La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati

La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati
Il territorio della missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati, a nord della Guinea-Bissau e confinante con il Senegal.

15 agosto 2010

Capitolo 11 - Parrocchia e parroco

Caro diario, e cari amici: è da molto che non ci sentiamo, dallo scorso dicembre. Avevo deciso di fermarmi. Tanti motivi mi inducevano a questa scelta, soprattutto il fatto che il mio impegno per la missione è aumentato (e questo è un bene!), e mi rimane meno tempo per usare la tastiera. Poi è accaduto che tutto quello che avevo già preparato se ne è andato via, senza lasciare traccia: benedetta tecnologia! Per essere sicuro di non perdere i miei appunti, invece di salvarli nel computer li avevo salvati in una “chiavetta” che, chissà perché, ha deciso di rimanere chiusa e basta. Chiavetta demoniaca!!!
Poi sono accaduti alcuni fatti che vi devo assolutamente scrivere: non comunicare la ricchezza di quanto ho vissuto in questi mesi mi sembra quasi un peccato di omissione. Tra questi episodi, quello che più mi ha fatto decidere di rimettermi sulla tastiera è la storia del piccolo José. Non posso non parlarvi di questo bambino di soli otto giorni. Ma andiamo con ordine: anche se alcune date non sono esatte e la ricostruzione degli episodi non è completa, quel che conta è il contenuto. Non è così?
Il tempo di Natale scorre con molta tranquillità: senza i frastuoni dell’Occidente, senza cenoni e botti, ma con semplicità e preghiera. Devo dire che preferisco il Natale di Bigene. Il giorno dell’Epifania arriva una bella notizia: è nato Ivo (quattro) nel villaggio di Facam. Figlio di genitori già battezzati, potrà anche lui ricevere il battesimo. Ma sarà un battesimo molto sofferto…
Gennaio mi vede impegnato a seguire i lavori per la costruzione della casa dei missionari. Quando parlo con Jean Claude, il costruttore belga che risiede a Bissau da molti anni, lui mi risponde sempre che “ci siamo quasi!”. È quel “quasi” che mi preoccupa: i mesi passano velocemente, e mancano ancora tante cose: i pavimenti, le porte, le finestre.
Il 22 gennaio nasce Michelina, nel villaggio di Talicò, dove già c’è Ivone Maria. I giovani genitori mi chiedono quale nome mi piacerebbe. Io rimango senza parole: vi assicuro che non ho ancora imparato ad essere pronto a queste richieste. Mi chiedono il nome di mia mamma: credo di essere impallidito di emozione. Michelina è il suo nome. Queste scelte dei nomi ai bambini mi prendono il cuore: dopo Angelo, anche Michelina. I nomi dei miei genitori! La notte mi trova con un forte pensiero: quando me ne ritornerò in Italia, al termine della missione che mi è affidata, come farò a salutare questi bambini che portano il mio nome, o il nome dei miei genitori?




A febbraio spero di entrare ad abitare la casa dei missionari. La costruzione si trova nel territorio della missione, vicino alla chiesa e accanto alla scuola e al centro nutrizionale. I lavori procedono… con i tempi e con i mezzi africani! Le mattonelle sono collocate sui pavimenti, poi vengono tolte perché non sono a livello, poi ricollocate, poi ritolte, poi ricollocate…. Roberto, dove sei??? Venti volte al giorno penso al mio amico, immigrato dalla Romania, che è diventato un ottimo piastrellista a Foggia.
Un fatto molto atteso e desiderato accade in questo mese: arriva a Bissau il container partito da Foggia a metà dicembre. È parcheggiato presso la Curia di Bissau: lo guardo, lo tocco, lo accarezzo. Mi sembra quasi di sentire tutte le persone che hanno reso possibile la realizzazione di questa spedizione. Dentro il container ci sono i mobili per la casa dei missionari, e ci sono anche quaderni, matite, maglioncini raccolti nelle scuole di Foggia e provincia, da distribuire ai bambini delle scuole di Bigene. Il container è partito dal porto di Salerno, e per mare è arrivato fino al porto di Bissau. La difficoltà più grande, in tutto questo viaggio, è trasportare il container da Bissau a Bigene. Le buche, la strada inclinata, i fossati che si devono affrontare nel percorso da Ingoré a Bigene: sono questi ultimi trenta chilometri i più difficili di tutto il viaggio. Con calma, e con preoccupazione, ci mettiamo in cammino. Il giovane autista del camion mi sembra così spensierato che quasi fa aumentare la mia preoccupazione: ma la conosce la strada di Bigene??? Quando iniziamo il percorso impegnativo mi affido al Signore: “Fa’ che il container non si rovesci, per il bene di tutti i bambini che potranno ricevere aiuto”. Il container barcolla da una parte all’altra. È ben fissato al camion. Già, il camion: ha delle gomme così consumate che rischiano di scoppiare da un momento all’altro! Non capisco se il giovane che guida è incosciente o esperto: ma qui non esistono le gomme che si cambiano. Le gomme si usano fino alla loro esplosione finale (penso che questa sia la causa principale degli incidenti stradali in Guinea-Bissau: si perde il controllo delle vetture a causa dell’esplosione di una gomma).




