missione è, prima di tutto, prima di noi, prima di qualsiasi persona o cosa, SUA.
La cartina geografica aggiornata di Bigene e dei suoi 58 villaggi. Un grazie particolare a Giorgio Parise per la realizzazione, e un saluto speciale agli amici che hanno potuto visitare questa terra.









21 Gennaio 2014
IL CIELO TI HA MANDATO.
Come saluto ricevuto, devo dire che è veramente bello e appassionante. Ma sentirmi dire queste parole da un anziano capo-villaggio, dopo che lo incontro per la prima volta e mi presento spiegandogli perché ho iniziato la prima evangelizzazione nel villaggio accanto, e chiedendogli se non ha difficoltà se alcuni dei suoi giovani frequentano la mia catechesi.... e sentirmi dire queste esatte parole da lui che è musulmano.... Mi è venuta la pelle d'oca! Uno dei giorni più belli di questi (quasi) sei anni di missione. Lo devo elaborare bene questa notte, e domani la racconto questa storia. Intanto ringrazio Dio che continua a donarmi persone come questo uomo grande, sofferente nel corpo poco curato, ma splendido nella sua fraternità.

22 Gennaio 2014
Bene, e oggi cosa è accaduto? Incredibile.
Ieri, questo bravo capo-villaggio di Sanò 3, al termine dell'incontro con lui, mi chiedeva delle medicine perché ha dolori nel corpo. Gli ho risposto che deve andare a farsi una visita dall'infermiere di Baro, e solo dopo lo potrò aiutare con le medicine. E' una frase detta tante volte, ma tante volte le persone vanno dai loro "curanderi" e non all'ospedale. E lui che fa?
Questa mattina, dopo la catechesi di Liman, trasporto un giovane all'ospedale di Baro. Arrivo e mi trovo proprio lui, il capo-villaggio di Sanò 3 che, con fatica, è arrivato a Baro con la bicicletta. Però è preoccupato: le medicine che l'infermiere gli ha prescritto, per disinfettare l'intestino da parassiti, non si trovano a Baro. Prendo in mano il foglietto e gli dico: "Te le trovo io a Bigene, le abbiamo tutte al Centro Nutrizionale".
Adesso, ditemi voi, la immaginate la sua risposta?
Io lo so che non ci crederete, perché mi sembra tutta una storia impossibile: lui che ha questo foglietto in mano e si dirige sconsolato verso il suo villaggio senza medicine, e io che arrivo proprio in quel momento....
Ecco cosa mi dice: “TE LO AVEVO GIA' DETTO IERI: IL CIELO TI HA MANDATO. NON CI CREDI???”.
Domani gli porto le medicine in casa: volete scommettere cosa mi dirà?

25 Gennaio 2014
Gesù ha ribaltato Saulo e lo ha fatto diventare il più grande evangelizzatore della storia. Ribaltaci, Signore!
Oggi, festa della Conversione di S. Paolo, prima catechesi al villaggio di Samudje. Non poteva mancare la foto ricordo. Il gruppo non è numeroso, ma potrà solo crescere: hanno dimostrato la volontà di compiere bene il cammino verso il Signore, e il catechista Uié (in piedi, il primo uomo a sinistra) è ben preparato per accompagnare queste persone. La maggioranza della popolazione del villaggio è di religione musulmana: ci siamo parlati con grande rispetto reciproco, e loro stessi sono contenti che queste persone si mettano in preghiera verso Dio (come amano dire i musulmani). Li affido alla vostra preghiera: sono proprio all'inizio di tutto, il viaggio sarà lungo. Il viaggio sarà una scoperta continua dell'amore del Signore!

31 Gennaio 2014
Nel mese di gennaio 2014 presso il Centro di Recupero Nutrizionale della missione di Bigene, abbiamo aiutato 27 bambini denutriti, 54 bambini gemelli, 8 bambini orfani, per un totale di 89 bambini. Abbiamo aiutato anche 52 mamme in gravidanza e 64 mamme con difficoltà di allattamento, per un totale di 116 mamme. Le persone aiutate sono in tutto 205. Grazie a tutti gli amici che ci aiutano ad aiutare.

02 Febbraio 2014
Termino la catechesi a Sanò. Sono le prime catechesi, siamo proprio all’inizio, al primo anno di evangelizzazione. Queste persone di Sanò sono proprio brave: puntuali, preparano bene il luogo dell’incontro, arrivano con gioia provenienti a piedi anche dai villaggi vicini.
Non sanno pregare, ovviamente. Ripetono le mie parole e i miei gesti, come dei piccoli bambini che imparano dalla maestra. A volte sono anche commoventi nei loro atteggiamenti, come quando metto le mani giunte durante la preghiera, e anche loro mettono le mani giunte, guardandosi tra di loro per verificare se compiono bene il gesto.
Mi fermo a parlare con alcuni uomini e vedo sul fondo della “chiesa” un gruppo di donne che rimangono sedute, in cerchio. Loro chiamano “chiesa” il luogo della catechesi: sotto un grande mango, hanno realizzato dei divisori con delle strisce di bambù, e dentro non c’è niente, solo lo spazio per sedersi. Ognuno porta da casa il suo sgabellino di legno, per sé e per chi viene da fuori.
Le donne sedute in cerchio attirano la mia attenzione. Mi accorgo che stanno ripetendo assieme il Segno della Croce. Non sono sicure se devono portare la mano prima sulla spalla sinistra o sulla destra. Capisco che vogliono fare bene questo segno della fede, e fanno assieme delle prove. Poi decidono che la mano deve essere portata prima sulla spalla sinistra. Due di loro mi guardano, come per ricevere approvazione, e rimanendo al mio posto faccio segno che è giusto come hanno fatto. Velocemente si comunicano che così si deve fare, e ripetono assieme il Segno della Croce. Una, due, tre volte. Hanno capito, sono felici, e non lo dimenticheranno più.
Nel mio cuore le benedico, con tanta riconoscenza: mi stanno insegnando che devo fare bene il Segno della Croce, senza fretta, pensando bene a quello che sto dicendo e facendo.
Se ti può essere utile questa piccolissima testimonianza che arriva da un villaggio africano, quando fai il Segno della Croce, pensa che stai comunicando con Dio!

10 Febbraio 2014
Villaggio di Baro. Dentro la "nuova" scuola di Baro per i bambini piccoli dell'asilo. Ma riuscite a leggere bene sulla lavagna? Hanno già imparato a contare fino a 30! La scuola è quello che è, ma i bambini sono bravi bravi!





18 Febbraio 2014
Quando apro la chat, succedono sempre nuovi incontri, alcuni veramente belli e positivi. Persone che non sento da molti anni, e che usano il profilo dei figli per comunicare con me..... e che mi ringraziano..... E io che cerco di ricordare i loro volti, il tono della loro voce, le espressioni dei loro occhi.... mi sforzo di capire da ogni loro parola come potevano essere allora e come sono adesso.... Poi succede che vado in crisi quando mi dicono, alla fine dei saluti: "Un bacio a tutti i tuoi bambini!". Ma vi rendete conto che dovrei mettere in fila 5.000 bambini???

21 Febbraio 2014
Che gran dono di Dio è la vita !!!!! E' nato in macchina, davanti a me. Non sono riuscito ad arrivare a Bigene: ha deciso di nascere per strada. Gioia e lacrime si mischiano nel dono della vita: è nato Ivo 17.
...
Sono una bambina e mi chiamo Fatu. Sono arrivata troppo tardi al Centro di Recupero Nutrizionale di Bigene. Ero nata il 4 gennaio 2012, nel villaggio di Simbor. Stavo bene nei primi mesi, poi è iniziata la denutrizione. Sempre più grave. Sono arrivata qui al Centro l'11 febbraio, dieci giorni fa. Suor Nella ha subito organizzato il mio ricovero presso il Centro per bambini denutriti di Ingoré, dove ho ricevuto le prime cure. Ma non sono state sufficienti. Oggi sono salita al cielo: guarderò tutti i bambini dal Paradiso. Io non ho più bisogno di cure, adesso. Fate una preghiera per la mia mamma e grazie per quello che fate per tutti gli altri bambini denutriti.




Ho ricevuto notizie: la mamma di Fatu ha la tubercolosi. Molto probabilmente anche la bambina aveva la tubercolosi, ma nessuno aveva pensato di farla visitare da un vero medico.
...
537. A fine febbraio possiamo fare un piccolo calcolo. 537 sono le persone, in maggioranza giovani, che ricevono la mia catechesi settimanale (non sono contati i bambini, a volte molto numerosi anche loro!). Non sono tutti presenti ogni settimana, e alcuni di loro, per motivi di scuola o di lavoro, hanno segnato poche presenze in questo anno pastorale (le catechesi iniziano a fine ottobre, dopo la Giornata Missionaria Mondiale e terminano durante il mese di giugno). Le catechesi sono molto diversificate: ci sono villaggi che sono all'inizio (come Sanò) e altri che hanno già compiuto un buon cammino. Mi sembra che il numero delle persone che hanno “segnato” il loro nome per diventare cristiani sia un bel numero. Calcolate che queste sono solo le mie catechesi, ma poi ci sono anche gli altri catechisti, che offrono altre catechesi in altri villaggi.
Nel dettaglio, ecco dove annuncio Gesù il Salvatore e le persone iscritte:
+ Liman: 52 persone al sesto anno di pre-catecumenato;
+ Baro: 107 persone al quarto anno di pre-catecumenato;
+ Bigene: 14 persone al primo anno di preparazione alla Cresima (di Bigene, Farea, Bambea e Indaià);
+ Talicò: 90 persone al sesto anno di pre-catecumenato;
+ Bucaur: 23 persone al primo anno di catecumenato;
+ Ponta Nobo: 128 persone al secondo anno di pre-catecumenato (di Ponta Nobo, Kubutol, Sarba e Mansacunda ovest);
+ Sanò 2: 105 persone al primo anno di pre-catecumenato (di Sanò 1, Sanò 2, Sanò 3 e Saiam Mandinga);
+ Bigene: 18 persone al primo anno di catecumenato (di Bigene, Senker Ba e Farea).
Nelle catechesi dei pre-catecumeni il numero globale degli iscritti continuerà ad aumentare: a fine anno vedremo dove arriviamo.
Oltre che segnare i numeri delle persone e dei villaggi… invochiamo lo Spirito Santo per loro. E anche per me: annunciare Cristo è una responsabilità grande!

