NINGUIN KA TA PUDI KUBRI SEU KU MON
(proverbio locale: nessuno può coprire il cielo con le mani)
(interpretazione: la verità viene sempre alla luce)
31 gennaio: Bigene
Una data speciale per la mia vita. La mia gioventù è stata segnata dagli studi nei collegi salesiani, e oggi è la memoria di San Giovanni Bosco. Posso dire che don Bosco è uno dei maestri della mia vita. Grande sacerdote e grande missionario: ha mandato i suoi salesiani in missioni lontane, in terre ancora sconosciute.
Oggi, a Foggia, è anche la memoria di San Ciro, ed io sono stato per due anni parroco della parrocchia di San Ciro. Quanti ricordi in questo giorno!
E proprio oggi, per una di quelle coincidenze che mi parlano tanto di Provvidenza con la “p” maiuscola, accade un fatto meraviglioso: alcuni giovanissimi di Cervarese S. Croce (Padova), il mio paese nativo, stanno eseguendo un concerto nell’antico Oratorio del paese. Io mi trovo nella cappellina delle suore di Bigene: sono in adorazione eucaristica per loro e per i presenti al concerto. Lo avevo promesso. La cosa, ancor più incredibile, è che io non conosco questi ragazzi! I loro cognomi mi fanno ricordare i volti dei loro bravi genitori, dei loro cari nonni: Marchesan, Testolin, Ceron, Garbin, Vignaga, Faccin, Riondato… Famiglie sane, Veneti d.o.c., gente timorata di Dio e capace di creare comunione.
Con una purezza d’animo esemplare, una ragazza di loro mi aveva scritto: “Ti ricordi quel gruppetto di giovani che cantava in chiesa, il giorno del ringraziamento, quando sei venuto a trovarci a Cervarese? Abbiamo fatto solo due canzoni, eravamo con i microfoni e la tastiera davanti l'altare di San Giuseppe... Beh! Quel gruppetto si chiama "Singin'in the Church"; è già un po' di anni che cantiamo assieme, abbiamo perfino fatto un piccolo sito internet (fatto in casa come quello della parrocchia, ma carino): www.singin.it . Stiamo preparando una piccola sorpresa... abbiamo unito la nostra passione per il canto e la musica con la voglia di tutti i cervaresani di starti vicino, e così...
Sabato 31 gennaio 2009 - ore 20.45 - in Oratorio a Cervarese Santa Croce:
"SIAMO IN MISSIONE PER CONTO DI DIO" (J. Belushi) In musica per Don Ivone
È il titolo di una serata concerto che noi Singin, assieme ad altri ragazzi della parrocchia, vogliamo offrire al paese. In questi anni il nostro gruppo è cresciuto con la musica sempre più nel cuore, nelle mani e nella voce... questo vuole essere un piccolo progetto di amicizia e fraternità cristiana con te e con la tua nuova Comunità. Coglieremo l'occasione per raccontare un po' della tua missione, dei luoghi dove ti trovi ora. Stiamo ancora organizzando, ma probabilmente proietteremo dei pezzi della presentazione che hai fatto tu in Oratorio, quel sabato sera che sei venuto a trovarci, quando, mostrando diverse foto, hai parlato della bellezza dei bambini africani, di come si vive la S. Messa domenicale, etc. (Graziano Faccin aveva filmato tutta la serata)... una cosa semplice, ma crediamo carina. Ti inviamo il volantino della serata... sarai dei nostri? Un caloroso saluto da tutti noi, ciao!”.
Sono quelle cose che, quando accadono, ti riempiono di stupore e di gioia incontenibile. La mia piccola preghiera davanti al Tabernacolo africano (una tipica capanna del luogo, tutta di legno) è un sincero ringraziamento per questi nuovi giovani amici. E per la terra che mi ha alimentato, e che continua a sostenermi…
La mia preghiera, purtoppo, è breve: sono stanchissimo. È stata una settimana faticosa, avanti e indietro per i villaggi a compiere gli incontri di evangelizzazione. Le distanze non sono notevoli: 10-15 chilometri al massimo. Ma notevoli, invece, sono le buche sulle strade, che non sono più strade! E così, 10 chilometri li fai in mezz’ora! Certo, la nostra segezia tiene bene il percorso, ma alla fine della giornata la stanchezza si sente, e alla fine della settimana ancor di più. Mi dovrò abituare. Nel pomeriggio ho avuto anche qualche linea di febbre…
Stanco ma felice! Tanto felice!!! Perché non sono solo i giovani padovani a stupirmi, ma anche i giovani di Foggia! Pensate che è uscito, da poco, il cd “Buon Natale”. Contiene un inedito del maestro Angelo Gualano, cantato a due voci da don Matteo Ferro, assistente spirituale del Foggia Calcio, e da Fabio Pecchia, Capitano dell’US Foggia, e musicato in collaborazione con l’associazione sammarchese “Cuori Aperti”.
È stato proprio don Matteo, giovane sacerdote di Foggia, ad avere l’idea di questa meravigliosa iniziativa di solidarietà che coinvolge la squadra rosso-nera in un momento forte di beneficenza, proprio in occasione del Santo Natale. “In accordo con l’Arcivescovo, che ha accolto favorevolmente l’iniziativa – ha affermato don Matteo –, abbiamo deciso, con i ragazzi, di devolvere il ricavato delle vendite alla missione dei nostri sacerdoti diocesani in Guinea-Bissau”.
Nelle parole della canzone c’è un invito alla speranza, per guardare al futuro con ottimismo, e per seminare un germe di fede in chi, anche grazie alla sua passione per la squadra cittadina, riuscirà a compiere un gesto di altruismo e beneficenza.
Come faccio a non sentirmi felice pensando a questi fatti, a queste persone, alle loro intuizioni? E sapete qual è uno dei risultati ottenuti da questo cd del Foggia? Che, da ora, non posso non essere tifoso anche del Foggia!!! In tanti avevate provato (voi di Foggia) a convincermi. C’è riuscito il giovane don Matteo (il nome suona bene…): e bravo don Matteo!!! E anche un grande grazie, naturalmente!!!
2 febbraio: Farim
Al mattino sento brividi di freddo. Non è normale. Nel pomeriggio mi sale la febbre. Ci risiamo! Racconto a Pe. Carlo che anche nei giorni scorsi ho avuto qualche linea di febbre. Valutiamo che è meglio iniziare la terapia per la malaria: lui ha le medicine adatte che distribuisce nella farmacia parrocchiale. Me lo aspettavo, prima o poi sarebbe accaduto: è la “malaria due” (io metto il nome alle cose…).
3 febbraio: Farim
La febbre continua, bisogna aver pazienza. Rimango a letto tutto il giorno.
4 febbraio: Farim
Non cambia nulla: la febbre dovrebbe iniziare a scendere, ma niente! Non ho particolari difficoltà, solo la febbre. Che produce anche stanchezza e inappetenza. Tutto qui! Che volete: anche lei, la “due”, mi vuole bene, e non mi vorrebbe lasciare…
5 febbraio: Farim
Le pastiglie che prendo non sono sufficienti: la febbre, invece di diminuire, aumenta. È necessario muovermi verso Bissau. Giusi organizza il viaggio e viene a prendermi. Io mi prendo le pastiglie per abbassare la febbre, e Pe. Roberto mi accompagna nell’attraversare il fiume sulla canoa. Giusi arriva alle sette di sera, e subito ripartiamo verso la capitale. Ci vogliono più di tre ore di macchina, sulla strada per Mansoa e poi per Mansabà.
Alla clinica di Bôr mi conoscono, dall’agosto scorso (la “malaria uno”): mi hanno già preparato la stessa stanza. Che carini! Il dott. Mario ordina subito il controllo del sangue, e poi si riparte con le flebo di chinino. Sono pronto, mio Signore! Ma fa’ che non sia come l’altra volta…
Intanto arriva mezzanotte: Mario vuole due guardiani, nella mia camera, per tutta la notte. Tutti si ricordano i ripetuti svenimenti della scorsa estate… I due giovani si portano in camera il materassino ridendo, un lenzuolo a testa, e buonanotte!
6 febbraio: Bissau
Veramente fanno una buona notte. Loro! Io rimango a guardare la flebo con il chinino: la goccia scende piano piano nelle mie vene. Durerà ore! Loro dormono, e mi trovo ad essere io a guardare i miei “guardiani”!
Così scopro come dormono gli Africani: in posizione diritta, con le spalle rivolte verso terra, completamente avvolti da un lenzuolo, anche il volto, e le braccia incrociate sul petto. Insomma: come le mummie! A pensarci bene, anche gli antichi Egizi erano Africani… Come facciano a respirare, sotto il lenzuolo che non lascia alcuna apertura d’aria, non lo so. Forse sono abituati a dormire così per proteggersi dalle zanzare. E la cosa curiosa è che sono ambedue, collocati uno accanto all’altro, nella stessa posizione. Eccole, le mummie: sono uguali uguali…
La flebo termina in mattinata, ma subito me ne mettono un’altra. Chiedo che sia un po’ più veloce, e iniziano i dolori: sento entrare in vena ogni goccia. Il braccio continua a gonfiarsi. Ma tutto procede bene. Il rumore alle orecchie non è forte come l’altra volta.
Alla sera mi mettono la terza flebo. Pazienza ci vuole, deve passare! Chiedo di rimanere da solo durante la notte, non ci sono problemi questa volta, e riesco a muovermi verso il bagno senza difficoltà. Così è, e così dormo. Più o meno!
7 febbraio: Bissau
Il braccio destro non ce la fa più a ricevere il chinino della flebo. Mi fa troppo male. L’ultima flebo cercano di metterla nel braccio sinistro, ma non trovano le vene! Ma dove son finite??? Erano qui fino a ieri…
Non vi dico come si chiama l’infermiere che cerca di trovarmi la vena giusta e che, “armato” del suo ago, colpisce in più punti il mio braccio. Si chiama Guera!!! (che nome ragazzi! a me vien da ridere, mentre lui fa veramente la guerra per stanare le mie vene… ). Alla fine decide di infilare l’ago in una vena del polso. E così sia. Guerra finita!
Non è così. Nel pomeriggio non entra più niente in vena, il polso mi fa male. La flebo è quasi finita, forse può bastare anche così. Arriva Guera e comincia a toccarmi il braccio destro, facendomi male. Allora, per evitare ogni inutile discussione, gli dico chiaro e tondo: “Vuoi proprio la guerra??? Questo (e indico con gli occhi il braccio) è mio! Vattene!!!”.
Il poveretto, vista la mia severità, si allontana con un grande sorriso, dicendomi che lui non vuole sentirsi responsabile davanti ai dottori… Io continuo a indicargli la porta con i miei occhi, e lui scompare! Guerra finita per sempre, amen!!!
8 febbraio: Bissau
Rimango ancora oggi in clinica, e faccio conoscenza con i bambini ricoverati. La malaria due è sconfitta, e recupero velocemente le forze. Passo nelle camere, saluto le mamme che assistono i loro bambini. Le vedo contente della mia visita: come se il ricovero in clinica di un “bianco”, accanto ai loro piccoli, desse più tranquillità e garanzia anche a loro. Ma le sofferenze dei bambini sono ben più gravi della mia piccola malaria.
Vi invito a dare un’occhiata al sito www.progettoanna.it per conoscere e comprendere meglio questo luogo, frutto di una grande carità che proviene dall’Italia.
15 febbraio: Bigene
Dopo la S. Messa delle 9.30, mi reco con suor Rosa nel villaggio di Farea per la celebrazione di un’altra S. Messa domenicale. Dall’inizio del mese celebro una seconda Eucaristia in due villaggi, dove la catechesi è compiuta da più tempo e dove i catechisti, con le loro famiglie, assicurano una adeguata partecipazione della comunità locale alla celebrazione. I villaggi sono Farea e Facam: una domenica vado in uno, la domenica successiva nell’altro. La celebrazione è alle ore 11.30. Dunque: oggi sono a Farea. Al termine della S. Messa, il catechista Jamba mi chiede se posso benedire un bambino, nato da pochi giorni. È la prima volta che mi capita, qui, di benedire un bambino appena nato. L’ho sempre fatto tanto volentieri anche in Italia, naturalmente! La mamma viene avanti con il suo bimbo, e io le chiedo che nome gli ha dato. Mi guarda negli occhi e mi dice: “Ivo”!
Stava per venirmi un colpo! In venticinque anni di sacerdozio, è il primo Ivo che benedico. Jamba si accorge del mio stato di momentanea “apnea” e mi rassicura: “Padre, in tuo onore, la mamma ha deciso di chiamare il suo bambino con il tuo stesso nome”.
Sono qui da pochi mesi, ed è gia arrivato il “primo” Ivo! A dir la verità, a Foggia c’è una bellissima ragazza che si chiama Serena Francesca Maria Ivone (ciao, stai bene??? Hai visto che Ivone, in portoghese, è femminile? Quindi tranquilla, e continua a crescere bene…). Ma un Ivo “secco”, non mi era ancora accaduto.
Mentre continua il mio stato “confusionale”, chiedo a suor Rosa se devo fare qualcosa per il piccolo Ivo, se devo dare una offerta alla mamma, o cos’altro… “Non fare assolutamente nulla” mi dice sottovoce la suora, “altrimenti qui ti nasce un Ivo al mese!!!”.
Capito come funzionano le cose da queste parti? A me piace! Questo è il primo, ma ho tutta la sensazione che non sarà l’unico… A proposito: Ivo è un bel bambino! Proprio bello, ve lo assicuro!
Nel pomeriggio vado a Farim, e mi preparo ad una bella sorpresa. Proprio vicino alla chiesa parrocchiale e alla casa dei missionari si trova il cinema! Sì, sì: il cinema! Con tanto di biglietteria, ingresso con controllore e multisala maschile e femminile!!! Andiamo per ordine: la biglietteria è un buco nel muro. Giusto lo spazio per far entrare la mano per pagare il biglietto. Infili 150 franchi (20 centesimi di €uro) e ti danno il biglietto. Un biglietto vero! Non fai in tempo a leggere quello che c’è scritto, perché a due passi dalla biglietteria c’è l’ingresso con il controllore che te lo ritira e lo riconsegna al bigliettaio che lo ridà al prossimo cliente. Insomma: a quel povero biglietto, alla fine della serata, deve proprio girare la testa! Poi entro curioso: c’è anche l’accompagnatore che mi indica la sala per uomini… Voglio capire, e lui mi spiega che nella sala per le donne proiettano le telenovele brasiliane. Che Dio ce ne liberi!!! Ho visto qualche pezzo di queste puntate alla televisione. Alle comuni “cornificazioni” (così le chiamo io…) in serie, che appaiono nelle varie telenovele visibili in Italia, qui si aggiungono anche i “mutanti” e i “vampiri”. Cioè le persone cambiano di aspetto fisico, e i vampiri fanno… i vampiri! È chiaro che è tutta fantasia, ma è altrettanto chiaro che è tutta spazzatura che riempie la mente…
Molto meglio la sala maschile, dove si proiettano immagini reali, di fatti veri, di eventi appassionanti: le partite di calcio!!! Insomma, cari amici: molto meglio, a mio parere, una buona partita di calcio che una telenovela piena di falsità!!! E che partita!!!! C’è Inter-Milan !!!
La sala è multisala nel senso che nella stessa sala ci sono più schermi… Non riesco a descrivervi che bellissima confusione!!! I ragazzi che gestiscono il cinema hanno una grossa antenna per ricevere molti canali internazionali, dai quali si possono vedere in diretta le partite di calcio più interessanti, e che vengono proiettate in contemporanea su più televisori collocati uno accanto all’altro! Insomma: tu entri, e vedi 5 televisori con 5 partite diverse… Io sono qui per guardare Inter-Milan, ma altri guardano una partita del campionato inglese, o portoghese, o spagnolo…
Tutti assieme! È da provare. Inoltre, come se non bastasse questo incrocio di canali e di tifosi, si sente anche il rumore della trasmissione proiettata nella sala femminile: la divisione tra le due sale è fatta da una parete di vimini… Vi posso assicurare che il risultato finale, di questa esperienza, mi sembra un grande frastuono ben ordinato! Anche a me, non solo al povero biglietto, girava la testa…
Ma mi sono tanto divertito! Guardare Inter-Milan in diretta è una gioia immensa. E poi accade una cosa divertente. Mi sento “guardato” dai giovani presenti, e credo che siano contenti di vedermi in mezzo a loro. La sala è quasi piena, saranno circa duecento giovani. Poi entra un signore di mezza età, che manifesta con grande entusiasmo il suo tifo per una squadra portoghese. Alcuni giovani cominciano a chiedergli di stare zitto: hanno ragione, c’è già tanto rumore che metà sarebbe ancora troppo! Ma lui continua, noncurante delle parole dei giovani. Succede così nella vita africana: l’anziano ha sempre più rilevanza del giovane.
Ho un attimo di preoccupazione, quando mi accorgo che qualche giovane comincia a far vedere i pugni al signor “tifoso rumoroso”! E sai cosa succede? All’improvviso lui viene diritto da me, e spiega ad alta voce: “Signor padre! Io sono un tifoso vero, e non posso stare zitto davanti alle imprese della mia gloriosa squadra!”.
Incredibile: mi trovo ad essere io l’arbitro nella sala. E dovendo rispondergli, affermo che lui ha ragione! Non sapevo cosa dirgli, e come poteva reagire… Non ho avuto il tempo di riflettere, dovevo essere più “pacificatore”… Lui torna al suo posto tutto orgoglioso (ma mi accorgo che resta anche più moderato nelle sue esternazioni…). I giovani invece, che per un attimo avevano guardato me invece degli schermi, penso che da questo momento diminuiscano la loro simpatia nei miei confronti.
Mi sento a disagio. Ma, poco dopo, ci pensa un certo signor Adriano a frantumare ogni difficoltà in sala, e i giovani esplodono tutto il loro entusiasmo non solo per il gol fatto, ma anche per far vedere al signor “tifoso rumoroso” che pure loro sanno fare un grande chiasso! E siccome devo recuperare punti con loro, mi metto anch’io a fare “mosse” che non ho mai fatto in vita mia: gridando a squarciagola, battento mani e piedi proprio come fanno loro. La scenata è durata un paio di minuti, e mi sono riconquistato la simpatia di tutti i presenti.
Meno male che non mi ha visto nessun Italiano!!!
Robe da matti: è la più bella partita che vedo, non solo per la partita in se stessa, veramente affascinante, ma per tutto lo spettacolo della sala. Alla fine vince la squadra migliore. Lo so! Il mio amico Umberto, chissà quante storie avrebbe da dirmi (perché la sua squadra ha perso!): me lo vedo! Comincia a dirmi tutte le sue teorie senza lasciarmi il tempo di interferire… Ma è così: ha vinto la migliore. Ciao Umberto, alla prossima!!!
Una giornata così, con il piccolo Ivo e uno spettacolo africano per una partita italiana, non la dimentichi facilmente. Che bello, mio Signore, essere in Africa!!!
21 febbraio: Farim
Una festa in maschera. Non qui, ma a Foggia! C’è una festa di carnevale tra i giovani foggiani. Una festa non “normale”: raccolgono una bella somma che destinano alle opere per la missione di Bigene.
E anche questi giovani, io non li conosco! Loro leggono il diario, e rispondono con questi fatti! Mi sento coinvolto, in prima persona, dentro scelte ed azioni che dimostrano come i giovani non sono come, a volte, si pensa e si dice. I giovani italiani sembrano soffrire di “velinite acuta” o di “piccolofratellite” (che cosa ha di grande quel programma? Forse è grande solo per i “guardoni”!). Sembra. Poi scopri, invece, che sono capaci di una creatività contagiosa e benefica, e ti viene fuori il concerto di Cervarese, i canti natalizi del Foggia calcio, ora anche una festa in maschera…
Grazie carissimi giovani mascherati del carnevale foggiano. Avrei voluto vedervi! E sappiate che siete proprio capaci di rendere più felici anche i giovani di Bigene: la casa che sta per iniziare, è anche per loro!
27 febbraio: Bigene
Finalmente! Gli operai sono pronti per preparare il primo cemento da collocare nelle fondamenta della “mia” casa. La chiamo “mia” perché la sento così, anche se non mi appartiene, e so bene che la casa è della missione di Bigene, e quindi il proprietario è la Diocesi di Bissau. Dovrei chiamarla “casa dei missionari”, ma per il momento ci sono solo io, e allora se la definisco “mia” voi capite ugualmente.
La prima colata di cemento scende rumorosa negli scavi già preparati. Poi ci fermiamo tutti: chiedo agli operai un momento di silenzio. Desidero offrire a Dio la mia preghiera, in questo momento particolare, perché la casa possa essere costruita bene, a servizio del Regno di Dio, con pace e salute per tutti gli operai che vi lavorano.
Sono una quindicina gli operai: tutti si fermano, e accettano volentieri la mia proposta. Rimango sorpreso, anzi entusiasta: tutti si fanno il segno di Croce, anche i non cristiani, e molti di loro conoscono il Padre Nostro che recitiamo assieme. Poi prendo la piccola statuetta in plastica di Gesù Bambino, che suor Rosa aveva preparato per i regali di Natale (ma non pensate a chissà quali regali… “quello” era il regalo!), e la affido ad un operaio che con tanta cura la deposita sul fondo delle fondamenta, vicino a quella che sarà la porta di ingresso della casa.
La piccola immagine sacra scompare in mezzo al cemento e alle pietre, mentre affido al Signore tutti gli operai, tutti i benefattori che sostengono la costruzione, e anche… chi ci abiterà!!!
1 marzo: Bigene
Dopo le celebrazioni del mattino, mi metto in viaggio verso Bissau. Devo concludere le operazioni per le adozioni di tre seminaristi: completare le schede informative e spedirle in Italia. In Curia mi aspettano: aiuto anch’io ad accompagnare all’aeroporto un numeroso gruppo di volontari, provenienti da Milano e da Verona, che sono stati ospitati qui mentre davano il loro prezioso contributo di operai specializzati (fabbri ed elettricisti) in alcuni luoghi di missione.
All’aeroporto sembra tutto tranquillo. Una brutta notizia, però, circola tra i missionari: c’è stato un attentato in città, ed è rimasto vittima il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il generale Batista Tagme na Waie. La notizia ha bisogno di una conferma, perché sembra un fatto troppo rilevante.
2 marzo: Bissau
Purtoppo, lo capirò poi, la conferma arriva alle 4.20 di notte. Mentre sto dormendo nella mia stanza in Curia, sono svegliato da ripetute esplosioni di bombe, seguite da raffiche di armi da fuoco. Pe. Giancarlo, che ha la camera davanti alla mia, entra ed esce di stanza telefonando preoccupato per cercare di capire cosa stia succedendo. Giusi, che dorme in un’altra casa della Curia, mi chiama al cellulare: ha avuto notizie da Pe. Davide che l’abitazione del Presidente è stata assaltata dai militari. Io rimango sotto il mio lenzuolo (le coperte non ci sono: non servono!) e aspetto. Non ho proprio idea di che cosa debba fare. Non avevo mai sentito delle bombe esplodere: è la prima volta nella mia vita (grazie a Dio). Aspetto che arrivi giorno: impossibile dormire, conviene pregare.
A colazione, tutti noi presenti rimaniamo confusi sulle notizie arrivate. Poi arriva il Vicario Generale della Diocesi, Pe. Domingos, che risiede nella casa del Vescovo in centro città. Ci informa che il presidente João Bernardo Vieira, detto Nino, è rimasto ucciso dai soldati nell’attentato della notte.
Cresce la preoccupazione in tutti noi. Il Vescovo è fuori sede, in Senegal, ad un incontro internazionale di “Giustizia e Pace” (che coincidenza terribile!!!). Comincia a squillare il telefono della Curia: giornalisti dall’estero che chiedono informazioni. Noi non avvertiamo direttamente alcuna difficoltà: la radio “Sol Mansi”, che ha sede in Curia, funziona regolarmente. Anzi! Mai come in questo momento si dimostra uno strumento validissimo per portare una voce di pace in tutta la Guinea-Bissau, per portare conforto, per consigliare il dialogo, per frenare possibili reazioni che potrebbero avere conseguenze imprevedibili. Grazie a Pe. Davide, missionario P.I.M.E., nativo della Brianza, la radio continua per tutto il giorno, e per i giorni seguenti, a diffondere notizie che rasserenano i cuori, nonostante i fatti gravissimi accaduti ieri sera e questa notte.
Sembra che il mandante dell’attentato che ha causato la morte del generale Batista Tagme sia stato proprio il presidente Nino! Una grossa bomba è stata collocata all’interno della caserma dove il generale aveva i suoi uffici e l’ha ucciso nell’esplosione. I due erano avversari (nemici?) da tempo, e il generale avrebbe promesso di “far saltare” Nino se gli fosse accaduto qualcosa. E il Presidente è sicuramente stato ucciso dai soldati, certamente fedeli al generale ucciso! Insomma: i due avversari si sarebbero eliminati reciprocamente!!!
Col passare delle ore cresce questa convinzione comune. Sulla strada non circola nessuna macchina: le persone vanno a piedi verso il centro città, altre escono dalla città per cercare accoglienza in case di conoscenti. Si circola solo a piedi: sembra un fatto irreale, ma lo vedo con i miei occhi. Una delle principali vie di comunicazione della città, che unisce il centro con l’aeroporto e il nord del paese (verso Bigene…), e che passa proprio davanti alla Curia, è completamente deserta. Solo qualche macchina di soldati va avanti e indietro.
Alcune comunità di suore telefonano, preoccupate di sapere come comportarsi. Per il momento è meglio rimanere nelle missioni, senza uscire sulle strade, soprattutto per noi missionari, che comunque siamo anche “stranieri”. Non abbiamo conoscenza di situazioni problematiche in altre parti del paese. La linea telefonica funziona con difficoltà. La linea internet funziona molto poco nel mattino, è regolare nel primo pomeriggio, poi torna a non funzionare. Ma questo accade anche in tanti altri giorni: non si può dire che oggi ci sia una interruzione voluta delle comunicazioni.
La conferma arriva alla sera, quando la televisione trasmette il solito telegiornale nazionale. Non è un “colpo di stato”, ma lo stato si trova senza il Presidente e senza il Capo delle Forze Armate, uccisi in due differenti attentati, nel giro di poche ore.
3 marzo: Bissau
Questa mattina tutte le attività riprendono come se nulla fosse accaduto: le strade di Bissau sono piene di gente e di macchine, senza alcun problema. Non si vedono soldati in giro, e nessun tipo di controllo avviene. Sembra quasi che la gente non sia proprio dispiaciuta di quanto è accaduto: qualcuno afferma addirittura che "Dio, questa volta, ci ha aiutati, togliendoci i due capi (esercito e stato) che ci maltrattavano...".
Non condivido la violenza, mai. E bisogna sperare che la popolazione guineense possa superare questa crisi, realizzando una maggiore stabilità e unità per tutto il paese. Sembrano più preoccupati, invece, gli stati confinanti, soprattutto il Senegal: l’instabilità della G-B diventa una preoccupazione in più per i Senegalesi, che temono sempre il rischio di episodi analoghi all’interno dei loro confini.
