La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati

La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati
Il territorio della missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati, a nord della Guinea-Bissau e confinante con il Senegal.

11 aprile 2009

Capitolo 5 - È Natale

Oh admirável noite en que nasceu
do seio de Maria o Redentor!
Em humildade extrema apareceu
quem é do Pai celeste resplendor.

14 dicembre 2008, III domenica di Avvento
Alle 5 del mattino ci siamo tutti. La corriera parte da Segezia in orario, destinazione Fiumicino. Gli amici della parrocchia mi accompagnano all’aeroporto per la partenza definitiva verso l’Africa. Faccio finta di niente: sorrido, scherzo, parlo. Ma sento nel cuore una grandissima sensazione di riconoscenza verso queste 42 persone che non mi lasciano partire da solo. Una gratitudine così grande che non riesco ad esprimerla, perché avverto che l’emozione potrebbe esplodere da un momento all’altro. Il percorso è tranquillo. Mi accorgo che gli sguardi di tutti, verso di me, sono forti e intensi. Come se mi dicessero: “Quando ci rivedremo?”.
Sul grande raccordo anulare di Roma rimaniamo bloccati dal traffico. Strano: avverto questo inconveniente di percorso come un aiuto del Signore. Comincio a scherzare con tutti, affermando che, se perdo l’aereo, con quale faccia mi ripresento a Segezia, dopo tutti i calorosi saluti che ci siamo dati fino alla sera precedente??? La tensione degli animi diminuisce. Arriviamo a Fiumicino in orario, verso mezzogiorno. Quando mi presento al check-in la giovane signorina si spaventa: “Partite tutti assieme?” Anna risponde candidamente: “No, parte solo il nostro parroco!”. Bisogna dare spiegazioni: non riesce a comprendere perché tante persone accompagnano un solo partente…
E come si può spiegare? Dovrei dire che i 15 anni passati nella parrocchia Immacolata di Fatima in Segezia (Foggia) sono stati anni di piena comunione, di condivisione, di sostegno reciproco, di grande carità, di evangelizzazione. Di grande amicizia. Come spiegare tutto questo alla signorina, che rimane con due occhi sbalorditi davanti a tanta partecipazione?
Le dico solo che vado missionario in Guinea-Bissau per 12 anni (il tempo massimo previsto dalla convenzione tra le due diocesi di Foggia-Bovino e Bissau), e che questi amici mi vogliono salutare qui, prima di lasciare l’Italia. Con grande mia gioia, dopo l’esperienza negativa di fine luglio, accade quello che tutti vorrebbero vedere in queste circostanze. La signorina non guarda nemmeno il peso della valigia, anzi ci attacca una splendida scritta adesiva: “priority”! E fa tutto in grande velocità e destrezza: così libera lo spazio in pochi istanti, e tutti la lasciamo tranquilla di continuare il suo lavoro. Avete capito come fare per partire senza problemi? Fatevi accompagnare da una corriera di amici!!!
Poi l’ultimo saluto. Ma permettetemi la libertà di non descriverlo: come è stato, lo sanno bene coloro che mi hanno accompagnato. Vi posso solo dire che… “è stato bello, è stato tanto bello”!