Chilometro dopo chilometro, piano piano, avanziamo verso Bigene. Il nodo alla gola per la preoccupazione comincia ad attenuarsi. L’ultimo chilometro è il più difficile (venite a trovarmi, poi capirete…) e lo faccio invocando la protezione di tutti gli Angeli del Paradiso (mi confesso: anch’io prego nelle necessità. Però prego anche quando non sono in difficoltà…. E poi, se non chiedo protezione al Capo e ai suoi Messaggeri, a chi la chiedo???). Arriviamo! Percorro la strada di Bigene con una grande gioia, e anche le persone del paese mi guardano con larghi sorrisi. Forse pensano che nel container ci sia qualcosa di buono anche per loro…
Quando il container viene aperto, alla presenza della Guardia di Finanza, ho una gioia così grande che mi devo nascondere: mi sembra di respirare l’aria di tutti gli amici, davvero tanti amici, che hanno collaborato in tanti modi a questa operazione. A tutti, ma proprio a tutti, da parte mia e ancor di più da parte dei tanti bambini di questa terra: GRAZIE. Che il Signore vi benedica tutti.
Il container è pieno di scatole e pacchi, non vi è nemmeno un piccolo angolo vuoto. A Segezia sono stati raccolti 88 pacchi di quaderni, 73 pacchi di maglioncini, 16 pacchi di gomme, matite e temperini, 11 pacchi di materiale didattico: tutto materiale che sarà distribuito ai bambini di Bigene e nella vicina missione di Samine, in Senegal. Molti pacchi di quaderni non hanno trovato posto nel container, sono rimasti a Segezia. Partiranno con il prossimo container che si potrà organizzare da Foggia.
Una confusione incredibile avviene tra la decina di giovani che scaricano i pacchi: tutti prendono e appoggiano dove vogliono, nel grande salone della scuola. Sono costretto ad alzare la voce e gridare: “Fermi tutti, non si fa così, bisogna collocare i pacchi divisi per categoria. Se non mi obbedite, chiamo i volontari di Segezia!”.
Si fermano tutti, ma non hanno ben capito. Sono impauriti dal mio grido, ma anche incuriositi dalle mie parole, e il giovane più coraggioso mi chiede: “Cosa è Segezia???”.
Mi giro dall’altra parte per non far vedere il mio sorriso ironico: non possono sapere cos’è Segezia, chiaro. Non possono sapere cos’è un volontariato ben organizzato per servire Dio nei fratelli più deboli. Non hanno e non possono avere questa esperienza di un volontariato maturo che porta ad offrire, con gioia e libertà, la propria capacità e il proprio tempo per servire i poveri. Grazie ancora, amici di Segezia e di Foggia: questa notte la passo in bianco a pensare quanto il Signore si dona a voi, e quanto voi vi donate al Signore.
All’inizio di marzo ritorna nella missione di Bigene suor Rosa. Ha potuto completare bene le sue cure, e dopo tre mesi ritorna in mezzo a noi. Con lei arriva anche una dottoressa di Foggia, Rita Cuttano, già presente in questa missione come inviata da “Solidaunia” (www.solidaunia.it), la onlus nata a Foggia già da alcuni anni e che ha a cuore gli sviluppi della missione di Bigene. Con Rita ci rechiamo nei villaggi per compiere prevenzione sanitaria: ad esempio, presentando le nozioni più elementari di igiene per i bambini.
L’8 marzo avviene un fatto che mi scuote profondamente: Ivo (quattro) è accompagnato alla missione dalla mamma, in uno stato pietoso. Completamente disidratato, con una grave infezione intestinale, ha perso i sensi. Ha gli occhi completamente chiusi: mi impressiona questo volto di un bimbo, di soli due mesi, che non comunica. La dottoressa mette in atto tutta la sua esperienza, usando i pochi mezzi a disposizione. Spoglia completamente il bimbo, acqua fresca su tutto il corpo, acqua pulita da bere, iniezione di una medicina che non conosco, ricerca di una flebo per bambini piccoli che non si trova. Io sono confuso, non riesco nemmeno a capire cosa fa…. Non sono pronto a vedere morire un bambino. Le suore sono più coraggiose di me: altre volte si sono trovate in questa situazione drammatica. Dopo i primi interventi rapidi e precisi di Rita, Ivo riapre gli occhi! Piange, ci guarda, reagisce. Si riprende!!!