Faccio una grande fatica a capire quello che sta accadendo: mi vengono in mente i giorni terribili vissuti in Italia, quando sono avvenuti il rapimento e poi l’uccisione di Aldo Moro. Ricordo che c’era un profondo senso di tristezza in tutta la nazione. Qui le persone mi sembrano tranquille e serene come se fosse un giorno qualunque! Eppure si parla anche di torture inflitte a Nino, prima della sua uccisione. Era certamente una persona che non ha amministrato nel modo migliore il suo paese, e che, di sicuro, ha tratto profitto dalla sua posizione. Mi sembra di capire anche che ha usato metodi leciti e non leciti. Non posso esprimere giudizi: sono in G-B da pochi mesi, e sarebbe grossa presunzione, da parte mia, affermare giudizi categorici. Raccolgo le voci, queste sì. Il giudizio lo darà, poi, la storia. Ma penso che sia gravissimo ciò che è accaduto, e forse proprio noi missionari lo sentiamo più di altri.
15 marzo: Temento (Senegal)
La comunità cristiana di Bigene si trasferisce… Oggi siamo a Temento, nel vicino Senegal, per la grande festa che si svolge nel santuario mariano di questo luogo. Sono in migliaia i fedeli arrivati dai paesi vicini, la giornata è bellissima, piena di sole (veramente c’è sempre il sole, ma è per dire che oggi è proprio un bel giorno!), con tanta gente che si muove verso il santuario e gli spazi predisposti per i pellegrini.
Ma nell’aria c’è anche il profumo di un grande avvenimento che sta per iniziare: la visita del Papa in Africa.
All’Angelus di oggi, Benedetto XVI afferma: “Con questa visita, intendo idealmente abbracciare l’intero continente africano: le sue mille differenze e la sua profonda anima religiosa; le sue antiche culture e il suo faticoso cammino di sviluppo e di riconciliazione; i suoi gravi problemi, le sue dolorose ferite e le sue enormi potenzialità e speranze. Intendo confermare nella fede i cattolici, incoraggiare i cristiani nell’impegno ecumenico, recare a tutti l’annuncio di pace affidato alla Chiesa dal Signore risorto”.
17 marzo: Bigene
Inizia oggi il viaggio tanto atteso. Mi riempie il cuore questa visita del Santo Padre in Africa. Non arriva qui vicino, Camerun e Angola sono lontani e anche più sviluppati della povera G-B, ma è come se mi sentissi, in qualche modo, avvolto da questo viaggio, o meglio, “accompagnato”. Accompagnato dalla Chiesa che mi ha inviato. Accompagnato dalla Chiesa che mi ha accolto. Accompagnato anche dal Papa, che ora viene a trovarmi.
Certo, non viene a trovare me! A Bigene non saprei ancora dove metterlo, il Papa! Ma viene a trovare questo popolo africano, che ora è il mio popolo. Viene a trovarci, e a darci la sua parola che conferma il cammino, che riempie di speranze nuove, che rianima i cuori! Grazie, Santo Padre. È una gioia immensa averti qui. È come se Roma fosse più vicina, quasi dietro l’angolo! Non ti preoccupare delle polemiche, costruite dai giornalisti, che non riescono più ad essere letti se non gridano qualcosa che sia irritante! La tua presenza in questa terra è una parola ben più rilevante ed ascoltata da milioni di Africani che sono e si sentono Chiesa di Cristo guidata da Pietro.
Cari amici, stiamo attenti a non cadere nei tranelli delle falsità! Mi viene in mente, a proposito, una intervista che ho letto poco tempo fa. L’intervistato è l’africano Emmanuel Wamala, cardinale in pensione dell’Uganda, uno che le cose africane le conosce più di ogni giornalista europeo: “Puntare tutto sulla distribuzione massiccia di condom ha come effetto pratico quello di incoraggiare e aumentare la promiscuità sessuale. Distribuire condom a tappeto non risolve il problema, e rischia di aumentarlo. Si è constatato che in molti Paesi, dove si è puntato tutto sulla distribuzione massiccia dei condom, l’Aids è aumentato”. (Vi consiglio di leggere tutta l’intervista, apparsa su “30 giorni” del dicembre 2008).
Vi saluto, carissimi amici e familiari, e vi faccio anche i miei migliori auguri di una Santa Pasqua, piena di pace per voi e le vostre famiglie. Vi devo anche dire che il mio diario continua a crescere: nel numero di lettori, che aumenta continuamente. Ma anche nei suoi effetti: vi annuncio con gioia la nascita del “diario di Pina”! È già arrivato alla seconda puntata, scritto in modo scorrevole e piacevole, lo potete prenotare direttamente da Pina, la viceparroca di Segezia. Ha un unico difetto: che parla del parroco (ciao, don Guido!) e non dice niente di Pina. Ma vale: richiedetelo! Ciao a tutti
Pe. Ivo Cavraro, Curia Diocesana – Missão de Begene, Av. 14 de Novembro, apartado 20
1001 Bissau Codex, GUINE'-BISSAU
email: ivocav@yahoo.it tel: 00245.6544756 spedisco questo diario il giorno 1 aprile 2009 via email
La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati
11 aprile 2009
Capitolo 6 - Prime evangelizzazioni
N’FIA NA SINHOR, N’FIA NA JESUS. TUDU NHA BIDA STA NA SI MON.
31 dicembre 2008: Bissau-Bigene
Terminate le operazioni per la spedizione del diario 5, salutati il Vescovo, Giusi e gli amici della Curia di Bissau, riparto per Bigene. Il clima è sempre ottimo, ma oggi fa più caldo del solito, e nel pomeriggio inizio a sudare. Mi dispiace per chi, in questi giorni, deve combattere con il freddo, ma qui è così: si suda all’ultimo dell’anno!
Sto prendendo confidenza con segezia: la velocità aumenta e anche le buche degli ultimi trenta chilometri mi sembrano più abbordabili. Arrivo a Bigene stanco: sarà il caldo? Come, come??? Vuoi vedere che inizia già il caldo? Mio Signore, aspetta un momento: siamo in pieno inverno!!! Non pretendo la neve, però lasciami un pochino pochino di “non caldo” (oserei chiedere anche il fresco, ma mi accorgo di chiedere troppo!).
Come sarà la fine dell’anno da queste parti? Una certa curiosità mi prende. Noto anche una strana agitazione nella cucina delle suore, tutte prese per “il cenone”. Alle nove di sera siamo davanti alla chiesa: il fuoco è acceso, siamo tutti in cerchio attorno alle piccole fiamme. Mi viene in mente il grande fuoco che si accende la sera dell’Immacolata, a Segezia, per la recita del rosario. Qui il fuoco è piccolino, proprio un segno. I bambini mi stanno tutti attaccati, tanto che devo stare attento a come mi muovo. E litigano pure, per cercare il posto più vicino a me: assomigliano ai chierichetti di Segezia!
Mi fermo a guardare le stelle, e tutti i bambini con il naso all’insù a guardare anche loro il cielo pieno di luci. Non trovo la luna: deve essere andata a passare l’ultimo dell’anno in qualche altro continente!
Inizia la S. Messa di fine anno fuori della chiesa, attorno al fuoco: l’atto penitenziale è sostituito da una offerta al Signore dei nostri peccati: si bruciano dei cartoncini con le scritte preparate. Scopro che gli Africani fanno gli stessi peccati degli Italiani: gelosie, malvagità, divisioni, maldicenze, falsità… Ops! Scusate: non volevo parlare di voi Italiani che leggete il mio diario. Voi siete miei amici, e i peccati non li fate, sia ben chiaro! Parlo degli altri…! Scopro che i miei nuovi parrocchiani fanno ancora questi peccati: dovrò fare presto a farmeli tutti amici, così poi saranno tutti più bravi! Scopro l’acqua calda: già San Paolo, all’inizio della nostra storia cristiana, aveva scritto ai credenti della Galazia lo stesso elenco di peccati. Insomma, è una storia che si ripete e che ci riguarda tutti: l’uomo è già salvato, ma non ancora salvo!
Poi viene bruciata nel fuoco una piccola figura umana, fatta di paglia: a indicare che, al termine dell’anno, si vuole cambiare vita, rinunciando all’uomo vecchio. L’ingresso in chiesa e l’ascolto della Parola di Dio creano l’uomo nuovo, all’inizio del nuovo anno.
Cari amici: tutto qui! Rientrati nella casa delle suore, facciamo una ottima cenetta. Io sono così stanco che mi sto addormentando sul piatto. Resisto fino alle undici: in questo esatto momento vi penso con la bottiglia di spumante in mano (attualmente c’è un’ora di differenza oraria; quando riprenderete l’ora legale, qui saranno due ore in meno), e vado a letto. Forse deludo le care sorelle, ma non ce la facevo più! Sono svegliato dai bambini dopo mezzanotte: con grida salutano in strada il nuovo anno. Tutto qui! Niente botti e fuochi artificiali, niente di tutte quelle assurde dimostrazioni sonore che accompagnano la fine d’anno in tutta Italia. Niente. Solo il vociare forte dei bambini sulla strada! Una fine d’anno come piace a me, senza rumori e con tanta pace. Vi assicuro che è fantastico iniziare così il nuovo anno! Auguri a tutti, anche se leggerete a fine gennaio il mio diario, auguri di un buon 2009. Per me è iniziato bene, pensando ad un uomo nuovo da realizzare, un missionario nuovo da donare a questa terra. Buon anno a voi e alle vostre famiglie: sia anno di pace e di comunione.
1 gennaio 2009, Maria SS. Madre di Dio: Bigene
Dopo una bella dormita, riprendiamo da dove eravamo rimasti l’anno prima: in chiesa, per la festa di Maria Madre di Dio. Oggi è anche la giornata mondiale per la pace. Pregare per la pace in tutto il mondo, dentro questa piccola chiesa, ci fa sentire importanti. La Guinea-Bissau sta vivendo una situazione che mi sembra tranquilla, ma nella confinante Guinea-Conakry, dopo la morte dell’anziano dittatore, i soldati hanno fatto un colpo di stato, che definirei “pacifico”. Vogliono organizzare le elezioni libere da parte della popolazione. Speriamo che sia veramente così.
Benedetto XVI, nel suo Messaggio per oggi, afferma che “la povertà risulta sovente tra i fattori che favoriscono o aggravano i conflitti, anche armati. A loro volta, questi ultimi alimentano tragiche situazioni di povertà”. Preghiamo per la pace anche dove i cristiani sono perseguitati, come in India, in Iraq, e in tanti altri luoghi del mondo.
2 gennaio 2009: Farim
Rientrato a Farim, passo il pomeriggio a rileggere i biglietti di saluti che mi avete consegnato prima della partenza dall’Italia. Li ho portati con me, e li custodisco con tanta attenzione. Li rileggo con calma, ad uno ad uno, pensando ai vostri volti, alle vostre storie, alle gioie e ai dolori vissuti assieme. Grazie amici. Grazie anche a quanti pregano per me, pur senza avermi scritto nulla.
Naturalmente, conservo nel mio computer anche tutte le email che mi scrivete. Ma queste, le posso leggere solo quando funziona il generatore. Devono ancora inventare delle batterie, per il computer, che durino 24 ore!
4 Gennaio 2009, Epifania del Signore: Bigene
Qui è così! La festa dell’Epifania si fa oggi! Il calendario civile non prevede le feste cristiane, a eccezione del Natale. Mi adatto, anche se non mi sento del tutto a mio agio nel celebrare, oggi, una festa che ho sempre celebrato, fin da bambino, il 6 di gennaio.
5 gennaio 2009: Farim
Riprendo lo studio della lingua locale, il crioulo. Per capire e per farmi capire, la lingua è strumento indispensabile. A Farim, nella tranquillità di questa casa dei missionari, trovo il tempo e il luogo adatti per lo studio. Mi chiedo quando finirò di studiare! Mi rispondo che la vita offre sempre pagine nuove da leggere ed assimilare!
6 gennaio 2009: Farim
“Tanti, tanti, tanti …”. Così iniziavano i miei saluti, in questo giorno, alle signore che entravano in chiesa negli anni passati. Non vorrei che qualche brava signora di Segezia si sentisse privata di questi famosi auguri! Allora: tanti auguri a tutte, befane finte e simpatiche, abituate a sorridere ad un parroco che vi prendeva in giro… Qui, in G-B, le befane non le conoscono: e così devo, per forza, pensare ancora a voi!
Dopo la S. Messa, mi fermo a guardare i bambini che vanno a scuola: stanno tremando dal freddo! Forse è la neve che è caduta in Italia: sta raffreddando anche l’Africa! Il termometro segna 21 gradi: è proprio freddo per gli Africani… (suggerimento: quando nevica nella tua città, regala quella sciarpa, che non usi mai, ad un Africano. Pensa a me e riscalda lui!).
7 gennaio 2009: Farim-Bigene
La mia missione in questa terra entra nel vivo. Parto al mattino presto da Farim per Bigene, e con suor Teresa ci rechiamo al villaggio di Tabajan. Dopo la pausa natalizia, riprende l’evangelizzazione nei villaggi. Per me si apre una nuova dimensione di apostolato, tutta da scoprire. Arriviamo al villaggio e le persone escono dalle loro piccole case per recarsi alla catechesi nella cappellina. La chiamano così, cappellina, ma non potete immaginare il mio stupore e la bellezza tutta naturale di questo “edificio”. Il tetto è un albero. Proprio così! E le pareti sono fatte di foglie di palma intrecciate. All’ingresso una croce, costruita manualmente con due legni intrecciati, e all’interno le panche sono già state portate dalle case dei cristiani. Il “pavimento” della cappellina è la semplice terra sabbiosa di questo luogo, ma si vede che qualcuno ha ripulito dalle foglie, spazzando il terreno. Questa è la cappellina. E gli abitanti del villaggio, quando vi entrano, si fanno il segno di croce con devozione. È il loro luogo sacro.
Arrivano circa trenta giovani e adulti, più i bambini. Nessuno di loro è battezzato: frequentano la catechesi settimanale organizzata dal catechista Uié nella loro lingua nativa, il balanta-mané. Rimango colmo di stupore per quanto vedo e ascolto. Pregano e cantano con partecipazione. Dopo l’introduzione e i saluti iniziali, suor Teresa si reca con alcuni catecumeni in un luogo a parte e Uié fa la catechesi di base. Tutto è ben collaudato. Chi partecipa con attenzione alla catechesi di base, può chiedere di diventare cristiano. Inizia quindi una catechesi specifica, chiamata catecumenato, e che dura normalmente tre anni. Poi potrà ricevere il battesimo.
Rimango ammirato da Uié: non comprendo quello che dice, ovviamente, ma intuisco che è ben preparato, si esprime con scioltezza e l’assemblea lo segue con ottima partecipazione. Usa il testo, scritto in crioulo, preparato dal servizio della catechesi diocesano. L’argomento che sta trattando è sulla felicità piena che ci è data dall’incontro con Gesù Cristo. Ogni tanto si gira verso di me, quasi per chiedere conferma di quello che sta dicendo a tutti, dimenticandosi che io sono l’unico a non comprendere le sue parole. Io gli dico sempre di sì, gli faccio cenno che va bene quello che dice, e lui è tutto contento!
Io sono più contento di lui: un catechista così bravo è un grande dono per la missione che il Signore mi chiede. Se non ci fosse, la comunicazione con le persone dei villaggi, molte delle quali non parlano nemmeno in crioulo, ma usano solo la lingua della propria etnia, sarebbe molto difficile, se non impossibile.
Al ritorno in Bigene, una grande sorpresa: sono iniziati i lavori per piantare una grande antenna per il collegamento telefonico! Le suore non si lasciano emozionare più di tanto: è la terza volta che inizia un’opera simile. Dicono di crederci solo quando vedranno sul cellulare le “tacche” della linea. Io, invece, ci credo: sono troppo ingenuo? Vedremo. Ma spero tanto che l’opera vada a buon fine: poter usare il telefono a Bigene, sarebbe una grande cosa per questa popolazione, e anche per me, che ho sempre piacere nel ricevere qualche telefonata.
Nel pomeriggio evangelizzazione a Bambea. Il gruppo è piccolo, ma attento. Qui non c’è la cappellina, ma è l’albero al centro del villaggio a fare da luogo di riunione. Rimango meravigliato da due anziani: un uomo e una donna, vestiti a festa (la suora che arriva nel villaggio è sempre un fatto importante!). Parlano solo in balanta-mané, e quindi sia gli interventi in portoghese che in crioulo non li comprendono. Ma stanno ugualmente attenti. Non capiscono, ma vogliono diventare cristiani. Che cosa starà dicendo il Signore dentro il loro cuore?
8 gennaio 2009: Bigene
Continuo la mia conoscenza delle comunità che ricevono l’evangelizzazione nei villaggi. Al mattino accompagno suor Merione a Talicò, e poi proseguo con suor Teresa per Facam. In questo villaggio si vede con chiarezza che cosa produce l’evangelizzazione. Non solo perché la comunità cristiana è già presente con alcuni battezzati e una decina di catecumeni, e si riunisce in una vera cappellina costruita con mattoni e tetto in lamiera, da cui pende un grosso rosario al centro della sala, ma anche perché vi sono gli orti coltivati. La catechesi è stata accompagnata dalla educazione sanitaria ed agricola, e si vedono i primi frutti. Vi è anche la scuola privata, organizzata dagli stessi abitanti del villaggio. È come se l’incontro con Cristo producesse una vita totalmente nuova, con nuovi interessi reali che gli altri villaggi non manifestano.
Un orto organizzato per la produzione dei pomodori e di altri prodotti, è come una manna dal cielo. Una scuola che educa sul posto i bambini, è la grande possibilità di superare le difficoltà della vita. Certo, non immaginatevi chissà quale scuola: è come la famosa “cappellina” di ieri: sotto un grande albero, con banchi fatti di canne intrecciate a mano. Ma c’è la lavagna, e soprattutto l’insegnante. Vi pare poco per queste parti???
Ritornando a Bigene, mi fermo dal nuovo amministratore civile del paese (sarebbe come il sindaco), che aveva chiesto di incontrarmi. Mi sembra una persona di buone intenzioni. Dopo le votazioni nazionali di novembre, che si sono svolte con tranquillità, ha ricevuto questo incarico. Persona intelligente, si è laureato in ingegneria a Burgos (Spagna). Desidera instaurare una collaborazione con me, con le suore e la comunità cristiana, per il bene e il progresso di Bigene. Potrebbero essere parole di circostanza: vedremo. Ma mi lascia una buona impressione.
Dice di aver parlato di me al Primo Ministro dello Stato (che onore!), affermando che a Bigene, ora che è arrivato il missionario dall’Italia, occorre aumentare le comunicazioni per continuare a sviluppare il paese. Quindi telefono e strade da sistemare: sono le opere primarie da realizzare. E sembra che, a suo dire, il Primo Ministro sia favorevole a queste opere. Incredibile: vuoi vedere che, per mia “colpa”, arriva il telefono e riparano le strade dalle innumerevoli buche??? Forse sto sognando…
Ma le belle novità continuano: nel pomeriggio ci troviamo con Jean Claude nel terreno della missione, per definire esattamente dove collocare la nuova casa. Finalmente si muovono i primi passi, dopo i lavori eseguiti per la progettazione. Assieme alle suore, definiamo il punto esatto. Ora aspetto di vedere l’inizio degli scavi!
Poi con suor Rosa vado al villaggio di Farea. La catechesi, nella cappellina fatta di mattoni, è tenuta dal catechista del posto, di nome Jamba. Suor Rosa si incontra a parte con i catecumeni. Jamba è tutto un sorriso disarmante nei miei confronti, e afferma che devo essere io a tenere la catechesi, sul Vangelo del giorno. Lui non può fare al posto mio… Insomma, detta tra di noi: mi incastra! E così accade che, senza volerlo, mi trovo a fare la prima catechesi. Ma non solo: è la prima volta che parlo in portoghese, senza aver preparato nulla. Jamba non parla italiano, e io sono costretto a mettere in pratica quanto ho imparato fino ad ora.
Mi direte: “Era ora…”. È vero. Però accade che in Curia si parla italiano, a Farim si parla italiano… Solo a Bigene si parla “brasileiro” (che non è il portoghese, ma non ditelo ai brasiliani, altrimenti si offendono…). È arrivato il momento. Costretto, ma con gioia, parlo in portoghese e Jamba traduce in balanta-mané. È fatta! Bastava l’occasione buona. E funziona!
Il Vangelo parla di Gesù che, nella sinagoga di Nazaret, commenta il profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me…”. Un brivido mi attraversa tutto il corpo. “Per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio”. Inizio a parlare dell’opera di Cristo nella nostra vita, e termino invocando lo Spirito Santo su tutta l’assemblea. Non ho il tempo per capire cosa accade nel cuore dei presenti. Vi assicuro, però, che io mi sento molto bene: la mia missione in Africa ha fatto oggi un grande passo.
10 gennaio: Farim
Pe. Carlo mi affianca ad un giovane professore della scuola parrocchiale. Si chiama Zandu. Con lui preparo la predica della domenica. Io leggo il Vangelo e le parti proprie del celebrante in lingua crioulo e lui corregge i miei errori di pronuncia. Sono contento che gli errori siano pochi. Questa è una lingua non ancora ben definita. Esiste un vocabolario, ed anche una grammatica, ma è una lingua in continua verifica, perché solo da pochi anni è scritta (pregevole il lavoro dei missionari in questo campo). È la lingua parlata dal popolo guineense, ma solo alcuni giovani la sanno leggere.
Poi passiamo alla predica: e qui sembra un giochetto. Io penso (ancora) in italiano e traduco in portoghese; Zandu ascolta e traduce in crioulo; io scrivo in crioulo e Zandu corregge al momento i miei errori. E così è fatta la mia prima predica in crioulo! Vi piace? Beh, non ve la scrivo. Se volete sentirla, passate per Bigene domenica prossima!!! Ma non preoccupatevi: io le faccio corte, le prediche. E in criuolo, ancor più corte!
11 gennaio, Battesimo del Signore: Farim-Bigene
Al mattino presto parto per Bigene, e lungo la strada incontro alcune persone che mi chiedono il passaggio per la S. Messa. Loro mi conoscono, mi chiamano per nome, ed anche io ricordo alcuni di questi volti incontrati nelle evangelizzazioni. È una gioia iniziare a riconoscere i cristiani: sono una minoranza, il 15% della popolazione. Ma è proprio bello fermarmi a raccoglierli: segezia si riempie.
Alla sera c’è grande gioia in casa delle suore. Forse è perché ho fatto la prima predica in lingua locale, un altro bel passo nella mia missione. O forse perché la predica era proprio corta… E decidono di riprovare con la pizza. Questa volta suor Rosa ci mette più attenzione, come se avesse ascoltato il suggerimento che Tonino Russo mi aveva fatto al telefono: “Dicci alla suora che, quando sta in cucina, si stesse attenta alla pizza, e non a te!”.
Ottimo consiglio, e ottima pizza! Grazie Tonino. Certo, non c’è la mozzarella fresca di Battipaglia (il formaggio non esiste proprio, da queste parti), ma vi assicuro che il pomodoro c’è: è una autentica pizza falsa, molto gustosa e saporita. Evviva il crioulo!
12 gennaio: Bigene
Passo la giornata nell’organizzazione delle schede per le adozioni dei bambini. Sono 32 le famiglie di amici e conoscenti che hanno aderito a questa proposta: aiutare un bambino a frequentare la scuola delle suore Oblate di Bigene. Fotografo i bambini, trasporto le foto nel computer, colloco le foto nelle schede predisposte con i nominativi e alcune altre informazioni, e domani spero di poter spedire via email, da Bissau. Mi sembra che il lavoro sia riuscito bene. Ma, soprattutto, 32 bambini possono frequentare la scuola: questa è una grande cosa!
A pranzo le suore preparano le penne al sugo: buone! Osservo la confezione: questo tipo di pasta la conosco molto bene, è la stessa qualità di pasta che distribuivamo nel campo di accoglienza. Un tipo di pasta che gli Italiani non mangerebbero, perché non è particolarmente lavorata. Gli immigrati, invece, la mangiavano molto volentieri. Deve essere arrivata in G-B in qualche container, e poi distribuita alle missioni. Ed io, adesso, sono un immigrato! Come è strana la vita, vero? Vi assicuro che, qui a Bigene, questa è un’ottima pasta!
13 gennaio: Bigene-Bissau
Viaggio rapido a Bissau con suor Mires e alcuni giovani. Per strada, ascoltando la radio diocesana “Sol mansi”, apprendiamo con precisione della tragedia che è accaduta domenica pomeriggio: una piroga che collega l’isola di Pecixe con la terraferma, per le forti correnti oceaniche invernali, e forse anche per il carico di persone e materiale non controllato, si è capovolta. Il bilancio parla di 72 persone morte in mare. Non è la prima volta che accade. E, probabilmente, la notizia non esce nemmeno dai confini nazionali.
Alle tre del pomeriggio, quando accendono il generatore della corrente elettrica in Curia, sono già pronto per collegarmi ad internet e spedire le adozioni. Ma non è giornata! La linea di internet continua a interrompersi. Riesco a spedire due, tre email all’ora. Alle undici di sera, quando il generatore si spegne, non ho ancora terminato di spedire le schede delle adozioni.
Cari amici, questi inconvenienti accadono normalmente a Bissau, e mi costringono a certe attenzioni. Vi prego di comprendere bene due cose: le mie risposte alle vostre email sono molto sintetiche, per rispondere subito, quando è possibile (le notizie le avete dal diario); e poi cercate di non spedirmi allegati troppo voluminosi, perché rischio di non poterli aprire, o addirittura si blocca la linea internet. Grazie della collaborazione!
Le difficoltà di collegamento mi procurano il tempo per una buona conversazione con il Vescovo, che desidera conoscere le mie prime impressioni sulle attività pastorali a Bigene, e con Giusi, che sempre più si addentra nella collaborazione con Pe. Giancarlo, nell’Economato Diocesano.
15 gennaio: Bigene
Incontro imprevisto e sorprendente con il dottor Agostinho Sambu. Nativo del villaggio di Bambea, nel territorio di Bigene, ha potuto laurearsi in medicina a Verona, ospite del “don Bosco”: lo stesso istituto dove io ho fatto il liceo. Quando si dice che il mondo è piccolo… Abita stabilmente a Verona (che bella città!), ed è ritornato a Bigene, dopo tanti anni, per la morte della mamma. Afferma che trova Bigene “ferma”, se non peggiorata, rispetto agli anni passati. Durante il periodo del colonialismo portoghese, e per alcuni anni dopo l’indipendenza, tutti i bambini andavano a scuola. Oggi non è così, molti bambini non vanno a scuola e rimangono analfabeti, e questa assenza di istruzione lascerà il popolo guineense nella miseria. Rimango stupito dalle sue affermazioni.
16 gennaio: Bigene
Altra giornata che riempie il cuore di gioia e di pace. Accompagno le suore alla evangelizzazione settimanale nei villaggi di Suar, Liman, Jambam e Bucaur. Grande accoglienza in tutti i villaggi: sono felici, e si vede, di conoscermi e di poter continuare, anche con me, il cammino che porterà al battesimo.