15 dicembre 2008
Il volo della TAP arriva con leggero ritardo all’aeroporto di Bissau. Sono circa le due della notte.
Esco per ultimo dall’aereo. Ricordo bene la sensazione che ho provato quando sono arrivato a fine luglio: “Mi sento per un attimo mancare il respiro: l’aria è così calda, pur in piena notte, da toglierti l’ossigeno nei polmoni”. Così ho scritto all’inizio del mio diario.
Ho un momento di preoccupazione: come reagiranno i miei polmoni?
Già, i polmoni! Devo ripercorrere velocemente questi due ultimi mesi passati in Italia. Sono arrivato la sera del 4 ottobre all’aeroporto di Foggia, letteralmente sommerso dagli amici di Segezia (sempre loro!!!) che sono venuti a salutarmi in massa.
Per una settimana sono stato benissimo. Poi è iniziata una febbre strana, senza altri sintomi. Qualche pastiglia consigliata dagli amici, e tutto sembra passare. Dopo alcuni giorni ritorna la febbre. Claudio, che passa a salutarmi, chiede consiglio a Tonio, più esperto di febbri “africane”. Decidono per un controllo in ospedale a Foggia. Sarà un ritorno di malaria? Le analisi evidenziano una situazione che definirei di grande confusione: sembra che i polmoni e il fegato non presentino particolari disturbi, nessun dolore nel mio corpo che giustifichi la febbre, solo alcuni valori del sangue sono alterati, ma non è chiaro il motivo. Ritornare tra 15 giorni per un altro controllo.
La febbre rimane. Telefoniamo a Negrar (Verona) al reparto di malattie tropicali. Il dottor Monteiro (originario della G-B) mi consiglia un ricovero immediato. Il chinino, preso in abbondanza ad agosto, potrebbe aver alterato alcune analisi. Ma il 25 ottobre c’è il mandato missionario per Giusi e per me, e il 26 ho il saluto ufficiale alla parrocchia, prima dell’ingresso del nuovo parroco. Decido di ricoverarmi all’ospedale di Negrar il 27 ottobre.
Sono giorni in cui ho la sensazione di perdere tempo: devo fare le consegne canoniche della parrocchia, ma la febbre mi costringe a rimandare queste operazioni.
Il 25 c’è la Veglia Missionaria Diocesana nella chiesa di S. Paolo, gremita di fedeli. Il Vescovo, mons. Francesco Pio, esprime tutta la sua partecipazione piena di fede e di entusiasmo in questo passo che la Diocesi di Foggia-Bovino sta compiendo, inviando i suoi due primi missionari in questa nuova missione nella Diocesi di Bissau. La partecipazione di tanti fedeli e amici trasmette forza e coraggio: nonostante la febbre che sale e scende lasciandomi sempre più debole, mi sento forte della grazia del Signore e di tanti amici che mi trasmettono tanta forza d'animo.
Il giorno seguente, la domenica 26 ottobre, celebro l’ultima S. Messa come parroco a Segezia. La partecipazione è corale, ordinata, piena di fede e di condivisione con il mio mandato missionario. Il clima del distacco rimane molto sereno, anche perché il nuovo parroco sarà don Guido Castelli, carissimo amico da tanti anni, già conosciuto e bene accolto in parrocchia durante le mie prolungate assenze per prepararmi alla missione.
Dopo il meraviglioso pranzo organizzato in parrocchia, parto per Vicenza con i miei familiari giunti dal Veneto per l’occasione. Sarà che mi vedono con il volto stanco di chi ha la febbre da troppi giorni, sarà che ci vogliamo tanto bene… sarà per questo che scappano le lacrime su tanti volti. “Zio, chiudi gli occhi” mi dice mia nipote Patrizia. Ma anche lei, che non conosce la comunità di Segezia, ha vissuto in poche ore una comunione così forte da rimanerne coinvolta, e mi dice di non guardare chi è commosso, per non lasciarmi coinvolgere, ma lei stessa ha gli occhi lucidi di commozione.