25 Febbraio 2014
E chi dorme stanotte???
Ho fatto tardi, in chat con qualcuno di voi.... Alle 23.00 vado a spegnere il generatore, che si trova staccato dalla casa, appartato, in mezzo a una bella vegetazione. Prima di spegnere il generatore stacco la corrente verso casa, e non mi accorgo di nulla. Sono al buio, con la pila in mano. A terra, nell'angolo sotto l'interruttore della corrente, ci sono dei bidoni vuoti per l'olio del generatore e altre cose. Dopo aver staccato la corrente alla casa spengo il generatore, e solo allora sento un leggero rumore non identificato prima. Giro la pila verso l'angolo della corrente per la casa … e lui è proprio là. Si è alzato "in piedi" (non so come dire meglio) e mi guarda, abbastanza agitato.....
Quando capisco cosa sta accadendo, mi ricordo del grande Pietro Mennea…. Ma dopo 20 metri il fiato è già finito, e Tino, una delle due guardie notturne, capisce subito e mi ferma chiedendomi: “Dov'è??? Lo dobbiamo prendere!!!”.
L’adrenalina che mi ha fatto saltare fuori dalla casetta del generatore mi lascia una pausa per capire che non possiamo lasciarlo là. Ma avviso Tino: “Guarda che è grande, è enorme, non ne ho mai visto uno così grande!!!!!". Decidiamo che Tino rimane davanti alla casetta del generatore e io corro a chiamare l’altra guardia, Ensa, munito di fucile. (Apprezzate il mio coraggio???? Invece di chiudermi in casa…). Ci vuole il fucile! Ma subito capisco che non possiamo usarlo! Arriviamo in fretta, alla Fiasconaro per intenderci, e Tino è ancora davanti alla casa del generatore. Non è uscito, sta ancora dentro. Con le pile cerchiamo di guardare dalle finestre per capire dove si è nascosto, e poi lo troviamo in un altro angolo, dietro il generatore. Ma non possiamo usare il fucile: ci sono le taniche di benzina, il contenitore del gasolio, anche le bombole del gas! Insomma: sparare lì dentro…. vuol dire saltare tutti per aria!
Tino ha un’idea: prendiamo la canna alta che la scuola della Missione usa per l’alzabandiera. Sono perplesso…. Quella canna serve alla scuola…. La va a prendere e la porta subito. È bella lunga, ma decidono di tagliarla, per ricavarne una punta rigida. E così fanno! Non mi lasciano nemmeno il tempo per riflettere se è la cosa migliore da fare, e subito Tino armeggia con la canna per cercare di prenderlo, magari di ferirlo. Quello scappa da una parte all'altra: capisce di essere in trappola, e alla fine decide di uscire dalla porta. Apriti cielo! Anche se è notte!!! Sapete cosa fa uscendo? Viene diritto verso di me! Quello ha capito che l’ho tradito: invece di lasciarlo nel suo angolo tranquillo, gli ho combinato tutto questo pandemonio. Ragazzi: in due secondi… che dico! in mezzo secondo decido da che parte scappare, e corro in mezzo agli alberi (chi era il campione dei 110 a ostacoli???). Ma non serve. Grazie a Tino ed Ensa, che hanno coraggio da vendere. Con la canna appuntita e con delle pietre riescono a fermarlo. Puntano alla testa, mentre lui si dimena. Poi arriva il colpo di grazia con quel piccolo coltellino di un metro che tengo nel garage. Non mi viene il nome…. Fa niente. Ritorno indietro. La testa è quasi staccata, ma il corpo continua a dimenarsi. Dicono che è normale così.
Anche Tino ed Ensa, adesso, affermano che è veramente grande. E sono contenti di avergli rotto l’osso del collo (ma il collo ce l’ha?) perché dicono che è proprio pericoloso. È un grosso esemplare di …. Non lo voglio nominare! Un metro e mezzo di lunghezza, grosso come un bicchiere. Come dicono i miei amici a Napoli: “Se ce penso, nun ce posso pensà!”.
E chi dorme stanotte? Mamma mia, sono arrivato a qualcosa come 10 centimetri di distanza con la mia mano. L’adrenalina non mi è ancora passata: beato don Marco che sta a dormire, e che non ha sentito niente del nostro chiasso. Meglio così.
Però mi rimangono due cose in sospeso. La prima: chi di voi può andare per me al Santo, e depositare un bel cero, grosso almeno quanto un bicchiere, per la grazia ricevuta??? Non scherzo, lo chiedo davvero.
La seconda: comprendo che domani riceverò una giusta ramanzina dalle suore che non hanno più la canna lunga per l’alzabandiera alla scuola. Hanno ragione! Però, se penso ai quasi 300 bambini che entrano nella scuola, vicino a casa mia, e che continueranno a giocare sereni e con un pericolo in meno….. sono contento!

26 Febbraio 2014
Volevate vedermi??? Eccomi. Io sono Ivo 17, quello che è nato dentro la macchina di padre Ivo il 21 febbraio scorso. Che storia!!! Ve la racconto meglio tra poco. Intanto godetevi il mio bel viso: in questo momento ho circa 6 ore di vita, e sono avvolto dentro il panno che mia mamma ha preparato per me. Che bella cosa vivere..... Sono contento di avercela fatta, anche se il sedile di "segezia" (l'auto di don Ivo) non era proprio la cosa migliore! Però ci sono! Ciao belli!!!










Eccomi dentro "segezia" per ritornare al mio villaggio di Samodje, che ancora non conosco! La mia mamma, che mi tiene in braccio, è ancora debole, a sole sei ore dal parto avvenuto dentro la macchina. Dietro la mia mamma è seduta la signora che l’ha aiutata quando, finalmente, ho voluto vedere la luce! Al finestrino è il mio papà, tutto contento. Ma che fatica, ragazzi!!!! Non lo so perché, forse perché io sono il primo figlio di mia mamma, forse perché la mia bella mamma è giovane... Fatto sta che non volevo nascere a casa. E dopo tante ore di fatica, per me e mamma, è arrivato don Ivo per portarmi al Centro Nascite di Bigene. A metà strada mi sono deciso: volevo vedere quanto è bianco il bianco, e ci sono riuscito!!! Padre Ivo si è preso uno spavento.... La mia mamma non ha detto niente, nemmeno "Ah", e nessuno parlava. Mamma era seduta dietro, con la testa tra le braccia di mia nonna e le gambe tra le braccia della brava signora che mi ha aiutato a nascere. E quando ho messo la testa fuori..... Don Ivo si è girato un attimo e mi ha visto mezzo dentro e mezzo fuori. Mamma mia come è diventato bianco in faccia il nostro sacerdote!!!! Eppure sono così bello io!!!! Non ci siamo nemmeno fermati: lui continuava a guidare, e io continuavo a spingere. Poi ci siamo fermati alla prima casa. Di corsa, per prendere l'acqua. Don Ivo si è spaventato ancor di più, perché non mi ha sentito piangere.... Per un attimo pensava che io non fossi vivo. Tutte le donne dentro la casa a lavarmi, a lavare la mia mamma. Don Ivo stava fuori, era serio serio, non ho capito se piangeva o se pregava. O forse tutt'e due! Poi mio papà è corso fuori a dirgli: "Ivo è vivo"!. Padre Ivo ha chiesto: "Quale Ivo?". E poi ha capito che mio papà parlava di me, e che mi aveva messo il nome del nostro parroco. Anche se i miei genitori sono musulmani, padre Ivo è sempre il mio parroco, e sono sicuro che mi vuole già un mondo di bene!!!

E poi, che volete... è vero che io sono il 17esimo.... però sono il primo che nasce dentro "segezia", e sono convinto che il don si ricorderà a lungo di me.... Chissà a quanti amici italiani racconterà la mia nascita!!!


28 Febbraio 2014
Questa foto ha una storia che vi devo raccontare. Villaggio di Ponta Nobo, catechesi sul Terzo Comandamento. Chiedo: “Quanti giorni ci sono nella settimana?”. Risponde Monda, uno degli anziani sempre presenti, e che vedete nella foto: “Non lo so quanti giorni ci sono. I giorni li hanno inventati i portoghesi, ma prima non c’erano”. Rimango sorpreso e interessato, e cerco di capire meglio come vivevano quando lui era bambino. Chiedo: “E come facevate a sapere il giorno del mercato?” (Il mercato è un giorno importante per tutti gli abitanti dei villaggi: al mercato si va a vendere i piccoli frutti del proprio lavoro o ad acquistare le piccole cose necessarie per la vita).
Monda: “Una volta non c’erano i mercati. C’era solo la grande fiera, una volta all’anno, nelle grandi città”. Aumenta la mia curiosità: “E dove andavi a comprarti le ciabattine?” (che adesso usano quasi tutti: delle semplici infradito di plastica, prodotte in Senegal).
Monda: “Una volta nessuno usava le ciabattine. Non esistevano! Camminavamo tutti a piedi nudi”.
Io: “E per comprare una camicia, o una maglietta, come facevi?”.
Monda: “Una volta non c’erano le camicie. Se qualcuno doveva andare in viaggio fuori del villaggio usava l’unica camicia in dotazione a tutto il villaggio. Quando ritornava la riconsegnava e un altro la poteva riutilizzare. Era sempre quella”. Capite che la mia curiosità aumenta… “E come facevi con i pantaloni?”. Monda: “Non esistevano i pantaloni, quelli li hanno inventati i portoghesi! Una volta tutti usavamo il lope”. E qui Monda tenta di spiegarmi cosa è il “lope”, ma siccome lui parla poco in criolo, e io faccio fatica a capire cosa possa essere questo “lope”, lui aggiunge con aria da professore attempato: “Quando vieni la prossima settimana te lo faccio vedere!”.
Ed ecco la foto: il mio amico Monda con i vestiti usati nella tradizione dalla etnia dei “Balanta”.
Il lope è un semplice panno che riveste i fianchi della persona, ed era l’unico “vestito” indossato nei tempi passati. Poi Monda mi spiega che il lope, di notte, era usato per ricoprire i bambini che avevano freddo. Poi, di primo mattino, il papà se lo riprendeva, si cingeva i fianchi, ed usciva per iniziare la sua giornata. Così lui ricorda il suo papà, e così faceva anche lui quando era giovane. 
L’altro panno che vediamo nella foto è un panno “moderno”, per coprire le spalle e riparare la testa dal sole. Il copricapo rosso in testa indica che la persona ha terminato tutti i riti di iniziazione della sua etnia, e quindi è da considerare un adulto della comunità, da rispettare in tutto quello che dice.
Altro strumento antico, ma ancora attualmente molto usato, è il coltello che sta dentro il contenitore variopinto, vicino alla mano di Monda. Con una cordicella attorno alla vita, sempre a portata di mano! Un bel coltello serve a tante cose: per lavorare, per mangiare, per difendersi. E poi piedi nudi, perché così erano tutti. E questo è tutto: non c’erano altri indumenti e si risparmiava sul sapone per il bucato!!!
Ecco a voi la lezione del mio amico Monda. Aggiungo due considerazioni finali:
+ ammirate i colori vivi di questa gente….
+ Monda, adesso, conosce il Terzo Comandamento. Dopo tanta strada nella vita, non lo vuole dimenticare. Vero che anche tu non l’hai dimenticato???