Ma a Bucaur, a pochi metri dal confine con il Senegal, la scena che si presenta ai miei occhi è da far venire la pelle d’oca. Il villaggio è grande, alcune persone sono davanti alle loro casette. Parcheggio segezia all’ombra e ci dirigiamo a piedi verso un grande albero, al centro del villaggio. Cammino guardando il pozzo dell’acqua collocato su un lato della stradina, e all’improvviso comincio a sentire un canto, eseguito sottovoce, quasi per non disturbare. Alzo gli occhi: sotto l’albero sono un centinaio di persone, tutte in piedi, con i piccoli seggiolini ricavati dai tronchi d’albero allineati ai loro piedi. “N’fia na Sinhor, n’fia na Jesus. Tudu nha bida sta na si mon”: “Ho fede nel Signore, ho fede in Gesù. Tutta la mia vita è nelle sue mani”. Così cantano! E non sono ancora battezzati! Provo emozioni forti e piene di contrasti: da una parte è come se mi sentissi schiacciato dalla loro fede, dall’altra parte sento che hanno bisogno del missionario per crescere nella fede.
Ripenso agli “Atti degli Apostoli”, dove si descrive l’azione dello Spirito in coloro che ascoltano gli apostoli, ancor prima di ricevere il Battesimo. Mi sembra che sia così. Sono convinto che lo Spirito stia già illuminando i cuori di questi uomini, donne, giovani. E lo Spirito di Dio sta orientando le loro scelte verso una conversione serena, desiderata, attesa. Avevano chiesto alle suore di iniziare la catechesi della chiesa cattolica. Hanno atteso due anni: non c’erano forze sufficienti per arrivare in questo villaggio. Da tre anni è iniziato il percorso pre-catecumenale. Alla domenica si riuniscono nella scuola dei bambini e, da soli, organizzano la preghiera.
Mi guardano con grande curiosità e grandi sorrisi: finalmente, quando sarà finita la casa per i missionari, avranno il loro pastore stabile a Bigene. Io li vorrei abbracciare ad uno ad uno: per voi ho lasciato tanti amici in Italia; per voi, che volete entrare nel regno di Dio, ho lasciato la mia terra.
Grazie, carissimi nuovi amici. Grazie di esserci, e di essere così.
Ma la giornata contiene ancora una grande sorpresa. Il dottor Agostinho, rientrato per la morte della mamma, mi invita al suo villaggio, Bambea, per assistere al “toka tcur”. Sono incuriosito da questa antica cerimonia tradizionale, che vuole esprimere la presentazione di un defunto a Dio, fatta dai familiari, dagli amici e dai conoscenti. In realtà, è una grande festa della comunità umana.
Arrivo nel tardo pomeriggio. I tamburi guidano continuamente il ritmo delle danze collettive. È il momento delle donne anziane. Tra di loro c’è anche la sorella della defunta: danzano e cantano, tutte assieme, muovendo i passi con armonia. Può sembrare assurdo, quasi irreale. Donne anziane che ballano e che insegnano alle giovani come si balla. Potrebbe sembrare una scena ridicola. Invece stanno ringraziando il Dio della vita, che ha permesso alla defunta di percorrere una lunga esistenza (60 anni, da queste parti, sono tanti!).
Quante cose sto imparando! Quando muore un bambino, un giovane (e succede spesso, purtroppo) ha senso piangere e dispiacersi, esprimere ai familiari il nostro dolore. Ma quando muore un anziano, qui si balla di gioia: ha potuto percorrere tutta la sua vita, ha superato tutti i pericoli e le avversità di questa terra, perché piangere? Si deve ballare, e dire così il nostro grazie al Dio della vita.
Questa sera c’è solo l’antipasto della festa: domani si ammazza il bue e ci sarà cibo per tutti. Che bella coincidenza: anche al mio paese nativo, Cervarese S. Croce (Padova), si fa la festa patronale e si ammazza un bue!
I tamburi non si fermeranno per tutta la notte. Che giorno meraviglioso: ti ringrazio, mio Signore. Con il Salmo, anch’io affermo: “Lodate Dio per la sua immensa grandezza, lodatelo con il suono del corno, lodatelo con l’arpa e la cetra, lodatelo con tamburelli e danze, lodatelo con cimbali squillanti. Ogni vivente dia lode al Signore. Alleluia”.
17 gennaio: Bigene - Farim
Quando mi sveglio al mattino, chiedo al Signore: e oggi? Cosa mi farai vivere di nuovo oggi? E così inizio la mia giornata tranquilla: caffè, lodi, S. Messa, colazione, preparo la valigia piccola, carico segezia di altre cose da portare a Farim…
Suor Rosa mi ferma: c’è da dare un passaggio ad una signora con il suo bambino. Va bene, non c’è problema. Mi avvicino alla signora, seduta nel cortile. Ha gli occhi spaventati. È venuta alla missione per cercare aiuto: ha partorito ieri due gemelli, uno è morto. Suor Rosa fa provvista di cibo e vitamine per lei. Le procura anche delle medicine. Poi sto per partire, e chiedo che mi faccia vedere il bambino: mamma mia! è piccolissimo! Ma siamo matti? 20 chilometri di buche con una mamma che ha partorito ieri e un bambino che ancora non apre gli occhi? Suor Rosa mi richiama alla realtà: “Vuoi che li faccia in bicicletta?”. Mi dico una bella Ave Maria e partiamo.
Piano piano. Pianissimo. Tiro fuori, dalla mia mente, tutte le esperienze da ginecologo… Ricordo bene quando ho collaborato, in prima persona, a qualche parto: chiamando l’ambulanza perché qualche mamma stava per partorire al “campo di accoglienza”! Direi che è pochino, è tutto qui! E se si sente male? Cosa faccio??? Claudio, perché non sei qui???
Con la mamma e il bambino che più bambino non si può, è salita anche un’altra signora, sua amica, e la bambina di un anno. Io cerco sempre di guardare sullo specchietto retrovisore, e di percepire qualsiasi segno che possa farmi capire come stanno mamma e figlio. Non riusciamo a comunicare, perché non conoscono il crioulo. Forse sono di etnia mandinga. Piano piano, segezia arriva ai villaggi che sono sulla strada verso Farim: Tabajan, Talicò, Sambuia Ndin, Simbor 1, Buborim. Dopo Buborim, ultimo villaggio del territorio di Bigene, si gira sulla destra. Io sempre piano… Un primo villaggio, un secondo. La strada si fa sempre più stretta. Poi, finalmente, mi indicano di fermarmi all’ultima casa.
Scendiamo: è fatta! Ora la giovane mamma ha un volto più disteso e sereno. Tutte le donne escono dalle case per salutarla, e guardare il bambino. Gli uomini, invece, escono per guardare me! Con grandi sorrisi e strette di mano, mi fanno capire che sono molto contenti e ringraziano. La festa è grande per tutti. Anche i bambini corrono, e si aggrappano alle mie mani. Io mi giro e guardo segezia: brava, ce l’abbiamo fatta. Tu sei stata comoda ed accogliente, io sono stato leggero sull’acceleratore: due ore e mezza per 20 chilometri. Se non fossi coperta di polvere, ti darei anche un bacio!
E Tu, lassù? Quando ti dico “di nuovo”, non intendo dire un bimbo di un giorno!
18 gennaio, II domenica ordinaria: Farim
In questa domenica rimango a Farim: Pe. Carlo desidera presentarmi alla parrocchia, e spiegare il motivo della mia presenza nella casa della missione. Questa è una delle prime parrocchie della G-B, fondata alla fine del secolo XVII. Era punto di collegamento, con il porto sul fiume Cacheu, verso il territorio del nord e verso il Senegal.
La comunità è vivace e ben partecipe alla celebrazione della S. Messa. Poi proseguo con Pe. Carlo verso la missione di Mansabà, sulla strada per Bissau, oltre il fiume. Questa missione assomiglia a Bigene, però qui le strade sono asfaltate.
Di ritorno, terminato l’attraversamento del fiume con la canoa, mi accorgo che un simpatico e indisturbato coccodrillo si sta prendendo il sole invernale sulla riva del fiume. Sta bene, lui! Sembra che stia facendo la digestione, è immobile. E chi vuoi che vada a disturbarlo??? Sul cielo di Farim gli avvoltoi volano basso: forse aspettano il momento opportuno per terminare gli avanzi del pranzo del signor coccodrillo!
Cari amici, mi fermo qui, da questo paese pieno di vita e di ricerca di Dio. Non senza lasciarvi, però, una grossa novità: vi devo comunicare che avete tutti una nuova amica, e che vi vuole bene! E vi manda pure i baci!!! Non fatevi pensieri strani: la signora Rosanna, da Foggia, è una brava cristiana e, da quando legge il mio diario, afferma che “frutto di queste letture è sentirmi ormai parte della bellissima famiglia di don Ivo, amica degli amici di don Ivo, di cui sto imparando anche i nomi che spesso citi, voglio bene anche a loro come a te. Un bacione a te e agli amici del mio amico (tu) che ora sono anche miei amici”.
Buone notizie per tutti, dunque. Io ringrazio ogni giorno il Signore per quanto mi dona e per la salute che è ottima. State bene anche voi, con il Signore sempre!
Pe. Ivo Cavraro, Curia Diocesana – Missão de Begene, Av. 14 de Novembro, apartado 20
1001 Bissau Codex, GUINE'-BISSAU
email: ivocav@yahoo.it tel: 00245.6544756 spedisco questo diario il giorno 23 gennaio 2009 via email
31 dicembre 2008: Bissau-Bigene
Terminate le operazioni per la spedizione del diario 5, salutati il Vescovo, Giusi e gli amici della Curia di Bissau, riparto per Bigene. Il clima è sempre ottimo, ma oggi fa più caldo del solito, e nel pomeriggio inizio a sudare. Mi dispiace per chi, in questi giorni, deve combattere con il freddo, ma qui è così: si suda all’ultimo dell’anno!
Sto prendendo confidenza con segezia: la velocità aumenta e anche le buche degli ultimi trenta chilometri mi sembrano più abbordabili. Arrivo a Bigene stanco: sarà il caldo? Come, come??? Vuoi vedere che inizia già il caldo? Mio Signore, aspetta un momento: siamo in pieno inverno!!! Non pretendo la neve, però lasciami un pochino pochino di “non caldo” (oserei chiedere anche il fresco, ma mi accorgo di chiedere troppo!).
Come sarà la fine dell’anno da queste parti? Una certa curiosità mi prende. Noto anche una strana agitazione nella cucina delle suore, tutte prese per “il cenone”. Alle nove di sera siamo davanti alla chiesa: il fuoco è acceso, siamo tutti in cerchio attorno alle piccole fiamme. Mi viene in mente il grande fuoco che si accende la sera dell’Immacolata, a Segezia, per la recita del rosario. Qui il fuoco è piccolino, proprio un segno. I bambini mi stanno tutti attaccati, tanto che devo stare attento a come mi muovo. E litigano pure, per cercare il posto più vicino a me: assomigliano ai chierichetti di Segezia!
Mi fermo a guardare le stelle, e tutti i bambini con il naso all’insù a guardare anche loro il cielo pieno di luci. Non trovo la luna: deve essere andata a passare l’ultimo dell’anno in qualche altro continente!
Inizia la S. Messa di fine anno fuori della chiesa, attorno al fuoco: l’atto penitenziale è sostituito da una offerta al Signore dei nostri peccati: si bruciano dei cartoncini con le scritte preparate. Scopro che gli Africani fanno gli stessi peccati degli Italiani: gelosie, malvagità, divisioni, maldicenze, falsità… Ops! Scusate: non volevo parlare di voi Italiani che leggete il mio diario. Voi siete miei amici, e i peccati non li fate, sia ben chiaro! Parlo degli altri…! Scopro che i miei nuovi parrocchiani fanno ancora questi peccati: dovrò fare presto a farmeli tutti amici, così poi saranno tutti più bravi! Scopro l’acqua calda: già San Paolo, all’inizio della nostra storia cristiana, aveva scritto ai credenti della Galazia lo stesso elenco di peccati. Insomma, è una storia che si ripete e che ci riguarda tutti: l’uomo è già salvato, ma non ancora salvo!
Poi viene bruciata nel fuoco una piccola figura umana, fatta di paglia: a indicare che, al termine dell’anno, si vuole cambiare vita, rinunciando all’uomo vecchio. L’ingresso in chiesa e l’ascolto della Parola di Dio creano l’uomo nuovo, all’inizio del nuovo anno.
Cari amici: tutto qui! Rientrati nella casa delle suore, facciamo una ottima cenetta. Io sono così stanco che mi sto addormentando sul piatto. Resisto fino alle undici: in questo esatto momento vi penso con la bottiglia di spumante in mano (attualmente c’è un’ora di differenza oraria; quando riprenderete l’ora legale, qui saranno due ore in meno), e vado a letto. Forse deludo le care sorelle, ma non ce la facevo più! Sono svegliato dai bambini dopo mezzanotte: con grida salutano in strada il nuovo anno. Tutto qui! Niente botti e fuochi artificiali, niente di tutte quelle assurde dimostrazioni sonore che accompagnano la fine d’anno in tutta Italia. Niente. Solo il vociare forte dei bambini sulla strada! Una fine d’anno come piace a me, senza rumori e con tanta pace. Vi assicuro che è fantastico iniziare così il nuovo anno! Auguri a tutti, anche se leggerete a fine gennaio il mio diario, auguri di un buon 2009. Per me è iniziato bene, pensando ad un uomo nuovo da realizzare, un missionario nuovo da donare a questa terra. Buon anno a voi e alle vostre famiglie: sia anno di pace e di comunione.
1 gennaio 2009, Maria SS. Madre di Dio: Bigene
Dopo una bella dormita, riprendiamo da dove eravamo rimasti l’anno prima: in chiesa, per la festa di Maria Madre di Dio. Oggi è anche la giornata mondiale per la pace. Pregare per la pace in tutto il mondo, dentro questa piccola chiesa, ci fa sentire importanti. La Guinea-Bissau sta vivendo una situazione che mi sembra tranquilla, ma nella confinante Guinea-Conakry, dopo la morte dell’anziano dittatore, i soldati hanno fatto un colpo di stato, che definirei “pacifico”. Vogliono organizzare le elezioni libere da parte della popolazione. Speriamo che sia veramente così.
Benedetto XVI, nel suo Messaggio per oggi, afferma che “la povertà risulta sovente tra i fattori che favoriscono o aggravano i conflitti, anche armati. A loro volta, questi ultimi alimentano tragiche situazioni di povertà”. Preghiamo per la pace anche dove i cristiani sono perseguitati, come in India, in Iraq, e in tanti altri luoghi del mondo.
2 gennaio 2009: Farim
Rientrato a Farim, passo il pomeriggio a rileggere i biglietti di saluti che mi avete consegnato prima della partenza dall’Italia. Li ho portati con me, e li custodisco con tanta attenzione. Li rileggo con calma, ad uno ad uno, pensando ai vostri volti, alle vostre storie, alle gioie e ai dolori vissuti assieme. Grazie amici. Grazie anche a quanti pregano per me, pur senza avermi scritto nulla.
Naturalmente, conservo nel mio computer anche tutte le email che mi scrivete. Ma queste, le posso leggere solo quando funziona il generatore. Devono ancora inventare delle batterie, per il computer, che durino 24 ore!
4 Gennaio 2009, Epifania del Signore: Bigene
Qui è così! La festa dell’Epifania si fa oggi! Il calendario civile non prevede le feste cristiane, a eccezione del Natale. Mi adatto, anche se non mi sento del tutto a mio agio nel celebrare, oggi, una festa che ho sempre celebrato, fin da bambino, il 6 di gennaio.
5 gennaio 2009: Farim
Riprendo lo studio della lingua locale, il crioulo. Per capire e per farmi capire, la lingua è strumento indispensabile. A Farim, nella tranquillità di questa casa dei missionari, trovo il tempo e il luogo adatti per lo studio. Mi chiedo quando finirò di studiare! Mi rispondo che la vita offre sempre pagine nuove da leggere ed assimilare!
6 gennaio 2009: Farim
“Tanti, tanti, tanti …”. Così iniziavano i miei saluti, in questo giorno, alle signore che entravano in chiesa negli anni passati. Non vorrei che qualche brava signora di Segezia si sentisse privata di questi famosi auguri! Allora: tanti auguri a tutte, befane finte e simpatiche, abituate a sorridere ad un parroco che vi prendeva in giro… Qui, in G-B, le befane non le conoscono: e così devo, per forza, pensare ancora a voi!
Dopo la S. Messa, mi fermo a guardare i bambini che vanno a scuola: stanno tremando dal freddo! Forse è la neve che è caduta in Italia: sta raffreddando anche l’Africa! Il termometro segna 21 gradi: è proprio freddo per gli Africani… (suggerimento: quando nevica nella tua città, regala quella sciarpa, che non usi mai, ad un Africano. Pensa a me e riscalda lui!).
7 gennaio 2009: Farim-Bigene
La mia missione in questa terra entra nel vivo. Parto al mattino presto da Farim per Bigene, e con suor Teresa ci rechiamo al villaggio di Tabajan. Dopo la pausa natalizia, riprende l’evangelizzazione nei villaggi. Per me si apre una nuova dimensione di apostolato, tutta da scoprire. Arriviamo al villaggio e le persone escono dalle loro piccole case per recarsi alla catechesi nella cappellina. La chiamano così, cappellina, ma non potete immaginare il mio stupore e la bellezza tutta naturale di questo “edificio”. Il tetto è un albero. Proprio così! E le pareti sono fatte di foglie di palma intrecciate. All’ingresso una croce, costruita manualmente con due legni intrecciati, e all’interno le panche sono già state portate dalle case dei cristiani. Il “pavimento” della cappellina è la semplice terra sabbiosa di questo luogo, ma si vede che qualcuno ha ripulito dalle foglie, spazzando il terreno. Questa è la cappellina. E gli abitanti del villaggio, quando vi entrano, si fanno il segno di croce con devozione. È il loro luogo sacro.
Arrivano circa trenta giovani e adulti, più i bambini. Nessuno di loro è battezzato: frequentano la catechesi settimanale organizzata dal catechista Uié nella loro lingua nativa, il balanta-mané. Rimango colmo di stupore per quanto vedo e ascolto. Pregano e cantano con partecipazione. Dopo l’introduzione e i saluti iniziali, suor Teresa si reca con alcuni catecumeni in un luogo a parte e Uié fa la catechesi di base. Tutto è ben collaudato. Chi partecipa con attenzione alla catechesi di base, può chiedere di diventare cristiano. Inizia quindi una catechesi specifica, chiamata catecumenato, e che dura normalmente tre anni. Poi potrà ricevere il battesimo.
Rimango ammirato da Uié: non comprendo quello che dice, ovviamente, ma intuisco che è ben preparato, si esprime con scioltezza e l’assemblea lo segue con ottima partecipazione. Usa il testo, scritto in crioulo, preparato dal servizio della catechesi diocesano. L’argomento che sta trattando è sulla felicità piena che ci è data dall’incontro con Gesù Cristo. Ogni tanto si gira verso di me, quasi per chiedere conferma di quello che sta dicendo a tutti, dimenticandosi che io sono l’unico a non comprendere le sue parole. Io gli dico sempre di sì, gli faccio cenno che va bene quello che dice, e lui è tutto contento!
Io sono più contento di lui: un catechista così bravo è un grande dono per la missione che il Signore mi chiede. Se non ci fosse, la comunicazione con le persone dei villaggi, molte delle quali non parlano nemmeno in crioulo, ma usano solo la lingua della propria etnia, sarebbe molto difficile, se non impossibile.
Al ritorno in Bigene, una grande sorpresa: sono iniziati i lavori per piantare una grande antenna per il collegamento telefonico! Le suore non si lasciano emozionare più di tanto: è la terza volta che inizia un’opera simile. Dicono di crederci solo quando vedranno sul cellulare le “tacche” della linea. Io, invece, ci credo: sono troppo ingenuo? Vedremo. Ma spero tanto che l’opera vada a buon fine: poter usare il telefono a Bigene, sarebbe una grande cosa per questa popolazione, e anche per me, che ho sempre piacere nel ricevere qualche telefonata.
Nel pomeriggio evangelizzazione a Bambea. Il gruppo è piccolo, ma attento. Qui non c’è la cappellina, ma è l’albero al centro del villaggio a fare da luogo di riunione. Rimango meravigliato da due anziani: un uomo e una donna, vestiti a festa (la suora che arriva nel villaggio è sempre un fatto importante!). Parlano solo in balanta-mané, e quindi sia gli interventi in portoghese che in crioulo non li comprendono. Ma stanno ugualmente attenti. Non capiscono, ma vogliono diventare cristiani. Che cosa starà dicendo il Signore dentro il loro cuore?
8 gennaio 2009: Bigene
Continuo la mia conoscenza delle comunità che ricevono l’evangelizzazione nei villaggi. Al mattino accompagno suor Merione a Talicò, e poi proseguo con suor Teresa per Facam. In questo villaggio si vede con chiarezza che cosa produce l’evangelizzazione. Non solo perché la comunità cristiana è già presente con alcuni battezzati e una decina di catecumeni, e si riunisce in una vera cappellina costruita con mattoni e tetto in lamiera, da cui pende un grosso rosario al centro della sala, ma anche perché vi sono gli orti coltivati. La catechesi è stata accompagnata dalla educazione sanitaria ed agricola, e si vedono i primi frutti. Vi è anche la scuola privata, organizzata dagli stessi abitanti del villaggio. È come se l’incontro con Cristo producesse una vita totalmente nuova, con nuovi interessi reali che gli altri villaggi non manifestano.
Un orto organizzato per la produzione dei pomodori e di altri prodotti, è come una manna dal cielo. Una scuola che educa sul posto i bambini, è la grande possibilità di superare le difficoltà della vita. Certo, non immaginatevi chissà quale scuola: è come la famosa “cappellina” di ieri: sotto un grande albero, con banchi fatti di canne intrecciate a mano. Ma c’è la lavagna, e soprattutto l’insegnante. Vi pare poco per queste parti???
Ritornando a Bigene, mi fermo dal nuovo amministratore civile del paese (sarebbe come il sindaco), che aveva chiesto di incontrarmi. Mi sembra una persona di buone intenzioni. Dopo le votazioni nazionali di novembre, che si sono svolte con tranquillità, ha ricevuto questo incarico. Persona intelligente, si è laureato in ingegneria a Burgos (Spagna). Desidera instaurare una collaborazione con me, con le suore e la comunità cristiana, per il bene e il progresso di Bigene. Potrebbero essere parole di circostanza: vedremo. Ma mi lascia una buona impressione.
Dice di aver parlato di me al Primo Ministro dello Stato (che onore!), affermando che a Bigene, ora che è arrivato il missionario dall’Italia, occorre aumentare le comunicazioni per continuare a sviluppare il paese. Quindi telefono e strade da sistemare: sono le opere primarie da realizzare. E sembra che, a suo dire, il Primo Ministro sia favorevole a queste opere. Incredibile: vuoi vedere che, per mia “colpa”, arriva il telefono e riparano le strade dalle innumerevoli buche??? Forse sto sognando…
Ma le belle novità continuano: nel pomeriggio ci troviamo con Jean Claude nel terreno della missione, per definire esattamente dove collocare la nuova casa. Finalmente si muovono i primi passi, dopo i lavori eseguiti per la progettazione. Assieme alle suore, definiamo il punto esatto. Ora aspetto di vedere l’inizio degli scavi!
Poi con suor Rosa vado al villaggio di Farea. La catechesi, nella cappellina fatta di mattoni, è tenuta dal catechista del posto, di nome Jamba. Suor Rosa si incontra a parte con i catecumeni. Jamba è tutto un sorriso disarmante nei miei confronti, e afferma che devo essere io a tenere la catechesi, sul Vangelo del giorno. Lui non può fare al posto mio… Insomma, detta tra di noi: mi incastra! E così accade che, senza volerlo, mi trovo a fare la prima catechesi. Ma non solo: è la prima volta che parlo in portoghese, senza aver preparato nulla. Jamba non parla italiano, e io sono costretto a mettere in pratica quanto ho imparato fino ad ora.
Mi direte: “Era ora…”. È vero. Però accade che in Curia si parla italiano, a Farim si parla italiano… Solo a Bigene si parla “brasileiro” (che non è il portoghese, ma non ditelo ai brasiliani, altrimenti si offendono…). È arrivato il momento. Costretto, ma con gioia, parlo in portoghese e Jamba traduce in balanta-mané. È fatta! Bastava l’occasione buona. E funziona!
Il Vangelo parla di Gesù che, nella sinagoga di Nazaret, commenta il profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me…”. Un brivido mi attraversa tutto il corpo. “Per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio”. Inizio a parlare dell’opera di Cristo nella nostra vita, e termino invocando lo Spirito Santo su tutta l’assemblea. Non ho il tempo per capire cosa accade nel cuore dei presenti. Vi assicuro, però, che io mi sento molto bene: la mia missione in Africa ha fatto oggi un grande passo.
10 gennaio: Farim
Pe. Carlo mi affianca ad un giovane professore della scuola parrocchiale. Si chiama Zandu. Con lui preparo la predica della domenica. Io leggo il Vangelo e le parti proprie del celebrante in lingua crioulo e lui corregge i miei errori di pronuncia. Sono contento che gli errori siano pochi. Questa è una lingua non ancora ben definita. Esiste un vocabolario, ed anche una grammatica, ma è una lingua in continua verifica, perché solo da pochi anni è scritta (pregevole il lavoro dei missionari in questo campo). È la lingua parlata dal popolo guineense, ma solo alcuni giovani la sanno leggere.
Poi passiamo alla predica: e qui sembra un giochetto. Io penso (ancora) in italiano e traduco in portoghese; Zandu ascolta e traduce in crioulo; io scrivo in crioulo e Zandu corregge al momento i miei errori. E così è fatta la mia prima predica in crioulo! Vi piace? Beh, non ve la scrivo. Se volete sentirla, passate per Bigene domenica prossima!!! Ma non preoccupatevi: io le faccio corte, le prediche. E in criuolo, ancor più corte!
11 gennaio, Battesimo del Signore: Farim-Bigene
Al mattino presto parto per Bigene, e lungo la strada incontro alcune persone che mi chiedono il passaggio per la S. Messa. Loro mi conoscono, mi chiamano per nome, ed anche io ricordo alcuni di questi volti incontrati nelle evangelizzazioni. È una gioia iniziare a riconoscere i cristiani: sono una minoranza, il 15% della popolazione. Ma è proprio bello fermarmi a raccoglierli: segezia si riempie.
Alla sera c’è grande gioia in casa delle suore. Forse è perché ho fatto la prima predica in lingua locale, un altro bel passo nella mia missione. O forse perché la predica era proprio corta… E decidono di riprovare con la pizza. Questa volta suor Rosa ci mette più attenzione, come se avesse ascoltato il suggerimento che Tonino Russo mi aveva fatto al telefono: “Dicci alla suora che, quando sta in cucina, si stesse attenta alla pizza, e non a te!”.
Ottimo consiglio, e ottima pizza! Grazie Tonino. Certo, non c’è la mozzarella fresca di Battipaglia (il formaggio non esiste proprio, da queste parti), ma vi assicuro che il pomodoro c’è: è una autentica pizza falsa, molto gustosa e saporita. Evviva il crioulo!
12 gennaio: Bigene
Passo la giornata nell’organizzazione delle schede per le adozioni dei bambini. Sono 32 le famiglie di amici e conoscenti che hanno aderito a questa proposta: aiutare un bambino a frequentare la scuola delle suore Oblate di Bigene. Fotografo i bambini, trasporto le foto nel computer, colloco le foto nelle schede predisposte con i nominativi e alcune altre informazioni, e domani spero di poter spedire via email, da Bissau. Mi sembra che il lavoro sia riuscito bene. Ma, soprattutto, 32 bambini possono frequentare la scuola: questa è una grande cosa!