Ospedale di Negrar. Le provano tutte. Ma i giorni passano e la febbre rimane. Devo affermare, con assoluta convinzione, che i dottori del reparto di malattie tropicali dimostrano impegno e attenzione grandissimi, e non solo nei miei confronti. Penso che tutto questo ospedale, fondato e guidato dai Padri di don Calabria (una delle tante figure di santità della Chiesa veronese) sia una grande opera a servizio reale degli ammalati e dei sofferenti.
Inizia una terapia contro il tifo, escludendo altre cause che possano provocare la febbre. Poi i controlli si intensificano sul cuore, sul fegato. Niente, non si trova la ragione della febbre. Mi fanno la T.A.C. con il contrasto: macchia ad un polmone e due ghiandole linfatiche infiammate. Necessità di una biopsia per verificare la natura dell’infiammazione. Il primario inizia una terapia contro la polmonite: potrebbe essere questa a provocare la febbre? Un esperto ematologo, chiamato dall’ospedale di Borgo Trento, mi propone di fare un prelievo al midollo osseo, per verificare se la causa è a quel livello. Passo un paio di giorni con una bella preoccupazione. Signore: se mi vuoi missionario, vedi cosa devi fare!!! Gli amici di Segezia organizzano una giornata intera di Adorazione Eucaristica per me, compresa la notte. I frutti di tanta preghiera arrivano immediatamente! Dopo tre giorni la febbre scompare.
Tutti contenti: Annalisa e Patrizia, mie nipoti, portano torta e spumante in reparto. “Lo zio ha la polmonite, alleluia!!!”. Che strano! Tutti allegri perché ho la polmonite… Certo, vi era una seria preoccupazione che fosse qualcosa di ben peggiore, ma brindare perché uno ha la polmonite, non l’ho mai sentito dire!!!
E così è stato. Una bella polmonite, ben nascosta, senza sintomi, senza dolori, senza tosse. Solo la febbre. Dalle analisi del midollo tutto risulta in ordine. Oltre la polmonite mi trovo con degli ospiti nascosti nell’intestino: sono dei piccolissimi parassiti di nome “giardia”. Nulla di grave, però occorre sgomberare gli sgraditi ospiti. Ma non potevano cercare casa da qualche altra parte dell’Africa??? È così grande questo continente!!!
Concludo la terapia e mi fermo a Vicenza per la convalescenza. Trovo il tempo anche per celebrare il mio mandato missionario e la Giornata del Ringraziamento a Cervarese S. Croce (Padova), il mio paese di nascita.
Giorno dopo giorno riprendo il fiato. Il clima è freddo, e non mi aiuta. Riesco anche a osservare la neve che scende: chissà quando la rivedrò… Alla sera respiro con qualche difficoltà. Devo ritornare in ospedale per altri due controlli, e così, purtroppo, non posso essere presente all’ingresso in parrocchia di don Guido, il nuovo parroco.
Solo da una settimana respiro senza alcun problema. I dottori mi avevano detto che a metà dicembre potevo partire per l’Africa. Avevano calcolato bene i giorni necessari alla mia ripresa. Ma adesso, come sarà l’impatto con l’aria di Bissau? Come reagiranno i miei polmoni???
Esco dall’aereo quasi timoroso… Grazie Signore!!! Respiro benissimo, l’aria è pura, non avverto nessun disagio, anzi respiro meglio dei giorni passati. La temperatura è sui 24 gradi, senza umidità. Alzo lo sguardo verso il cielo. L’aria è così pulita che le stelle sembrano più vicine.
Giusi e Pe. Giancarlo mi aspettano con immensa gioia e armati di bombolette spray contro le zanzare: vogliono che io stia bene, non sia mai che mi riprenda la malaria!!!