04 Marzo 2014
Ho avuto conferma, adesso, che quattro carissimi amici di Cervarese S. Croce (Padova), mio paese natale, si organizzano per venire a Bigene ad agosto. Queste sono notizie che fanno bene!

15 Marzo 2014
Baro è il villaggio più grande della Missione di Bigene. La comunità cristiana è in continua crescita, arricchita anche dalla presenza dei nuovi cristiani dei villaggi vicini. Necessita la costruzione di una chiesa per le celebrazioni, per la catechesi, per la preghiera. Sarà un’impresa consistente e importante: seguiteci per vedere le tappe di questa realizzazione... E che il Signore ci aiuti!
Il Vescovo di Bissau, dom José, ci aveva invitato a pensare alla costruzione della chiesa per la comunità di Baro. E noi vogliamo pensarci con lui! Fatte le verifiche all'interno della comunità cristiana, individuato il terreno da acquistare, adesso dobbiamo definire bene quanto terreno serve, pensando anche ai tempi futuri: Baro potrebbe diventare una nuova Missione, bisognosa di spazi per realizzare non solo la chiesa, ma anche altri edifici come la scuola, la casa per i missionari, il Centro di Salute.... Guardare ai tempi futuri è indispensabile per compiere bene i primi passi. Qui il Vescovo effettua la visita del terreno individuato dalla comunità, accompagnato da alcuni adulti della comunità cristiana. Desideriamo accogliere il suo discernimento.

Dom José ci indica un esempio concreto: la confinante Missione di Ingoré (a 22 km da Baro). Quando fu acquistato il terreno per quella Missione, circa 30 anni fa, si pensava fosse più che sufficiente. Invece, nel tempo, le suore hanno dovuto costruire molte opere al di fuori del loro terreno, ed opere importanti come il Centro Nutrizionale con un piccolo Ospedale per i bambini denutriti, il Liceo per gli studenti. Il consiglio del Vescovo è di acquistare un terreno più esteso, se possibile, per non pensare solo alla chiesa da costruire, ma per pensare a quello che potrebbe essere utile ad una futura Missione in questo villaggio, posto al centro di molti villaggi che hanno iniziato la prima evangelizzazione da pochi anni, e che continueranno a crescere. L'invito del Vescovo, dunque, è quello di pensare non solo a noi, ma anche ai nostri figli, e ai figli dei nostri figli. Le parole illuminate di dom José hanno trovato tutti i presenti molto attenti e concordi su questo discernimento. In questo mese abbiamo verificato come poter allargare l’area del terreno da acquistare, e i confinanti sono disposti a cedere i loro terreni per il bene di tutta la comunità. Un bel segno di comunione!

La foto del gruppo che si è riunito con il Vescovo di Bissau. In basso, il legno verticale infisso nel terreno segna uno dei quattro angoli della sua superficie. Lo spazio individuato arriva in fondo fino alla coltivazione del cadjù. Attualmente il terreno non è lavorato: è pronto per essere acquistato.


16 Marzo 2014
È già ripartita per l’Italia, ma la sua visita alla Missione di Bigene è stata importante per tutti noi. Suor Gdlan, originaria del Brasile, delle Suore Oblate del S. Cuore di Gesù, è rimasta con noi una decina di giorni, condividendo con semplicità le nostre attività. Di poche parole, ma attenta a guardare la nostra vita, in modo particolare delle sue consorelle Oblate.
Solo quattro domande, con risposte molto brevi e precise, che lasciano il segno anche a noi missionari di Bigene.
1. Cosa pensi della Missione di Bigene?
Questa Missione è importante. Vedo molta evangelizzazione, ma vedo anche molta promozione umana che è necessaria per accompagnare l’evangelizzazione.
2. Le suore Oblate sono a Bigene da più di 21 anni. Come le hai trovate?
Molto impegnate nella missione. Non è una missione facile, ma vedo che sono ben animate nel lavoro della missione.
3. La comunità cristiana di Bigene è piccola e ancora all’inizio del suo cammino. Come vedi questa nostra comunità?
Non ho visto molto, ma ho incontrato un bel numero di adulti che partecipa alla Messa quotidiana. Per me è un segno di un buon lavoro pastorale che dà già i suoi frutti.
4. Adesso che torni in Italia, cosa ti porti da Bigene?
La povertà di questo popolo, per me, è molto forte. Vedo che le persone vivono con il minimo indispensabile: questo sta segnando molto la mia sensibilità.
Grazie suor Gdlan, buon viaggio, e buon lavoro a Roma. Anche il lavoro nel Consiglio Generale delle Suore Oblate e nella formazione delle Juniores è una bella missione nel Regno del Signore. E un saluto grande alle 14 Juniores (sono le suore che hanno già emesso i voti temporanei, in preparazione ai voti perpetui, provenienti da Italia, India e Nigeria): racconta loro della nostra Missione, in attesa di nuove collaborazioni per i tempi futuri! 
Nella foto, assieme a suor Merione (a destra).

19 Marzo 2014 (Festa del papà)
Grazie, papà ! Mi hai trasmesso la vita e la fede. Non c'è niente di più grande che potevi fare per me.... E grazie anche a mamma. La stessa cosa....













22 Marzo 2014
E la torta è arrivata !!!! E anche il Vescovo di Bissau ! E anche i vostri auguri ! Grazie a tutti.
Un pensiero particolare a mamma Michelina e papà Angelo, alle mie sorelle e a mio fratello. Alla mia Cervarese S. Croce (Padova) e al Don Bosco di Verona. Agli amici di Padova, Verona, Vicenza, Salerno, Roma, Milano, Foggia che hanno condiviso con me un pezzo della mia vita. Alle comunità cristiane delle parrocchie Madonna delle Vittorie (Massa della Lucania, Salerno), Immacolata di Fatima (Segezia, Foggia) e S. Ciro (Foggia) che mi hanno sopportato come parroco. Vi mando la mia benedizione.
A 58 sono arrivato. Se il Signore vuole, arriverò anche a 59!

26 Marzo 2014
Villaggio di Liman. Sono rimasto impressionato dalla scelta di Adama, il giovane che ha dipinto sui muri esterni della sua casa queste due scritte molto significative, copiandole da alcune in lingua francese (che si parla nel vicino Senegal). A parte gli errori (che qui non fanno problema), sulla sinistra della sua finestra ha scritto: "CREDERE, SPERARE, AMARE COME MARIA". E a destra: "CRISTO PAROLA, PANE DI VITA PER UNA NUOVA AFRICA".
A me piace assai questa scelta di dipingere la sua casa comunicando la sua fede.

28 Marzo 2014
Villaggio di Bucaur. La foto non riguarda una liturgia, ma esprime uno spirito di offerta a Dio. L'uomo più anziano di Bucaur è morto, improvvisamente, senza apparente malattia. Dopo il funerale partono le danze, che le donne iniziano toccando un bidone di plastica e battendo le mani, con il canto tradizionale. Così si ringrazia Dio per la lunga vita che ha concesso all'uomo anziano. Non ci sono lacrime, ma c’è un senso di festa generale. Una vita lunga, è un dono di Dio. Perché piangere?
...
A commento della mia foto di donne in festa dopo il funerale di un uomo anziano, e comprendendo la fatica che in Europa può creare questa esperienza, ho condiviso questa mia riflessione. Molto libera e personale. Parla della morte e della vita. Molto più della vita che della morte.
Nella cultura della Guinea-Bissau c'è una consapevolezza che non ho trovato presso altri popoli, a riguardo della vita benedetta da Dio. La mortalità, qui, è altissima: si muore al parto, per parto, per denutrizione, per malaria, per un sacco di malattie non curate o trascurate. L'età media di vita è di circa 41 anni, la metà di quella italiana. Quando una persona vive a lungo, come questo vecchietto che, probabilmente, aveva superato gli 80, tutti respirano una situazione culturale e umana molto distante dalla nostra mentalità europea.
Cerco di essere sintetico: se una persona vive a lungo, vuol dire che ci sono due elementi fondamentali che si intrecciano tra di loro. 
1. La persona vive a lungo perché gli spiriti buoni vegliano sulla sua vita. 
Metti assieme questi due elementi, e ti rimane l'idea che un anziano è una persona protetta da Dio, ed è protetta da Dio perché se lo merita. Ovviamente questo è il loro pensiero. Sappiamo bene, nella stessa storia della spiritualità cristiana, che ci sono dei santi morti da ragazzi, o da giovani (Domenico Savio, Pier Giorgio Frassati, per esempio). E sappiamo che ci sono persone con età avanzata che non sono proprio dei testimoni di vita.... Ma ti posso dire che qui, questa consapevolezza, produce due effetti molto buoni:
1. L'anziano sa di essere benedetto da Dio, e vive con serenità, e si impegna ad essere testimone di vita per i giovani. E succede veramente così! 
2. Tutti rispettano gli anziani: mancare di rispetto a un anziano sarebbe una gravissima colpa, causa di disonore. 
Allora, con tutto questo, quando muore un anziano c'è un grande clima di festa: è come se tutti volessero esprimere la loro gioia per essere stati in compagnia di una persona brava e benedetta da Dio. Esperienza lontanissima dalla nostra mentalità, ma ti posso dire, personalmente, che io vorrei morire qui!
Spero di diventare più anziano (lo sono già per loro), ma spero anche di guadagnarmi la benedizione del Signore per il mio comportamento. E poi, quando finisce la mia vita qui, tutti a fare festa! Perché, se entro in Paradiso (perdonami l'ardire, e prega per la mia conversione!!!!), chi non fa festa è come se volesse mandarmi al Purgatorio (e quanto ne dovrò fare!!!!!). 
Fate festa quando muoio, e mi mandate direttamente in Paradiso!
Se vengo a morire a Foggia, tutti a piangere, tutti a dire le solite cose scontate.... "quanto eri bravo..... nessuno come te..... ci mancherai per sempre...." (le dicono solo quando uno muore).
Io vorrei veramente morire a Bigene. Non scherzo. Una bella festa, con canti e danze e gioia per tutti, e anche un buon vino di palma, per stare allegri (ci sta!). 