A pranzo le suore preparano le penne al sugo: buone! Osservo la confezione: questo tipo di pasta la conosco molto bene, è la stessa qualità di pasta che distribuivamo nel campo di accoglienza. Un tipo di pasta che gli Italiani non mangerebbero, perché non è particolarmente lavorata. Gli immigrati, invece, la mangiavano molto volentieri. Deve essere arrivata in G-B in qualche container, e poi distribuita alle missioni. Ed io, adesso, sono un immigrato! Come è strana la vita, vero? Vi assicuro che, qui a Bigene, questa è un’ottima pasta!
13 gennaio: Bigene-Bissau
Viaggio rapido a Bissau con suor Mires e alcuni giovani. Per strada, ascoltando la radio diocesana “Sol mansi”, apprendiamo con precisione della tragedia che è accaduta domenica pomeriggio: una piroga che collega l’isola di Pecixe con la terraferma, per le forti correnti oceaniche invernali, e forse anche per il carico di persone e materiale non controllato, si è capovolta. Il bilancio parla di 72 persone morte in mare. Non è la prima volta che accade. E, probabilmente, la notizia non esce nemmeno dai confini nazionali.
Alle tre del pomeriggio, quando accendono il generatore della corrente elettrica in Curia, sono già pronto per collegarmi ad internet e spedire le adozioni. Ma non è giornata! La linea di internet continua a interrompersi. Riesco a spedire due, tre email all’ora. Alle undici di sera, quando il generatore si spegne, non ho ancora terminato di spedire le schede delle adozioni.
Cari amici, questi inconvenienti accadono normalmente a Bissau, e mi costringono a certe attenzioni. Vi prego di comprendere bene due cose: le mie risposte alle vostre email sono molto sintetiche, per rispondere subito, quando è possibile (le notizie le avete dal diario); e poi cercate di non spedirmi allegati troppo voluminosi, perché rischio di non poterli aprire, o addirittura si blocca la linea internet. Grazie della collaborazione!
Le difficoltà di collegamento mi procurano il tempo per una buona conversazione con il Vescovo, che desidera conoscere le mie prime impressioni sulle attività pastorali a Bigene, e con Giusi, che sempre più si addentra nella collaborazione con Pe. Giancarlo, nell’Economato Diocesano.
15 gennaio: Bigene
Incontro imprevisto e sorprendente con il dottor Agostinho Sambu. Nativo del villaggio di Bambea, nel territorio di Bigene, ha potuto laurearsi in medicina a Verona, ospite del “don Bosco”: lo stesso istituto dove io ho fatto il liceo. Quando si dice che il mondo è piccolo… Abita stabilmente a Verona (che bella città!), ed è ritornato a Bigene, dopo tanti anni, per la morte della mamma. Afferma che trova Bigene “ferma”, se non peggiorata, rispetto agli anni passati. Durante il periodo del colonialismo portoghese, e per alcuni anni dopo l’indipendenza, tutti i bambini andavano a scuola. Oggi non è così, molti bambini non vanno a scuola e rimangono analfabeti, e questa assenza di istruzione lascerà il popolo guineense nella miseria. Rimango stupito dalle sue affermazioni.
16 gennaio: Bigene
Altra giornata che riempie il cuore di gioia e di pace. Accompagno le suore alla evangelizzazione settimanale nei villaggi di Suar, Liman, Jambam e Bucaur. Grande accoglienza in tutti i villaggi: sono felici, e si vede, di conoscermi e di poter continuare, anche con me, il cammino che porterà al battesimo.
Ma a Bucaur, a pochi metri dal confine con il Senegal, la scena che si presenta ai miei occhi è da far venire la pelle d’oca. Il villaggio è grande, alcune persone sono davanti alle loro casette. Parcheggio segezia all’ombra e ci dirigiamo a piedi verso un grande albero, al centro del villaggio. Cammino guardando il pozzo dell’acqua collocato su un lato della stradina, e all’improvviso comincio a sentire un canto, eseguito sottovoce, quasi per non disturbare. Alzo gli occhi: sotto l’albero sono un centinaio di persone, tutte in piedi, con i piccoli seggiolini ricavati dai tronchi d’albero allineati ai loro piedi. “N’fia na Sinhor, n’fia na Jesus. Tudu nha bida sta na si mon”: “Ho fede nel Signore, ho fede in Gesù. Tutta la mia vita è nelle sue mani”. Così cantano! E non sono ancora battezzati! Provo emozioni forti e piene di contrasti: da una parte è come se mi sentissi schiacciato dalla loro fede, dall’altra parte sento che hanno bisogno del missionario per crescere nella fede.
Ripenso agli “Atti degli Apostoli”, dove si descrive l’azione dello Spirito in coloro che ascoltano gli apostoli, ancor prima di ricevere il Battesimo. Mi sembra che sia così. Sono convinto che lo Spirito stia già illuminando i cuori di questi uomini, donne, giovani. E lo Spirito di Dio sta orientando le loro scelte verso una conversione serena, desiderata, attesa. Avevano chiesto alle suore di iniziare la catechesi della chiesa cattolica. Hanno atteso due anni: non c’erano forze sufficienti per arrivare in questo villaggio. Da tre anni è iniziato il percorso pre-catecumenale. Alla domenica si riuniscono nella scuola dei bambini e, da soli, organizzano la preghiera.
Mi guardano con grande curiosità e grandi sorrisi: finalmente, quando sarà finita la casa per i missionari, avranno il loro pastore stabile a Bigene. Io li vorrei abbracciare ad uno ad uno: per voi ho lasciato tanti amici in Italia; per voi, che volete entrare nel regno di Dio, ho lasciato la mia terra.
Grazie, carissimi nuovi amici. Grazie di esserci, e di essere così.
Ma la giornata contiene ancora una grande sorpresa. Il dottor Agostinho, rientrato per la morte della mamma, mi invita al suo villaggio, Bambea, per assistere al “toka tcur”. Sono incuriosito da questa antica cerimonia tradizionale, che vuole esprimere la presentazione di un defunto a Dio, fatta dai familiari, dagli amici e dai conoscenti. In realtà, è una grande festa della comunità umana.
Arrivo nel tardo pomeriggio. I tamburi guidano continuamente il ritmo delle danze collettive. È il momento delle donne anziane. Tra di loro c’è anche la sorella della defunta: danzano e cantano, tutte assieme, muovendo i passi con armonia. Può sembrare assurdo, quasi irreale. Donne anziane che ballano e che insegnano alle giovani come si balla. Potrebbe sembrare una scena ridicola. Invece stanno ringraziando il Dio della vita, che ha permesso alla defunta di percorrere una lunga esistenza (60 anni, da queste parti, sono tanti!).
Quante cose sto imparando! Quando muore un bambino, un giovane (e succede spesso, purtroppo) ha senso piangere e dispiacersi, esprimere ai familiari il nostro dolore. Ma quando muore un anziano, qui si balla di gioia: ha potuto percorrere tutta la sua vita, ha superato tutti i pericoli e le avversità di questa terra, perché piangere? Si deve ballare, e dire così il nostro grazie al Dio della vita.
Questa sera c’è solo l’antipasto della festa: domani si ammazza il bue e ci sarà cibo per tutti. Che bella coincidenza: anche al mio paese nativo, Cervarese S. Croce (Padova), si fa la festa patronale e si ammazza un bue!
I tamburi non si fermeranno per tutta la notte. Che giorno meraviglioso: ti ringrazio, mio Signore. Con il Salmo, anch’io affermo: “Lodate Dio per la sua immensa grandezza, lodatelo con il suono del corno, lodatelo con l’arpa e la cetra, lodatelo con tamburelli e danze, lodatelo con cimbali squillanti. Ogni vivente dia lode al Signore. Alleluia”.
17 gennaio: Bigene - Farim
Quando mi sveglio al mattino, chiedo al Signore: e oggi? Cosa mi farai vivere di nuovo oggi? E così inizio la mia giornata tranquilla: caffè, lodi, S. Messa, colazione, preparo la valigia piccola, carico segezia di altre cose da portare a Farim…
Suor Rosa mi ferma: c’è da dare un passaggio ad una signora con il suo bambino. Va bene, non c’è problema. Mi avvicino alla signora, seduta nel cortile. Ha gli occhi spaventati. È venuta alla missione per cercare aiuto: ha partorito ieri due gemelli, uno è morto. Suor Rosa fa provvista di cibo e vitamine per lei. Le procura anche delle medicine. Poi sto per partire, e chiedo che mi faccia vedere il bambino: mamma mia! è piccolissimo! Ma siamo matti? 20 chilometri di buche con una mamma che ha partorito ieri e un bambino che ancora non apre gli occhi? Suor Rosa mi richiama alla realtà: “Vuoi che li faccia in bicicletta?”. Mi dico una bella Ave Maria e partiamo.
Piano piano. Pianissimo. Tiro fuori, dalla mia mente, tutte le esperienze da ginecologo… Ricordo bene quando ho collaborato, in prima persona, a qualche parto: chiamando l’ambulanza perché qualche mamma stava per partorire al “campo di accoglienza”! Direi che è pochino, è tutto qui! E se si sente male? Cosa faccio??? Claudio, perché non sei qui???
Con la mamma e il bambino che più bambino non si può, è salita anche un’altra signora, sua amica, e la bambina di un anno. Io cerco sempre di guardare sullo specchietto retrovisore, e di percepire qualsiasi segno che possa farmi capire come stanno mamma e figlio. Non riusciamo a comunicare, perché non conoscono il crioulo. Forse sono di etnia mandinga. Piano piano, segezia arriva ai villaggi che sono sulla strada verso Farim: Tabajan, Talicò, Sambuia Ndin, Simbor 1, Buborim. Dopo Buborim, ultimo villaggio del territorio di Bigene, si gira sulla destra. Io sempre piano… Un primo villaggio, un secondo. La strada si fa sempre più stretta. Poi, finalmente, mi indicano di fermarmi all’ultima casa.
Scendiamo: è fatta! Ora la giovane mamma ha un volto più disteso e sereno. Tutte le donne escono dalle case per salutarla, e guardare il bambino. Gli uomini, invece, escono per guardare me! Con grandi sorrisi e strette di mano, mi fanno capire che sono molto contenti e ringraziano. La festa è grande per tutti. Anche i bambini corrono, e si aggrappano alle mie mani. Io mi giro e guardo segezia: brava, ce l’abbiamo fatta. Tu sei stata comoda ed accogliente, io sono stato leggero sull’acceleratore: due ore e mezza per 20 chilometri. Se non fossi coperta di polvere, ti darei anche un bacio!
E Tu, lassù? Quando ti dico “di nuovo”, non intendo dire un bimbo di un giorno!
18 gennaio, II domenica ordinaria: Farim
In questa domenica rimango a Farim: Pe. Carlo desidera presentarmi alla parrocchia, e spiegare il motivo della mia presenza nella casa della missione. Questa è una delle prime parrocchie della G-B, fondata alla fine del secolo XVII. Era punto di collegamento, con il porto sul fiume Cacheu, verso il territorio del nord e verso il Senegal.
La comunità è vivace e ben partecipe alla celebrazione della S. Messa. Poi proseguo con Pe. Carlo verso la missione di Mansabà, sulla strada per Bissau, oltre il fiume. Questa missione assomiglia a Bigene, però qui le strade sono asfaltate.
Di ritorno, terminato l’attraversamento del fiume con la canoa, mi accorgo che un simpatico e indisturbato coccodrillo si sta prendendo il sole invernale sulla riva del fiume. Sta bene, lui! Sembra che stia facendo la digestione, è immobile. E chi vuoi che vada a disturbarlo??? Sul cielo di Farim gli avvoltoi volano basso: forse aspettano il momento opportuno per terminare gli avanzi del pranzo del signor coccodrillo!
Cari amici, mi fermo qui, da questo paese pieno di vita e di ricerca di Dio. Non senza lasciarvi, però, una grossa novità: vi devo comunicare che avete tutti una nuova amica, e che vi vuole bene! E vi manda pure i baci!!! Non fatevi pensieri strani: la signora Rosanna, da Foggia, è una brava cristiana e, da quando legge il mio diario, afferma che “frutto di queste letture è sentirmi ormai parte della bellissima famiglia di don Ivo, amica degli amici di don Ivo, di cui sto imparando anche i nomi che spesso citi, voglio bene anche a loro come a te. Un bacione a te e agli amici del mio amico (tu) che ora sono anche miei amici”.
Buone notizie per tutti, dunque. Io ringrazio ogni giorno il Signore per quanto mi dona e per la salute che è ottima. State bene anche voi, con il Signore sempre!
Pe. Ivo Cavraro, Curia Diocesana – Missão de Begene, Av. 14 de Novembro, apartado 20
1001 Bissau Codex, GUINE'-BISSAU
email: ivocav@yahoo.it tel: 00245.6544756 spedisco questo diario il giorno 23 gennaio 2009 via email
Capitolo 5 - È Natale
Oh admirável noite en que nasceu
do seio de Maria o Redentor!
Em humildade extrema apareceu
quem é do Pai celeste resplendor.
14 dicembre 2008, III domenica di Avvento
Alle 5 del mattino ci siamo tutti. La corriera parte da Segezia in orario, destinazione Fiumicino. Gli amici della parrocchia mi accompagnano all’aeroporto per la partenza definitiva verso l’Africa. Faccio finta di niente: sorrido, scherzo, parlo. Ma sento nel cuore una grandissima sensazione di riconoscenza verso queste 42 persone che non mi lasciano partire da solo. Una gratitudine così grande che non riesco ad esprimerla, perché avverto che l’emozione potrebbe esplodere da un momento all’altro. Il percorso è tranquillo. Mi accorgo che gli sguardi di tutti, verso di me, sono forti e intensi. Come se mi dicessero: “Quando ci rivedremo?”.
Sul grande raccordo anulare di Roma rimaniamo bloccati dal traffico. Strano: avverto questo inconveniente di percorso come un aiuto del Signore. Comincio a scherzare con tutti, affermando che, se perdo l’aereo, con quale faccia mi ripresento a Segezia, dopo tutti i calorosi saluti che ci siamo dati fino alla sera precedente??? La tensione degli animi diminuisce. Arriviamo a Fiumicino in orario, verso mezzogiorno. Quando mi presento al check-in la giovane signorina si spaventa: “Partite tutti assieme?” Anna risponde candidamente: “No, parte solo il nostro parroco!”. Bisogna dare spiegazioni: non riesce a comprendere perché tante persone accompagnano un solo partente…
E come si può spiegare? Dovrei dire che i 15 anni passati nella parrocchia Immacolata di Fatima in Segezia (Foggia) sono stati anni di piena comunione, di condivisione, di sostegno reciproco, di grande carità, di evangelizzazione. Di grande amicizia. Come spiegare tutto questo alla signorina, che rimane con due occhi sbalorditi davanti a tanta partecipazione?
Le dico solo che vado missionario in Guinea-Bissau per 12 anni (il tempo massimo previsto dalla convenzione tra le due diocesi di Foggia-Bovino e Bissau), e che questi amici mi vogliono salutare qui, prima di lasciare l’Italia. Con grande mia gioia, dopo l’esperienza negativa di fine luglio, accade quello che tutti vorrebbero vedere in queste circostanze. La signorina non guarda nemmeno il peso della valigia, anzi ci attacca una splendida scritta adesiva: “priority”! E fa tutto in grande velocità e destrezza: così libera lo spazio in pochi istanti, e tutti la lasciamo tranquilla di continuare il suo lavoro. Avete capito come fare per partire senza problemi? Fatevi accompagnare da una corriera di amici!!!
Poi l’ultimo saluto. Ma permettetemi la libertà di non descriverlo: come è stato, lo sanno bene coloro che mi hanno accompagnato. Vi posso solo dire che… “è stato bello, è stato tanto bello”!
15 dicembre 2008
Il volo della TAP arriva con leggero ritardo all’aeroporto di Bissau. Sono circa le due della notte.
Esco per ultimo dall’aereo. Ricordo bene la sensazione che ho provato quando sono arrivato a fine luglio: “Mi sento per un attimo mancare il respiro: l’aria è così calda, pur in piena notte, da toglierti l’ossigeno nei polmoni”. Così ho scritto all’inizio del mio diario.
Ho un momento di preoccupazione: come reagiranno i miei polmoni?
Già, i polmoni! Devo ripercorrere velocemente questi due ultimi mesi passati in Italia. Sono arrivato la sera del 4 ottobre all’aeroporto di Foggia, letteralmente sommerso dagli amici di Segezia (sempre loro!!!) che sono venuti a salutarmi in massa.
Per una settimana sono stato benissimo. Poi è iniziata una febbre strana, senza altri sintomi. Qualche pastiglia consigliata dagli amici, e tutto sembra passare. Dopo alcuni giorni ritorna la febbre. Claudio, che passa a salutarmi, chiede consiglio a Tonio, più esperto di febbri “africane”. Decidono per un controllo in ospedale a Foggia. Sarà un ritorno di malaria? Le analisi evidenziano una situazione che definirei di grande confusione: sembra che i polmoni e il fegato non presentino particolari disturbi, nessun dolore nel mio corpo che giustifichi la febbre, solo alcuni valori del sangue sono alterati, ma non è chiaro il motivo. Ritornare tra 15 giorni per un altro controllo.
La febbre rimane. Telefoniamo a Negrar (Verona) al reparto di malattie tropicali. Il dottor Monteiro (originario della G-B) mi consiglia un ricovero immediato. Il chinino, preso in abbondanza ad agosto, potrebbe aver alterato alcune analisi. Ma il 25 ottobre c’è il mandato missionario per Giusi e per me, e il 26 ho il saluto ufficiale alla parrocchia, prima dell’ingresso del nuovo parroco. Decido di ricoverarmi all’ospedale di Negrar il 27 ottobre.
Sono giorni in cui ho la sensazione di perdere tempo: devo fare le consegne canoniche della parrocchia, ma la febbre mi costringe a rimandare queste operazioni.
Il 25 c’è la Veglia Missionaria Diocesana nella chiesa di S. Paolo, gremita di fedeli. Il Vescovo, mons. Francesco Pio, esprime tutta la sua partecipazione piena di fede e di entusiasmo in questo passo che la Diocesi di Foggia-Bovino sta compiendo, inviando i suoi due primi missionari in questa nuova missione nella Diocesi di Bissau. La partecipazione di tanti fedeli e amici trasmette forza e coraggio: nonostante la febbre che sale e scende lasciandomi sempre più debole, mi sento forte della grazia del Signore e di tanti amici che mi trasmettono tanta forza d'animo.
Il giorno seguente, la domenica 26 ottobre, celebro l’ultima S. Messa come parroco a Segezia. La partecipazione è corale, ordinata, piena di fede e di condivisione con il mio mandato missionario. Il clima del distacco rimane molto sereno, anche perché il nuovo parroco sarà don Guido Castelli, carissimo amico da tanti anni, già conosciuto e bene accolto in parrocchia durante le mie prolungate assenze per prepararmi alla missione.
Dopo il meraviglioso pranzo organizzato in parrocchia, parto per Vicenza con i miei familiari giunti dal Veneto per l’occasione. Sarà che mi vedono con il volto stanco di chi ha la febbre da troppi giorni, sarà che ci vogliamo tanto bene… sarà per questo che scappano le lacrime su tanti volti. “Zio, chiudi gli occhi” mi dice mia nipote Patrizia. Ma anche lei, che non conosce la comunità di Segezia, ha vissuto in poche ore una comunione così forte da rimanerne coinvolta, e mi dice di non guardare chi è commosso, per non lasciarmi coinvolgere, ma lei stessa ha gli occhi lucidi di commozione.
Ospedale di Negrar. Le provano tutte. Ma i giorni passano e la febbre rimane. Devo affermare, con assoluta convinzione, che i dottori del reparto di malattie tropicali dimostrano impegno e attenzione grandissimi, e non solo nei miei confronti. Penso che tutto questo ospedale, fondato e guidato dai Padri di don Calabria (una delle tante figure di santità della Chiesa veronese) sia una grande opera a servizio reale degli ammalati e dei sofferenti.
Inizia una terapia contro il tifo, escludendo altre cause che possano provocare la febbre. Poi i controlli si intensificano sul cuore, sul fegato. Niente, non si trova la ragione della febbre. Mi fanno la T.A.C. con il contrasto: macchia ad un polmone e due ghiandole linfatiche infiammate. Necessità di una biopsia per verificare la natura dell’infiammazione. Il primario inizia una terapia contro la polmonite: potrebbe essere questa a provocare la febbre? Un esperto ematologo, chiamato dall’ospedale di Borgo Trento, mi propone di fare un prelievo al midollo osseo, per verificare se la causa è a quel livello. Passo un paio di giorni con una bella preoccupazione. Signore: se mi vuoi missionario, vedi cosa devi fare!!! Gli amici di Segezia organizzano una giornata intera di Adorazione Eucaristica per me, compresa la notte. I frutti di tanta preghiera arrivano immediatamente! Dopo tre giorni la febbre scompare.
Tutti contenti: Annalisa e Patrizia, mie nipoti, portano torta e spumante in reparto. “Lo zio ha la polmonite, alleluia!!!”. Che strano! Tutti allegri perché ho la polmonite… Certo, vi era una seria preoccupazione che fosse qualcosa di ben peggiore, ma brindare perché uno ha la polmonite, non l’ho mai sentito dire!!!
E così è stato. Una bella polmonite, ben nascosta, senza sintomi, senza dolori, senza tosse. Solo la febbre. Dalle analisi del midollo tutto risulta in ordine. Oltre la polmonite mi trovo con degli ospiti nascosti nell’intestino: sono dei piccolissimi parassiti di nome “giardia”. Nulla di grave, però occorre sgomberare gli sgraditi ospiti. Ma non potevano cercare casa da qualche altra parte dell’Africa??? È così grande questo continente!!!
Concludo la terapia e mi fermo a Vicenza per la convalescenza. Trovo il tempo anche per celebrare il mio mandato missionario e la Giornata del Ringraziamento a Cervarese S. Croce (Padova), il mio paese di nascita.
Giorno dopo giorno riprendo il fiato. Il clima è freddo, e non mi aiuta. Riesco anche a osservare la neve che scende: chissà quando la rivedrò… Alla sera respiro con qualche difficoltà. Devo ritornare in ospedale per altri due controlli, e così, purtroppo, non posso essere presente all’ingresso in parrocchia di don Guido, il nuovo parroco.
Solo da una settimana respiro senza alcun problema. I dottori mi avevano detto che a metà dicembre potevo partire per l’Africa. Avevano calcolato bene i giorni necessari alla mia ripresa. Ma adesso, come sarà l’impatto con l’aria di Bissau? Come reagiranno i miei polmoni???
Esco dall’aereo quasi timoroso… Grazie Signore!!! Respiro benissimo, l’aria è pura, non avverto nessun disagio, anzi respiro meglio dei giorni passati. La temperatura è sui 24 gradi, senza umidità. Alzo lo sguardo verso il cielo. L’aria è così pulita che le stelle sembrano più vicine.
Giusi e Pe. Giancarlo mi aspettano con immensa gioia e armati di bombolette spray contro le zanzare: vogliono che io stia bene, non sia mai che mi riprenda la malaria!!!
16 dicembre 2008
Esco dalla mia stanza che il sole è già alto. Nel parcheggio della Curia c’è una macchina nuova… Ma non la guardo. Oggi mi dedico solo a riordinare la mia stanza e la mia valigia. E ad un bellissimo incontro con mons. José Câmnate, vescovo di Bissau. Gli racconto del tempo trascorso in Italia, un tempo con tanta “febbre”, ma anche con tanta fede e amicizia di tante persone!
17 dicembre 2008
Sono costretto a guardare la Toyota nuova, modello hilux. È proprio bella, color grigio chiaro. Sei posti, quattro ruote motrici, abbondante spazio per il carico.
Passo la giornata nei vari uffici per completare i documenti necessari: l’assicurazione, la carta di circolazione e di proprietà. Il fuoristrada è intestato alla Diocesi di Bissau. L’utilizzo è per la missione di Bigene: quindi la uso io. E il pagamento? Da molti di voi che leggete! Ho ricevuto tante offerte, molte inattese, da parte di tanti amici. Così sono riuscito a pagare completamente la macchina, e mi sono anche avanzate per iniziare a pagare la casa che si deve costruire a Bigene.
18 dicembre 2008
Pe. Giancarlo, l’economo della diocesi, è irremovibile: bisogna “benedire” la macchina con il gelato! Riesco a trovare una specie di torta-gelato, molto bella nell’immagine stampata sull’involucro… dal contenuto incerto nel suo interno!!! Ma prima del pranzo con sembianza di gelato finale, pretendo la benedizione vera! È il Vescovo a benedire la macchina nuova che userò sulle strade di Bigene: sono contento, e metto anche il nome alla macchina. Nessuno si offenda se non la chiamo come vorreste voi: io ho deciso di chiamarla “segezia”. Mi piace questo nome, e posso dire a tutti che l’ha comprata proprio Segezia, per la missione a Bigene! Siete d’accordo?
19 dicembre 2008
Con il Vescovo e con Giusi, incontriamo Jean Claude, l’imprenditore di origine belga che ha l’incarico della costruzione della casa per i sacerdoti e per i volontari a Bigene.
Ora che sono arrivato in G-B, e che tutto sembra andare bene (i polmoni sono ben ossigenati: funzionano che è una meraviglia!), si può partire per la costruzione. Definiamo alcuni particolari, quali la esatta collocazione delle due abitazioni nel terreno della missione.
Perché due case? È il Vescovo a volere questa soluzione: una casa con tre ampie camere e uno studio per i sacerdoti (nella speranza futura che io sia affiancato da un altro missionario) e un’altra casa, collegata alla prima ma indipendente, per i volontari che verranno a Bigene (con quattro ampie camere). Insomma: costruiamo spazi adeguati a ricevere amici… qualcuno cominci a farci un pensierino!
Per adesso, mi devo limitare ad accogliere solo le offerte che, eccetto indicazione diversa, serviranno per la costruzione della prima casa (quella per i sacerdoti). Ma poi, sarò ben felice di accogliere amici e volontari che potranno passare per questa terra, povera di risorse, ma ricca di umanità.
20 dicembre 2008
È arrivato il momento: lascio la Curia di Bissau e mi dirigo a Bigene, la mia missione. Mi metto in viaggio da solo, con segezia. La strada la conosco, e gli amici mi hanno anche disegnato l’itinerario. E segezia si fa guidare molto bene. Parto a mezzogiorno, senza fretta. Il traghetto sul rio Cacheu è fermo: pausa pranzo. Due ore di attesa sotto un bel sole “invernale” di 26-27 gradi. Dopo Ingoré iniziano i trenta chilometri di strada non asfaltata. È più esatto affermare trenta chilometri di buche!
Questo è il momento della verifica: me la prendo con molta calma. Subito un giovane studente mi chiede la “boleia”: un passaggio. Sono felice di farlo salire sul portacarico, come si usa fare con tutte le macchine dei missionari. Scende a Barro, il villaggio più grande tra Ingoré e Bigene, a metà strada tra i due paesi: 15 chilometri che avrebbe fatto a piedi! Poi la “boleia” la chiedono un gruppo di donne con bambini: i due più piccoli hanno pochi mesi. Anche loro si fanno una decina di chilometri con segezia.
