Bigene, 15 ottobre 2013
Domani a Bigene i musulmani celebrano la festa del “tabaskin”: la festa che ricorda il sacrificio ordinato da Dio ad Abramo per metterlo alla prova. Abramo doveva immolare il figlio Isacco, ma all’ultimo momento un angelo del Signore lo ha fermato. L’episodio, che è raccontato nella Bibbia, è importantissimo per i nostri fratelli musulmani, che in questa festa vogliono dimostrare la loro fede e la loro totale sottomissione a Dio. E dopo una solenne preghiera che faranno tutti assieme, dentro e fuori della moschea, mangeranno carne dei loro animali, preparati per l’occasione. Al poveretto del capovillaggio di Indaià gli è morta la capra da qualche giorno. Una festa senza la capra da mangiare non è festa: anche il fedele Abramo si è mangiato la capra dopo la dimostrazione della sua fedeltà a Dio! Allora ha pensato bene di chiedere soccorso al capovillaggio di Bigene, che tutti sanno essere mio amico, e che questa mattina è venuto a raccontarmi il guaio che è accaduto al suo amico di Indaià. Va bene, aiutiamo i musulmani a mangiare la capra! Ho fatto il mio dovere di solidarietà, e per la contentezza il capovillaggio mi ha invitato alla loro preghiera dentro la moschea. Mi ha detto che conserverà un angolo tutto per me. Bella questa! Dir di no, come facevo? Gli ho detto di sì, e quello mi ha sorriso con tanta soddisfazione. E adesso che gli ho detto di sì??? Io non sono mai entrato in una moschea durante la loro preghiera. Per tanti motivi, soprattutto per rispetto alle persone che pregano mentre io non capisco una parola di quello che dicono. Sono felice di fare questa nuova esperienza, che permetterà una ulteriore crescita nei nostri rapporti di fraternità e amicizia. Ma non mi è ancora chiaro come mi devo comportare, cosa devo o non devo fare… loro pregheranno secondo le loro modalità di fede musulmana e io pregherò nel mio cuore. Così dovrebbe andar bene. Però, finita la preghiera, non chiedetemi anche di andare a mangiare la "mia" capra: non me la sento proprio…. Domani vi racconto: vediamo cosa mi succede!
Bigene, 16 ottobre 2013
Eccomi tutto pronto per andare a vedere e ascoltare la preghiera dei miei fratelli musulmani di Bigene. Arrivo davanti alla moschea per primo, alle 9.30. Mi aspettavo movimento di persone e invece c’è una calma incredibile, quasi silenzio. Qualcuno si stupisce della mia presenza davanti alla moschea, ancora chiusa, e mi viene a chiedere se ho bisogno di qualcosa. Alla mia spiegazione che il capovillaggio mi ha invitato alla preghiera scatta come una molla: tre giovani vengono chiamati, da luoghi differenti, per essere mandati a casa di Alfonsene. Questo è il suo nome. Dopo un minuto arrivano due sedie: una per me e una per chi mi deve fare compagnia. Così ci sediamo sotto l’albero accanto alla moschea, e in pochi minuti passano a sedervi varie persone che vengono a salutarmi e ringraziano dei miei auguri per la loro festa. Ho il tempo per vedere vari ragazzi che stanno pulendo un ampio spazio sotto il baobab, dall’altra parte della moschea: intuisco che deve succedere qualcosa in quello spazio.
Dopo alcuni minuti arriva di corsa un signore che non conosco, vestito in modo non usuale, con un turbante di stoffa color oro in testa, un copri corpo nero e le scarpe bianche. Sembra quasi una bandiera! Viene diretto verso di me e viene a scusarsi perché non ha ancora fatto il richiamo alla gente che deve venire a pregare. L’ho scambiato per il nostro sacrestano…. E invece è lui che guiderà la preghiera! Non oso dire che è l’imam di Bigene, mi sembra una parola grossa per questa simpatica persona, che poi mi verrà presentata come il “padre” dei musulmani. Sì, avete capito bene: i “miei” musulmani di Bigene copiano i termini della chiesa cattolica, e chi guida la loro preghiera è chiamato “padre”. Come me. Mi viene da sorridere… troppo belli! Ma aspetta! Mi rendo conto che cominciano ad arrivare di corsa altri fedeli della moschea e qualcuno chiede di fare presto perché il “padre della chiesa” sta già aspettando. Insomma: come se fosse la mia presenza a richiamare i musulmani alla preghiera.