L’infezione intestinale non passa: ci vorrà tempo. Occorrono almeno ventiquattro ore per verificare che le cure operate producano il loro completo effetto e poter considerare Ivo fuori pericolo. Vado a prendere il papà di Ivo nel villaggio di Facam. Assieme ai genitori, già battezzati, seguo il consiglio delle suore: è meglio battezzare Ivo, il pericolo di morte non è superato. Ivo si è ripreso, ma rimane molto debole, e l’infezione potrebbe aggravarsi. E così faccio il mio primo battesimo in Africa, a questo bellissimo bambino che porta il mio nome e che è in pericolo di vita. I genitori sono in uno stato di tristezza immensa: spiego loro che il sacramento del battesimo è l’aiuto più grande che il Signore e la Chiesa possono operare in questo momento per il loro piccolo bambino. Si fidano delle mie parole, e si affidano al Signore. Prendo l’acqua da versare sul capo per il battesimo ed Ivo mi guarda. E mi sembra di sentire quell’invito: “Andate…. Battezzate….”. Mai avrei pensato che il primo battesimo in missione fosse così difficile. Passo la notte in preghiera: non perché sono un santo sacerdote (pregate perché lo diventi, almeno un poco), ma perché proprio non riesco a dormire, ripensando al piccolo Ivo, ai suoi occhi chiusi e poi riaperti, al suo sguardo su di me proprio nel momento del battesimo. Non riesco a non pregare per lui. Al mattino presto riceviamo buone notizie: Ivo è sempre vigile, le medicine fanno il loro effetto progressivo. Certo anche la Grazia del Signore compie il suo bene di salvezza. La dottoressa aspetta ancora alcune ore, e poi afferma con una grande soddisfazione: “Ivo è salvo”! Rita, la Provvidenza ti ha mandato a Bigene, cerca di tornare presto.
Il mese di aprile inizia con una notizia che, all’inizio, sembra quasi uno scherzo. Il Primo Ministro di questa fragilissima democrazia guineense è posto agli arresti domiciliari da un capo dei militari. La popolazione reagisce recandosi in massa attorno alla casa del Primo Ministro Carlo Gomes, eletto regolarmente durante le votazioni dello scorso anno. A Bissau si circola liberamente e Radio Sol Mansi (la radio della Chiesa locale) offre notizie in diretta senza alcuna censura, continuando a lanciare appelli alla pace e ricordando che la Costituzione esiste e che i militari ci sono per difendere il popolo della Guinea-Bissau. Non é stato sparato nessun colpo. Non c’é coprifuoco. C’é un clima irreale, tra calma assoluta e grande preoccupazione.
Il 2 aprile la situazione sembra rientrare in una normalità assurda: il capo dei militari, in carcere per mano del militare che ha tentato il golpe, è riuscito a far arrestare il golpista stesso, senza spargimento di sangue. Il Primo Ministro, che era agli arresti in casa sua, afferma che è stato solo un incidente di percorso. Vederci chiaro è impossibile. Ma, grazie a Dio, la Pasqua si prepara con più serenità per tutti. Speriamo.
Rimane una consapevolezza grave: questo Paese, già tra i più poveri al mondo, si indebolisce ulteriormente. Chi verrà ad investire, anche con la più piccola attività economica, in un Paese che si dimostra di una fragilità e instabilità tra le più gravi del continente africano? E così i poveri diventano sempre più poveri!
La Pasqua porta serenità a tutti. A me porta una notevole dose di lavoro nella nuova casa per i missionari. Tra una celebrazione e l’altra, uso tutto il tempo possibile per ultimare di montare i mobili e pulire le varie stanze, aiutato da alcuni giovani che non è che conoscano bene come si usa un cacciavite! Una faticaccia. L’11 aprile si avvicina, e devo assolutamente rendere la casa abitabile per la sua inaugurazione. I mille problemi, che non sto a elencarvi (provate voi a montare una cucina da soli, per la prima volta!), mi creano una agitazione interiore che viene superata dalla buona partecipazione dei miei fedeli ai vari riti del Triduo Pasquale. Niente pranzo pasquale: non c’è tempo. Niente gita di Pasquetta: ci sono i mobili da pulire, i pavimenti e le finestre da lavare, le lampade da montare, gli operai tra i piedi, i pittori, i falegnami… Mamma mia!!!
Il 6 aprile sembra quasi tutto al suo posto. Decido: “I miei primi ospiti capiranno: siamo a Bigene, non in qualsiasi paesino dell’Italia dove puoi recarti nella città accanto e trovare tutto! La cucina non è ancora in funzione e ci accontenteremo di avere acqua fresca nel frigorifero! Non è cosa da poco, l’acqua fresca, a Bigene!”.