16 dicembre 2008
Esco dalla mia stanza che il sole è già alto. Nel parcheggio della Curia c’è una macchina nuova… Ma non la guardo. Oggi mi dedico solo a riordinare la mia stanza e la mia valigia. E ad un bellissimo incontro con mons. José Câmnate, vescovo di Bissau. Gli racconto del tempo trascorso in Italia, un tempo con tanta “febbre”, ma anche con tanta fede e amicizia di tante persone!

17 dicembre 2008
Sono costretto a guardare la Toyota nuova, modello hilux. È proprio bella, color grigio chiaro. Sei posti, quattro ruote motrici, abbondante spazio per il carico.
Passo la giornata nei vari uffici per completare i documenti necessari: l’assicurazione, la carta di circolazione e di proprietà. Il fuoristrada è intestato alla Diocesi di Bissau. L’utilizzo è per la missione di Bigene: quindi la uso io. E il pagamento? Da molti di voi che leggete! Ho ricevuto tante offerte, molte inattese, da parte di tanti amici. Così sono riuscito a pagare completamente la macchina, e mi sono anche avanzate per iniziare a pagare la casa che si deve costruire a Bigene.

18 dicembre 2008
Pe. Giancarlo, l’economo della diocesi, è irremovibile: bisogna “benedire” la macchina con il gelato! Riesco a trovare una specie di torta-gelato, molto bella nell’immagine stampata sull’involucro… dal contenuto incerto nel suo interno!!! Ma prima del pranzo con sembianza di gelato finale, pretendo la benedizione vera! È il Vescovo a benedire la macchina nuova che userò sulle strade di Bigene: sono contento, e metto anche il nome alla macchina. Nessuno si offenda se non la chiamo come vorreste voi: io ho deciso di chiamarla “segezia”. Mi piace questo nome, e posso dire a tutti che l’ha comprata proprio Segezia, per la missione a Bigene! Siete d’accordo?

19 dicembre 2008
Con il Vescovo e con Giusi, incontriamo Jean Claude, l’imprenditore di origine belga che ha l’incarico della costruzione della casa per i sacerdoti e per i volontari a Bigene.
Ora che sono arrivato in G-B, e che tutto sembra andare bene (i polmoni sono ben ossigenati: funzionano che è una meraviglia!), si può partire per la costruzione. Definiamo alcuni particolari, quali la esatta collocazione delle due abitazioni nel terreno della missione.
Perché due case? È il Vescovo a volere questa soluzione: una casa con tre ampie camere e uno studio per i sacerdoti (nella speranza futura che io sia affiancato da un altro missionario) e un’altra casa, collegata alla prima ma indipendente, per i volontari che verranno a Bigene (con quattro ampie camere). Insomma: costruiamo spazi adeguati a ricevere amici… qualcuno cominci a farci un pensierino!
Per adesso, mi devo limitare ad accogliere solo le offerte che, eccetto indicazione diversa, serviranno per la costruzione della prima casa (quella per i sacerdoti). Ma poi, sarò ben felice di accogliere amici e volontari che potranno passare per questa terra, povera di risorse, ma ricca di umanità.
20 dicembre 2008
È arrivato il momento: lascio la Curia di Bissau e mi dirigo a Bigene, la mia missione. Mi metto in viaggio da solo, con segezia. La strada la conosco, e gli amici mi hanno anche disegnato l’itinerario. E segezia si fa guidare molto bene. Parto a mezzogiorno, senza fretta. Il traghetto sul rio Cacheu è fermo: pausa pranzo. Due ore di attesa sotto un bel sole “invernale” di 26-27 gradi. Dopo Ingoré iniziano i trenta chilometri di strada non asfaltata. È più esatto affermare trenta chilometri di buche!
Questo è il momento della verifica: me la prendo con molta calma. Subito un giovane studente mi chiede la “boleia”: un passaggio. Sono felice di farlo salire sul portacarico, come si usa fare con tutte le macchine dei missionari. Scende a Barro, il villaggio più grande tra Ingoré e Bigene, a metà strada tra i due paesi: 15 chilometri che avrebbe fatto a piedi! Poi la “boleia” la chiedono un gruppo di donne con bambini: i due più piccoli hanno pochi mesi. Anche loro si fanno una decina di chilometri con segezia.
Passando tra le “tabanghe” (i villaggi) tutti mi salutano, soprattutto i piccoli. Vicino ad un campetto da calcio, un gruppo di bambini mi insegue. Mi fermo e li aspetto per salutarli. Il loro capo, sui 9-10 anni, mi chiede se ho una “bola”: una palla per giocare a calcio. Che peccato: non ho con me il pallone che Celeste e Giusi Morra, al loro matrimonio, hanno portato all’offertorio per donarlo ai bambini di Bigene. Sarebbe stata l’occasione giusta… Ma avrò molte altre opportunità: nelle “tabanghe” con capanne di argilla e paglia, appena fuori dalle abitazioni, c’è sempre il campetto da calcio. Lo riconosci subito, dalla polvere che si alza prodotta dai piedi nudi dei giovani giocatori. È lo sport più praticato, anche dalle ragazze. Lo puoi giocare anche senza scarpe, sulla terra battuta. Ma una cosa ci vuole, per forza: il pallone!
Arrivo a Bigene: Bemvindo mi vede e corre verso di me, con le braccia tese di chi aspetta con gioia. Bemvindo. Significa “benvenuto”. Bemvindo è il primo amico che mi sono fatto a Bigene. Lui abita vicino alla casa delle suore. Quando mi vede vicino al cancello di ingresso, viene subito da me e chiama tutti i suoi amici: N’Leimba, Filipe, Windjaba, Kudun, Moises, Judite e Djuma. Facciamo grandi discorsi in tutte le lingue perché, alla sua età, Bemvindo è natura pura, piena comunicazione fatta di sguardi, di sorrisi, di strette di mano… Veramente, lui mi prende un dito della mano, e non lo lascia più! E per guardarlo diritto negli occhi, mi devo sedere a terra: Bemvindo ha 4-5 anni, e i suoi amici sono appena più grandi. Vi assicuro che mi fa un grande piacere sentirmi chiamare “Padre” da un piccolo bambino che si chiama Benvenuto!
Poi le suore Oblate mi fanno grande festa, dopo le preoccupazioni che hanno provato per la mia salute. Suor Rosa, per il mio arrivo, vuole fare una pizza speciale. Mentre impasta la farina, vuole sapere tutto quello che mi è capitato, perché sono arrivate delle notizie non sempre precise sul mio stato fisico. Allora inizio a raccontare tutto quello che ho già descritto sopra. Lei mette le pizze nel forno rudimentale, costruito con un bidone del petrolio, più o meno come fanno i rom nei loro accampamenti.
Io parlo, parlo… Suor Rosa ascolta, ascolta… Il fuoco arde, arde… e le pizze si bruciano!!! Che guaione! Ma siamo tutti contenti di ritrovarci assieme, e la cena inizia lo stesso con la parte di pizza che non si è bruciata, tutta bella profumata di fumo. Poi suor Rosa tenta di recuperare la brutta figura, e dalla magra dispensa tira fuori una scatola di vino rosso: “monte do vaqueiro”. È un vino non definibile, composto da una indefinita mistura di vini europei, che in qualche modo è arrivato dal Portogallo. Ha un vago aroma di vino: niente a che vedere con il “rosso dei diavoli” prodotto a Segezia dal carissimo Tonino Russo. Ma basta per brindare: la cosa importante, è che sono finalmente arrivato a Bigene. Amen e così sia!!!