E' solo il mio pensiero, che nasce dall'incontro con queste persone. Alla fine, ieri sera, nel mio cuore dicevo: “Grazie, Signore, per questo vecchietto: gli hai dato una lunga vita, e adesso prendilo con te in cielo!”.

2 aprile 2014

Camminare con la Chiesa 19: "Esortazione Apostolica EVANGELII GAUDIUM, cap. 4: LA DIMENSIONE SOCIALE DELL'EVANGELIZZAZIONE"

ESORTAZIONE APOSTOLICA EVANGELII GAUDIUM
DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI VESCOVI, AI PRESBITERI E AI DIACONI
ALLE PERSONE CONSACRATE E AI FEDELI LAICI
SULL'ANNUNCIO DEL VANGELO NEL MONDO ATTUALE

CAPITOLO QUARTO
LA DIMENSIONE SOCIALE DELL'EVANGELIZZAZIONE





      




177. Il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri. Il contenuto del primo annuncio ha un’immediata ripercussione morale il cui centro è la carità.


178. Confessare un Padre che ama infinitamente ciascun essere umano implica scoprire che « con ciò stesso gli conferisce una dignità infinita ».[141] Confessare che il Figlio di Dio ha assunto la nostra carne umana significa che ogni persona umana è stata elevata al cuore stesso di Dio. Confessare che Gesù ha dato il suo sangue per noi ci impedisce di conservare il minimo dubbio circa l’amore senza limiti che nobilita ogni essere umano. La sua redenzione ha un significato sociale perché « Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini ».[142] Confessare che lo Spirito Santo agisce in tutti implica riconoscere che Egli cerca di penetrare in ogni situazione umana e in tutti i vincoli sociali: « Lo Spirito Santo possiede un’inventiva infinita, propria della mente divina, che sa provvedere e sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e impenetrabili ».[143] L’evangelizzazione cerca di cooperare anche con tale azione liberatrice dello Spirito. Lo stesso mistero della Trinità ci ricorda che siamo stati creati a immagine della comunione divina, per cui non possiamo realizzarci né salvarci da soli. Dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evangelizzatrice. L’accettazione del primo annuncio, che invita a lasciarsi amare da Dio e ad amarlo con l’amore che Egli stesso ci comunica, provoca nella vita della persona e nelle sue azioni una prima e fondamentale reazione: desiderare, cercare e avere a cuore il bene degli altri.

179. Questo indissolubile legame tra l’accoglienza dell’annuncio salvifico e un effettivo amore fraterno è espressa in alcuni testi della Scrittura che è bene considerare e meditare attentamente per ricavarne tutte le conseguenze. Si tratta di un messaggio al quale frequentemente ci abituiamo, lo ripetiamo quasi meccanicamente, senza però assicurarci che abbia una reale incidenza nella nostra vita e nelle nostre comunità. Com’è pericolosa e dannosa questa assuefazione che ci porta a perdere la meraviglia, il fascino, l’entusiasmo di vivere il Vangelo della fraternità e della giustizia! La Parola di Dio insegna che nel fratello si trova il permanente prolungamento dell’Incarnazione per ognuno di noi: « Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me » (Mt 25,40). Quanto facciamo per gli altri ha una dimensione trascendente: « Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi » (Mt 7,2); e risponde alla misericordia divina verso di noi: « Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato […] Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio » (Lc 6,36-38). Ciò che esprimono questi testi è l’assoluta priorità dell’ « uscita da sé verso il fratello » come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assolutamente gratuita di Dio. Per ciò stesso « anche il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza ».[144] Come la Chiesa è missionaria per natura, così sgorga inevitabilmente da tale natura la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove.


180. Leggendo le Scritture risulta peraltro chiaro che la proposta del Vangelo non consiste solo in una relazione personale con Dio. E neppure la nostra risposta di amore dovrebbe intendersi come una mera somma di piccoli gesti personali nei confronti di qualche individuo bisognoso, il che potrebbe costituire una sorta di “carità à la carte”, una serie di azioni tendenti solo a tranquillizzare la propria coscienza. La proposta è il Regno di Dio (Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali. Cerchiamo il suo Regno: « Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta » (Mt 6,33). Il progetto di Gesù è instaurare il Regno del Padre suo; Egli chiede ai suoi discepoli: « Predicate, dicendo che il Regno dei cieli è vicino » (Mt 10,7).

181. Il Regno che viene anticipato e cresce tra di noi riguarda tutto e ci ricorda quel principio del discernimento che Paolo VI proponeva in relazione al vero sviluppo: « ogni uomo e tutto l’uomo ».[145] Sappiamo che « l’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale, dell’uomo ».[146] Si tratta del criterio di universalità, proprio della dinamica del Vangelo, dal momento che il Padre desidera che tutti gli uomini si salvino e il suo disegno di salvezza consiste nel ricapitolare tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra, sotto un solo Signore, che è Cristo (cfr Ef 1,10). Il mandato è: « Andate in tutto il mondo e  proclamate il Vangelo ad ogni creatura » (Mc 16,15), perché « l’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio » (Rm 8,19). Tutta la creazione vuol dire anche tutti gli aspetti della natura umana, in modo che « la missione dell’annuncio della Buona Novella di Gesù Cristo possiede una destinazione universale. Il suo mandato della carità abbraccia tutte le dimensioni dell’esistenza, tutte le persone, tutti gli ambienti della convivenza e tutti i popoli. Nulla di quanto è umano può risultargli estraneo ».[147] La vera speranza cristiana, che cerca il Regno escatologico, genera sempre storia.


182. Gli insegnamenti della Chiesa sulle situazioni contingenti sono soggetti a maggiori o nuovi sviluppi e possono essere oggetto di discussione, però non possiamo evitare di essere concreti – senza pretendere di entrare in dettagli – perché i grandi principi sociali non rimangano mere indicazioni generali che non interpellano nessuno. Bisogna ricavarne le conseguenze pratiche perché « possano con efficacia incidere anche nelle complesse situazioni odierne ».[148] I Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose « perché possiamo goderne » (1 Tm 6,17), perché tutti possano goderne. Ne deriva che la conversione cristiana esige di riconsiderare « specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene comune ».[149]

183. Di conseguenza, nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. Chi oserebbe rinchiudere in un tempio e far tacere il messaggio di san Francesco di Assisi e della beata Teresa di Calcutta? Essi non potrebbero accettarlo. Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli. Sebbene « il giusto ordine della società e dello Stato sia il compito principale della politica », la Chiesa « non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia ».[150] Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore. Di questo si tratta, perché il pensiero sociale della Chiesa è in primo luogo positivo e propositivo, orienta un’azione trasformatrice, e in questo senso non cessa di essere un segno di speranza che sgorga dal cuore pieno d’amore di Gesù Cristo. Al tempo stesso, unisce « il proprio impegno a quello profuso nel campo sociale dalle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, sia a livello di riflessione dottrinale sia a livello pratico ».[151]

184. Non è il momento qui per sviluppare tutte le gravi questioni sociali che segnano il mondo attuale, alcune delle quali ho commentato nel secondo capitolo. Questo non è un documento sociale, e per riflettere su quelle varie tematiche disponiamo di uno strumento molto adeguato nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, il cui uso e studio raccomando vivamente. Inoltre, né il Papa né la Chiesa posseggono il monopolio dell’interpretazione della realtà sociale o della proposta di soluzioni per i problemi contemporanei. Posso ripetere qui ciò che lucidamente indicava Paolo VI: « Di fronte a situazioni tanto diverse, ci è difficile pronunciare una parola unica e proporre una soluzione di valore universale. Del resto non è questa la nostra ambizione e neppure la nostra missione. Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese ».[152]

185. Nel seguito cercherò di concentrarmi su due grandi questioni che mi sembrano fondamentali in questo momento della storia. Le svilupperò con una certa ampiezza perché considero che determineranno il futuro dell’umanità. Si tratta, in primo luogo, della inclusione sociale dei poveri e, inoltre, della pace e del dialogo sociale.


186. Dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati della società.

187. Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo. È sufficiente scorrere le Scritture per scoprire come il Padre buono desidera ascoltare il grido dei poveri: « Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo … Perciò va’! Io ti mando » (Es 3,7-8.10), e si mostra sollecito verso le sue necessità: « Poi [gli israeliti] gridarono al Signore ed egli fece sorgere per loro un salvatore » (Gdc 3,15). Rimanere sordi a quel grido, quando noi siamo gli strumenti di Dio per ascoltare il povero, ci pone fuori dalla volontà del Padre e dal suo progetto, perché quel povero « griderebbe al Signore contro di te e un peccato sarebbe su di te » (Dt 15,9). E la mancanza di solidarietà verso le sue necessità influisce direttamente sul nostro rapporto con Dio: « Se egli ti maledice nell’amarezza del cuore, il suo creatore ne esaudirà la preghiera » (Sir 4,6). Ritorna sempre la vecchia domanda: « Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio? » (1 Gv 3,17). Ricordiamo anche con quanta convinzione l’Apostolo Giacomo riprendeva l’immagine del grido degli oppressi: « Il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente » (5,4).

188. La Chiesa ha riconosciuto che l’esigenza di ascoltare questo grido deriva dalla stessa opera liberatrice della grazia in ciascuno di noi, per cui non si tratta di una missione riservata solo ad alcuni: « La Chiesa, guidata dal Vangelo della misericordia e dall’amore all’essere umano, ascolta il grido per la giustizia e desidera rispondervi con tutte le sue forze ».[153] In questo quadro si comprende la richiesta di Gesù ai suoi discepoli: « Voi stessi date loro da mangiare » (Mc 6,37), e ciò implica sia la collaborazione per risolvere le cause strutturali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri, sia i gesti più semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete che incontriamo. La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni.

189. La solidarietà è una reazione spontanea di chi riconosce la funzione sociale della proprietà e la destinazione universale dei beni come realtà anteriori alla proprietà privata. Il possesso privato dei beni si giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al bene comune, per cui la solidarietà si deve vivere come la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde. Queste convinzioni e pratiche di solidarietà, quando si fanno carne, aprono la strada ad altre trasformazioni strutturali e le rendono possibili. Un cambiamento nelle strutture che non generi nuove convinzioni e atteggiamenti farà sì che quelle stesse strutture presto o tardi diventino corrotte, pesanti e inefficaci.