E così, finalmeeeeeeeeeeeente, oggi dormo per la prima volta nella nuova casa per i missionari. Dormo??? Neanche per sogno! (è il caso di dirlo). La casa è così isolata, lontano dai rumori della strada e delle abitazioni, che il silenzio della notte non mi trova pronto! Come si fa a dormire con questo silenzio??? Non si sente il vociare gioioso dei bambini, nessuna discussione animata tra gli adulti, nessun giovane che comunica con i suoi amici. E poi: dove sono finiti gli asini? e i galli? (dovete sapere che asini e galli, da queste parti, si fanno sentire a tutte le ore della notte). Questo silenzio mi fa paura! Nella casa delle suore non è così: tutta la notte è accompagnata dai vari suoni che agitano il sonno di chi tenta di dormire. Ma qui c’è un silenzio spaventoso: le mie orecchie non vi sono abituate…
Poi il pensiero, visto che questo silenzio mi tiene sveglio (!), va a tutti gli amici che, in così breve tempo, hanno permesso, con il loro aiuto, la realizzazione di questa costruzione. Lo devo dire: solo gli amici hanno realizzato tutto questo. Tre camere con bagno, ufficio, sala centrale, cucina, deposito batterie, lavanderia, magazzino. Tutta la casa è circondata da uno spazio coperto molto ampio, per riparare la casa stessa dal sole e dalla pioggia (le piogge africane sono potenti…). E poi: il generatore di corrente, l’acqua in casa, la luce, il gas… Potrebbe essere tutto normale in Italia: è tutto straordinario a Bigene! E siccome il silenzio continua a tenermi sveglio, cerco di trovare il nome adatto alla nuova casa (a me piace mettere il nome alle cose più importanti che uso: così la mia macchina si chiama “segezia”, e il mio computer si chiama “diario”). Pochi secondi e decido: si chiamerà “foggia”. Che ne dite: vi piace? Mi sembra giusto che si chiami così.
Giusto una notte: il 7 vado a Bissau. Nella notte tra il 7 e l’8 arrivano i miei primi ospiti della nuova casa. E che ospiti! Mons. Francesco Pio Tamburrino, Arcivescovo di Foggia-Bovino, don Antonio Sacco, parroco della Cattedrale di Foggia, don Michele Tutalo, segretario dell’Arcivescovo e Antonio Scopelliti, il dottore di Foggia che è stato uno dei principali promotori di Solidaunia. Dopo mesi di preoccupazioni per questa casa che non finiva, finalmente ecco le prime persone che posso ospitare. Il loro viaggio ha un motivo ben preciso: domenica prossima Bigene diventa parrocchia e io divento il primo parroco.




Il viaggio che hanno compiuto da Foggia a Bissau è stato tranquillo. Sono felici di essere qui, lo vedo sui loro volti, lo sento dalle loro parole. E io sono più felice di loro! A fine mattinata ci spostiamo nella Casa di N’Dame: è il centro di spiritualità diocesano dove operano le Suore Oblate. Nel pomeriggio visitiamo la Cattedrale di Bissau: siamo letteralmente assaltati dal gruppetto di giovani venditori che ci scambiano per turisti facoltosi. Qualcosa dobbiamo comprare, per forza! In Cattedrale incontriamo il parroco: come si fa a descrivere questo bravo e simpaticissimo francescano? Padre Michael Daniels è un italo-americano che è diventato sacerdote in Veneto. Per la carnagione scura lo scambi per un brasiliano, se guardi la sua notevole altezza lo scambi per un nord-europeo, se si mette a parlare in veneto non capisci più niente sulla sua origine.
Il giorno 9, al mattino, visitiamo la Casa di Bor (orfanatrofio che sta per essere riaperto e affidato alle Suore di Madre Teresa) e Cumura (lebbrosario dei Padri Francescani). Nel pomeriggio si parte per Bigene. Lungo la strada ci fermiamo nel villaggio di Liman, dove opero l’evangelizzazione settimanale. Forse è il villaggio più povero, in tutti i sensi: sono pochi i ragazzi che vanno a scuola nel villaggio più vicino. I bambini, sempre gioiosi (come tutti i bambini della Guinea-Bissau), sono anche pieni di quelle ferite tipiche di chi non riceve un’igiene sufficiente. Siamo accolti con gioia e semplicità, e possiamo visitare una casa che ha subito un incendio e un’altra casa che è in costruzione: la vita continua. Mi soffermo ad indicare i materiali usati per la costruzione: argilla del terreno adiacente e legname del bosco vicino: immerse nella natura, le capanne sono totalmente costruite con i materiali che la natura stessa offre.
La cena dalle suore che ci aspettano è una festa. E poi tutti a casa: io cedo volentieri la mia stanza al Vescovo: e così la sua presenza diventa già l’inizio della benedizione!
Sabato 10 aprile: ci rechiamo al villaggio di Kissir a visitare l’orto comunitario. L’orto si trova dentro il villaggio, accanto ad un pozzo, e si chiama comunitario perché tutte le donne del villaggio hanno il loro pezzo di terreno da coltivare all’interno dell’orto recintato. Cipolle, peperoncini, carote e pomodori sono ottimi alimenti per migliorare il piatto quotidiano a base di riso (con il pesce, quando è possibile). È un segno chiaro che l’evangelizzazione operata nel villaggio comprende anche gli aspetti fondamentali della vita sociale di queste persone: l’alimentazione, la salute, l’educazione scolastica.