21 dicembre 2008, IV domenica di Avvento
Celebro la S. Messa nella chiesa della missione. Suor Rosa traduce in lingua crioulo l’omelia che faccio in italiano. I fedeli sono tutti attenti… forse vogliono imparare l’italiano! Sono contento e felice: il Natale si avvicina.
Dopo pranzo parto per Farim: altri 40 chilometri di buche. Ci metto poco più di due ore. Ci vuole pazienza a viaggiare su questi percorsi. Ma io non ho fretta, attento ad evitare le buche o a prenderle nel giusto verso. A volte sbaglio, e allora metto la retromarcia e provo in un altro verso a superare gli ostacoli. Con pazienza. Bisogna averne tanta. E se non ce l’hai, la devi trovare!
Arrivo in serata a Farim, nella casa dei missionari Oblati di Maria Immacolata (OMI) che da alcuni anni hanno la cura pastorale di Bigene. Sarà la mia casa di riferimento, in attesa della costruzione della casa a Bigene. Padre Carlo e Padre Roberto mi stavano aspettando: saranno i miei amici di missione, con i quali cercherò di imparare contenuti e metodi della pastorale in questa terra.

22 dicembre 2008
Giornata tipo nella casa di Farim: 7.15 lodi e S. Messa in chiesa. Sono presenti anche le tre suore di “S. José de Cluny” e due seminaristi diocesani, ora in vacanza per il Natale. 13.00 pranzo con menù tipico di questa terra: riso in bianco, una tazza di condimento per il riso (non chiedetemi di cosa è composto…), un poco di pesce o di pollo, una mela (ma questa è una eccezione, arrivata dal Senegal). 19.00: rosario e vespri in chiesa. Poi la cena.
La cena di queste sere è eccezionale, perché sono presenti una decina di volontari del gruppo missionario della parrocchia di S. Giuseppe dei Morenti (si chiama proprio così) di Milano. Loro escono al mattino e si recano a Mansabà, dove stanno costruendo la chiesa. Rientrano alla sera e preparano la cena con il cibo che si sono portati nelle valigie o nel container che li ha preceduti. Pensate che sbucano ravioli in brodo con formaggio grana, mortadella e salame! Averne di ospiti così... Rimango ammirato da loro: sono organizzatissimi e pensano a tutto. È dal 1987 che vengono in G-B, durante il tempo di Natale, per la realizzazione di progetti che sviluppano durante tutto l’anno. E ti costruiscono una chiesa esagonale di 24 metri di diametro!