Mentre il “padre musulmano” richiama i suoi fedeli alla preghiera con l’altoparlante e le sue melodie incomprensibili per me, sotto il baobab si cominciano a stendere delle stuoie di plastica e dei tappeti. La preghiera non si svolge dentro la moschea, un edificio nuovo, finanziato dalla comunità musulmana dello Yemen. Lo spazio è insufficiente per raccogliere tutte le persone che arrivano con gli abiti della festa. Molti uomini adulti e anziani, vari giovani, tanti bambini e poche donne. Immagino che le donne siano poche perché impegnate nei preparativi per le famose capre!
In pochi minuti è tutto pronto, e Alfonsene manda un suo aiutante a dirmi dove mi posso accomodare, vicino al luogo della preghiera e all’ombra di una piccola casa.
Cari amici: inizia uno spettacolo di umanità. Saranno in trecento persone che immediatamente si mettono in silenzio quando Alfonsene, al centro e davanti a tutti, ricorda le regole che i musulmani devono seguire per uccidere gli animali che oggi saranno mangiati. Alfonsene è un uomo di età avanzata, magrissimo, con un filo di voce. Ma tutti lo ascoltano con attenzione. Al termine di questi avvisi del capovillaggio inizia la preghiera guidata dalla loro guida, il cosiddetto padre dei musulmani. La preghiera si svolge in lingua araba, intercalata da gesti precisi del corpo che tutta l’assemblea ripete. Sono attratto dalla partecipazione di questa preghiera: vedo uomini adulti e anziani seguire con grossa partecipazione le varie formule pronunciate e i vari movimenti del corpo. Quando si inchinano tutti, con il capo fino a terra, mi rimane un senso di grande coralità e comunione che non sempre, noi cristiani, abbiamo nelle nostre assemblee liturgiche. Rimango ammirato nel guardare gli anziani che pregano. Non riesco a vedere bene le donne, sono lontane da me. Ma questi uomini che pregano davanti a me mi lasciano un grande senso di pace.
Adesso so di toccare un argomento che i miei lettori potranno sentire in modo diverso. Io penso una cosa. Anzi due. Nessuno si deve permettere di giudicare una persona che prega, dubitando della verità di quella preghiera. Solo Dio conosce il cuore dell’uomo e la verità che è presente nelle sue intenzioni e i suoi gesti. Questo vale anche per noi cristiani, quando qualcuno si permette di giudicare le persone che vanno in chiesa e poi afferma che nella vita non sono coerenti. A costoro rispondo chiaramente: “E chi sei, tu, per giudicare il cuore e l’animo di chi va in chiesa? Credi proprio di essere un altro padreterno che leggi i nostri cuori???”. Allo stesso modo, mi sento di dire che non possiamo dubitare sulla lealtà di cuore di queste persone che pregano, anche se di una religione differente e con modalità differenti.
E la seconda cosa che mi sento di affermare con decisione: queste persone pregano! Per dirla chiara chiara: preferisco una persona che prega alla persona che non prega. Troppo facile dire che si prega nel cuore e che Dio conosce tutto. Ma se non preghi, non preghi!