Poi ci aspetta tutta la popolazione del villaggio di Bucaur: è una grande festa, alla quale gli amici che ricevono la prima evangelizzazione hanno invitato tutti i villaggi confinanti, compresi i vicini villaggi cristiani del Senegal. Rimango colmo di stupore per la loro organizzazione: hanno preparato i discorsi, i canti, le testimonianze. Regalano al Vescovo il vestito tipico del capo villaggio: sembra quasi un camice, e Mons. Francesco Pio lo indossa con disinvoltura, sempre ben assistito da don Antonio e da don Michele. Gli sta proprio bene! Anzi, direi benissimo! Ogni tanto mi fermo a guardare con curiosità le espressioni del Vescovo e dei sacerdoti davanti a questo spettacolo di fede, di semplicità, di comunione. Non potete immaginare quanto io possa essere felice nel vedere accanto a me il mio Vescovo (io appartengo sempre alla diocesi di Foggia-Bovino, anche se sono affidato alla diocesi ed al Vescovo di Bissau per il tempo della missione) e questi cari amici sacerdoti. Non mi sembra vero! La festa a Bucaur prosegue con le danze tipiche della popolazione locale fatte al suono del “balafon”: un antico strumento musicale composto da una varietà di zucche forate, di varie misure, percosse da due asticelle, come se fosse uno xilofono. Il Vescovo rimane stupito dalle danze gioiose che vogliono rappresentare momenti di vita africana: sono gli uomini anziani che istruiscono i giovani sui passi della danza. Amici: è spettacolo puro, è vita che si prolunga in danza, con ritmi semplici, ripetitivi e gioiosi, così come è semplice la vita di queste persone.
Nel pomeriggio viviamo a Bigene l’incontro con i giovani della comunità, in particolare con quanti vivono la catechesi settimanale in preparazione alla vita cristiana e al battesimo. Sono una trentina i giovani presenti all’incontro: presento al Vescovo come avviene la catechesi e gli strumenti che uso per annunciare la salvezza di Cristo. Un grandissimo beneficio sono i testi in crioulo pubblicati dall’Ufficio Diocesano della Catechesi: i contenuti, le proposte, il confronto con le sensibilità e le esperienze espresse dalle Religioni Tradizionali Africane sono elementi importantissimi per la mia opera di prima evangelizzazione verso questi giovani. Terminiamo la giornata con la recita del S. Rosario in chiesa: come ogni sabato sera, in preparazione della giornata di domenica, varie persone di Bigene si riuniscono per questa preghiera mariana. Ma domani non sarà una domenica come le altre: sarà una domenica speciale, per tutti.
11 aprile 2010: è un giorno che entrerà nella storia di Bigene. In questo piccolo paese, disperso con i suoi 43 villaggi al nord della Guinea-Bissau, collocato lungo il confine con il Senegal, inizia la vita della parrocchia dedicata al Sacro Cuore. È una esperienza completamente nuova per me, e che desidero spiegarvi bene. Prima di essere parrocchia, la presenza della comunità cristiana cattolica viene definita come “missione”. E la missione di Bigene inizia negli anni 50, ad opera dei primi missionari del PIME che arrivano in questo territorio provenienti dalla parrocchia di Farim. La presenza dei primi missionari dà origine all’iniziale opera di evangelizzazione verso questa popolazione che non conosce Cristo. Ci vorranno molti anni per avere i primi battesimi. Nel 1992 arrivano a Bigene le Suore Oblate: la loro presenza stabile nel paese produce nuovi frutti di adesione alla primitiva comunità cristiana. Ma rimane sempre territorio di missione. Per arrivare a stabilire la presenza di una parrocchia, occorre che vi sia una presenza stabile, nel territorio, di una comunità cristiana residente. I pochi giovani che ricevono il battesimo, dopo molti anni di preparazione, spesso si spostano per motivi di lavoro o familiari. Il risultato è che la comunità cristiana rimane debole nella sua presenza sul territorio e nella sua testimonianza verso i non cristiani. Dom José, il Vescovo di Bissau, dopo aver ottenuto la piena adesione del Consiglio Presbiterale, ha ritenuto che siano maturati i tempi per passare da missione a parrocchia: vista la stabilità delle suore nel territorio di Bigene, considerando che io stesso vivo stabilmente (e in salute…) a Bigene, verificando la presenza stabile di alcune famiglie cristiane nel vasto territorio della missione, ha deciso che oggi la piccola comunità di Bigene diventi parrocchia.
Tutti sono felici di questa decisione e di questo inizio della parrocchia del Sacro Cuore: il Vescovo e la Chiesa di Bissau, il Vescovo e gli amici di Foggia, soprattutto la popolazione di Bigene, anche i non cristiani di questo paese. È un grande onore per noi tutti, è un segno concreto di sviluppo cristiano e civile per gli abitanti di questo paese, dimenticato da tutti (venite a vedere le nostre strade, e capirete), ma non dalla Chiesa. Anzi: la presenza dei due Vescovi è un segno chiaro di quanto la Chiesa si renda presente in mezzo a questa popolazione. Le suore con tutte le loro opere educative e sanitarie, il sacerdote che diventa parroco, le prospettive di una missione che continuerà a dare buoni frutti nel tempo, le speranze delle centinaia di persone che ricevono l’annuncio di Cristo sono i motivi di questa grande festa per Bigene. La Chiesa c’è! E ci sono centinaia di persone che arrivano anche dai villaggi lontani per vivere questo evento unico: diventiamo parrocchia. Divento parroco.