Passando tra le “tabanghe” (i villaggi) tutti mi salutano, soprattutto i piccoli. Vicino ad un campetto da calcio, un gruppo di bambini mi insegue. Mi fermo e li aspetto per salutarli. Il loro capo, sui 9-10 anni, mi chiede se ho una “bola”: una palla per giocare a calcio. Che peccato: non ho con me il pallone che Celeste e Giusi Morra, al loro matrimonio, hanno portato all’offertorio per donarlo ai bambini di Bigene. Sarebbe stata l’occasione giusta… Ma avrò molte altre opportunità: nelle “tabanghe” con capanne di argilla e paglia, appena fuori dalle abitazioni, c’è sempre il campetto da calcio. Lo riconosci subito, dalla polvere che si alza prodotta dai piedi nudi dei giovani giocatori. È lo sport più praticato, anche dalle ragazze. Lo puoi giocare anche senza scarpe, sulla terra battuta. Ma una cosa ci vuole, per forza: il pallone!
Arrivo a Bigene: Bemvindo mi vede e corre verso di me, con le braccia tese di chi aspetta con gioia. Bemvindo. Significa “benvenuto”. Bemvindo è il primo amico che mi sono fatto a Bigene. Lui abita vicino alla casa delle suore. Quando mi vede vicino al cancello di ingresso, viene subito da me e chiama tutti i suoi amici: N’Leimba, Filipe, Windjaba, Kudun, Moises, Judite e Djuma. Facciamo grandi discorsi in tutte le lingue perché, alla sua età, Bemvindo è natura pura, piena comunicazione fatta di sguardi, di sorrisi, di strette di mano… Veramente, lui mi prende un dito della mano, e non lo lascia più! E per guardarlo diritto negli occhi, mi devo sedere a terra: Bemvindo ha 4-5 anni, e i suoi amici sono appena più grandi. Vi assicuro che mi fa un grande piacere sentirmi chiamare “Padre” da un piccolo bambino che si chiama Benvenuto!
Poi le suore Oblate mi fanno grande festa, dopo le preoccupazioni che hanno provato per la mia salute. Suor Rosa, per il mio arrivo, vuole fare una pizza speciale. Mentre impasta la farina, vuole sapere tutto quello che mi è capitato, perché sono arrivate delle notizie non sempre precise sul mio stato fisico. Allora inizio a raccontare tutto quello che ho già descritto sopra. Lei mette le pizze nel forno rudimentale, costruito con un bidone del petrolio, più o meno come fanno i rom nei loro accampamenti.
Io parlo, parlo… Suor Rosa ascolta, ascolta… Il fuoco arde, arde… e le pizze si bruciano!!! Che guaione! Ma siamo tutti contenti di ritrovarci assieme, e la cena inizia lo stesso con la parte di pizza che non si è bruciata, tutta bella profumata di fumo. Poi suor Rosa tenta di recuperare la brutta figura, e dalla magra dispensa tira fuori una scatola di vino rosso: “monte do vaqueiro”. È un vino non definibile, composto da una indefinita mistura di vini europei, che in qualche modo è arrivato dal Portogallo. Ha un vago aroma di vino: niente a che vedere con il “rosso dei diavoli” prodotto a Segezia dal carissimo Tonino Russo. Ma basta per brindare: la cosa importante, è che sono finalmente arrivato a Bigene. Amen e così sia!!!
21 dicembre 2008, IV domenica di Avvento
Celebro la S. Messa nella chiesa della missione. Suor Rosa traduce in lingua crioulo l’omelia che faccio in italiano. I fedeli sono tutti attenti… forse vogliono imparare l’italiano! Sono contento e felice: il Natale si avvicina.
Dopo pranzo parto per Farim: altri 40 chilometri di buche. Ci metto poco più di due ore. Ci vuole pazienza a viaggiare su questi percorsi. Ma io non ho fretta, attento ad evitare le buche o a prenderle nel giusto verso. A volte sbaglio, e allora metto la retromarcia e provo in un altro verso a superare gli ostacoli. Con pazienza. Bisogna averne tanta. E se non ce l’hai, la devi trovare!
Arrivo in serata a Farim, nella casa dei missionari Oblati di Maria Immacolata (OMI) che da alcuni anni hanno la cura pastorale di Bigene. Sarà la mia casa di riferimento, in attesa della costruzione della casa a Bigene. Padre Carlo e Padre Roberto mi stavano aspettando: saranno i miei amici di missione, con i quali cercherò di imparare contenuti e metodi della pastorale in questa terra.
22 dicembre 2008
Giornata tipo nella casa di Farim: 7.15 lodi e S. Messa in chiesa. Sono presenti anche le tre suore di “S. José de Cluny” e due seminaristi diocesani, ora in vacanza per il Natale. 13.00 pranzo con menù tipico di questa terra: riso in bianco, una tazza di condimento per il riso (non chiedetemi di cosa è composto…), un poco di pesce o di pollo, una mela (ma questa è una eccezione, arrivata dal Senegal). 19.00: rosario e vespri in chiesa. Poi la cena.
La cena di queste sere è eccezionale, perché sono presenti una decina di volontari del gruppo missionario della parrocchia di S. Giuseppe dei Morenti (si chiama proprio così) di Milano. Loro escono al mattino e si recano a Mansabà, dove stanno costruendo la chiesa. Rientrano alla sera e preparano la cena con il cibo che si sono portati nelle valigie o nel container che li ha preceduti. Pensate che sbucano ravioli in brodo con formaggio grana, mortadella e salame! Averne di ospiti così... Rimango ammirato da loro: sono organizzatissimi e pensano a tutto. È dal 1987 che vengono in G-B, durante il tempo di Natale, per la realizzazione di progetti che sviluppano durante tutto l’anno. E ti costruiscono una chiesa esagonale di 24 metri di diametro!
23 dicembre 2008
Con P. Roberto andiamo a Bigene, nel pomeriggio. La segezia funziona a meraviglia, anche se i 40 chilometri di buche stancano. Poco più di due ore e arriviamo. Alle suore Oblate non sembra vero di poter avere due sacerdoti per il Natale. Ci prepariamo al grande evento: Gesù viene. Anche qui, in questo luogo così lontano e disperso, il Figlio di Dio porta salvezza per questo giovane popolo.
24 dicembre 2008
Giorno di grande attesa. La preghiera si intensifica. Ripenso alle vigilie passate nelle varie comunità dove ho prestato il mio servizio. Da seminarista a Cervarese S. Croce e a Borgoricco San Leonardo (Padova). Da parroco a Massa della Lucania (Salerno), Segezia e S. Ciro (Foggia). Tanti volti, tanti ricordi, che ora diventano offerta al Signore: vieni, Salvatore del mondo, a illuminare ancora, in questa notte Santa, tutti i fratelli e le sorelle che ti hanno atteso, con me, in tutti questi anni della mia vita.
La celebrazione è alle ore 21.00. Ma prima i bambini di Bigene fanno la loro sacra rappresentazione. Ci rechiamo in chiesa alle 19.00: e subito iniziano le gradite sorprese! La strada principale di Bigene è illuminata, ed anche i piccoli negozietti, con le loro povere mensole per la vendita di poche cose, hanno la loro lampada accesa. Dopo le elezioni del mese scorso, che si sono svolte con regolarità, un politico del posto è riuscito a riattivare il vecchio generatore del paese, che tutte le sere, per alcune ore, porta energia elettrica alle piccole lampadine. La luce non è tanta: noi diremmo che è molto scarsa! Ma qui è già una impresa grande, e si può camminare senza usare la torcia a pile. Speriamo che questa illuminazione, che ben si associa con le luci del Natale, possa durare!
Entro in chiesa, e lo sguardo va subito a finire sul presepe: meraviglioso! Le capanne fatte a mano con legno e paglia, proprio come le abitazioni delle tabanghe, la terra rossa tra le capanne (non si usa il muschio, da queste parti, e nemmeno la finta neve, ovviamente!). E le statue di legno, incise a mano. Sono poche, di misure diverse e sproporzionate, ma mi lasciano un senso di profonda ammirazione. Gesù sta per nascere anche in questo popolo, così diverso dalla mia storia e dalla mia razza, eppure anche qui è atteso, in questa piccola comunità.
Inizia la rappresentazione del Natale fatta dai bambini. Ci sono tutti i personaggi dei Vangeli, dagli angeli ai pastori, ma mi colpisce la bambina che rappresenta Maria. È una bambina cresciuta bene: è più alta di tutti gli altri bambini di almeno venti centimetri!
Mi viene da sorridere a guardarla: ma poi penso che è proprio così. Maria è veramente la più grande di tutti! Bravi questi ragazzi, sono contento che sappiano fare così bene questa rappresentazione.
Poi inizia la celebrazione. Lascio che sia Pe. Roberto a presiedere la liturgia eucaristica. La chiesa si riempie, nonostante l’orario impegnativo: non ci sono i fedeli, o i simpatizzanti della fede cristiana, provenienti dalle tabanghe. Troppo difficile arrivare e tornare a casa con il buio. E proprio il buio crea una piacevole sensazione. Il generatore della chiesa funziona (finalmente!) e la sala è ben illuminata. Dalla strada, in penombra, continuano ad entrare persone per partecipare alla cerimonia. È come se entrassero nella luce, la luce di Gesù Bambino, la luce della Chiesa Cattolica.
Siamo tutti così presi dall’inizio della celebrazione, che ci dimentichiamo la cosa più importante: non abbiamo portato la statua di Gesù Bambino! Suor Rosa me la mette in mano quando sono all’altare, io la passo a Pe. Roberto, perché la riponga lui nel luogo predisposto. Ma mi fa segno che devo farlo io! In un attimo mi sale la pressione: tocca a me!!! Per tanti anni ho scelto i bambini più piccoli, e che mi sembravano più meritevoli, per portare la statua di Gesù Bambino all’altare. Tocca a me: forse sono davvero il più piccolo in questa comunità, perché sono arrivato da pochissimi giorni. Tocca a me. Non sono certamente il più meritevole: caro Gesù Bambino, rendimi Tu degno della missione che la Chiesa mi affida!
25 dicembre 2008, Natale del Signore
Alle 8.00 del mattino i bambini sono già in chiesa. C’è la liturgia natalizia per loro, con canti, preghiere e ascolto della Parola. Il clima è di una grande gioia. Gli adulti aspettano fuori. Bemvindo è vestito a festa, con i pantaloncini azzurri che sembrano stirati e la camicetta rossa. Il colore della pelle e le scarpette da ginnastica blu rendono questo bambino ancor più bello. Per non parlare delle bambine: alcune hanno le treccine fermate da conchiglie colorate e il vestitino rosa. I colori intensi sono rafforzati dalla pelle nera: sembra quasi che questi bambini siano più belli dei bambini italiani. I bambini sono tutti belli, tutti i bambini del mondo sono un dono del Signore, e proprio oggi li guardiamo pensando al Bambino di Betlemme. Ma i bambini africani sembrano più belli!
Alle 9.30 entrano gli adulti. Presiedo l’Eucaristia, con suor Rosa che traduce l’omelia nella lingua locale. La chiesa è gremita in tutti gli angoli, e varie decine di persone sono fuori: non c’è più posto! Mi ero preparato a questo Natale con un Avvento di grande attesa, di rinunce, di distacco dal “mio” mondo, dai miei familiari e amici, di speranza verso la missione che inizia. Ed eccomi: Gesù si dona e chiede di essere donato. Sono qui per accoglierlo con questi nuovi fratelli, e per donarlo al popolo di Bigene e delle sue 39 tabanghe.
Al termine della celebrazione desidero salutare i presenti che sono venuti a piedi, anche da lontano, provenienti da diversi villaggi. Inizia come una gara sul villaggio che è più presente o più lontano dalla chiesa. Gli applausi sono fragorosi per i villaggi di Tabajan, di Bambea, di Jambam… le suore chiamano i villaggi, le mani si alzano, gli applausi si rafforzano. Alla fine chiedo io chi viene dal villaggio del Brasile! Le tre suore alzano le loro mani, e tutti ad applaudire. Hanno lavorato tanto, per tanti anni, e meritano questo lungo applauso. Poi, sono le suore brasiliane a chiedere chi proviene dal villaggio dell’Italia!!! Suor Rosa (che, ricordo, è di Deliceto) ed io, alziamo le nostre mani, e non si capisce più nulla, come uno stadio che esulta per il gol della propria squadra che dà la vittoria all’ultimo minuto.
Forse abbiamo esagerato: siamo sempre in chiesa, luogo di preghiera, di meditazione, di ascolto. Ma per questa volta, caro Gesù, sono sicuro che sei in festa anche Tu: la Chiesa di Foggia-Bovino è qui, in questo angolo dell’Africa Occidentale, accolta con tanta festosità da questi poveri che cercano la Tua Luce di Salvatore.
Buon Natale a tutti, carissimi amici e familiari. Buon Natale. I miei polmoni respirano benissimo, e prego per tutti voi, davanti a Gesù Bambino: perché anche ognuno di voi possa respirare bene l’aria nuova che ci dona il Salvatore. Buon Natale. Vi penso.
Pe. Ivo Cavraro, Curia Diocesana, Av. 14 de Novembro, apartado 20
1001 Bissau Codex, GUINE'-BISSAU
Email: ivocav@yahoo.it spedisco questo diario il giorno 29 dicembre 2008 via email
do seio de Maria o Redentor!
Em humildade extrema apareceu
quem é do Pai celeste resplendor.
14 dicembre 2008, III domenica di Avvento
Alle 5 del mattino ci siamo tutti. La corriera parte da Segezia in orario, destinazione Fiumicino. Gli amici della parrocchia mi accompagnano all’aeroporto per la partenza definitiva verso l’Africa. Faccio finta di niente: sorrido, scherzo, parlo. Ma sento nel cuore una grandissima sensazione di riconoscenza verso queste 42 persone che non mi lasciano partire da solo. Una gratitudine così grande che non riesco ad esprimerla, perché avverto che l’emozione potrebbe esplodere da un momento all’altro. Il percorso è tranquillo. Mi accorgo che gli sguardi di tutti, verso di me, sono forti e intensi. Come se mi dicessero: “Quando ci rivedremo?”.
Sul grande raccordo anulare di Roma rimaniamo bloccati dal traffico. Strano: avverto questo inconveniente di percorso come un aiuto del Signore. Comincio a scherzare con tutti, affermando che, se perdo l’aereo, con quale faccia mi ripresento a Segezia, dopo tutti i calorosi saluti che ci siamo dati fino alla sera precedente??? La tensione degli animi diminuisce. Arriviamo a Fiumicino in orario, verso mezzogiorno. Quando mi presento al check-in la giovane signorina si spaventa: “Partite tutti assieme?” Anna risponde candidamente: “No, parte solo il nostro parroco!”. Bisogna dare spiegazioni: non riesce a comprendere perché tante persone accompagnano un solo partente…
E come si può spiegare? Dovrei dire che i 15 anni passati nella parrocchia Immacolata di Fatima in Segezia (Foggia) sono stati anni di piena comunione, di condivisione, di sostegno reciproco, di grande carità, di evangelizzazione. Di grande amicizia. Come spiegare tutto questo alla signorina, che rimane con due occhi sbalorditi davanti a tanta partecipazione?
Le dico solo che vado missionario in Guinea-Bissau per 12 anni (il tempo massimo previsto dalla convenzione tra le due diocesi di Foggia-Bovino e Bissau), e che questi amici mi vogliono salutare qui, prima di lasciare l’Italia. Con grande mia gioia, dopo l’esperienza negativa di fine luglio, accade quello che tutti vorrebbero vedere in queste circostanze. La signorina non guarda nemmeno il peso della valigia, anzi ci attacca una splendida scritta adesiva: “priority”! E fa tutto in grande velocità e destrezza: così libera lo spazio in pochi istanti, e tutti la lasciamo tranquilla di continuare il suo lavoro. Avete capito come fare per partire senza problemi? Fatevi accompagnare da una corriera di amici!!!
Poi l’ultimo saluto. Ma permettetemi la libertà di non descriverlo: come è stato, lo sanno bene coloro che mi hanno accompagnato. Vi posso solo dire che… “è stato bello, è stato tanto bello”!
15 dicembre 2008
Il volo della TAP arriva con leggero ritardo all’aeroporto di Bissau. Sono circa le due della notte.
Esco per ultimo dall’aereo. Ricordo bene la sensazione che ho provato quando sono arrivato a fine luglio: “Mi sento per un attimo mancare il respiro: l’aria è così calda, pur in piena notte, da toglierti l’ossigeno nei polmoni”. Così ho scritto all’inizio del mio diario.
Ho un momento di preoccupazione: come reagiranno i miei polmoni?
Già, i polmoni! Devo ripercorrere velocemente questi due ultimi mesi passati in Italia. Sono arrivato la sera del 4 ottobre all’aeroporto di Foggia, letteralmente sommerso dagli amici di Segezia (sempre loro!!!) che sono venuti a salutarmi in massa.
Per una settimana sono stato benissimo. Poi è iniziata una febbre strana, senza altri sintomi. Qualche pastiglia consigliata dagli amici, e tutto sembra passare. Dopo alcuni giorni ritorna la febbre. Claudio, che passa a salutarmi, chiede consiglio a Tonio, più esperto di febbri “africane”. Decidono per un controllo in ospedale a Foggia. Sarà un ritorno di malaria? Le analisi evidenziano una situazione che definirei di grande confusione: sembra che i polmoni e il fegato non presentino particolari disturbi, nessun dolore nel mio corpo che giustifichi la febbre, solo alcuni valori del sangue sono alterati, ma non è chiaro il motivo. Ritornare tra 15 giorni per un altro controllo.
La febbre rimane. Telefoniamo a Negrar (Verona) al reparto di malattie tropicali. Il dottor Monteiro (originario della G-B) mi consiglia un ricovero immediato. Il chinino, preso in abbondanza ad agosto, potrebbe aver alterato alcune analisi. Ma il 25 ottobre c’è il mandato missionario per Giusi e per me, e il 26 ho il saluto ufficiale alla parrocchia, prima dell’ingresso del nuovo parroco. Decido di ricoverarmi all’ospedale di Negrar il 27 ottobre.
Sono giorni in cui ho la sensazione di perdere tempo: devo fare le consegne canoniche della parrocchia, ma la febbre mi costringe a rimandare queste operazioni.
Il 25 c’è la Veglia Missionaria Diocesana nella chiesa di S. Paolo, gremita di fedeli. Il Vescovo, mons. Francesco Pio, esprime tutta la sua partecipazione piena di fede e di entusiasmo in questo passo che la Diocesi di Foggia-Bovino sta compiendo, inviando i suoi due primi missionari in questa nuova missione nella Diocesi di Bissau. La partecipazione di tanti fedeli e amici trasmette forza e coraggio: nonostante la febbre che sale e scende lasciandomi sempre più debole, mi sento forte della grazia del Signore e di tanti amici che mi trasmettono tanta forza d'animo.
Il giorno seguente, la domenica 26 ottobre, celebro l’ultima S. Messa come parroco a Segezia. La partecipazione è corale, ordinata, piena di fede e di condivisione con il mio mandato missionario. Il clima del distacco rimane molto sereno, anche perché il nuovo parroco sarà don Guido Castelli, carissimo amico da tanti anni, già conosciuto e bene accolto in parrocchia durante le mie prolungate assenze per prepararmi alla missione.
Dopo il meraviglioso pranzo organizzato in parrocchia, parto per Vicenza con i miei familiari giunti dal Veneto per l’occasione. Sarà che mi vedono con il volto stanco di chi ha la febbre da troppi giorni, sarà che ci vogliamo tanto bene… sarà per questo che scappano le lacrime su tanti volti. “Zio, chiudi gli occhi” mi dice mia nipote Patrizia. Ma anche lei, che non conosce la comunità di Segezia, ha vissuto in poche ore una comunione così forte da rimanerne coinvolta, e mi dice di non guardare chi è commosso, per non lasciarmi coinvolgere, ma lei stessa ha gli occhi lucidi di commozione.
Ospedale di Negrar. Le provano tutte. Ma i giorni passano e la febbre rimane. Devo affermare, con assoluta convinzione, che i dottori del reparto di malattie tropicali dimostrano impegno e attenzione grandissimi, e non solo nei miei confronti. Penso che tutto questo ospedale, fondato e guidato dai Padri di don Calabria (una delle tante figure di santità della Chiesa veronese) sia una grande opera a servizio reale degli ammalati e dei sofferenti.
Inizia una terapia contro il tifo, escludendo altre cause che possano provocare la febbre. Poi i controlli si intensificano sul cuore, sul fegato. Niente, non si trova la ragione della febbre. Mi fanno la T.A.C. con il contrasto: macchia ad un polmone e due ghiandole linfatiche infiammate. Necessità di una biopsia per verificare la natura dell’infiammazione. Il primario inizia una terapia contro la polmonite: potrebbe essere questa a provocare la febbre? Un esperto ematologo, chiamato dall’ospedale di Borgo Trento, mi propone di fare un prelievo al midollo osseo, per verificare se la causa è a quel livello. Passo un paio di giorni con una bella preoccupazione. Signore: se mi vuoi missionario, vedi cosa devi fare!!! Gli amici di Segezia organizzano una giornata intera di Adorazione Eucaristica per me, compresa la notte. I frutti di tanta preghiera arrivano immediatamente! Dopo tre giorni la febbre scompare.
Tutti contenti: Annalisa e Patrizia, mie nipoti, portano torta e spumante in reparto. “Lo zio ha la polmonite, alleluia!!!”. Che strano! Tutti allegri perché ho la polmonite… Certo, vi era una seria preoccupazione che fosse qualcosa di ben peggiore, ma brindare perché uno ha la polmonite, non l’ho mai sentito dire!!!
E così è stato. Una bella polmonite, ben nascosta, senza sintomi, senza dolori, senza tosse. Solo la febbre. Dalle analisi del midollo tutto risulta in ordine. Oltre la polmonite mi trovo con degli ospiti nascosti nell’intestino: sono dei piccolissimi parassiti di nome “giardia”. Nulla di grave, però occorre sgomberare gli sgraditi ospiti. Ma non potevano cercare casa da qualche altra parte dell’Africa??? È così grande questo continente!!!
Concludo la terapia e mi fermo a Vicenza per la convalescenza. Trovo il tempo anche per celebrare il mio mandato missionario e la Giornata del Ringraziamento a Cervarese S. Croce (Padova), il mio paese di nascita.
Giorno dopo giorno riprendo il fiato. Il clima è freddo, e non mi aiuta. Riesco anche a osservare la neve che scende: chissà quando la rivedrò… Alla sera respiro con qualche difficoltà. Devo ritornare in ospedale per altri due controlli, e così, purtroppo, non posso essere presente all’ingresso in parrocchia di don Guido, il nuovo parroco.
Solo da una settimana respiro senza alcun problema. I dottori mi avevano detto che a metà dicembre potevo partire per l’Africa. Avevano calcolato bene i giorni necessari alla mia ripresa. Ma adesso, come sarà l’impatto con l’aria di Bissau? Come reagiranno i miei polmoni???
Esco dall’aereo quasi timoroso… Grazie Signore!!! Respiro benissimo, l’aria è pura, non avverto nessun disagio, anzi respiro meglio dei giorni passati. La temperatura è sui 24 gradi, senza umidità. Alzo lo sguardo verso il cielo. L’aria è così pulita che le stelle sembrano più vicine.
Giusi e Pe. Giancarlo mi aspettano con immensa gioia e armati di bombolette spray contro le zanzare: vogliono che io stia bene, non sia mai che mi riprenda la malaria!!!
16 dicembre 2008
Esco dalla mia stanza che il sole è già alto. Nel parcheggio della Curia c’è una macchina nuova… Ma non la guardo. Oggi mi dedico solo a riordinare la mia stanza e la mia valigia. E ad un bellissimo incontro con mons. José Câmnate, vescovo di Bissau. Gli racconto del tempo trascorso in Italia, un tempo con tanta “febbre”, ma anche con tanta fede e amicizia di tante persone!
17 dicembre 2008
Sono costretto a guardare la Toyota nuova, modello hilux. È proprio bella, color grigio chiaro. Sei posti, quattro ruote motrici, abbondante spazio per il carico.
Passo la giornata nei vari uffici per completare i documenti necessari: l’assicurazione, la carta di circolazione e di proprietà. Il fuoristrada è intestato alla Diocesi di Bissau. L’utilizzo è per la missione di Bigene: quindi la uso io. E il pagamento? Da molti di voi che leggete! Ho ricevuto tante offerte, molte inattese, da parte di tanti amici. Così sono riuscito a pagare completamente la macchina, e mi sono anche avanzate per iniziare a pagare la casa che si deve costruire a Bigene.
18 dicembre 2008
Pe. Giancarlo, l’economo della diocesi, è irremovibile: bisogna “benedire” la macchina con il gelato! Riesco a trovare una specie di torta-gelato, molto bella nell’immagine stampata sull’involucro… dal contenuto incerto nel suo interno!!! Ma prima del pranzo con sembianza di gelato finale, pretendo la benedizione vera! È il Vescovo a benedire la macchina nuova che userò sulle strade di Bigene: sono contento, e metto anche il nome alla macchina. Nessuno si offenda se non la chiamo come vorreste voi: io ho deciso di chiamarla “segezia”. Mi piace questo nome, e posso dire a tutti che l’ha comprata proprio Segezia, per la missione a Bigene! Siete d’accordo?
19 dicembre 2008
Con il Vescovo e con Giusi, incontriamo Jean Claude, l’imprenditore di origine belga che ha l’incarico della costruzione della casa per i sacerdoti e per i volontari a Bigene.
Ora che sono arrivato in G-B, e che tutto sembra andare bene (i polmoni sono ben ossigenati: funzionano che è una meraviglia!), si può partire per la costruzione. Definiamo alcuni particolari, quali la esatta collocazione delle due abitazioni nel terreno della missione.
Perché due case? È il Vescovo a volere questa soluzione: una casa con tre ampie camere e uno studio per i sacerdoti (nella speranza futura che io sia affiancato da un altro missionario) e un’altra casa, collegata alla prima ma indipendente, per i volontari che verranno a Bigene (con quattro ampie camere). Insomma: costruiamo spazi adeguati a ricevere amici… qualcuno cominci a farci un pensierino!
Per adesso, mi devo limitare ad accogliere solo le offerte che, eccetto indicazione diversa, serviranno per la costruzione della prima casa (quella per i sacerdoti). Ma poi, sarò ben felice di accogliere amici e volontari che potranno passare per questa terra, povera di risorse, ma ricca di umanità.
20 dicembre 2008
È arrivato il momento: lascio la Curia di Bissau e mi dirigo a Bigene, la mia missione. Mi metto in viaggio da solo, con segezia. La strada la conosco, e gli amici mi hanno anche disegnato l’itinerario. E segezia si fa guidare molto bene. Parto a mezzogiorno, senza fretta. Il traghetto sul rio Cacheu è fermo: pausa pranzo. Due ore di attesa sotto un bel sole “invernale” di 26-27 gradi. Dopo Ingoré iniziano i trenta chilometri di strada non asfaltata. È più esatto affermare trenta chilometri di buche!
Questo è il momento della verifica: me la prendo con molta calma. Subito un giovane studente mi chiede la “boleia”: un passaggio. Sono felice di farlo salire sul portacarico, come si usa fare con tutte le macchine dei missionari. Scende a Barro, il villaggio più grande tra Ingoré e Bigene, a metà strada tra i due paesi: 15 chilometri che avrebbe fatto a piedi! Poi la “boleia” la chiedono un gruppo di donne con bambini: i due più piccoli hanno pochi mesi. Anche loro si fanno una decina di chilometri con segezia.