190. A volte si tratta di ascoltare il grido di interi popoli, dei popoli più poveri della terra, perché « la pace si fonda non solo sul rispetto dei diritti dell’uomo, ma anche su quello dei diritti dei popoli ».[154] Deplorevolmente, persino i diritti umani possono essere utilizzati come giustificazione di una difesa esacerbata dei diritti individuali o dei diritti dei popoli più ricchi. Rispettando l’indipendenza e la cultura di ciascuna Nazione, bisogna ricordare sempre che il pianeta è di tutta l’umanità e per tutta l’umanità, e che il solo fatto di essere nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che alcune persone vivano con minore dignità. Bisogna ripetere che « i più favoriti devono rinunciare ad alcuni dei loro diritti per mettere con maggiore liberalità i loro beni al servizio degli altri ».[155] Per parlare in modo appropriato dei nostri diritti dobbiamo ampliare maggiormente lo sguardo e aprire le orecchie al grido di altri popoli o di altre regioni del nostro Paese. Abbiamo bisogno di crescere in una solidarietà che « deve permettere a tutti i popoli di giungere con le loro forze ad essere artefici del loro destino »,[156] così come « ciascun essere umano è chiamato a svilupparsi ».[157]

191. In ogni luogo e circostanza i cristiani, incoraggiati dai loro Pastori, sono chiamati ad ascoltare il grido dei poveri, come hanno affermato così bene i Vescovi del Brasile: « Desideriamo assumere, ogni giorno, le gioie e le speranze, le angosce e le tristezze del popolo brasiliano, specialmente delle popolazioni delle periferie urbane e delle zone rurali – senza terra, senza tetto, senza pane, senza salute – violate nei loro diritti. Vedendo le loro miserie, ascoltando le loro grida e conoscendo la loro sofferenza, ci scandalizza il fatto di sapere che esiste cibo sufficiente per tutti e che la fame si deve alla cattiva distribuzione dei beni e del reddito. Il problema si aggrava con la pratica generalizzata dello spreco ».[158]

192. Desideriamo però ancora di più, il nostro sogno vola più alto. Non parliamo solamente di assicurare a tutti il cibo, o un « decoroso sostentamento », ma che possano avere « prosperità nei suoi molteplici aspetti ».[159] Questo implica educazione, accesso all’assistenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune.


193. L’imperativo di ascoltare il grido dei poveri si fa carne in noi quando ci commuoviamo nel più intimo di fronte all’altrui dolore. Rileggiamo alcuni insegnamenti della Parola di Dio sulla misericordia, perché risuonino con forza nella vita della Chiesa. Il Vangelo proclama: « Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia » (Mt 5,7).
L’Apostolo Giacomo insegna che la misericordia verso gli altri ci permette di uscire trionfanti nel giudizio divino: « Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia. La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio” (2,12-13). In questo testo, Giacomo si mostra erede della maggiore ricchezza della spiritualità ebraica del post-esilio, che attribuiva alla misericordia uno speciale valore salvifico: « Sconta i tuoi peccati con l’elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti, perché tu possa godere lunga prosperità » (Dn 4,24).
In questa stessa prospettiva, la letteratura sapienziale parla dell’elemosina come esercizio concreto della misericordia verso i bisognosi: « L’elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato » (Tb 12,9). In modo più plastico lo esprime anche il Siracide: « L’acqua spegne il fuoco che divampa, l’elemosina espia i peccati » (3,30). La medesima sintesi appare contenuta nel Nuovo Testamento: « Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati » (1 Pt 4,8). Questa verità penetrò profondamente la mentalità dei Padri della Chiesa ed esercitò una resistenza profetica, come alternativa culturale, di fronte all’individualismo edonista pagano. Ricordiamo solo un esempio: « Come, in pericolo d’incendio, corriamo a cercare acqua per spegnerlo, […] allo stesso modo, se dalla nostra paglia sorgesse la fiamma del peccato e per tale motivo ne fossimo turbati, una volta che ci venga data l’occasione di un’opera di misericordia, rallegriamoci di tale opera come se fosse una fonte che ci viene offerta perché possiamo soffocare l’incendio ».[160]

194. È un messaggio così chiaro, così diretto, così semplice ed eloquente, che nessuna ermeneutica ecclesiale ha il diritto di relativizzarlo. La riflessione della Chiesa su questi testi non dovrebbe oscurare o indebolire il loro significato esortativo, ma piuttosto aiutare a farli propri con coraggio e fervore. Perché complicare ciò che è così semplice? Gli apparati concettuali esistono per favorire il contatto con la realtà che si vuole spiegare e non per allontanarci da essa. Questo vale soprattutto per le esortazioni bibliche che invitano con tanta determinazione all’amore fraterno, al servizio umile e generoso, alla giustizia, alla misericordia verso il povero. Gesù ci ha indicato questo cammino di riconoscimento dell’altro con le sue parole e con i suoi gesti. Perché oscurare ciò che è così chiaro? Non preoccupiamoci solo di non cadere in errori dottrinali, ma anche di essere fedeli a questo cammino luminoso di vita e di sapienza. Perché « ai difensori “dell’ortodossia” si rivolge a volte il rimprovero di passività, d’indulgenza o di colpevoli complicità rispetto a situazioni di ingiustizia intollerabili e verso i regimi politici che le mantengono ».[161]

195. Quando san Paolo si recò dagli Apostoli a Gerusalemme per discernere se stava correndo o aveva corso invano (cfr Gal 2,2), il criterio-chiave di autenticità che gli indicarono fu che non si dimenticasse dei poveri (cfr Gal 2,10). Questo grande criterio, affinché le comunità paoline non si lasciassero trascinare dallo stile di vita individualista dei pagani, ha una notevole attualità nel contesto presente, dove tende a svilupparsi un nuovo paganesimo individualista. La bellezza stessa del Vangelo non sempre può essere adeguatamente manifestata da noi, ma c’è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via.

196. A volte siamo duri di cuore e di mente, ci dimentichiamo, ci divertiamo, ci estasiamo con le immense possibilità di consumo e di distrazione che offre questa società. Così si produce una specie di alienazione che ci colpisce tutti, poiché « è alienata una società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione di questa donazione e la formazione di quella solidarietà interumana ».[162]


197. Nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri, tanto che Egli stesso « si fece povero » (2 Cor 8,9). Tutto il cammino della nostra redenzione è segnato dai poveri. Questa salvezza è giunta a noi attraverso il “si di una umile ragazza di un piccolo paese sperduto nella periferia di un grande impero. Il Salvatore è nato in un presepe, tra gli animali, come accadeva per i figli dei più poveri; è stato presentato al Tempio con due piccioni, l’offerta di coloro che non potevano permettersi di pagare un agnello (cfr Lc 2,24; Lv 5,7); è cresciuto in una casa di semplici lavoratori e ha lavorato con le sue mani per guadagnarsi il pane. Quando iniziò ad annunciare il Regno, lo seguivano folle di diseredati, e così manifestò quello che Egli stesso aveva detto: « Lo Spirito del Signore è sopra di me; perché mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio » (Lc 4,18). A quelli che erano gravati dal dolore, oppressi dalla povertà, assicurò che Dio li portava al centro del suo cuore: « Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio » (Lc 6,20); e con essi si identificò: « Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare », insegnando che la misericordia verso di loro è la chiave del cielo (cfr Mt 25,35s).

198. Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro « la sua prima misericordia ».[163] Questa preferenza divina ha delle conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere « gli stessi sentimenti di Gesù » (Fil 2,5). Ispirata da essa, la Chiesa ha fatto una opzione per i poveri intesa come una « forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione della Chiesa ».[164] Questa opzione – insegnava Benedetto XVI – « è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà ».[165] Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro.

199. Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro « considerandolo come un’unica cosa con se stesso ».[166] Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la sua persona e a partire da essa desidero cercare effettivamente il suo bene. Questo implica apprezzare il povero nella sua bontà propria, col suo modo di essere, con la sua cultura, con il suo modo di vivere la fede. L’amore autentico è sempre contemplativo, ci permette di servire l’altro non per necessità o vanità, ma perché è bello, al di là delle apparenze. « Dall’amore per cui a uno è gradita l’altra persona dipende il fatto che le dia qualcosa gratuitamente ».[167] Il povero, quando è amato, « è considerato di grande valore »,[168] e questo differenzia l’autentica opzione per i poveri da qualsiasi ideologia, da qualunque intento di utilizzare i poveri al servizio di interessi personali o politici. Solo a partire da questa vicinanza reale e cordiale possiamo accompagnarli adeguatamente nel loro cammino di liberazione. Soltanto questo renderà possibile che « i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come “a casa loro”. Non sarebbe, questo stile, la più grande ed efficace presentazione della buona novella del Regno? ».[169] Senza l’opzione preferenziale per i più poveri, « l’annuncio del Vangelo, che pur è la prima carità, rischia di essere incompreso o di affogare in quel mare di parole a cui l’odierna società della comunicazione quotidianamente ci espone ».[170]

200. Dal momento che questa Esortazione è rivolta ai membri della Chiesa Cattolica, desidero affermare con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria.

201. Nessuno dovrebbe dire che si mantiene lontano dai poveri perché le sue scelte di vita comportano di prestare più attenzione ad altre incombenze. Questa è una scusa frequente negli ambienti accademici, imprenditoriali o professionali, e persino ecclesiali. Sebbene si possa dire in generale che la vocazione e la missione propria dei fedeli laici è la trasformazione delle varie realtà terrene affinché ogni attività umana sia trasformata dal Vangelo,[171] nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale: « La conversione spirituale, l’intensità dell’amore a Dio e al prossimo, lo zelo per la giustizia e la pace, il significato evangelico dei poveri e della povertà sono richiesti a tutti ».[172] Temo che anche queste parole siano solamente oggetto di qualche commento senza una vera incidenza pratica. Nonostante ciò, confido nell’apertura e nelle buone disposizioni dei cristiani, e vi chiedo di cercare comunitariamente nuove strade per accogliere questa rinnovata proposta.


202. La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere, non solo per una esigenza pragmatica di ottenere risultati e di ordinare la società, ma per guarirla da una malattia che la rende fragile e indegna e che potrà solo portarla a nuove crisi. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità,[173] non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali.

203. La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per completare un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale. Quante parole sono diventate scomode per questo sistema! Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia. Altre volte accade che queste parole diventino oggetto di una manipolazione opportunista che le disonora. La comoda indifferenza di fronte a queste questioni svuota la nostra vita e le nostre parole di ogni significato. La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo.

204. Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi.

205. Chiedo a Dio che cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo! La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune.[174] Dobbiamo convincerci che la carità « è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici ».[175] Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini. E perché non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia assoluta tra l’economia e il bene comune sociale.