Tutto è pronto per l'inizio della celebrazione: il coro, le autorità locali (anche noi abbiamo le nostre autorità, che vi pensate?); la piccola chiesa è ben preparata per accogliere gli ospiti che vengono da lontano: da Bissau, e anche dal Senegal. L'altare è molto semplice e povero, come è semplice e povera la comunità cristiana di Bigene, ma il clima è di grande attesa.
Inizia la celebrazione: nel presbiterio trovano posto don Michele (Foggia), Pe. Domingos (Bissau), Mons. Francesco Pio (Foggia), Dom José (Bissau), il diacono Max (Bissau), don Antonio (Foggia), Pe. Carlo (Farim), Pe. Luis (Temento, Senegal) ed io. Non c’è più spazio per gli altri sacerdoti. Numerose sono anche le suore arrivate dalle altre missioni. All’inizio della celebrazione Pe. Domingos, Vicario Generale della Diocesi di Bissau, legge i decreti della erezione a parrocchia di Bigene e della mia nomina a parroco, poi il catechista Alfredo, a nome di tutta la comunità di Bigene, esprime la gioia e l'importanza di questo giorno per i cristiani di questa terra, amata dalla Chiesa che manda qui i suoi missionari.
Quanti pensieri nella mia mente, quanti ricordi... le comunità dove sono nato, cresciuto, dove ho offerto il mio servizio come sacerdote, come parroco... ed ora eccomi qui, a Bigene: un puntino sotto il deserto del Sahara, con questi poveri fedeli che si aspettano da me di essere il loro buon pastore. Mi aiuterete con la vostra preghiera?
Il coro esprime tutta la sua freschezza e il suo ritmo quando il libro della Parola di Dio viene portato all'altare con la danza: così evidenziamo tutta la nostra necessità di ascoltare con molta attenzione la Parola che è salvezza per tutti i popoli. Nell’omelia Dom Josè esprime tutta la sua gioia per questo giorno che il Signore ha preparato, e ci invita ad essere come una grande famiglia di Dio, riunita attorno al suo parroco. E anche Mons. Francesco Pio porta il suo saluto a tutti i presenti, ed invita la piccola comunità cristiana ad unirsi sempre attorno al suo pastore, mandato a Bigene dalla Chiesa foggiana. Poi il Vescovo di Bissau, dom José, spiega alla comunità che il Credo sarà recitato solo da me, come segno per tutti della mia professione di fede e del mio mandato a guidare i fedeli nella fede professata dalla Chiesa Cattolica. Scende un grande silenzio, e da solo pronuncio, in lingua locale, la Professione di Fede. Misuro parola per parola, perché è mia piena volontà credere con tutto me stesso in Dio che è Padre, Figlio, Spirito Santo e credere nella Chiesa che è una, santa, cattolica, apostolica.
All’offertorio, il canto e la danza accompagnano le ragazze che offrono al Signore i segni del lavoro di questa gente. Sono poche cose, molto povere: un pugno di riso, il frutto locale del cadjù (non esiste in Europa), le castagne del cadjù (simile agli anacardi del Brasile), i frutti del baobab, la maestosa pianta che si eleva su tutta la vegetazione. Da questo frutto si estrae una farina per produrre un ottimo e nutriente succo di frutta, anche questo non conosciuto in Europa. Mons. Francesco Pio segue con molta attenzione l'offerta dei doni della terra: queste povere sostanze, lavorate in tutte le famiglie, sono veramente il segno della vita di tutti i fedeli di Bigene. Ai piedi dell'altare si depongono anche i cesti che contengono la cabasera (il frutto del baobab), la paglia (per fare le coperture delle capanne), il riso (il cibo principale della Guinea-Bissau), il miglio, le noccioline, la mandjoka, le castagne di cadjù.
Dopo la comunione, vi sono altre azioni liturgiche e segni delle tradizioni locali che si intrecciano tra di loro. Mi inginocchio davanti all'altare per ricevere la preghiera per l'inizio del mio mandato come nuovo parroco: è Dom José ad invocare lo Spirito Santo su di me e sul mio ministero. Che sia una nuova effusione dello Spirito con nuovi doni per servire nel modo migliore la mia parrocchia!