23 dicembre 2008
Con P. Roberto andiamo a Bigene, nel pomeriggio. La segezia funziona a meraviglia, anche se i 40 chilometri di buche stancano. Poco più di due ore e arriviamo. Alle suore Oblate non sembra vero di poter avere due sacerdoti per il Natale. Ci prepariamo al grande evento: Gesù viene. Anche qui, in questo luogo così lontano e disperso, il Figlio di Dio porta salvezza per questo giovane popolo.

24 dicembre 2008
Giorno di grande attesa. La preghiera si intensifica. Ripenso alle vigilie passate nelle varie comunità dove ho prestato il mio servizio. Da seminarista a Cervarese S. Croce e a Borgoricco San Leonardo (Padova). Da parroco a Massa della Lucania (Salerno), Segezia e S. Ciro (Foggia). Tanti volti, tanti ricordi, che ora diventano offerta al Signore: vieni, Salvatore del mondo, a illuminare ancora, in questa notte Santa, tutti i fratelli e le sorelle che ti hanno atteso, con me, in tutti questi anni della mia vita.
La celebrazione è alle ore 21.00. Ma prima i bambini di Bigene fanno la loro sacra rappresentazione. Ci rechiamo in chiesa alle 19.00: e subito iniziano le gradite sorprese! La strada principale di Bigene è illuminata, ed anche i piccoli negozietti, con le loro povere mensole per la vendita di poche cose, hanno la loro lampada accesa. Dopo le elezioni del mese scorso, che si sono svolte con regolarità, un politico del posto è riuscito a riattivare il vecchio generatore del paese, che tutte le sere, per alcune ore, porta energia elettrica alle piccole lampadine. La luce non è tanta: noi diremmo che è molto scarsa! Ma qui è già una impresa grande, e si può camminare senza usare la torcia a pile. Speriamo che questa illuminazione, che ben si associa con le luci del Natale, possa durare!
Entro in chiesa, e lo sguardo va subito a finire sul presepe: meraviglioso! Le capanne fatte a mano con legno e paglia, proprio come le abitazioni delle tabanghe, la terra rossa tra le capanne (non si usa il muschio, da queste parti, e nemmeno la finta neve, ovviamente!). E le statue di legno, incise a mano. Sono poche, di misure diverse e sproporzionate, ma mi lasciano un senso di profonda ammirazione. Gesù sta per nascere anche in questo popolo, così diverso dalla mia storia e dalla mia razza, eppure anche qui è atteso, in questa piccola comunità.
Inizia la rappresentazione del Natale fatta dai bambini. Ci sono tutti i personaggi dei Vangeli, dagli angeli ai pastori, ma mi colpisce la bambina che rappresenta Maria. È una bambina cresciuta bene: è più alta di tutti gli altri bambini di almeno venti centimetri!
Mi viene da sorridere a guardarla: ma poi penso che è proprio così. Maria è veramente la più grande di tutti! Bravi questi ragazzi, sono contento che sappiano fare così bene questa rappresentazione.
Poi inizia la celebrazione. Lascio che sia Pe. Roberto a presiedere la liturgia eucaristica. La chiesa si riempie, nonostante l’orario impegnativo: non ci sono i fedeli, o i simpatizzanti della fede cristiana, provenienti dalle tabanghe. Troppo difficile arrivare e tornare a casa con il buio. E proprio il buio crea una piacevole sensazione. Il generatore della chiesa funziona (finalmente!) e la sala è ben illuminata. Dalla strada, in penombra, continuano ad entrare persone per partecipare alla cerimonia. È come se entrassero nella luce, la luce di Gesù Bambino, la luce della Chiesa Cattolica.
Siamo tutti così presi dall’inizio della celebrazione, che ci dimentichiamo la cosa più importante: non abbiamo portato la statua di Gesù Bambino! Suor Rosa me la mette in mano quando sono all’altare, io la passo a Pe. Roberto, perché la riponga lui nel luogo predisposto. Ma mi fa segno che devo farlo io! In un attimo mi sale la pressione: tocca a me!!! Per tanti anni ho scelto i bambini più piccoli, e che mi sembravano più meritevoli, per portare la statua di Gesù Bambino all’altare. Tocca a me: forse sono davvero il più piccolo in questa comunità, perché sono arrivato da pochissimi giorni. Tocca a me. Non sono certamente il più meritevole: caro Gesù Bambino, rendimi Tu degno della missione che la Chiesa mi affida!