206. L’economia, come indica la stessa parola, dovrebbe essere l’arte di raggiungere un’adeguata amministrazione della casa comune, che è il mondo intero. Ogni azione economica di una certa portata, messa in atto in una parte del pianeta, si ripercuote sul tutto; perciò nessun governo può agire al di fuori di una comune responsabilità. Di fatto, diventa sempre più difficile individuare soluzioni a livello locale per le enormi contraddizioni globali, per cui la politica locale si riempie di problemi da risolvere. Se realmente vogliamo raggiungere una sana economia mondiale, c’è bisogno in questa fase storica di un modo più efficiente di interazione che, fatta salva la sovranità delle nazioni, assicuri il benessere economico di tutti i Paesi e non solo di pochi.

207. Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi. Facilmente finirà per essere sommersa dalla mondanità spirituale, dissimulata con pratiche religiose, con riunioni infeconde o con discorsi vuoti.

208. Se qualcuno si sente offeso dalle mie parole, gli dico che le esprimo con affetto e con la migliore delle intenzioni, lontano da qualunque interesse personale o ideologia politica. La mia parola non è quella di un nemico né di un oppositore. Mi interessa unicamente fare in modo che quelli che sono schiavi di una mentalità individualista, indifferente ed egoista, possano liberarsi da quelle indegne catene e raggiungano uno stile di vita e di pensiero più umano, più nobile, più fecondo, che dia dignità al loro passaggio su questa terra.


209. Gesù, l’evangelizzatore per eccellenza e il Vangelo in persona, si identifica specialmente con i più piccoli (cfr Mt 25,40). Questo ci ricorda che tutti noi cristiani siamo chiamati a prenderci cura dei più fragili della Terra. Ma nel vigente modello “di successo” e “privatistico”, non sembra abbia senso investire affinché quelli che rimangono indietro, i deboli o i meno dotati possano farsi strada nella vita.

210. È indispensabile prestare attenzione per essere vicini a nuove forme di povertà e di fragilità in cui siamo chiamati a riconoscere Cristo sofferente, anche se questo apparentemente non ci porta vantaggi tangibili e immediati: i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati, ecc. I migranti mi pongono una particolare sfida perché sono Pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti. Perciò esorto i Paesi ad una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità locale sia capace di creare nuove sintesi culturali. Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!

211. Mi ha sempre addolorato la situazione di coloro che sono oggetto delle diverse forme di tratta di persone. Vorrei che si ascoltasse il grido di Dio che chiede a tutti noi: « Dov’è tuo fratello? » (Gen 4,9). Dov’è il tuo fratello schiavo? Dov’è quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete della prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio, in quello che deve lavorare di nascosto perché non è stato regolarizzato? Non facciamo finta di niente. Ci sono molte complicità. La domanda è per tutti! Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta.

212. Doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza, perché spesso si trovano con minori possibilità di difendere i loro diritti. Tuttavia, anche tra di loro troviamo continuamente i più ammirevoli gesti di quotidiano eroismo nella difesa e nella cura della fragilità delle loro famiglie.

213. Tra questi deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo. Frequentemente, per ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri, si fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore. Eppure questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. È un fine in sé stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà. Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno. La sola ragione è sufficiente per riconoscere il valore inviolabile di ogni vita umana, ma se la guardiamo anche a partire dalla fede, « ogni violazione della dignità personale dell’essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell’uomo ».[176]

214. Proprio perché è una questione che ha a che fare con la coerenza interna del nostro messaggio sul valore della persona umana, non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l’aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie, particolarmente quando la vita che cresce in loro è sorta come conseguenza di una violenza o in un contesto di estrema povertà. Chi può non capire tali situazioni così dolorose?

215. Ci sono altri esseri fragili e indifesi, che molte volte rimangono alla mercé degli interessi economici o di un uso indiscriminato. Mi riferisco all’insieme della creazione. Come esseri umani non siamo dei meri beneficiari, ma custodi delle altre creature. Mediante la nostra realtà corporea, Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione. Non lasciamo che al nostro passaggio rimangano segni di distruzione e di morte che colpiscono la nostra vita e quella delle future generazioni.[177] In questo senso, faccio proprio il lamento bello e profetico che diversi anni fa hanno espresso i Vescovi delle Filippine: « Un’incredibile varietà d’insetti viveva nella selva ed erano impegnati con ogni sorta di compito proprio […] Gli uccelli volavano nell’aria, le loro brillanti piume e i loro differenti canti aggiungevano colore e melodie al verde dei boschi [...] Dio ha voluto questa terra per noi, sue creature speciali, ma non perché potessimo distruggerla e trasformarla in un terreno desertico [...] Dopo una sola notte di pioggia, guarda verso i fiumi marron-cioccolato dei tuoi paraggi, e ricorda che si portano via il sangue vivo della terra verso il mare [...] Come potranno nuotare i pesci in fogne come il rio Pasig e tanti altri fiumi che abbiamo contaminato? Chi ha trasformato il meraviglioso mondo marino in cimiteri subacquei spogliati di vita e di colore? ».[178]

216. Piccoli ma forti nell’amore di Dio, come san Francesco d’Assisi, tutti i cristiani siamo chiamati a prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo.


217. Abbiamo parlato molto della gioia e dell’amore, ma la Parola di Dio menziona anche il frutto della pace (cfr Gal 5,22).

218. La pace sociale non può essere intesa come irenismo o come una mera assenza di violenza ottenuta mediante l’imposizione di una parte sopra le altre. Sarebbe parimenti una falsa pace quella che servisse come scusa per giustificare un’organizzazione sociale che metta a tacere o tranquillizzi i più poveri, in modo che quelli che godono dei maggiori benefici possano mantenere il loro stile di vita senza scosse mentre gli altri sopravvivono come possono. Le rivendicazioni sociali, che hanno a che fare con la distribuzione delle entrate, l’inclusione sociale dei poveri e i diritti umani, non possono essere soffocate con il pretesto di costruire un consenso a tavolino o un’effimera pace per una minoranza felice. La dignità della persona umana e il bene comune stanno al di sopra della tranquillità di alcuni che non vogliono rinunciare ai loro privilegi. Quando questi valori vengono colpiti, è necessaria una voce profetica.

219. La pace « non si riduce ad un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini ».[179] In definitiva, una pace che non sorga come frutto dello sviluppo integrale di tutti, non avrà nemmeno futuro e sarà sempre seme di nuovi conflitti e di varie forme di violenza.

220. In ogni nazione, gli abitanti sviluppano la dimensione sociale della loro vita configurandosi come cittadini responsabili in seno ad un popolo, non come massa trascinata dalle forze dominanti. Ricordiamo che « l’essere fedele cittadino è una virtù e la partecipazione alla vita politica è un’obbligazione morale ».[180] Ma diventare un popolo è qualcosa di più, e richiede un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. È un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia.

221. Per avanzare in questa costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità, vi sono quattro principi relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale. Derivano dai grandi postulati della Dottrina Sociale della Chiesa, i quali costituiscono « il primo e fondamentale parametro di riferimento per l’interpretazione e la valutazione dei fenomeni sociali ».[181] Alla luce di essi desidero ora proporre questi quattro principi che orientano specificamente lo sviluppo della convivenza sociale e la costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzino all’interno di un progetto comune. Lo faccio nella convinzione che la loro applicazione può rappresentare un’autentica via verso la pace all’interno di ciascuna nazione e nel mondo intero.


222. Vi è una tensione bipolare tra la pienezza e il limite. La pienezza provoca la volontà di possedere tutto e il limite è la parete che ci si pone davanti. Il “tempo”, considerato in senso ampio, fa riferimento alla pienezza come espressione dell’orizzonte che ci si apre dinanzi, e il momento è espressione del limite che si vive in uno spazio circoscritto. I cittadini vivono in tensione tra la congiuntura del momento e la luce del tempo, dell’orizzonte più grande, dell’utopia che ci apre al futuro come causa finale che attrae. Da qui emerge un primo principio per progredire nella costruzione di un popolo: il tempo è superiore allo spazio.

223. Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone. È un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite, assegnando priorità al tempo. Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi. Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci.

224. A volte mi domando chi sono quelli che nel mondo attuale si preoccupano realmente di dar vita a processi che costruiscano un popolo, più che ottenere risultati immediati che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana. La storia forse li giudicherà con quel criterio che enunciava Romano Guardini: « L’unico modello per valutare con successo un’epoca è domandare fino a che punto si sviluppa in essa e raggiunge un’autentica ragion d’essere la pienezza dell’esistenza umana, in accordo con il carattere peculiare e le possibilità della medesima epoca ».[182]

225. Questo criterio è molto appropriato anche per l’evangelizzazione, che richiede di tener presente l’orizzonte, di adottare i processi possibili e la strada lunga. Il Signore stesso nella sua vita terrena fece intendere molte volte ai suoi discepoli che vi erano cose che non potevano ancora comprendere e che era necessario attendere lo Spirito Santo (cfr Gv 16,12-13). La parabola del grano e della zizzania (cfr Mt 13, 24-30) descrive un aspetto importante dell’evangelizzazione, che consiste nel mostrare come il nemico può occupare lo spazio del Regno e causare danno con la zizzania, ma è vinto dalla bontà del grano che si manifesta con il tempo.


226. Il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Dev’essere accettato. Ma se rimaniamo intrappolati in esso, perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata. Quando ci fermiamo nella congiuntura conflittuale, perdiamo il senso dell’unità profonda della realtà.

227. Di fronte al conflitto, alcuni semplicemente lo guardano e vanno avanti come se nulla fosse, se ne lavano le mani per poter continuare con la loro vita. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri, perdono l’orizzonte, proiettano sulle istituzioni le proprie confusioni e insoddisfazioni e così l’unità diventa impossibile. Vi è però un terzo modo, il più adeguato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo. « Beati gli operatori di pace » (Mt 5,9).

228. In questo modo, si rende possibile sviluppare una comunione nelle differenze, che può essere favorita solo da quelle nobili persone che hanno il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale e considerano gli altri nella loro dignità più profonda. Per questo è necessario postulare un principio che è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto. La solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita. Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto.

229. Questo criterio evangelico ci ricorda che Cristo ha unificato tutto in Sé: cielo e terra, Dio e uomo, tempo ed eternità, carne e spirito, persona e società. Il segno distintivo di questa unità e riconciliazione di tutto in Sé è la pace. Cristo « è la nostra pace » (Ef 2,14). L’annuncio evangelico inizia sempre con il saluto di pace, e la pace corona e cementa in ogni momento le relazioni tra i discepoli. La pace è possibile perché il Signore ha vinto il mondo e la sua permanente conflittualità avendolo « pacificato con il sangue della sua croce » (Col 1,20). Ma se andiamo a fondo in questi testi biblici, scopriremo che il primo ambito in cui siamo chiamati a conquistare questa pacificazione nelle differenze è la propria interiorità, la propria vita, sempre minacciata dalla dispersione dialettica.[183] Con cuori spezzati in mille frammenti sarà difficile costruire un’autentica pace sociale.