E poi ecco il segnale tradizionale della cultura africana: vengo rivestito con l'abito che si consegna ai capi villaggi e agli anziani della comunità: suor Rosa, aiutata dalla donna anziana della comunità cristiana, tutta contenta non vede l'ora di "rivestirmi" davanti a tutta l'assemblea. Questo segno comunica ai miei africani che io sono il loro uomo-grande! Ma non è finita: Dom José mi consegna la "sede" del sacerdote che presiede l'assemblea liturgica. È la semplice sedia che utilizzo durante le celebrazioni, collocata sotto il tabernacolo rotondo in legno. Ma prima di questo gesto simbolico, vengo rivestito di un secondo panno, dai forti colori africani. Vi assicuro che già è caldo: aggiungi il camice, la casula, due panni di tessuto... e il nuovo parroco comincia a bollire! Fa niente: i miei fedeli sono orgogliosi di vedermi rivestito dei loro indumenti tradizionali, mi sentono maggiormente uno di loro, e questo mi rende felice.
Rivestito dei panni della tradizione africana, ringrazio tutti i presenti, ma anche i tanti amici non presenti, i miei familiari, i benefattori. Termino il mio intervento affermando che Bigene ha già preso un pezzo del mio cuore: così mi accade ogni volta che i genitori decidono di mettere il mio nome ad un loro bambino. Invito i piccoli Ivo ad avvicinarsi a me: vi assicuro, cari amici, che la mia gioia è incontenibile! Voi siete lontani, ma questi bambini che portano il mio nome sono motivo di stupore continuo per la mia vita. Ricevo in braccio il piccolo Angelo: porta il nome di mio papà, sta bene di salute, e i suoi genitori si preparano a ricevere il battesimo. Anche Angelo sarà battezzato assieme ai suoi genitori: sarà un giorno santo! Forse per la Pasqua del 2011, lo spero proprio.




Nel clima di grande festa c’è anche un motivo di tristezza: suor Miris, a Bigene da molti anni, saluta i fedeli: oggi stesso rientra in Brasile, dove ieri è morta la sua sorella maggiore. Così è il mistero della vita: gioia e dolore, tutto da offrire al Signore per la nostra redenzione.
Alla conclusione della celebrazione firmo sull’altare il documento che attesta l’istituzione della nuova parrocchia del S. Cuore di Bigene e la mia nomina a parroco. Dopo la Madonna della Vittoria a Massa della Lucania (Salerno), l’Immacolata di Fatima a Segezia (Foggia), S. Ciro a Foggia, ancora l’Immacolata di Fatima a Segezia, ora sono parroco al S. Cuore di Bigene (Bissau). Dopo la mia firma, chiedo a Padre Carlo, missionario OMI a Farim, di porre la sua come testimone. Tutta Bigene è molto riconoscente a Padre Carlo, per tutto il lavoro che ha compiuto in questa comunità, con grandi sacrifici, prima della mia venuta. Il canto finale è accompagnato dalla danza … ovviamente! È una danza particolare: al centro del gruppo c’è una bambina vestita di bianco. È il segno dell’Immacolata di Fatima: grande è la devozione, in tutta la Guinea-Bissau, alla Madonna che è apparsa nel piccolo villaggio del Portogallo a tre pastorelli. E all’interno della chiesa di Bigene sono due le immagini di devozione presenti: il Sacro Cuore di Gesù e l’Immacolata di Fatima. La danza che accompagna l’ultimo canto della celebrazione trova tutti i fedeli rivestiti di una grande gioia: Bigene è ora parrocchia, ed ha il suo parroco!
Dopo la celebrazione della S. Messa, tutti alla nuova casa dei sacerdoti missionari: è da benedire, e anche da guardare! Mons. Francesco Pio dà questa solenne benedizione: mi sembra doveroso che la nuova casa missionaria, chiamata “foggia”, sia benedetta proprio dal Vescovo di Foggia-Bovino, attorniato dai missionari arrivati a Bigene per questo giorno così importante. Anche Dom José invoca la benedizione di Dio su questa nuova casa dei missionari. Deve essere una grande gioia, anche per lui, questo momento tanto atteso. Tutti trovano spazio sotto la larga tettoia della casa, davanti alla porta di ingresso. La tettoia è così costruita per proteggere dall’acqua e dal sole la nuova abitazione. Poi, al modo africano, si prendono alcuni ramoscelli con foglie per benedire i presenti. In questo momento penso ai tanti amici che hanno permesso di realizzare, con il loro aiuto, l’edificazione di questa costruzione. Nessun finanziamento pubblico, ma solo la carità degli amici ha permesso tutto questo. Grazie amici. Che questa benedizione arrivi anche a tutti voi!