Passando tra le “tabanghe” (i villaggi) tutti mi salutano, soprattutto i piccoli. Vicino ad un campetto da calcio, un gruppo di bambini mi insegue. Mi fermo e li aspetto per salutarli. Il loro capo, sui 9-10 anni, mi chiede se ho una “bola”: una palla per giocare a calcio. Che peccato: non ho con me il pallone che Celeste e Giusi Morra, al loro matrimonio, hanno portato all’offertorio per donarlo ai bambini di Bigene. Sarebbe stata l’occasione giusta… Ma avrò molte altre opportunità: nelle “tabanghe” con capanne di argilla e paglia, appena fuori dalle abitazioni, c’è sempre il campetto da calcio. Lo riconosci subito, dalla polvere che si alza prodotta dai piedi nudi dei giovani giocatori. È lo sport più praticato, anche dalle ragazze. Lo puoi giocare anche senza scarpe, sulla terra battuta. Ma una cosa ci vuole, per forza: il pallone!
Arrivo a Bigene: Bemvindo mi vede e corre verso di me, con le braccia tese di chi aspetta con gioia. Bemvindo. Significa “benvenuto”. Bemvindo è il primo amico che mi sono fatto a Bigene. Lui abita vicino alla casa delle suore. Quando mi vede vicino al cancello di ingresso, viene subito da me e chiama tutti i suoi amici: N’Leimba, Filipe, Windjaba, Kudun, Moises, Judite e Djuma. Facciamo grandi discorsi in tutte le lingue perché, alla sua età, Bemvindo è natura pura, piena comunicazione fatta di sguardi, di sorrisi, di strette di mano… Veramente, lui mi prende un dito della mano, e non lo lascia più! E per guardarlo diritto negli occhi, mi devo sedere a terra: Bemvindo ha 4-5 anni, e i suoi amici sono appena più grandi. Vi assicuro che mi fa un grande piacere sentirmi chiamare “Padre” da un piccolo bambino che si chiama Benvenuto!
Poi le suore Oblate mi fanno grande festa, dopo le preoccupazioni che hanno provato per la mia salute. Suor Rosa, per il mio arrivo, vuole fare una pizza speciale. Mentre impasta la farina, vuole sapere tutto quello che mi è capitato, perché sono arrivate delle notizie non sempre precise sul mio stato fisico. Allora inizio a raccontare tutto quello che ho già descritto sopra. Lei mette le pizze nel forno rudimentale, costruito con un bidone del petrolio, più o meno come fanno i rom nei loro accampamenti.
Io parlo, parlo… Suor Rosa ascolta, ascolta… Il fuoco arde, arde… e le pizze si bruciano!!! Che guaione! Ma siamo tutti contenti di ritrovarci assieme, e la cena inizia lo stesso con la parte di pizza che non si è bruciata, tutta bella profumata di fumo. Poi suor Rosa tenta di recuperare la brutta figura, e dalla magra dispensa tira fuori una scatola di vino rosso: “monte do vaqueiro”. È un vino non definibile, composto da una indefinita mistura di vini europei, che in qualche modo è arrivato dal Portogallo. Ha un vago aroma di vino: niente a che vedere con il “rosso dei diavoli” prodotto a Segezia dal carissimo Tonino Russo. Ma basta per brindare: la cosa importante, è che sono finalmente arrivato a Bigene. Amen e così sia!!!
21 dicembre 2008, IV domenica di Avvento
Celebro la S. Messa nella chiesa della missione. Suor Rosa traduce in lingua crioulo l’omelia che faccio in italiano. I fedeli sono tutti attenti… forse vogliono imparare l’italiano! Sono contento e felice: il Natale si avvicina.
Dopo pranzo parto per Farim: altri 40 chilometri di buche. Ci metto poco più di due ore. Ci vuole pazienza a viaggiare su questi percorsi. Ma io non ho fretta, attento ad evitare le buche o a prenderle nel giusto verso. A volte sbaglio, e allora metto la retromarcia e provo in un altro verso a superare gli ostacoli. Con pazienza. Bisogna averne tanta. E se non ce l’hai, la devi trovare!
Arrivo in serata a Farim, nella casa dei missionari Oblati di Maria Immacolata (OMI) che da alcuni anni hanno la cura pastorale di Bigene. Sarà la mia casa di riferimento, in attesa della costruzione della casa a Bigene. Padre Carlo e Padre Roberto mi stavano aspettando: saranno i miei amici di missione, con i quali cercherò di imparare contenuti e metodi della pastorale in questa terra.
22 dicembre 2008
Giornata tipo nella casa di Farim: 7.15 lodi e S. Messa in chiesa. Sono presenti anche le tre suore di “S. José de Cluny” e due seminaristi diocesani, ora in vacanza per il Natale. 13.00 pranzo con menù tipico di questa terra: riso in bianco, una tazza di condimento per il riso (non chiedetemi di cosa è composto…), un poco di pesce o di pollo, una mela (ma questa è una eccezione, arrivata dal Senegal). 19.00: rosario e vespri in chiesa. Poi la cena.
La cena di queste sere è eccezionale, perché sono presenti una decina di volontari del gruppo missionario della parrocchia di S. Giuseppe dei Morenti (si chiama proprio così) di Milano. Loro escono al mattino e si recano a Mansabà, dove stanno costruendo la chiesa. Rientrano alla sera e preparano la cena con il cibo che si sono portati nelle valigie o nel container che li ha preceduti. Pensate che sbucano ravioli in brodo con formaggio grana, mortadella e salame! Averne di ospiti così... Rimango ammirato da loro: sono organizzatissimi e pensano a tutto. È dal 1987 che vengono in G-B, durante il tempo di Natale, per la realizzazione di progetti che sviluppano durante tutto l’anno. E ti costruiscono una chiesa esagonale di 24 metri di diametro!
23 dicembre 2008
Con P. Roberto andiamo a Bigene, nel pomeriggio. La segezia funziona a meraviglia, anche se i 40 chilometri di buche stancano. Poco più di due ore e arriviamo. Alle suore Oblate non sembra vero di poter avere due sacerdoti per il Natale. Ci prepariamo al grande evento: Gesù viene. Anche qui, in questo luogo così lontano e disperso, il Figlio di Dio porta salvezza per questo giovane popolo.
24 dicembre 2008
Giorno di grande attesa. La preghiera si intensifica. Ripenso alle vigilie passate nelle varie comunità dove ho prestato il mio servizio. Da seminarista a Cervarese S. Croce e a Borgoricco San Leonardo (Padova). Da parroco a Massa della Lucania (Salerno), Segezia e S. Ciro (Foggia). Tanti volti, tanti ricordi, che ora diventano offerta al Signore: vieni, Salvatore del mondo, a illuminare ancora, in questa notte Santa, tutti i fratelli e le sorelle che ti hanno atteso, con me, in tutti questi anni della mia vita.
La celebrazione è alle ore 21.00. Ma prima i bambini di Bigene fanno la loro sacra rappresentazione. Ci rechiamo in chiesa alle 19.00: e subito iniziano le gradite sorprese! La strada principale di Bigene è illuminata, ed anche i piccoli negozietti, con le loro povere mensole per la vendita di poche cose, hanno la loro lampada accesa. Dopo le elezioni del mese scorso, che si sono svolte con regolarità, un politico del posto è riuscito a riattivare il vecchio generatore del paese, che tutte le sere, per alcune ore, porta energia elettrica alle piccole lampadine. La luce non è tanta: noi diremmo che è molto scarsa! Ma qui è già una impresa grande, e si può camminare senza usare la torcia a pile. Speriamo che questa illuminazione, che ben si associa con le luci del Natale, possa durare!
Entro in chiesa, e lo sguardo va subito a finire sul presepe: meraviglioso! Le capanne fatte a mano con legno e paglia, proprio come le abitazioni delle tabanghe, la terra rossa tra le capanne (non si usa il muschio, da queste parti, e nemmeno la finta neve, ovviamente!). E le statue di legno, incise a mano. Sono poche, di misure diverse e sproporzionate, ma mi lasciano un senso di profonda ammirazione. Gesù sta per nascere anche in questo popolo, così diverso dalla mia storia e dalla mia razza, eppure anche qui è atteso, in questa piccola comunità.
Inizia la rappresentazione del Natale fatta dai bambini. Ci sono tutti i personaggi dei Vangeli, dagli angeli ai pastori, ma mi colpisce la bambina che rappresenta Maria. È una bambina cresciuta bene: è più alta di tutti gli altri bambini di almeno venti centimetri!
Mi viene da sorridere a guardarla: ma poi penso che è proprio così. Maria è veramente la più grande di tutti! Bravi questi ragazzi, sono contento che sappiano fare così bene questa rappresentazione.
Poi inizia la celebrazione. Lascio che sia Pe. Roberto a presiedere la liturgia eucaristica. La chiesa si riempie, nonostante l’orario impegnativo: non ci sono i fedeli, o i simpatizzanti della fede cristiana, provenienti dalle tabanghe. Troppo difficile arrivare e tornare a casa con il buio. E proprio il buio crea una piacevole sensazione. Il generatore della chiesa funziona (finalmente!) e la sala è ben illuminata. Dalla strada, in penombra, continuano ad entrare persone per partecipare alla cerimonia. È come se entrassero nella luce, la luce di Gesù Bambino, la luce della Chiesa Cattolica.
Siamo tutti così presi dall’inizio della celebrazione, che ci dimentichiamo la cosa più importante: non abbiamo portato la statua di Gesù Bambino! Suor Rosa me la mette in mano quando sono all’altare, io la passo a Pe. Roberto, perché la riponga lui nel luogo predisposto. Ma mi fa segno che devo farlo io! In un attimo mi sale la pressione: tocca a me!!! Per tanti anni ho scelto i bambini più piccoli, e che mi sembravano più meritevoli, per portare la statua di Gesù Bambino all’altare. Tocca a me: forse sono davvero il più piccolo in questa comunità, perché sono arrivato da pochissimi giorni. Tocca a me. Non sono certamente il più meritevole: caro Gesù Bambino, rendimi Tu degno della missione che la Chiesa mi affida!
25 dicembre 2008, Natale del Signore
Alle 8.00 del mattino i bambini sono già in chiesa. C’è la liturgia natalizia per loro, con canti, preghiere e ascolto della Parola. Il clima è di una grande gioia. Gli adulti aspettano fuori. Bemvindo è vestito a festa, con i pantaloncini azzurri che sembrano stirati e la camicetta rossa. Il colore della pelle e le scarpette da ginnastica blu rendono questo bambino ancor più bello. Per non parlare delle bambine: alcune hanno le treccine fermate da conchiglie colorate e il vestitino rosa. I colori intensi sono rafforzati dalla pelle nera: sembra quasi che questi bambini siano più belli dei bambini italiani. I bambini sono tutti belli, tutti i bambini del mondo sono un dono del Signore, e proprio oggi li guardiamo pensando al Bambino di Betlemme. Ma i bambini africani sembrano più belli!
Alle 9.30 entrano gli adulti. Presiedo l’Eucaristia, con suor Rosa che traduce l’omelia nella lingua locale. La chiesa è gremita in tutti gli angoli, e varie decine di persone sono fuori: non c’è più posto! Mi ero preparato a questo Natale con un Avvento di grande attesa, di rinunce, di distacco dal “mio” mondo, dai miei familiari e amici, di speranza verso la missione che inizia. Ed eccomi: Gesù si dona e chiede di essere donato. Sono qui per accoglierlo con questi nuovi fratelli, e per donarlo al popolo di Bigene e delle sue 39 tabanghe.
Al termine della celebrazione desidero salutare i presenti che sono venuti a piedi, anche da lontano, provenienti da diversi villaggi. Inizia come una gara sul villaggio che è più presente o più lontano dalla chiesa. Gli applausi sono fragorosi per i villaggi di Tabajan, di Bambea, di Jambam… le suore chiamano i villaggi, le mani si alzano, gli applausi si rafforzano. Alla fine chiedo io chi viene dal villaggio del Brasile! Le tre suore alzano le loro mani, e tutti ad applaudire. Hanno lavorato tanto, per tanti anni, e meritano questo lungo applauso. Poi, sono le suore brasiliane a chiedere chi proviene dal villaggio dell’Italia!!! Suor Rosa (che, ricordo, è di Deliceto) ed io, alziamo le nostre mani, e non si capisce più nulla, come uno stadio che esulta per il gol della propria squadra che dà la vittoria all’ultimo minuto.
Forse abbiamo esagerato: siamo sempre in chiesa, luogo di preghiera, di meditazione, di ascolto. Ma per questa volta, caro Gesù, sono sicuro che sei in festa anche Tu: la Chiesa di Foggia-Bovino è qui, in questo angolo dell’Africa Occidentale, accolta con tanta festosità da questi poveri che cercano la Tua Luce di Salvatore.
Buon Natale a tutti, carissimi amici e familiari. Buon Natale. I miei polmoni respirano benissimo, e prego per tutti voi, davanti a Gesù Bambino: perché anche ognuno di voi possa respirare bene l’aria nuova che ci dona il Salvatore. Buon Natale. Vi penso.
Pe. Ivo Cavraro, Curia Diocesana, Av. 14 de Novembro, apartado 20
1001 Bissau Codex, GUINE'-BISSAU
Email: ivocav@yahoo.it spedisco questo diario il giorno 29 dicembre 2008 via email
10 aprile 2009
Capitolo 4 - La luce di Bigene al buio
Diario di una missione 4: la luce di Bigene al buio
DUN DI BOKA I KA TA PIRDI KU KAMIŇU
(proverbio locale: chi è signore della sua bocca non perde il cammino)
(interpretazione: chi sa chiedere arriva alla mèta)
Cari amici, riprendo il mio diario cercando di spiegarvi meglio alcune cose che mi avete chiesto.
Iniziamo con il mio nome: perché Ivo? Mamma e papà mi hanno battezzato con il nome di Ivone: un nome poco usato. Ho conosciuto una sola persona con questo nome. Don Ivone Ragazzo: anche lui sacerdote, salesiano, nativo di Borgoricco (Padova). E adesso? Adesso succede che, nella lingua portoghese, il nome Ivone esiste, ma è solo femminile! Ho già sentito, qui in Guinea-Bissau, parlare di una suora brasiliana: suor Ivone! Come dire: “Un nome, un destino!”. Capito bene questa cosa, che definirei imbarazzante, ho deciso con il mio Vescovo, Mons. Francesco Pio, di accorciare il mio nome e togliermi da ogni possibile confusione. Ivo! In G-B, e nei paesi di lingua portoghese, io sono don Ivo, e così mi firmo adesso. Voi non vi preoccupate: chiamatemi come preferite. Tante persone, negli anni passati, mi hanno chiamato con i nomi più strani: dal “santo” don Orione, al più “agricolo” don Limone! Per non parlare di come mi chiamava quella simpatica signora di S. Ciro (Foggia): don Divone! A sentirsi chiamare così, uno si sente importante, come un grande “divo” del cinema…
Seconda precisazione: la tristezza provocata dalla malaria. Io non sono triste, la tristezza è completamente passata, e non ha nulla a che fare con la depressione (vi sembro depresso?). La tristezza è conseguenza della malaria. Superata la crisi iniziale, che produce febbre alta e altre “cosette”, il corpo rimane debilitato e stanco. C’è la necessità di un adeguato riposo fisico. Ti alzi dal letto e ti senti stanco, non riesci a muoverti con agilità, cammini lento. E questo accade per vari giorni. I dottori vi possono spiegare il perché: io vi dico solo che è una questione di globuli rossi nel sangue. Sembra che siano spariti, e non chiedetemi dove sono andati, perché non lo so! Risultato: sei venuto in Africa con tanto entusiasmo e una piccolissima zanzara, che non hai nemmeno fatto in tempo a vedere, ti ha steso a terra! E stai facendo una gran fatica a rialzarti, sapendo che qualche altra zanzara, sorella della prima, potrebbe ancora girare dalle tue parti… È una questione di stanchezza fisica, che trasforma la gioia umana e cristiana in stanchezza anche sentimentale, in tristezza. Ma quando passa la stanchezza fisica, passa anche la tristezza. Semplice, vero? Ora io mi sento più che bene, totalmente felice e pronto per quello che il Signore mi chiede. La tristezza vissuta è solo un ricordo del passato! Punto esclamativo e a capo!
Il “multimistura”: mi sono dimenticato di scrivere gli elementi costitutivi di questa farina particolarmente nutriente, e prodotta totalmente con elementi naturali che si trovano in G-B: foglie verdi di “mandioca” (un tubero coltivato come una patata), di “batata” (la patata dolce) e di “abóbora” (un tipo di zucca). E poi “caju” (è un frutto africano, che non ho mai visto in Italia), “cabaceira” (il frutto del baobab), “casca de ovo” (il guscio dell’uovo), “sementes” (varie sementi) e “farelo de arroz” (la crusca del riso). Il tutto viene essiccato e triturato fino ad avere una farina scura, che aggiunta ad acqua diventa un nutrimento ricco di vitamine A, B, C, D, E, minerali, ferro, calcio, proteine, potassio, calorie e fibre. Una vera benedizione per tantissimi bambini che soffrono di scarsa alimentazione, e per le mamme in attesa del parto.
4 settembre 2008
Alla sera, durante la cena in Curia, riusciamo a vedere il telegiornale da un canale del Portogallo. E arriva anche un collegamento dall’Italia: sono in fibrillazione, le prime immagini che vedo dall’Italia dopo 40 giorni in Africa. Chissà cosa mi faranno vedere di bello… La delusione è profondissima: sono le immagini dei tifosi del Napoli che vanno alla partita con la Roma. I due sacerdoti angolani, che sanno bene cosa sono i conflitti armati, dopo 30 anni di lotte interne, commentano sottovoce: “È come la guerra”. Una volta l’Italia era chiamata “il bel paese”. Una volta! Tra l’imbarazzo e la vergogna, inizio il discorso sul calcio vero, quello giocato. Il Vicario Generale della diocesi, Padre Domingos Cá, attira l’attenzione di tutti quando afferma che la sua squadra ha vinto! Cari amici, questo è il Vicario più simpatico di tutti (perdonami, don Filippo…): sapete qual è la sua squadra del cuore? Il Chievo Verona!!! Incredibile! (Non vi dico la mia, altrimenti qualcuno non leggerà più il diario…).
5 settembre 2008
Giornata di grande attesa: questa notte arrivano Matteo (mio parrocchiano di Segezia, Foggia) e suo figlio Marco (da Firenze). Conto le ore. Passo la giornata a rispondere alle numerose email ricevute dopo la spedizione del diario 3. Giusi, invece, è già in piena attività nell’ufficio dell’Economato Diocesano.
6 settembre 2008
Ci alziamo all’una di notte. L’aeroporto è vicino. Il volo da Lisbona è previsto all’una e quindici. Imperversa un temporale fortissimo. Forse è questa la causa del ritardo: l’aereo arriva alle 3.30. Per non addormentarmi, cammino avanti e indietro nella sala di attesa. Ho superato pienamente tutte le difficoltà dell’insonnia provocata dalle forti somministrazioni di chinino. Il guaio è che adesso dormirei sempre, anche di giorno! Figuriamoci di notte!!! Finalmente arrivano. Non faccio grandi feste, perché sono davvero addormentato. Ma sono tanto felice: sono i primi amici che vengono a trovarmi! La loro visita è dovuta alla necessità di verificare il progetto per la costruzione della casa dei missionari a Bigene. Ne parleremo più avanti, perché sto morendo dal sonno…
Nella mattinata andiamo alla parrocchia “S. João Baptista” di Brá, guidata dai Padri Francescani Minori della Provincia Veneta. Padre Renato Chiumento è il parroco, nativo di Chiampo (Vicenza). Qui c’è anche il Seminario dei Francescani. Partecipiamo ad un fatto eccezionale, importantissimo per tutta la chiesa della G-B: la professione religiosa solenne di sei giovani guineensi. È la prima volta che tanti giovani dicono assieme il loro sì al Signore, alla Chiesa, a San Francesco di Assisi. Un grande giorno per tutta la Chiesa!
Nel pomeriggio accompagno Matteo e Marco a fare una passeggiata verso il mercato della città. Ma tutte le strade sono un mercato. La gente vive della piccola vendita delle proprie cose raccolte nell’orto, le vende lungo le strade, e poi si compra il riso necessario per la famiglia. Come in tutti i paesi del mondo, nel mercato sperimenti di tutto: colori, odori, volti, sorrisi, speranze, la fatica del vivere. Qui vedi anche la povertà del vivere in questa terra.
7 settembre 2008, domenica del Signore, XXIII domenica ordinaria
Finalmente andiamo a Bigene! Il Vescovo ha organizzato il viaggio, e abbiamo la grande gioia di avere Mons. José che ci accompagna. Con me sono anche Giusi, Matteo e Marco. Il Vescovo vuole presentarmi alla mia prossima comunità cristiana, ed io sono particolarmente gioioso di compiere questo viaggio con questi cari amici italiani. In loro vedo la presenza di voi tutti che leggete: il Vescovo mi presenta, ma accanto a me ci siete anche voi che, in qualche modo, mi offrite ai cristiani di Bigene, per la missione che mi attende.
Il viaggio verso Bigene è sempre incerto. Tre sono i possibili grossi problemi da affrontare: il traghetto sul “rio Cacheu”, che non sempre funziona. Le condizioni della strada tra Ingoré e Bigene: sono 31 chilometri di buche in mezzo alla foresta. Se una macchina o un camion si affossa, a causa delle piogge dei giorni precedenti, non passa più nessuno. E infine le condizioni metereologiche: se arriva un temporale su questo ultimo tragitto, rischia di affossarsi la tua macchina. Per questo, i missionari portano sempre una provvista di acqua. Non puoi sapere per quanto tempo starai fermo sulla strada!
Partiamo alle 7.39. Il percorso è meraviglioso: avvolto dal cielo pulito e dalla terra tutta verdeggiante. Grazie a Dio arriviamo bene, alle 12.30. Cinque ore su un percorso totale di 106 chilometri (comprese le due soste: per il traghetto e dalle suore di Ingoré). Da Ingoré, dove termina la strada asfaltata, percorriamo in due ore i 31 chilometri di buche fino a Bigene. È un tratto duro per la schiena, ma meraviglioso per gli occhi: la foresta è tutta piena di giochi di luce, colori, panorami improvvisi…
All’arrivo a Bigene pranzo con le suore, riposino, e poi tutti in chiesa. La comunità è molto povera, perché è povera la gente di questo paese e dei suoi 35 villaggi che lo circondano. Ma la chiesa c’è, frutto del lavoro dei missionari che di qui sono passati. Non è una chiesa grande, ma è ben tenuta e ordinata (le suore…). Cari amici: sono emozionato. Non mi aspetto nulla di speciale, ma comprendo che è molto importante per la vita di questa comunità ciò che sta per accadere: io sarò il primo missionario a fermarmi stabilmente a Bigene. Quando la comunità potrà crescere, con l’inserimento di famiglie cristiane, si potrà dare inizio ufficiale ad una parrocchia, di cui io potrei essere il primo parroco. Ci vorrà tempo. Per ora è una missione, in attesa che cresca.
Entro in chiesa con il Vescovo: nei primi banchi ci sono i bambini a sinistra, i giovani del coro a destra. Già stanno provando i canti per la Messa, un’ora prima! I bambini sono tutti in silenzio, composti e incuriositi dalla nostra presenza. Ogni tanto si girano indietro a guardare. Io li ammiro ad uno ad uno. Indossano i vestiti della festa, ben lavati. Le bambine hanno le piccole treccine, annodate con fili colorati. Molti di questi bambini non sono cristiani, ma frequentano la chiesa perché vanno alla scuola delle suore. Il coro è di soli giovani. Usano qualche vecchia fotocopia con le parole dei canti, due tamburi e uno strumento strano. È un filo di ferro circolare, nel quale sono inseriti i tappi delle bottiglie di birra. Lo strumento è mosso dalle mani come un tamburello e produce un suono che si abbina perfettamente ai tamburi.
Iniziamo la celebrazione alle 18.30 con un problema: il piccolo generatore di corrente non parte! L’ingresso dei celebranti è accompagnato dalle danze che alcune ragazze eseguono con i vestiti variopinti. Nell’omelia il Vescovo spiega ai fedeli il motivo della nostra presenza. Facciamo appena in tempo ad assistere alla processione dei doni: le ragazze hanno legato alle loro caviglie delle scatole di latta contenenti dei sassolini, per accompagnare con il suono il ritmo della danza, e lanciano sui fedeli dei chicchi di riso, ripetendo il gesto della semina sul terreno.
Poi arriva in pochi istanti il buio: il tramonto quasi non esiste, è brevissimo. Il generatore continua a non partire, e tutta l’assemblea è illuminata dalle piccole candele sull’altare. Tutti rimangono composti nelle loro panche, il coro continua le sue esecuzioni ritmate ed anche i bambini rimangono ai loro posti, senza scomporsi. Sembrano abituati a vivere nel buio, ed è proprio così. Non esiste l’energia elettrica in tutta la G-B (solo in alcune vie del centro della capitale), e muoversi nel buio è normale per tutti, piccoli e grandi. Quando c’è la luna piena, senza nuvole, è una grande comodità, perché tutti possono camminare sulle strade, senza problemi per le numerose buche. Se non c’è la luna, qualcuno usa qualche piccola lampada a batteria. Ma anche le batterie costano, pochi si possono permettere questo lusso.
La celebrazione prosegue al buio come se ci fosse luce piena. Dopo la Comunione, rivolgo qualche parola ai presenti. Non tutti comprendono il portoghese: io parlo in italiano, il Vescovo traduce in criuolo. Mentre ringrazio il Signore e mi affido alla preghiera e all’aiuto della comunità cristiana, per inserirmi come suo futuro pastore, mi accorgo che parlo senza vedere i volti dei presenti. Può sembrare uno scherzo della natura, e non voglio in nessun modo sembrare indelicato verso questi fratelli, ma parlare al buio, a persone con la pelle nera, vuol proprio dire non vedere niente! Non vedo i loro volti, non posso cogliere le emozioni e le espressioni dei loro occhi. Parlo nel buio senza vedere niente… Ma le sento! Sento il loro profondo silenzio, segno di grande attenzione. Sento i loro respiri, le loro attese, le loro speranze. Sono nel buio, ma è come se vedessi la luce nei cuori di queste persone, che da tanto tempo, forse da anni, pregano e chiedono un sacerdote nella loro missione, accanto a loro. In questo buio c’è una luce profonda, vera, che illumina: è la luce della fede.
Termino il mio saluto ed esplodono i tamburi. Non capisco più niente: non vedo e il suono dei tamburi mi fa vibrare tutto il corpo. Questa è la luce di Bigene al buio: uno splendore che ti prende l’anima! Grazie, mio Signore, della luce che tu hai posto nei nostri cuori, e che ci permette di camminare anche nell’oscurità più profonda.