230. L’annuncio di pace non è quello di una pace negoziata, ma la convinzione che l’unità dello Spirito armonizza tutte le diversità. Supera qualsiasi conflitto in una nuova, promettente sintesi. La diversità è bella quando accetta di entrare costantemente in un processo di riconciliazione, fino a sigillare una specie di patto culturale che faccia emergere una “diversità riconciliata”, come ben insegnarono i Vescovi del Congo: « La diversità delle nostre etnie è una ricchezza [...] Solo con l’unità, con la conversione dei cuori e con la riconciliazione potremo far avanzare il nostro Paese ».[184]


231. Esiste anche una tensione bipolare tra l’idea e la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora. Tra le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà. È pericoloso vivere nel regno della sola parola, dell’immagine, del sofisma. Da qui si desume che occorre postulare un terzo principio: la realtà è superiore all’idea. Questo implica di evitare diverse forme di occultamento della realtà: i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza.

232. L’idea – le elaborazioni concettuali – è in funzione del cogliere, comprendere e dirigere la realtà. L’idea staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo classificano o definiscono, ma non coinvolgono. Ciò che coinvolge è la realtà illuminata dal ragionamento. Bisogna passare dal nominalismo formale all’oggettività armoniosa. Diversamente si manipola la verità, così come si sostituisce la ginnastica con la cosmesi.[185] Vi sono politici – e anche dirigenti religiosi – che si domandano perché il popolo non li comprende e non li segue, se le loro proposte sono così logiche e chiare. Probabilmente è perché si sono collocati nel regno delle pure idee e hanno ridotto la politica o la fede alla retorica. Altri hanno dimenticato la semplicità e hanno importato dall’esterno una razionalità estranea alla gente.

233. La realtà è superiore all’idea. Questo criterio è legato all’incarnazione della Parola e alla sua messa in pratica: « In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio » (1 Gv 4,2). Il criterio di realtà, di una Parola già incarnata e che sempre cerca di incarnarsi, è essenziale all’evangelizzazione. Ci porta, da un lato, a valorizzare la storia della Chiesa come storia di salvezza, a fare memoria dei nostri santi che hanno inculturato il Vangelo nella vita dei nostri popoli, a raccogliere la ricca tradizione bimillenaria della Chiesa, senza pretendere di elaborare un pensiero disgiunto da questo tesoro, come se volessimo inventare il Vangelo. Dall’altro lato, questo criterio ci spinge a mettere in pratica la Parola, a realizzare opere di giustizia e carità nelle quali tale Parola sia feconda. Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi e gnosticismi che non danno frutto, che rendono sterile il suo dinamismo.


234. Anche tra la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione. Bisogna prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana. Al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra. Le due cose unite impediscono di cadere in uno di questi due estremi: l’uno, che i cittadini vivano in un universalismo astratto e globalizzante, passeggeri mimetizzati del vagone di coda, che ammirano i fuochi artificiali del mondo, che è di altri, con la bocca aperta e applausi programmati; l’altro, che diventino un museo folkloristico di eremiti localisti, condannati a ripetere sempre le stesse cose, incapaci di lasciarsi interpellare da ciò che è diverso e di apprezzare la bellezza che Dio diffonde fuori dai loro confini.

235. Il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi. Però occorre farlo senza evadere, senza sradicamenti. È necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia del proprio luogo, che è un dono di Dio. Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia. Allo stesso modo, una persona che conserva la sua personale peculiarità e non nasconde la sua identità, quando si integra cordialmente in una comunità, non si annulla ma riceve sempre nuovi stimoli per il proprio sviluppo. Non è né la sfera globale che annulla, né la parzialità isolata che rende sterili.

236. Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno. Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro proprie potenzialità. Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti.

237. A noi cristiani questo principio parla anche della totalità o integrità del Vangelo che la Chiesa ci trasmette e ci invia a predicare. La sua ricchezza piena incorpora gli accademici e gli operai, gli imprenditori e gli artisti, tutti. La “mistica popolare” accoglie a suo modo il Vangelo intero e lo incarna in espressioni di preghiera, di fraternità, di giustizia, di lotta e di festa. La Buona Notizia è la gioia di un Padre che non vuole che si perda nessuno dei suoi piccoli. Così sboccia la gioia nel Buon Pastore che incontra la pecora perduta e la riporta nel suo ovile. Il Vangelo è lievito che fermenta tutta la massa e città che brilla sull’alto del monte illuminando tutti i popoli. Il Vangelo possiede un criterio di totalità che gli è intrinseco: non cessa di essere Buona Notizia finché non è annunciato a tutti, finché non feconda e risana tutte le dimensioni dell’uomo, e finché non unisce tutti gli uomini nella mensa del Regno. Il tutto è superiore alla parte.


238. L’evangelizzazione implica anche un cammino di dialogo. Per la Chiesa, in questo tempo ci sono in modo particolare tre ambiti di dialogo nei quali deve essere presente, per adempiere un servizio in favore del pieno sviluppo dell’essere umano e perseguire il bene comune: il dialogo con gli Stati, con la società – che comprende il dialogo con le culture e le scienze – e quello con altri credenti che non fanno parte della Chiesa cattolica. In tutti i casi « la Chiesa parla a partire da quella luce che le offre la fede »,[186] apporta la sua esperienza di duemila anni e conserva sempre nella memoria le vite e le sofferenze degli esseri umani. Questo va aldilà della ragione umana, ma ha anche un significato che può arricchire quelli che non credono e invita la ragione ad ampliare le sue prospettive.

239. La Chiesa proclama « il vangelo della pace » (Ef 6,15) ed è aperta alla collaborazione con tutte le autorità nazionali e internazionali per prendersi cura di questo bene universale tanto grande. Nell’annunciare Gesù Cristo, che è la pace in persona (cfr Ef 2,14), la nuova evangelizzazione sprona ogni battezzato ad essere strumento di pacificazione e testimonianza credibile di una vita riconciliata.[187] È tempo di sapere come progettare, in una cultura che privilegi il dialogo come forma d’incontro, la ricerca di consenso e di accordi, senza però separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di memoria e senza esclusioni. L’autore principale, il soggetto storico di questo processo, è la gente e la sua cultura, non una classe, una frazione, un gruppo, un’élite. Non abbiamo bisogno di un progetto di pochi indirizzato a pochi, o di una minoranza illuminata o testimoniale che si appropri di un sentimento collettivo. Si tratta di un accordo per vivere insieme, di un patto sociale e culturale.

240. Allo Stato compete la cura e la promozione del bene comune della società.[188] Sulla base dei principi di sussidiarietà e di solidarietà, e con un notevole sforzo di dialogo politico e di creazione del consenso, svolge un ruolo fondamentale, che non può essere delegato, nel perseguire lo sviluppo integrale di tutti. Questo ruolo, nelle circostanze attuali, esige una profonda umiltà sociale.

241. Nel dialogo con lo Stato e con la società, la Chiesa non dispone di soluzioni per tutte le questioni particolari. Tuttavia, insieme con le diverse forze sociali, accompagna le proposte che meglio possono rispondere alla dignità della persona umana e al bene comune. Nel farlo, propone sempre con chiarezza i valori fondamentali dell’esistenza umana, per trasmettere convinzioni che poi possano tradursi in azioni politiche.


242. Anche il dialogo tra scienza e fede è parte dell’azione evangelizzatrice che favorisce la pace.[189] Lo scientismo e il positivismo si rifiutano di « ammettere come valide forme di conoscenza diverse da quelle proprie delle scienze positive ».[190] La Chiesa propone un altro cammino, che esige una sintesi tra un uso responsabile delle metodologie proprie delle scienze empiriche e gli altri saperi come la filosofia, la teologia, e la stessa fede, che eleva l’essere umano fino al mistero che trascende la natura e l’intelligenza umana. La fede non ha paura della ragione; al contrario, la cerca e ha fiducia in essa, perché « la luce della ragione e quella della fede provengono ambedue da Dio »,[191] e non possono contraddirsi tra loro. L’evangelizzazione è attenta ai progressi scientifici per illuminarli con la luce della fede e della legge naturale, affinché rispettino sempre la centralità e il valore supremo della persona umana in tutte le fasi della sua esistenza. Tutta la società può venire arricchita grazie a questo dialogo che apre nuovi orizzonti al pensiero e amplia le possibilità della ragione. Anche questo è un cammino di armonia e di pacificazione.

243. La Chiesa non pretende di arrestare il mirabile progresso delle scienze. Al contrario, si rallegra e perfino gode riconoscendo l’enorme potenziale che Dio ha dato alla mente umana. Quando il progresso delle scienze, mantenendosi con rigore accademico nel campo del loro specifico oggetto, rende evidente una determinata conclusione che la ragione non può negare, la fede non la contraddice. Tanto meno i credenti possono pretendere che un’opinione scientifica a loro gradita, e che non è stata neppure sufficientemente comprovata, acquisisca il peso di un dogma di fede. Però, in alcune occasioni, alcuni scienziati vanno oltre l’oggetto formale della loro disciplina e si sbilanciano con affermazioni o conclusioni che eccedono il campo propriamente scientifico. In tal caso, non è la ragione ciò che si propone, ma una determinata ideologia, che chiude la strada ad un dialogo autentico, pacifico e fruttuoso.


244. L’impegno ecumenico risponde alla preghiera del Signore Gesù che chiede che « tutti siano una sola cosa » (Gv 17,21). La credibilità dell’annuncio cristiano sarebbe molto più grande se i cristiani superassero le loro divisioni e la Chiesa realizzasse « la pienezza della cattolicità a lei propria in quei figli che le sono certo uniti col battesimo, ma sono separati dalla sua piena comunione ».[192] Dobbiamo sempre ricordare che siamo pellegrini, e che peregriniamo insieme. A tale scopo bisogna affidare il cuore al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze, e guardare anzitutto a quello che cerchiamo: la pace nel volto dell’unico Dio. Affidarsi all’altro è qualcosa di artigianale, la pace è artigianale. Gesù ci ha detto: « Beati gli operatori di pace » (Mt 5,9). In questo impegno, anche tra di noi, si compie l’antica profezia: « Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri » (Is 2,4).

245. In questa luce, l’ecumenismo è un apporto all’unità della famiglia umana. La presenza al Sinodo del Patriarca di Costantinopoli, Sua Santità Bartolomeo I, e dell’Arcivescovo di Canterbury, Sua Grazia Rowan Douglas Williams,[193] è stato un autentico dono di Dio e una preziosa testimonianza cristiana.