Penso a tutto questo e cerco di guardare ad uno ad uno i volti di chi sta pregando, degli uomini della prima fila. Ne riconosco molti di loro. E Mi viene un altro pensiero forte e chiaro: questi uomini musulmani sono gli uomini di Bigene che, oltre i cristiani, mi salutano tante volte con attenzione e rispetto. A differenza di altri, non musulmani, che a volte non mi considerano proprio. Non dico questo perché voglio essere riconosciuto, ma per evidenziare che questi uomini musulmani hanno, verso di me, che sono sempre uno straniero per loro e il responsabile di una chiesa che comunica una fede diversa, hanno un atteggiamento di attenzione e di rispetto che altri non hanno. Guardo i loro volti e ricordo i tanti sorrisi ricevuti, i saluti, gli auguri per la salute e la mia famiglia, e tante altre cose che fanno parte di una bella convivenza di pace.
Mi rendo conto che questi musulmani sono veramente delle belle persone. E li ammiro.
Non fraintendetemi, per favore. La mia professione di fede non si sposta di una virgola. Ma sento il dovere di affermare che tanti giudizi, che a volte colgo anche in tanti ambienti italiani, sono degli esatti pre-giudizi. I miei musulmani di Bigene sono brave persone, e mi vogliono bene. Sarà che l’aria di Bigene ci rende tutti più buoni e belli???
La preghiera non dura molto tempo. Mi aspettavo di contemplare questo spettacolo di fede a lungo. Invece è breve. Quindici minuti, non di più.
E poi succede quello che non mi aspettavo, e che mi ha letteralmente toccato il cuore.
Terminato il loro rito il padre dei musulmani viene verso di me, accerchiato da tutti gli anziani. Viene a ringraziarmi, a manifestare tutta la sua gioia nel vedere la mia presenza alla loro festa, affermando che la mia presenza è un miracolo. Sì, usa proprio questa parola. È la prima volta che un padre della chiesa viene ad ascoltare la loro preghiera e ad onorare la loro festa. Tutti gli anziani mi guardano con una gioia e una riconoscenza commovente, da sentirmi quasi in imbarazzo. Non avevo fatto niente per loro. Solo ero lì. Anche don Marco era accanto a me. Non abbiamo fatto niente. Abbiamo guardato e ascoltato, senza capire. Ma ci siamo stati.
Penso che basta così poco per diventare persone che sanno convivere in fraternità. Ne abbiamo bisogno. Alla guida spirituale rispondo che dobbiamo pregare, e chi non prega non è un uomo completo. Apprezzano molto questa immagine che lascio alle loro parole, e chiedo di continuare a pregare per la Guinea-Bissau, che va sempre peggio. Continuano a manifestare le loro approvazioni alle mie parole. Ma non voglio approfittare: altrimenti va a finire che sono io a fare la predica a loro! Che volete: è la tentazione dei preti!
Ma non è ancora finita: termino le mie parole e si mettono a pregare attorno a me. Fanno come noi cristiani, con le mani aperte verso l’alto. Non capisco se pregano Dio, come immagino, o se pregano Dio per me. Capisco che vogliono concludere il loro cordialissimo saluto con una ulteriore preghiera. Ditemi una cosa: persone così, non sono un dono di Dio anche se sono di un’altra religione?
Vi è anche una ultima aggiunta finale che mi crea tanti pensieri buoni. Chiedo ad Alfonsene se posso entrare nella moschea per fare una visita. E sapete che cosa mi risponde? Non ci crederete, ma mi dice esattamente: “Tu puoi tutto, tu puoi entrare dappertutto, perché tu sei uno di noi”.
Se qualcuno mi venisse a raccontare queste cose, farei fatica a credere che siano state pronunciate queste parole. Ma sono testimone diretto di quanto accaduto. E sono molto contento. Siatelo anche voi.
Aspetta aspetta: e la capra???
E qui ti voglio! Volete sapere se poi sono andato a mangiare la capra?
No, non ci sono andato. Nessuno mi ha invitato e non ci sono andato. Grazie a Dio!
In compenso, adesso che termino queste righe, corro dalle suore che mi aspettano per una gustosissima pizza: è una bella festa a Bigene! Grazie Signore!
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