25 dicembre 2008, Natale del Signore
Alle 8.00 del mattino i bambini sono già in chiesa. C’è la liturgia natalizia per loro, con canti, preghiere e ascolto della Parola. Il clima è di una grande gioia. Gli adulti aspettano fuori. Bemvindo è vestito a festa, con i pantaloncini azzurri che sembrano stirati e la camicetta rossa. Il colore della pelle e le scarpette da ginnastica blu rendono questo bambino ancor più bello. Per non parlare delle bambine: alcune hanno le treccine fermate da conchiglie colorate e il vestitino rosa. I colori intensi sono rafforzati dalla pelle nera: sembra quasi che questi bambini siano più belli dei bambini italiani. I bambini sono tutti belli, tutti i bambini del mondo sono un dono del Signore, e proprio oggi li guardiamo pensando al Bambino di Betlemme. Ma i bambini africani sembrano più belli!
Alle 9.30 entrano gli adulti. Presiedo l’Eucaristia, con suor Rosa che traduce l’omelia nella lingua locale. La chiesa è gremita in tutti gli angoli, e varie decine di persone sono fuori: non c’è più posto! Mi ero preparato a questo Natale con un Avvento di grande attesa, di rinunce, di distacco dal “mio” mondo, dai miei familiari e amici, di speranza verso la missione che inizia. Ed eccomi: Gesù si dona e chiede di essere donato. Sono qui per accoglierlo con questi nuovi fratelli, e per donarlo al popolo di Bigene e delle sue 39 tabanghe.
Al termine della celebrazione desidero salutare i presenti che sono venuti a piedi, anche da lontano, provenienti da diversi villaggi. Inizia come una gara sul villaggio che è più presente o più lontano dalla chiesa. Gli applausi sono fragorosi per i villaggi di Tabajan, di Bambea, di Jambam… le suore chiamano i villaggi, le mani si alzano, gli applausi si rafforzano. Alla fine chiedo io chi viene dal villaggio del Brasile! Le tre suore alzano le loro mani, e tutti ad applaudire. Hanno lavorato tanto, per tanti anni, e meritano questo lungo applauso. Poi, sono le suore brasiliane a chiedere chi proviene dal villaggio dell’Italia!!! Suor Rosa (che, ricordo, è di Deliceto) ed io, alziamo le nostre mani, e non si capisce più nulla, come uno stadio che esulta per il gol della propria squadra che dà la vittoria all’ultimo minuto.
Forse abbiamo esagerato: siamo sempre in chiesa, luogo di preghiera, di meditazione, di ascolto. Ma per questa volta, caro Gesù, sono sicuro che sei in festa anche Tu: la Chiesa di Foggia-Bovino è qui, in questo angolo dell’Africa Occidentale, accolta con tanta festosità da questi poveri che cercano la Tua Luce di Salvatore.

Buon Natale a tutti, carissimi amici e familiari. Buon Natale. I miei polmoni respirano benissimo, e prego per tutti voi, davanti a Gesù Bambino: perché anche ognuno di voi possa respirare bene l’aria nuova che ci dona il Salvatore. Buon Natale. Vi penso.

Pe. Ivo Cavraro, Curia Diocesana, Av. 14 de Novembro, apartado 20
1001 Bissau Codex, GUINE'-BISSAU
Email: ivocav@yahoo.it spedisco questo diario il giorno 29 dicembre 2008 via email

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