8 settembre 2008
La giornata inizia con le lodi e la S. Messa nella cappellina delle suore. Mentre attendiamo gli altri ospiti della casa, guardo queste tre suore Oblate (Oblate del Sacro Cuore di Gesù; a Foggia le chiamano “le suore bianche” o le suore del “Piccolo Seminario”). Sono sedute sui piccoli sgabelli davanti a me: il velo bianco, i vestiti con i forti colori africani, il viso segnato dall’età e dal lavoro. Suor Rosa Bonuomo è di Deliceto (Foggia), suor Mires e suor Teresa sono del Brasile (stato del Marañhao). Sono qui da 15 anni, organizzano la scuola e l’alimentazione per i bambini denutriti, la catechesi e l’evangelizzazione nei villaggi, le cure degli ammalati.
Ho letto, da qualche parte, che qualcuno vorrebbe organizzare un concorso di bellezza per le suore, una specie di elezione di “miss suora”. Non so se la notizia ha qualche fondamento: mi sembra un pesce d’aprile fuori stagione… A me queste tre suore appaiono bellissime: dentro, nella verità dell’esistenza, per quello che sono e per quello che fanno. Sono così belle dentro che anche i loro volti, pur segnati dalle fatiche quotidiane, presentano una luce particolare: è come se fossero volti di pace, volti di amore. Di quell’amore che si vede in chi è abituato ad amare, senza aspettarsi nulla in cambio. Queste sono tre suore bellissime, mio Signore! Fa’ che, accanto a loro, anche il mio volto diventi volto di pace e di amore!
Al mattino facciamo un sopralluogo sul terreno adiacente alla chiesa, dove si dovrà costruire la casa per i sacerdoti e per i volontari. Il Vescovo ci guida e ci spiega la necessità di costruire, accanto alla scuola e al Centro Nutrizionale, queste due nuove abitazioni. La casa per i sacerdoti: la speranza di tutti, del Vescovo di Bissau e del Vescovo di Foggia, ed anche la mia, è che io non rimanga unico sacerdote in questa missione. Mons. José vuole costruire una casa bella grande, con tutti i servizi necessari e tre camere per i sacerdoti. E accanto, un’altra casa per i volontari, con quattro camere: afferma che dove ci sono i missionari, ci sono sempre tanti amici che arrivano, per brevi o prolungati periodi. Avete letto bene??? No??? Per favore, rileggete con molta attenzione quest’ultimo paragrafo, magari vi riguarda proprio!!!
Per ora il terreno è pieno di erbacce, cresciute con le piogge, e di piccole coltivazioni di noccioline. Vicino alla casa dei sacerdoti e dei volontari è in programma la costruzione della nuova casa per le suore (quella che stanno utilizzando presenta vari inconvenienti per la sovrapposizione di più strutture, con il risultato che è caldissima: chiedete a Matteo le sudate, anche notturne, che si è fatto!). C’è un “piccolissimo” problema in tutti questi bei progetti: la diocesi di Bissau non possiede un solo €uro…
Prima di uscire dalla missione delle suore, viene a farmi visita Alfiçene Camara, il capo dei musulmani di Bigene. Mons. José traduce le parole di questo uomo anziano, che si dimostra molto attento verso di me, invitandomi a vivere con pace e con preghiera la nostra diversa presenza in questo paese. I musulmani sono assai ben disposti verso i cristiani: i bambini frequentano le scuole della missione, i bambini denutriti e le mamme in gravidanza sono assistite dal Centro Nutrizionale. E tutto questo senza alcuna discriminazione religiosa. Qualcuno potrebbe pensare che sono così gentili perché gli conviene. Io vedo una enorme differenza tra i musulmani del Nord Africa e questi fratelli dell’Africa Occidentale. Fossi sacerdote in Egitto, dove si trova l’amico di Segezia don Talaat, penso che non avrei mai avuto questo saluto di benvenuto, così preciso e serio.
Nel pomeriggio decidiamo di fare una sorpresa a suor Augustine: andiamo nella sua missione a Samin, in Senegal. A nord di Bigene c’è una piccola strada, la macchina ci passa appena. Il posto di frontiera è formato da una capanna con un unico giovane soldatino. Fermiamo la macchina mentre lui si avvicina. Noi indaffarati a tirare fuori i passaporti, e lui che, quando riconosce il Vescovo, fa un grande sorriso e ci augura buon viaggio. L’altro posto di frontiera, in Senegal, è completamente vuoto! In pratica, entriamo in Senegal da clandestini, senza nessun controllo o autorizzazione…
Arriviamo alla missione di suor Augustine in tempo in tempo: scoppia il temporale africano! Matteo e Marco rimangono affascinati dalla potenza del temporale. È come un fiume in piena che scende dal cielo! Suor Augustine è felicissima della sorpresa, ed anch’io sono molto felice di visitare questa missione: è la missione più vicina a Bigene, a circa 10 chilometri. Certo, le strade sono quel che sono, e si trova in un altro stato. Ma è la più vicina: in un’ora, con il fuoristrada, ci si arriva!!!
A Bigene, alla sera dopo la cena, nel buio completo, esco con la lampada per guardare il cielo. Sento un coro di bambini che mi chiama: “Padre, Padre…”. Sono i bambini che abitano qui, vicino alla casa delle suore, e che già sanno della mia presenza. Vado verso di loro, ma non li vedo. Loro vedono me, e il coro si fa festoso. Dovrò imparare a convivere con questo buio che contiene luce, gioia, festa, comunione…
9 settembre 2008
Il martedì è giorno di mercato, e si vede! Mentre accompagniamo suor Rosa al Centro Nutrizionale, incontriamo ragazze e donne che stendono sulle stuoie, a terra, i loro prodotti. Più avanti ci sono gli uomini con gli animali da vendere: maialini, caprette, galline. Un forte miscuglio di voci, colori e odori.
Al Centro Nutrizionale c’è già la coda di mamme con i loro piccoli bambini. Mons. José ci spiega la necessità di questi Centri, presenti in tutte le missioni cattoliche. Entriamo a dare uno sguardo all’attività: suor Rosa, su semplici registri, ad un piccolo tavolo, segna con veloci note i dati della crescita dei bambini, dopo che alcuni giovani della comunità cristiana ne hanno misurato il peso e l’altezza. I giovani fanno anche da interpreti, perché non tutti parlano in criuolo, ma usano i linguaggi delle singole etnie. A Bigene, e nei villaggi attorno, ci sono i Balante, i Manjaco, i Mancagna, i Fula e i Mandingo. Viene distribuito il cibo del magazzino, a seconda delle esigenze dei bambini. Il cibo arriva dal magazzino del P.A.M. (Programma di Alimentazione Mondiale), che ha sede a Bissau: riso, olio, miglio, zucchero, soya. Il latte in polvere e le medicine arrivano dalla Caritas Diocesana. Tutto questo, però, non arriva d’estate, quando le strade sono impraticabili! E non ci sono solo i bambini da nutrire: alla prima mamma che porta il suo bambino, e che è in attesa di un altro bambino, suor Rosa chiede che salga sulla bilancia. Con tutti i vestiti addosso, pesa 37 chili!
Giusi rimane con suor Rosa. Con il Vescovo andiamo a incontrare Jean Claude, il costruttore belga che esegue varie opere per la diocesi di Bissau. Passiamo la mattinata a confrontarci su varie problematiche per la costruzione della casa dei missionari: la grandezza delle finestre, l’altezza dei muri, lo spessore delle fondamenta… Matteo e Marco se ne intendono bene. Anche il Vescovo sembra un esperto di costruzioni! Confronta il progetto con altre opere già eseguite, e ci lascia sorpresi per le sue capacità anche in questo campo. Io ascolto… e mi adeguo! Ma le finestre le voglio grandi: aria, ragazzi, qui fa caldo!!!
Nel pomeriggio le suore ci accompagnano a visitare due villaggi della missione. Il primo si chiama Djambam, a 8 chilometri da Bigene sulla strada per Ingoré. I bambini del villaggio ci circondano. Gli uomini e le donne sono pochi, forse sono ancora al lavoro nelle risaie. Raggiungiamo un altro villaggio, a 4 chilometri da Bigene: Bambeia. Qui c’è una grande accoglienza: Albino, il catechista del villaggio, ci presenta a tutte le persone che incontriamo, fino a portarci davanti alla sua bella casa, fatta con mattoni di fango cotti al sole e tetto di paglia (tutto qui!). È felicissimo: avere la visita del Vescovo è un grande avvenimento. Arrivano altre persone, bambini piccoli e grandi; anche qualche anziano viene a salutare il Vescovo. Nell’aria c’è un clima di grande festa. Ritornando a piedi verso la macchina passiamo accanto alla risaia, e il catechista chiede a tutti i contadini di fermarsi per salutare il Vescovo. Il panorama è da lasciarti a bocca aperta: il sole sta scendendo in mezzo alle alte palme, e il terreno è pieno delle piantine di riso, di un colore verde chiaro e intenso.
Poco fuori del villaggio, a circa mezzo chilometro, la macchina si affossa: le piogge del giorno precedente hanno riempito la sabbia della stradina. Non si vede acqua ferma, ma la sabbia, lungo un lato della stradina, è come se fosse fango. Le due ruote di destra si sono sprofondate di 30-40 centimetri. Proviamo a rimuovere la macchina azionando il comando per le quattro ruote motrici, ma si peggiora la situazione: le ruote slittano completamente nel fango, e la macchina si affossa ancor di più. La situazione è poco piacevole: cerchiamo di collocare dei pezzi di legno sotto le ruote, ma è inutile. Mons. José comincia a preoccuparsi: con Marco decide di ritornare a piedi alla missione, per prendere la sua macchina e le corde. Il tramonto è vicino, non c’è tempo da perdere. Comincia ad arrivare qualche persona. Un abitante del villaggio raggiunge il Vescovo con la sua bicicletta e gliela presta, così può essere più rapido. Marco ritorna alla macchina, che si sprofonda sempre più. Arrivano altre persone dal villaggio, ma arriva anche il buio. Ho la mia piccola torcia in borsa e faccio luce ad alcuni uomini che provano a scavare con piccole zappe vicino alle ruote, per estrarre il fango e inserire tronchi d’albero che altri uomini hanno tagliato con il machete. Riproviamo, ma niente! Cominciano a gridare verso il villaggio, e arrivano tutti: giovani, uomini, bambini. C’è una grande confusione attorno alla macchina. Ad un certo punto un uomo grida più forte di tutti, ed ordina come disporci attorno al fuoristrada: alcuni devono spingere da dietro, altri devono spingere di lato. Guardo la scena con grande curiosità: ormai sono una quarantina le persone attorno alla macchina. Poi l’azione: la macchina si sposta come se fosse sollevata dal terreno. Con tutte quelle mani e quei muscoli, se ne potevano spostare anche due!
Ora sono io a gridare, per ringraziare tutti e partire subito, e raggiungere il Vescovo. Facciamo i quattro chilometri il più velocemente possibile: l’ultimo chilometro è il più difficile, pieno di buche e in salita. Il Vescovo deve aver fatto una gran fatica: deve aver trascinato la bicicletta al buio e in mezzo alle buche. Arriviamo alla missione: anche il Vescovo è appena arrivato. Stremato dalla fatica, in un completo bagno di sudore: la sua camicia ne è talmente impregnata che è diventata trasparente. Ci accoglie con un gran sorriso, anche lui felice che tutto si sia risolto nel modo migliore (a eccezione della sua enorme sudata!). E con tutta semplicità mi dice: “Adesso, hai un altro argomento per il tuo diario!”. Signore: donami un poco di pazienza, solo una parte di questa pazienza che ha Mons. José, perché mi accorgo che, in questa terra, ce ne vuole tanta. Grazie!
10 settembre 2008
Ritorniamo tutti a Bissau. Stiamo per partire, e suor Rosa fa gli occhi lucidi! Deve essere stata una grande gioia, per queste care sorelle, poter ospitare il Vescovo per tre giorni, assieme a noi italiani. Per lunghi periodi vivono da sole, a volte rimangono anche senza l’Eucaristia domenicale. Posso capire l’emozione di questo saluto: siamo stati ben accolti e ben voluti! Le suore aspettavano da anni un sacerdote fisso a Bigene, e questo sogno sta per realizzarsi.
Il ritorno alla capitale non presenta particolari difficoltà. Rimaniamo sempre attenti alla bellezza di questa terra che attraversiamo. Ci sono tanti scoiattoli che attraversano la strada (non sapevo che questi simpatici animali vivessero anche in Africa!) ed anche alcune scimmie, con il pelo rossastro su tutto il corpo, mani e piedi di color bianco. Vanno tutti in cerca di noccioline: ma mentre gli scoiattoli sono discreti, le scimmie rovinano le piantagioni! E i bambini, a volte, devono rimanere accanto alle piccole coltivazioni di noccioline per allontanare queste scimmie.
Al ritorno a Bissau arriva una grande notizia: oggi Pietro ha deciso di “venire alla luce”! Figlio di mia nipote Giusy di Pordenone, che è figlia di mia sorella Zaira. Sono diventato pro-zio per la undicesima volta: fatemi gli auguri!!!! Grazie!
12 settembre 2008
Sono giorni di lavoro sul progetto della casa per i missionari a Bigene. Un primo progetto era già stato eseguito da Giusi, a Foggia, con il sostegno di Matteo, ex-costruttore. Ora ci lavora anche Marco, ingegnere con un affermato studio a Firenze. Passiamo diverse ore a rielaborare il tutto, con la verifica finale del Vescovo. Poi presentiamo il progetto a Jean Claude, e con lui verifichiamo altri aspetti della costruzione: materiali da impiegare, misure degli spazi. Decidiamo di utilizzare materiali che si trovano in loco, o provenienti dal Senegal. Infissi in legno locale, colori bianco o tonalità calde, e tante altre cose che nemmeno ricordo. Quando sarà fatta, venite a vederla, così vi spiego tutto… (ma quando sarà fatta???).
Mons. José è pienamente soddisfatto del lavoro eseguito, tanto che desidera proporre questo progetto anche per altre future missioni da costruire! Anch’io mi sento molto contento del lavoro che hanno realizzato questi amici: Matteo, Giusi e Marco vi hanno messo tutta la loro esperienza e capacità. Meglio di così non potevano fare! Il costruttore dice di poter consegnare la prima casa (quella per i sacerdoti) entro il mese di giugno del prossimo anno. Lo spero proprio, anche se non ci conto più di tanto: le difficoltà di trasportare il materiale fino a Bigene sono evidenti a tutti. Vedremo! Per ora, aspettiamo da Foggia il mio mandato come missionario, e poi si darà inizio ai lavori. La Provvidenza farà il resto, ne sono convinto!
13 settembre 2008
Riparto per Bigene, assieme a suor Teresa. Non hanno il sacerdote per la domenica e Mons. José mi dice di andare a celebrare. Saluto i carissimi Matteo e Marco che ritornano in Italia: hanno svolto un lavoro preziosissimo e gratuito (meglio: hanno speso di tasca loro per il viaggio e per tutto il necessario…). Il Buon Dio ci donerà di vivere altri giorni così intensi, “costruttivi” e fraterni.
Con la macchina del Vescovo arriviamo al fiume Cacheu, che attraversiamo con il traghetto. Dall’altra parte ci aspetta Keba, l’autista di Bigene, con la macchina delle suore. Il percorso è relativamente tranquillo. Le piogge dei giorni passati hanno lasciato grandi pozzanghere, larghe e profonde. Per un tratto guido anch’io (finalmente!) perché Keba è musulmano e sta facendo il digiuno del “ramadan”, è un po’ stanco. All’improvviso, vedo una cosa molto strana: in fondo alla strada, diritta davanti a me, c’è qualcosa che assomiglia al fumo: sta bruciando la foresta? Poi mi sembra che sia nebbia. Possibile? Nebbia nella foresta??? Keba mi dice che è il temporale africano: inizia lì in fondo. Gli lascio il volante e percorriamo gli ultimi chilometri sotto un diluvio di acqua. Fermarci ed aspettare che passi? Keba preferisce correre, per evitare che il torrente di acqua, sulla strada, diventi un fiume. Mi preoccupo seriamente, ed invoco tutti i Santi del Paradiso nella mia mente. Keba è bravissimo a guidare su queste strade, le conosce a memoria. Le buche profonde non si vedono, ora sono coperte dall’acqua. L’ultimo tratto, la salita prima di Bigene, è il più difficile. Se la macchina si sprofonda qui, possiamo raggiungere la missione a piedi, anche se diluvia. In un paio di passaggi anche Keba comincia a sudare freddo, c’è il rischio di slittare sul fango abbondante. Non vi dico come sto io… Alla fine, arrivando finalmente alla missione, penso che gli Angeli abbiano illuminato anche questo fratello musulmano!
Io mi sto facendo l’idea che la prossima estate, durante le piogge, non mi muoverò da Bigene tanto facilmente. Meglio stare con i piedi per terra, che percorrere queste strade piene di acqua!
14 settembre 2008, festa della Esaltazione della Santa Croce
Oggi è un giorno veramente speciale. Inizio le lodi con le suore, nella loro piccola cappella adiacente alla sala da pranzo, con una continua e piacevole distrazione. Sono nato a Cervarese Santa Croce (Padova): la mia comunità di origine, dove sono stato battezzato da don Angelo Berto e ordinato sacerdote da Mons. Giuseppe Casale, si affida alla particolare intercessione della Santa Croce. E, in questo momento, non riesco a non pensare alle persone di quella comunità cristiana che mi è tanto cara. A don Dino, il parroco dei miei anni giovanili, a don Romano, l’attuale parroco, ai fedeli di allora e di adesso… Mi passano davanti agli occhi i loro volti, ricordo i loro nomi, ripenso alle gioie e anche ai dolori vissuti assieme, prego per mio papà, mia mamma, mio fratello. Le mie lodi diventano un ringraziamento al Signore per questa comunità di Cervarese, che è stata ed è una benedizione del Signore per la mia vita, per la mia missione!
E proprio oggi, festa della Santa Croce, per un disegno imprevedibile, ma che sento provvidenziale, celebro la mia prima Messa da solo, in criuolo, nella mia prossima comunità cristiana di Bigene! Le lodi sono per voi, miei compaesani di Cervarese, oggi in gran festa, e sono sicuro che le vostre preghiere mi accompagneranno in questo giorno, così importante anche per me!
Nel pomeriggio mi preparo presto alla S. Messa, chiedendo alle suore di ascoltare le mie letture in criuolo. Arrivo in chiesa per tempo, e rimango colpito dalla serietà di un giovane che prepara la liturgia con suor Rosa. Si chiama Domingos: sistema tutto con ordine, informando chi svolge il servizio all’altare e chiedendomi alcune indicazioni per la processione di ingresso.
Questa volta il generatore funziona: lo avevamo portato a Bissau per la riparazione. Inizio, quasi con trepidazione, a leggere le parti della S. Messa in criuolo. Poi, un po’ alla volta, prendo coraggio e mi lascio andare: ho come l’impressione che qualche buon Angelo mi suggerisca la lettura giusta… Nell’omelia, molto semplice, parlo in italiano e suor Rosa traduce in criuolo. Alcuni giovani del coro capiscono varie parole italiane, e questo mi dà molta fiducia! La celebrazione scorre bene. Dopo la Comunione benedico alcune immagini della Santa Croce da donare ai fedeli per le loro case. E finisce la benzina del generatore!!! Ancora al buio. È un destino! (O forse è lo zampino di qualche angelo non buono! Penseremo a “sistemare” anche quello!!!). Si fa un po’ di ressa davanti all’altare: tutti, anche i bambini, vogliono il cartoncino con la Croce! Siamo al buio, Signore, ma queste persone cercano la tua luce, quella luce che proviene dalla tua morte in Croce e dalla tua Risurrezione!
Ritornati in casa, suor Rosa fa “la conta” delle offerte raccolte in chiesa. Non ci vuole molto: sono in tutto 400 franchi (60 centesimi di €uro!). Ho capito perché la benzina è finita!!!
Ringrazio ancora tutti gli amici che mi hanno scritto: conservo volentieri le vostre parole piene di comunione, di pace, e anche di una sana fede molto pratica, come quelle di Roberto da Segezia (Foggia): “Ti auguro che gli Angeli Custodi si diano sempre il cambio, per essere pronti a sostenerti”. O quelle di Fausto da Medole (Mantova): “Ho letto solo oggi la seconda puntata della tua avventura. Mi auguro che adesso vada tutto bene... ma per essere sicuro, corro a leggere la terza (non vorrei che, dopo il battesimo, ci sia la prima comunione e la cresima!)”.
Vi saluto tutti con gioia e pace
Pe. Ivo Cavraro, Curia Diocesana, Av. 14 de Novembro, apartado 20
1001 Bissau Codex, GUINE'-BISSAU
Email: ivocav@yahoo.it spedisco questo diario il giorno 20 settembre 2008 via email
DUN DI BOKA I KA TA PIRDI KU KAMIŇU
(proverbio locale: chi è signore della sua bocca non perde il cammino)
(interpretazione: chi sa chiedere arriva alla mèta)
Cari amici, riprendo il mio diario cercando di spiegarvi meglio alcune cose che mi avete chiesto.
Iniziamo con il mio nome: perché Ivo? Mamma e papà mi hanno battezzato con il nome di Ivone: un nome poco usato. Ho conosciuto una sola persona con questo nome. Don Ivone Ragazzo: anche lui sacerdote, salesiano, nativo di Borgoricco (Padova). E adesso? Adesso succede che, nella lingua portoghese, il nome Ivone esiste, ma è solo femminile! Ho già sentito, qui in Guinea-Bissau, parlare di una suora brasiliana: suor Ivone! Come dire: “Un nome, un destino!”. Capito bene questa cosa, che definirei imbarazzante, ho deciso con il mio Vescovo, Mons. Francesco Pio, di accorciare il mio nome e togliermi da ogni possibile confusione. Ivo! In G-B, e nei paesi di lingua portoghese, io sono don Ivo, e così mi firmo adesso. Voi non vi preoccupate: chiamatemi come preferite. Tante persone, negli anni passati, mi hanno chiamato con i nomi più strani: dal “santo” don Orione, al più “agricolo” don Limone! Per non parlare di come mi chiamava quella simpatica signora di S. Ciro (Foggia): don Divone! A sentirsi chiamare così, uno si sente importante, come un grande “divo” del cinema…
Seconda precisazione: la tristezza provocata dalla malaria. Io non sono triste, la tristezza è completamente passata, e non ha nulla a che fare con la depressione (vi sembro depresso?). La tristezza è conseguenza della malaria. Superata la crisi iniziale, che produce febbre alta e altre “cosette”, il corpo rimane debilitato e stanco. C’è la necessità di un adeguato riposo fisico. Ti alzi dal letto e ti senti stanco, non riesci a muoverti con agilità, cammini lento. E questo accade per vari giorni. I dottori vi possono spiegare il perché: io vi dico solo che è una questione di globuli rossi nel sangue. Sembra che siano spariti, e non chiedetemi dove sono andati, perché non lo so! Risultato: sei venuto in Africa con tanto entusiasmo e una piccolissima zanzara, che non hai nemmeno fatto in tempo a vedere, ti ha steso a terra! E stai facendo una gran fatica a rialzarti, sapendo che qualche altra zanzara, sorella della prima, potrebbe ancora girare dalle tue parti… È una questione di stanchezza fisica, che trasforma la gioia umana e cristiana in stanchezza anche sentimentale, in tristezza. Ma quando passa la stanchezza fisica, passa anche la tristezza. Semplice, vero? Ora io mi sento più che bene, totalmente felice e pronto per quello che il Signore mi chiede. La tristezza vissuta è solo un ricordo del passato! Punto esclamativo e a capo!
Il “multimistura”: mi sono dimenticato di scrivere gli elementi costitutivi di questa farina particolarmente nutriente, e prodotta totalmente con elementi naturali che si trovano in G-B: foglie verdi di “mandioca” (un tubero coltivato come una patata), di “batata” (la patata dolce) e di “abóbora” (un tipo di zucca). E poi “caju” (è un frutto africano, che non ho mai visto in Italia), “cabaceira” (il frutto del baobab), “casca de ovo” (il guscio dell’uovo), “sementes” (varie sementi) e “farelo de arroz” (la crusca del riso). Il tutto viene essiccato e triturato fino ad avere una farina scura, che aggiunta ad acqua diventa un nutrimento ricco di vitamine A, B, C, D, E, minerali, ferro, calcio, proteine, potassio, calorie e fibre. Una vera benedizione per tantissimi bambini che soffrono di scarsa alimentazione, e per le mamme in attesa del parto.
4 settembre 2008
Alla sera, durante la cena in Curia, riusciamo a vedere il telegiornale da un canale del Portogallo. E arriva anche un collegamento dall’Italia: sono in fibrillazione, le prime immagini che vedo dall’Italia dopo 40 giorni in Africa. Chissà cosa mi faranno vedere di bello… La delusione è profondissima: sono le immagini dei tifosi del Napoli che vanno alla partita con la Roma. I due sacerdoti angolani, che sanno bene cosa sono i conflitti armati, dopo 30 anni di lotte interne, commentano sottovoce: “È come la guerra”. Una volta l’Italia era chiamata “il bel paese”. Una volta! Tra l’imbarazzo e la vergogna, inizio il discorso sul calcio vero, quello giocato. Il Vicario Generale della diocesi, Padre Domingos Cá, attira l’attenzione di tutti quando afferma che la sua squadra ha vinto! Cari amici, questo è il Vicario più simpatico di tutti (perdonami, don Filippo…): sapete qual è la sua squadra del cuore? Il Chievo Verona!!! Incredibile! (Non vi dico la mia, altrimenti qualcuno non leggerà più il diario…).
5 settembre 2008
Giornata di grande attesa: questa notte arrivano Matteo (mio parrocchiano di Segezia, Foggia) e suo figlio Marco (da Firenze). Conto le ore. Passo la giornata a rispondere alle numerose email ricevute dopo la spedizione del diario 3. Giusi, invece, è già in piena attività nell’ufficio dell’Economato Diocesano.
6 settembre 2008
Ci alziamo all’una di notte. L’aeroporto è vicino. Il volo da Lisbona è previsto all’una e quindici. Imperversa un temporale fortissimo. Forse è questa la causa del ritardo: l’aereo arriva alle 3.30. Per non addormentarmi, cammino avanti e indietro nella sala di attesa. Ho superato pienamente tutte le difficoltà dell’insonnia provocata dalle forti somministrazioni di chinino. Il guaio è che adesso dormirei sempre, anche di giorno! Figuriamoci di notte!!! Finalmente arrivano. Non faccio grandi feste, perché sono davvero addormentato. Ma sono tanto felice: sono i primi amici che vengono a trovarmi! La loro visita è dovuta alla necessità di verificare il progetto per la costruzione della casa dei missionari a Bigene. Ne parleremo più avanti, perché sto morendo dal sonno…
Nella mattinata andiamo alla parrocchia “S. João Baptista” di Brá, guidata dai Padri Francescani Minori della Provincia Veneta. Padre Renato Chiumento è il parroco, nativo di Chiampo (Vicenza). Qui c’è anche il Seminario dei Francescani. Partecipiamo ad un fatto eccezionale, importantissimo per tutta la chiesa della G-B: la professione religiosa solenne di sei giovani guineensi. È la prima volta che tanti giovani dicono assieme il loro sì al Signore, alla Chiesa, a San Francesco di Assisi. Un grande giorno per tutta la Chiesa!
Nel pomeriggio accompagno Matteo e Marco a fare una passeggiata verso il mercato della città. Ma tutte le strade sono un mercato. La gente vive della piccola vendita delle proprie cose raccolte nell’orto, le vende lungo le strade, e poi si compra il riso necessario per la famiglia. Come in tutti i paesi del mondo, nel mercato sperimenti di tutto: colori, odori, volti, sorrisi, speranze, la fatica del vivere. Qui vedi anche la povertà del vivere in questa terra.