246. Data la gravità della controtestimonianza della divisione tra cristiani, particolarmente in Asia e Africa, la ricerca di percorsi di unità diventa urgente. I missionari in quei continenti menzionano ripetutamente le critiche, le lamentele e le derisioni che ricevono a causa dello scandalo dei cristiani divisi. Se ci concentriamo sulle convinzioni che ci uniscono e ricordiamo il principio della gerarchia delle verità, potremo camminare speditamente verso forme comuni di annuncio, di servizio e di testimonianza. L’immensa moltitudine che non ha accolto l’annuncio di Gesù Cristo non può lasciarci indifferenti. Pertanto, l’impegno per un’unità che faciliti l’accoglienza di Gesù Cristo smette di essere mera diplomazia o un adempimento forzato, per trasformarsi in una via imprescindibile dell’evangelizzazione. I segni di divisione tra cristiani in Paesi che già sono lacerati dalla violenza, aggiungono altra violenza da parte di coloro che dovrebbero essere un attivo fermento di pace. Sono tante e tanto preziose le cose che ci uniscono! E se realmente crediamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi. Solo per fare un esempio, nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità. Attraverso uno scambio di doni, lo Spirito può condurci sempre di più alla verità e al bene.


247. Uno sguardo molto speciale si rivolge al popolo ebreo, la cui Alleanza con Dio non è mai stata revocata, perché « i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili » (Rm 11,29). La Chiesa, che condivide con l’Ebraismo una parte importante delle Sacre Scritture, considera il popolo dell’Alleanza e la sua fede come una radice sacra della propria identità cristiana (cfr Rm 11,16-18). Come cristiani non possiamo considerare l’Ebraismo come una religione estranea, né includiamo gli ebrei tra quanti sono chiamati ad abbandonare gli idoli per convertirsi al vero Dio (cfr 1 Ts 1,9). Crediamo insieme con loro nell’unico Dio che agisce nella storia, e accogliamo con loro la comune Parola rivelata.

248. Il dialogo e l’amicizia con i figli d’Israele sono parte della vita dei discepoli di Gesù. L’affetto che si è sviluppato ci porta sinceramene ed amaramente a dispiacerci per le terribili persecuzioni di cui furono e sono oggetto, particolarmente per quelle che coinvolgono o hanno coinvolto cristiani.

249. Dio continua ad operare nel popolo dell’Antica Alleanza e fa nascere tesori di saggezza che scaturiscono dal suo incontro con la Parola divina. Per questo anche la Chiesa si arricchisce quando raccoglie i valori dell’Ebraismo. Sebbene alcune convinzioni cristiane siano inaccettabili per l’Ebraismo, e la Chiesa non possa rinunciare ad annunciare Gesù come Signore e Messia, esiste una ricca complementarietà che ci permette di leggere insieme i testi della Bibbia ebraica e aiutarci vicendevolmente a sviscerare le ricchezze della Parola, come pure di condividere molte convinzioni etiche e la comune preoccupazione per la giustizia e lo sviluppo dei popoli.


250. Un atteggiamento di apertura nella verità e nell’amore deve caratterizzare il dialogo con i credenti delle religioni non cristiane, nonostante i vari ostacoli e le difficoltà, particolarmente i fondamentalismi da ambo le parti. Questo dialogo interreligioso è una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto è un dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose. Questo dialogo è in primo luogo una conversazione sulla vita umana o semplicemente, come propongono i vescovi dell’India « un' atteggiamento di apertura verso di loro, condividendo le loro gioie e le loro pene ».[194] Così impariamo ad accettare gli altri nel loro differente modo di essere, di pensare e di esprimersi. Con questo metodo, potremo assumere insieme il dovere di servire la giustizia e la pace, che dovrà diventare un criterio fondamentale di qualsiasi interscambio. Un dialogo in cui si cerchi la pace sociale e la giustizia è in sé stesso, al di là dell’aspetto meramente pragmatico, un impegno etico che crea nuove condizioni sociali. Gli sforzi intorno ad un tema specifico possono trasformarsi in un processo in cui, mediante l’ascolto dell’altro, ambo le parti trovano purificazione e arricchimento. Pertanto, anche questi sforzi possono avere il significato di amore per la verità.

251. In questo dialogo, sempre affabile e cordiale, non si deve mai trascurare il vincolo essenziale tra dialogo e annuncio, che porta la Chiesa a mantenere ed intensificare le relazioni con i non cristiani.[195] Un sincretismo conciliante sarebbe in ultima analisi un totalitarismo di quanti pretendono di conciliare prescindendo da valori che li trascendono e di cui non sono padroni. La vera apertura implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa, ma aperti « a comprendere quelle dell’altro » e « sapendo che il dialogo può arricchire ognuno ».[196] Non ci serve un’apertura diplomatica, che dice sì a tutto per evitare i problemi, perché sarebbe un modo di ingannare l’altro e di negargli il bene che uno ha ricevuto come un dono da condividere generosamente. L’evangelizzazione e il dialogo interreligioso, lungi dall’opporsi tra loro, si sostengono e si alimentano reciprocamente.[197]

252. In quest’epoca acquista una notevole importanza la relazione con i credenti dell’Islam, oggi particolarmente presenti in molti Paesi di tradizione cristiana dove essi possono celebrare liberamente il loro culto e vivere integrati nella società. Non bisogna mai dimenticare che essi, « professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale ».[198] Gli scritti sacri dell’Islam conservano parte degli insegnamenti cristiani; Gesù Cristo e Maria sono oggetto di profonda venerazione ed è ammirevole vedere come giovani e anziani, donne e uomini dell’Islam sono capaci di dedicare quotidianamente tempo alla preghiera e di partecipare fedelmente ai loro riti religiosi. Al tempo stesso, molti di loro sono profondamente convinti che la loro vita, nella sua totalità, è di Dio e per Lui. Riconoscono anche la necessità di rispondere a Dio con un impegno etico e con la misericordia verso i più poveri.

253. Per sostenere il dialogo con l’Islam è indispensabile la formazione adeguata degli interlocutori, non solo perché siano solidamente e gioiosamente radicati nella loro identità, ma perché siano capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste e di fare emergere le convinzioni comuni. Noi cristiani dovremmo accogliere con affetto e rispetto gli immigrati dell’Islam che arrivano nei nostri Paesi, così come speriamo e preghiamo di essere accolti e rispettati nei Paesi di tradizione islamica. Prego, imploro umilmente tali Paesi affinché assicurino libertà ai cristiani affinché possano celebrare il loro culto e vivere la loro fede, tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali! Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza.

254. I non cristiani, per la gratuita iniziativa divina, e fedeli alla loro coscienza, possono vivere « giustificati mediante la grazia di Dio »,[199] e in tal modo « associati al mistero pasquale di Gesù Cristo ».[200] Ma, a causa della dimensione sacramentale della grazia santificante, l’azione divina in loro tende a produrre segni, riti, espressioni sacre, che a loro volta avvicinano altri ad una esperienza comunitaria di cammino verso Dio.[201] Non hanno il significato e l’efficacia dei Sacramenti istituiti da Cristo, ma possono essere canali che lo stesso Spirito suscita per liberare i non cristiani dall’immanentismo ateo o da esperienze religiose meramente individuali. Lo stesso Spirito suscita in ogni luogo forme di saggezza pratica che aiutano a sopportare i disagi dell’esistenza e a vivere con più pace e armonia. Anche noi cristiani possiamo trarre profitto da tale ricchezza consolidata lungo i secoli, che può aiutarci a vivere meglio le nostre peculiari convinzioni.


255. I Padri sinodali hanno ricordato l’importanza del rispetto per la libertà religiosa, considerata come un diritto umano fondamentale.[202] Essa comprende « la libertà di scegliere la religione che si considera vera e di manifestare pubblicamente la propria fede ».[203] Un sano pluralismo, che davvero rispetti gli altri ed i valori come tali, non implica una privatizzazione delle religioni, con la pretesa di ridurle al silenzio e all’oscurità della coscienza di ciascuno, o alla marginalità del recinto chiuso delle chiese, delle sinagoghe o delle moschee. Si tratterebbe, in definitiva, di una nuova forma di discriminazione e di autoritarismo. Il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non credenti non deve imporsi in un modo arbitrario che metta a tacere le convinzioni di maggioranze credenti o ignori la ricchezza delle tradizioni religiose. Questo alla lunga fomenterebbe più il risentimento che la tolleranza e la pace.

256. Al momento di interrogarsi circa l’incidenza pubblica della religione, bisogna distinguere diversi modi di viverla. Sia gli intellettuali sia i commenti giornalistici cadono frequentemente in grossolane e poco accademiche generalizzazioni quando parlano dei difetti delle religioni e molte volte non sono in grado di distinguere che non tutti i credenti – né tutte le autorità religiose – sono uguali. Alcuni politici approfittano di questa confusione per giustificare azioni discriminatorie. Altre volte si disprezzano gli scritti che sono sorti nell’ambito di una convinzione credente, dimenticando che i testi religiosi classici possono offrire un significato destinato a tutte le epoche, posseggono una forza motivante che apre sempre nuovi orizzonti, stimola il pensiero, allarga la mente e la sensibilità. Vengono disprezzati per la ristrettezza di visione dei razionalismi. È ragionevole e intelligente relegarli nell’oscurità solo perché sono nati nel contesto di una
credenza religiosa? Portano in sé principi profondamente umanistici, che hanno un valore razionale benché siano pervasi di simboli e dottrine religiose.

257. Come credenti ci sentiamo vicini anche a quanti, non riconoscendosi parte di alcuna tradizione religiosa, cercano sinceramente la verità, la bontà e la bellezza, che per noi trovano la loro massima espressione e la loro fonte in Dio. Li sentiamo come preziosi alleati nell’impegno per la difesa della dignità umana, nella costruzione di una convivenza pacifica tra i popoli e nella custodia del creato. Uno spazio peculiare è quello dei cosiddetti nuovi Areopaghi, come il “Cortile dei Gentili”, dove « credenti e non credenti possono dialogare sui temi fondamentali dell’etica, dell’arte, e della scienza, e sulla ricerca della trascendenza ».[204] Anche questa è una via di pace per il nostro mondo ferito.

258. A partire da alcuni temi sociali, importanti in ordine al futuro dell’umanità, ho cercato ancora una volta di esplicitare l’ineludibile dimensione sociale dell’annuncio del Vangelo, per incoraggiare tutti i cristiani a manifestarla sempre nelle loro parole, atteggiamenti e azioni.