7 settembre 2008, domenica del Signore, XXIII domenica ordinaria
Finalmente andiamo a Bigene! Il Vescovo ha organizzato il viaggio, e abbiamo la grande gioia di avere Mons. José che ci accompagna. Con me sono anche Giusi, Matteo e Marco. Il Vescovo vuole presentarmi alla mia prossima comunità cristiana, ed io sono particolarmente gioioso di compiere questo viaggio con questi cari amici italiani. In loro vedo la presenza di voi tutti che leggete: il Vescovo mi presenta, ma accanto a me ci siete anche voi che, in qualche modo, mi offrite ai cristiani di Bigene, per la missione che mi attende.
Il viaggio verso Bigene è sempre incerto. Tre sono i possibili grossi problemi da affrontare: il traghetto sul “rio Cacheu”, che non sempre funziona. Le condizioni della strada tra Ingoré e Bigene: sono 31 chilometri di buche in mezzo alla foresta. Se una macchina o un camion si affossa, a causa delle piogge dei giorni precedenti, non passa più nessuno. E infine le condizioni metereologiche: se arriva un temporale su questo ultimo tragitto, rischia di affossarsi la tua macchina. Per questo, i missionari portano sempre una provvista di acqua. Non puoi sapere per quanto tempo starai fermo sulla strada!
Partiamo alle 7.39. Il percorso è meraviglioso: avvolto dal cielo pulito e dalla terra tutta verdeggiante. Grazie a Dio arriviamo bene, alle 12.30. Cinque ore su un percorso totale di 106 chilometri (comprese le due soste: per il traghetto e dalle suore di Ingoré). Da Ingoré, dove termina la strada asfaltata, percorriamo in due ore i 31 chilometri di buche fino a Bigene. È un tratto duro per la schiena, ma meraviglioso per gli occhi: la foresta è tutta piena di giochi di luce, colori, panorami improvvisi…
All’arrivo a Bigene pranzo con le suore, riposino, e poi tutti in chiesa. La comunità è molto povera, perché è povera la gente di questo paese e dei suoi 35 villaggi che lo circondano. Ma la chiesa c’è, frutto del lavoro dei missionari che di qui sono passati. Non è una chiesa grande, ma è ben tenuta e ordinata (le suore…). Cari amici: sono emozionato. Non mi aspetto nulla di speciale, ma comprendo che è molto importante per la vita di questa comunità ciò che sta per accadere: io sarò il primo missionario a fermarmi stabilmente a Bigene. Quando la comunità potrà crescere, con l’inserimento di famiglie cristiane, si potrà dare inizio ufficiale ad una parrocchia, di cui io potrei essere il primo parroco. Ci vorrà tempo. Per ora è una missione, in attesa che cresca.
Entro in chiesa con il Vescovo: nei primi banchi ci sono i bambini a sinistra, i giovani del coro a destra. Già stanno provando i canti per la Messa, un’ora prima! I bambini sono tutti in silenzio, composti e incuriositi dalla nostra presenza. Ogni tanto si girano indietro a guardare. Io li ammiro ad uno ad uno. Indossano i vestiti della festa, ben lavati. Le bambine hanno le piccole treccine, annodate con fili colorati. Molti di questi bambini non sono cristiani, ma frequentano la chiesa perché vanno alla scuola delle suore. Il coro è di soli giovani. Usano qualche vecchia fotocopia con le parole dei canti, due tamburi e uno strumento strano. È un filo di ferro circolare, nel quale sono inseriti i tappi delle bottiglie di birra. Lo strumento è mosso dalle mani come un tamburello e produce un suono che si abbina perfettamente ai tamburi.
Iniziamo la celebrazione alle 18.30 con un problema: il piccolo generatore di corrente non parte! L’ingresso dei celebranti è accompagnato dalle danze che alcune ragazze eseguono con i vestiti variopinti. Nell’omelia il Vescovo spiega ai fedeli il motivo della nostra presenza. Facciamo appena in tempo ad assistere alla processione dei doni: le ragazze hanno legato alle loro caviglie delle scatole di latta contenenti dei sassolini, per accompagnare con il suono il ritmo della danza, e lanciano sui fedeli dei chicchi di riso, ripetendo il gesto della semina sul terreno.
Poi arriva in pochi istanti il buio: il tramonto quasi non esiste, è brevissimo. Il generatore continua a non partire, e tutta l’assemblea è illuminata dalle piccole candele sull’altare. Tutti rimangono composti nelle loro panche, il coro continua le sue esecuzioni ritmate ed anche i bambini rimangono ai loro posti, senza scomporsi. Sembrano abituati a vivere nel buio, ed è proprio così. Non esiste l’energia elettrica in tutta la G-B (solo in alcune vie del centro della capitale), e muoversi nel buio è normale per tutti, piccoli e grandi. Quando c’è la luna piena, senza nuvole, è una grande comodità, perché tutti possono camminare sulle strade, senza problemi per le numerose buche. Se non c’è la luna, qualcuno usa qualche piccola lampada a batteria. Ma anche le batterie costano, pochi si possono permettere questo lusso.
La celebrazione prosegue al buio come se ci fosse luce piena. Dopo la Comunione, rivolgo qualche parola ai presenti. Non tutti comprendono il portoghese: io parlo in italiano, il Vescovo traduce in criuolo. Mentre ringrazio il Signore e mi affido alla preghiera e all’aiuto della comunità cristiana, per inserirmi come suo futuro pastore, mi accorgo che parlo senza vedere i volti dei presenti. Può sembrare uno scherzo della natura, e non voglio in nessun modo sembrare indelicato verso questi fratelli, ma parlare al buio, a persone con la pelle nera, vuol proprio dire non vedere niente! Non vedo i loro volti, non posso cogliere le emozioni e le espressioni dei loro occhi. Parlo nel buio senza vedere niente… Ma le sento! Sento il loro profondo silenzio, segno di grande attenzione. Sento i loro respiri, le loro attese, le loro speranze. Sono nel buio, ma è come se vedessi la luce nei cuori di queste persone, che da tanto tempo, forse da anni, pregano e chiedono un sacerdote nella loro missione, accanto a loro. In questo buio c’è una luce profonda, vera, che illumina: è la luce della fede.
Termino il mio saluto ed esplodono i tamburi. Non capisco più niente: non vedo e il suono dei tamburi mi fa vibrare tutto il corpo. Questa è la luce di Bigene al buio: uno splendore che ti prende l’anima! Grazie, mio Signore, della luce che tu hai posto nei nostri cuori, e che ci permette di camminare anche nell’oscurità più profonda.
8 settembre 2008
La giornata inizia con le lodi e la S. Messa nella cappellina delle suore. Mentre attendiamo gli altri ospiti della casa, guardo queste tre suore Oblate (Oblate del Sacro Cuore di Gesù; a Foggia le chiamano “le suore bianche” o le suore del “Piccolo Seminario”). Sono sedute sui piccoli sgabelli davanti a me: il velo bianco, i vestiti con i forti colori africani, il viso segnato dall’età e dal lavoro. Suor Rosa Bonuomo è di Deliceto (Foggia), suor Mires e suor Teresa sono del Brasile (stato del Marañhao). Sono qui da 15 anni, organizzano la scuola e l’alimentazione per i bambini denutriti, la catechesi e l’evangelizzazione nei villaggi, le cure degli ammalati.
Ho letto, da qualche parte, che qualcuno vorrebbe organizzare un concorso di bellezza per le suore, una specie di elezione di “miss suora”. Non so se la notizia ha qualche fondamento: mi sembra un pesce d’aprile fuori stagione… A me queste tre suore appaiono bellissime: dentro, nella verità dell’esistenza, per quello che sono e per quello che fanno. Sono così belle dentro che anche i loro volti, pur segnati dalle fatiche quotidiane, presentano una luce particolare: è come se fossero volti di pace, volti di amore. Di quell’amore che si vede in chi è abituato ad amare, senza aspettarsi nulla in cambio. Queste sono tre suore bellissime, mio Signore! Fa’ che, accanto a loro, anche il mio volto diventi volto di pace e di amore!
Al mattino facciamo un sopralluogo sul terreno adiacente alla chiesa, dove si dovrà costruire la casa per i sacerdoti e per i volontari. Il Vescovo ci guida e ci spiega la necessità di costruire, accanto alla scuola e al Centro Nutrizionale, queste due nuove abitazioni. La casa per i sacerdoti: la speranza di tutti, del Vescovo di Bissau e del Vescovo di Foggia, ed anche la mia, è che io non rimanga unico sacerdote in questa missione. Mons. José vuole costruire una casa bella grande, con tutti i servizi necessari e tre camere per i sacerdoti. E accanto, un’altra casa per i volontari, con quattro camere: afferma che dove ci sono i missionari, ci sono sempre tanti amici che arrivano, per brevi o prolungati periodi. Avete letto bene??? No??? Per favore, rileggete con molta attenzione quest’ultimo paragrafo, magari vi riguarda proprio!!!
Per ora il terreno è pieno di erbacce, cresciute con le piogge, e di piccole coltivazioni di noccioline. Vicino alla casa dei sacerdoti e dei volontari è in programma la costruzione della nuova casa per le suore (quella che stanno utilizzando presenta vari inconvenienti per la sovrapposizione di più strutture, con il risultato che è caldissima: chiedete a Matteo le sudate, anche notturne, che si è fatto!). C’è un “piccolissimo” problema in tutti questi bei progetti: la diocesi di Bissau non possiede un solo €uro…
Prima di uscire dalla missione delle suore, viene a farmi visita Alfiçene Camara, il capo dei musulmani di Bigene. Mons. José traduce le parole di questo uomo anziano, che si dimostra molto attento verso di me, invitandomi a vivere con pace e con preghiera la nostra diversa presenza in questo paese. I musulmani sono assai ben disposti verso i cristiani: i bambini frequentano le scuole della missione, i bambini denutriti e le mamme in gravidanza sono assistite dal Centro Nutrizionale. E tutto questo senza alcuna discriminazione religiosa. Qualcuno potrebbe pensare che sono così gentili perché gli conviene. Io vedo una enorme differenza tra i musulmani del Nord Africa e questi fratelli dell’Africa Occidentale. Fossi sacerdote in Egitto, dove si trova l’amico di Segezia don Talaat, penso che non avrei mai avuto questo saluto di benvenuto, così preciso e serio.
Nel pomeriggio decidiamo di fare una sorpresa a suor Augustine: andiamo nella sua missione a Samin, in Senegal. A nord di Bigene c’è una piccola strada, la macchina ci passa appena. Il posto di frontiera è formato da una capanna con un unico giovane soldatino. Fermiamo la macchina mentre lui si avvicina. Noi indaffarati a tirare fuori i passaporti, e lui che, quando riconosce il Vescovo, fa un grande sorriso e ci augura buon viaggio. L’altro posto di frontiera, in Senegal, è completamente vuoto! In pratica, entriamo in Senegal da clandestini, senza nessun controllo o autorizzazione…
Arriviamo alla missione di suor Augustine in tempo in tempo: scoppia il temporale africano! Matteo e Marco rimangono affascinati dalla potenza del temporale. È come un fiume in piena che scende dal cielo! Suor Augustine è felicissima della sorpresa, ed anch’io sono molto felice di visitare questa missione: è la missione più vicina a Bigene, a circa 10 chilometri. Certo, le strade sono quel che sono, e si trova in un altro stato. Ma è la più vicina: in un’ora, con il fuoristrada, ci si arriva!!!
A Bigene, alla sera dopo la cena, nel buio completo, esco con la lampada per guardare il cielo. Sento un coro di bambini che mi chiama: “Padre, Padre…”. Sono i bambini che abitano qui, vicino alla casa delle suore, e che già sanno della mia presenza. Vado verso di loro, ma non li vedo. Loro vedono me, e il coro si fa festoso. Dovrò imparare a convivere con questo buio che contiene luce, gioia, festa, comunione…
9 settembre 2008
Il martedì è giorno di mercato, e si vede! Mentre accompagniamo suor Rosa al Centro Nutrizionale, incontriamo ragazze e donne che stendono sulle stuoie, a terra, i loro prodotti. Più avanti ci sono gli uomini con gli animali da vendere: maialini, caprette, galline. Un forte miscuglio di voci, colori e odori.
Al Centro Nutrizionale c’è già la coda di mamme con i loro piccoli bambini. Mons. José ci spiega la necessità di questi Centri, presenti in tutte le missioni cattoliche. Entriamo a dare uno sguardo all’attività: suor Rosa, su semplici registri, ad un piccolo tavolo, segna con veloci note i dati della crescita dei bambini, dopo che alcuni giovani della comunità cristiana ne hanno misurato il peso e l’altezza. I giovani fanno anche da interpreti, perché non tutti parlano in criuolo, ma usano i linguaggi delle singole etnie. A Bigene, e nei villaggi attorno, ci sono i Balante, i Manjaco, i Mancagna, i Fula e i Mandingo. Viene distribuito il cibo del magazzino, a seconda delle esigenze dei bambini. Il cibo arriva dal magazzino del P.A.M. (Programma di Alimentazione Mondiale), che ha sede a Bissau: riso, olio, miglio, zucchero, soya. Il latte in polvere e le medicine arrivano dalla Caritas Diocesana. Tutto questo, però, non arriva d’estate, quando le strade sono impraticabili! E non ci sono solo i bambini da nutrire: alla prima mamma che porta il suo bambino, e che è in attesa di un altro bambino, suor Rosa chiede che salga sulla bilancia. Con tutti i vestiti addosso, pesa 37 chili!
Giusi rimane con suor Rosa. Con il Vescovo andiamo a incontrare Jean Claude, il costruttore belga che esegue varie opere per la diocesi di Bissau. Passiamo la mattinata a confrontarci su varie problematiche per la costruzione della casa dei missionari: la grandezza delle finestre, l’altezza dei muri, lo spessore delle fondamenta… Matteo e Marco se ne intendono bene. Anche il Vescovo sembra un esperto di costruzioni! Confronta il progetto con altre opere già eseguite, e ci lascia sorpresi per le sue capacità anche in questo campo. Io ascolto… e mi adeguo! Ma le finestre le voglio grandi: aria, ragazzi, qui fa caldo!!!
Nel pomeriggio le suore ci accompagnano a visitare due villaggi della missione. Il primo si chiama Djambam, a 8 chilometri da Bigene sulla strada per Ingoré. I bambini del villaggio ci circondano. Gli uomini e le donne sono pochi, forse sono ancora al lavoro nelle risaie. Raggiungiamo un altro villaggio, a 4 chilometri da Bigene: Bambeia. Qui c’è una grande accoglienza: Albino, il catechista del villaggio, ci presenta a tutte le persone che incontriamo, fino a portarci davanti alla sua bella casa, fatta con mattoni di fango cotti al sole e tetto di paglia (tutto qui!). È felicissimo: avere la visita del Vescovo è un grande avvenimento. Arrivano altre persone, bambini piccoli e grandi; anche qualche anziano viene a salutare il Vescovo. Nell’aria c’è un clima di grande festa. Ritornando a piedi verso la macchina passiamo accanto alla risaia, e il catechista chiede a tutti i contadini di fermarsi per salutare il Vescovo. Il panorama è da lasciarti a bocca aperta: il sole sta scendendo in mezzo alle alte palme, e il terreno è pieno delle piantine di riso, di un colore verde chiaro e intenso.
Poco fuori del villaggio, a circa mezzo chilometro, la macchina si affossa: le piogge del giorno precedente hanno riempito la sabbia della stradina. Non si vede acqua ferma, ma la sabbia, lungo un lato della stradina, è come se fosse fango. Le due ruote di destra si sono sprofondate di 30-40 centimetri. Proviamo a rimuovere la macchina azionando il comando per le quattro ruote motrici, ma si peggiora la situazione: le ruote slittano completamente nel fango, e la macchina si affossa ancor di più. La situazione è poco piacevole: cerchiamo di collocare dei pezzi di legno sotto le ruote, ma è inutile. Mons. José comincia a preoccuparsi: con Marco decide di ritornare a piedi alla missione, per prendere la sua macchina e le corde. Il tramonto è vicino, non c’è tempo da perdere. Comincia ad arrivare qualche persona. Un abitante del villaggio raggiunge il Vescovo con la sua bicicletta e gliela presta, così può essere più rapido. Marco ritorna alla macchina, che si sprofonda sempre più. Arrivano altre persone dal villaggio, ma arriva anche il buio. Ho la mia piccola torcia in borsa e faccio luce ad alcuni uomini che provano a scavare con piccole zappe vicino alle ruote, per estrarre il fango e inserire tronchi d’albero che altri uomini hanno tagliato con il machete. Riproviamo, ma niente! Cominciano a gridare verso il villaggio, e arrivano tutti: giovani, uomini, bambini. C’è una grande confusione attorno alla macchina. Ad un certo punto un uomo grida più forte di tutti, ed ordina come disporci attorno al fuoristrada: alcuni devono spingere da dietro, altri devono spingere di lato. Guardo la scena con grande curiosità: ormai sono una quarantina le persone attorno alla macchina. Poi l’azione: la macchina si sposta come se fosse sollevata dal terreno. Con tutte quelle mani e quei muscoli, se ne potevano spostare anche due!
Ora sono io a gridare, per ringraziare tutti e partire subito, e raggiungere il Vescovo. Facciamo i quattro chilometri il più velocemente possibile: l’ultimo chilometro è il più difficile, pieno di buche e in salita. Il Vescovo deve aver fatto una gran fatica: deve aver trascinato la bicicletta al buio e in mezzo alle buche. Arriviamo alla missione: anche il Vescovo è appena arrivato. Stremato dalla fatica, in un completo bagno di sudore: la sua camicia ne è talmente impregnata che è diventata trasparente. Ci accoglie con un gran sorriso, anche lui felice che tutto si sia risolto nel modo migliore (a eccezione della sua enorme sudata!). E con tutta semplicità mi dice: “Adesso, hai un altro argomento per il tuo diario!”. Signore: donami un poco di pazienza, solo una parte di questa pazienza che ha Mons. José, perché mi accorgo che, in questa terra, ce ne vuole tanta. Grazie!
10 settembre 2008
Ritorniamo tutti a Bissau. Stiamo per partire, e suor Rosa fa gli occhi lucidi! Deve essere stata una grande gioia, per queste care sorelle, poter ospitare il Vescovo per tre giorni, assieme a noi italiani. Per lunghi periodi vivono da sole, a volte rimangono anche senza l’Eucaristia domenicale. Posso capire l’emozione di questo saluto: siamo stati ben accolti e ben voluti! Le suore aspettavano da anni un sacerdote fisso a Bigene, e questo sogno sta per realizzarsi.
Il ritorno alla capitale non presenta particolari difficoltà. Rimaniamo sempre attenti alla bellezza di questa terra che attraversiamo. Ci sono tanti scoiattoli che attraversano la strada (non sapevo che questi simpatici animali vivessero anche in Africa!) ed anche alcune scimmie, con il pelo rossastro su tutto il corpo, mani e piedi di color bianco. Vanno tutti in cerca di noccioline: ma mentre gli scoiattoli sono discreti, le scimmie rovinano le piantagioni! E i bambini, a volte, devono rimanere accanto alle piccole coltivazioni di noccioline per allontanare queste scimmie.
Al ritorno a Bissau arriva una grande notizia: oggi Pietro ha deciso di “venire alla luce”! Figlio di mia nipote Giusy di Pordenone, che è figlia di mia sorella Zaira. Sono diventato pro-zio per la undicesima volta: fatemi gli auguri!!!! Grazie!
12 settembre 2008
Sono giorni di lavoro sul progetto della casa per i missionari a Bigene. Un primo progetto era già stato eseguito da Giusi, a Foggia, con il sostegno di Matteo, ex-costruttore. Ora ci lavora anche Marco, ingegnere con un affermato studio a Firenze. Passiamo diverse ore a rielaborare il tutto, con la verifica finale del Vescovo. Poi presentiamo il progetto a Jean Claude, e con lui verifichiamo altri aspetti della costruzione: materiali da impiegare, misure degli spazi. Decidiamo di utilizzare materiali che si trovano in loco, o provenienti dal Senegal. Infissi in legno locale, colori bianco o tonalità calde, e tante altre cose che nemmeno ricordo. Quando sarà fatta, venite a vederla, così vi spiego tutto… (ma quando sarà fatta???).
Mons. José è pienamente soddisfatto del lavoro eseguito, tanto che desidera proporre questo progetto anche per altre future missioni da costruire! Anch’io mi sento molto contento del lavoro che hanno realizzato questi amici: Matteo, Giusi e Marco vi hanno messo tutta la loro esperienza e capacità. Meglio di così non potevano fare! Il costruttore dice di poter consegnare la prima casa (quella per i sacerdoti) entro il mese di giugno del prossimo anno. Lo spero proprio, anche se non ci conto più di tanto: le difficoltà di trasportare il materiale fino a Bigene sono evidenti a tutti. Vedremo! Per ora, aspettiamo da Foggia il mio mandato come missionario, e poi si darà inizio ai lavori. La Provvidenza farà il resto, ne sono convinto!
13 settembre 2008
Riparto per Bigene, assieme a suor Teresa. Non hanno il sacerdote per la domenica e Mons. José mi dice di andare a celebrare. Saluto i carissimi Matteo e Marco che ritornano in Italia: hanno svolto un lavoro preziosissimo e gratuito (meglio: hanno speso di tasca loro per il viaggio e per tutto il necessario…). Il Buon Dio ci donerà di vivere altri giorni così intensi, “costruttivi” e fraterni.
Con la macchina del Vescovo arriviamo al fiume Cacheu, che attraversiamo con il traghetto. Dall’altra parte ci aspetta Keba, l’autista di Bigene, con la macchina delle suore. Il percorso è relativamente tranquillo. Le piogge dei giorni passati hanno lasciato grandi pozzanghere, larghe e profonde. Per un tratto guido anch’io (finalmente!) perché Keba è musulmano e sta facendo il digiuno del “ramadan”, è un po’ stanco. All’improvviso, vedo una cosa molto strana: in fondo alla strada, diritta davanti a me, c’è qualcosa che assomiglia al fumo: sta bruciando la foresta? Poi mi sembra che sia nebbia. Possibile? Nebbia nella foresta??? Keba mi dice che è il temporale africano: inizia lì in fondo. Gli lascio il volante e percorriamo gli ultimi chilometri sotto un diluvio di acqua. Fermarci ed aspettare che passi? Keba preferisce correre, per evitare che il torrente di acqua, sulla strada, diventi un fiume. Mi preoccupo seriamente, ed invoco tutti i Santi del Paradiso nella mia mente. Keba è bravissimo a guidare su queste strade, le conosce a memoria. Le buche profonde non si vedono, ora sono coperte dall’acqua. L’ultimo tratto, la salita prima di Bigene, è il più difficile. Se la macchina si sprofonda qui, possiamo raggiungere la missione a piedi, anche se diluvia. In un paio di passaggi anche Keba comincia a sudare freddo, c’è il rischio di slittare sul fango abbondante. Non vi dico come sto io… Alla fine, arrivando finalmente alla missione, penso che gli Angeli abbiano illuminato anche questo fratello musulmano!
Io mi sto facendo l’idea che la prossima estate, durante le piogge, non mi muoverò da Bigene tanto facilmente. Meglio stare con i piedi per terra, che percorrere queste strade piene di acqua!
14 settembre 2008, festa della Esaltazione della Santa Croce
Oggi è un giorno veramente speciale. Inizio le lodi con le suore, nella loro piccola cappella adiacente alla sala da pranzo, con una continua e piacevole distrazione. Sono nato a Cervarese Santa Croce (Padova): la mia comunità di origine, dove sono stato battezzato da don Angelo Berto e ordinato sacerdote da Mons. Giuseppe Casale, si affida alla particolare intercessione della Santa Croce. E, in questo momento, non riesco a non pensare alle persone di quella comunità cristiana che mi è tanto cara. A don Dino, il parroco dei miei anni giovanili, a don Romano, l’attuale parroco, ai fedeli di allora e di adesso… Mi passano davanti agli occhi i loro volti, ricordo i loro nomi, ripenso alle gioie e anche ai dolori vissuti assieme, prego per mio papà, mia mamma, mio fratello. Le mie lodi diventano un ringraziamento al Signore per questa comunità di Cervarese, che è stata ed è una benedizione del Signore per la mia vita, per la mia missione!
E proprio oggi, festa della Santa Croce, per un disegno imprevedibile, ma che sento provvidenziale, celebro la mia prima Messa da solo, in criuolo, nella mia prossima comunità cristiana di Bigene! Le lodi sono per voi, miei compaesani di Cervarese, oggi in gran festa, e sono sicuro che le vostre preghiere mi accompagneranno in questo giorno, così importante anche per me!
Nel pomeriggio mi preparo presto alla S. Messa, chiedendo alle suore di ascoltare le mie letture in criuolo. Arrivo in chiesa per tempo, e rimango colpito dalla serietà di un giovane che prepara la liturgia con suor Rosa. Si chiama Domingos: sistema tutto con ordine, informando chi svolge il servizio all’altare e chiedendomi alcune indicazioni per la processione di ingresso.
Questa volta il generatore funziona: lo avevamo portato a Bissau per la riparazione. Inizio, quasi con trepidazione, a leggere le parti della S. Messa in criuolo. Poi, un po’ alla volta, prendo coraggio e mi lascio andare: ho come l’impressione che qualche buon Angelo mi suggerisca la lettura giusta… Nell’omelia, molto semplice, parlo in italiano e suor Rosa traduce in criuolo. Alcuni giovani del coro capiscono varie parole italiane, e questo mi dà molta fiducia! La celebrazione scorre bene. Dopo la Comunione benedico alcune immagini della Santa Croce da donare ai fedeli per le loro case. E finisce la benzina del generatore!!! Ancora al buio. È un destino! (O forse è lo zampino di qualche angelo non buono! Penseremo a “sistemare” anche quello!!!). Si fa un po’ di ressa davanti all’altare: tutti, anche i bambini, vogliono il cartoncino con la Croce! Siamo al buio, Signore, ma queste persone cercano la tua luce, quella luce che proviene dalla tua morte in Croce e dalla tua Risurrezione!
Ritornati in casa, suor Rosa fa “la conta” delle offerte raccolte in chiesa. Non ci vuole molto: sono in tutto 400 franchi (60 centesimi di €uro!). Ho capito perché la benzina è finita!!!
Ringrazio ancora tutti gli amici che mi hanno scritto: conservo volentieri le vostre parole piene di comunione, di pace, e anche di una sana fede molto pratica, come quelle di Roberto da Segezia (Foggia): “Ti auguro che gli Angeli Custodi si diano sempre il cambio, per essere pronti a sostenerti”. O quelle di Fausto da Medole (Mantova): “Ho letto solo oggi la seconda puntata della tua avventura. Mi auguro che adesso vada tutto bene... ma per essere sicuro, corro a leggere la terza (non vorrei che, dopo il battesimo, ci sia la prima comunione e la cresima!)”.
Vi saluto tutti con gioia e pace
Pe. Ivo Cavraro, Curia Diocesana, Av. 14 de Novembro, apartado 20
1001 Bissau Codex, GUINE'-BISSAU
Email: ivocav@yahoo.it spedisco questo diario il giorno 20 settembre 2008 via email
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