Terminata la benedizione, tutti vogliono entrare per vedere l’interno della casa. Le sale sono ancora spoglie, solo i mobili più importanti sono montati. Ma piano piano provvederemo a rendere foggia più accogliente. E all’improvviso arriva anche un’altra “cerimonia” della cultura africana: non bastavano i due panni in Chiesa, ora anche il copricapo tradizionale, per dimostrare che sono un uomo “grande” davanti a tutta la popolazione. Si chiamano “uomini-grandi” i capi dei villaggi e le persone che hanno autorità all’interno delle varie etnie presenti in Guinea-Bissau. Vi lascio immaginare i larghi sorrisi di chi assiste a questa “incoronazione”: io li vedo partecipare con soddisfazione a questa investitura, soprattutto Dom José. Ma tutti i missionari presenti sono felici: non è da tutti che un missionario sia nominato “uomo-grande” dalla comunità locale. Una nomina che gradirei condividere con altri missionari… La casa c’è: non mi lascerete da solo qui dentro per molto tempo, vero???
E dopo tutte le benedizioni, arriva anche il pranzo! C’è posto per tutti, più di duecento persone! Gli amici dei villaggi si sono organizzati con la loro cucina tradizionale; i missionari partecipano all’ottimo pranzo preparato dalle suore Oblate. E c’è pure la signora torta! È così ben addobbata e bella che quasi vien voglia di non toccarla! La scritta sulla torta afferma: “Bigene, 11 aprile 2010. Questo è il giorno che il Signore ha preparato, noi esultiamo e cantiamo con gioia: alleluia!”. Ovviamente non c’è solo la torta, ma arrivano anche il pesce, la carne, le patate e l’immancabile riso. Un grande pranzo, non manca proprio nulla (di quello che si può trovare da queste parti!).




Per il pomeriggio ho organizzato un incontro di condivisione con i due Vescovi, gli ospiti di Foggia, Giusi e qualche altra persona. Le due domande che aprono alla condivisione fanno parte della esperienza di tanti amici che leggono: “Cosa ha fatto il Signore per me?” e “Cosa ho fatto io per il Signore?”. In tutti vi è la consapevolezza che il Signore, attraverso la missione, ci dona e ci chiede una vita di testimonianza e coerenza a Cristo e alla sua salvezza.
La mattina del lunedì 12 aprile ci rechiamo “all’estero”: entriamo da clandestini (ma non ditelo a nessuno…) nel vicino Senegal, per una visita alla missione di Samine e al santuario di Temento che si affaccia sul grande rio Casamance. Suor Agostina ringrazia il Vescovo di Foggia per il materiale scolastico ricevuto, che ha distribuito ai bambini della scuola, e per i bellissimi maglioncini. Tutto materiale che era stato raccolto a Foggia, come ben sapete.
Nel pomeriggio ci muoviamo a visitare altri villaggi del settore di Bigene. La prima tappa al villaggio di Tambadjan: ci fermiamo al nuovo pozzo del villaggio realizzato dalla Caritas della Germania. Mentre spiego le urgenze che portano a costruire i nuovi pozzi, varie persone escono dal villaggio e si avvicinano alla strada, dove è collocato il pozzo. Il dialogo nasce spontaneo, anche l’amicizia: don Antonio si ritrova in braccio un piccolo bambino tutto sorridente, di nome Benedecido (Benedetto, come il Papa), e vi assicuro che il piccolo nero si sente molto felice tra le braccia del grande bianco. Poi arriviamo al villaggio di Farea, dove la comunità cristiana è riunita per la celebrazione della S. Messa. La stanza che viene usata per la celebrazione è molto povera e disadorna, quasi vorrei dire che non è degna di ricevere al suo interno il dono dell’Eucaristia. Nei prossimi tempi vedrò come rendere più accogliente questo luogo: c’è bisogno di rifare il pavimento, le pareti, il tetto. E poi sono necessari un altarino, un piccolo leggio, qualche immagine sacra… Insomma, la dobbiamo rifare, o quasi. Dopo la celebrazione, vissuta con grande partecipazione dagli abitanti del villaggio, c’è anche il tempo per giocare con i bambini e cantare la mia canzone (non ci crederete: sono diventato un cantante! Solo per i miei bambini, ovviamente. Ma se volete sentire cosa canto con loro, dovete venire a Bigene!!!). Non manca il regalo della comunità locale al Vescovo della “terra dei bianchi” (dire Vescovo dell’Italia è troppo difficile per loro: e dove si trova l’Italia?): due belle galline, da lasciare poi nel pollaio delle suore!!!
Il 13 aprile: è l’ultimo dei quattro giorni che Mons. Francesco Pio e gli amici di Foggia passano a Bigene. Mattinata dedicata alla visita della scuola della missione, dove le Suore Oblate offrono il loro servizio educativo a 170 bambini di Bigene e di alcuni villaggi vicini. Festa in tutte le classi, con canti locali e gioia visibile in tutti i bambini. La scuola è un grande impegno per le suore, in un contesto sociale segnato da gravi disagi e precarietà: solo due bambini su cinque vanno a scuola in tutta la Guinea-Bissau. Al Vescovo faccio vedere i nuovi banchi che sono stati offerti dalla scuola elementare Garibaldi di Foggia (costruiti nella falegnameria di Farim): un grazie particolare ai bambini di questa scuola, alle loro famiglie, agli insegnanti che si sono prodigati per questa bella realizzazione.
Poi visita al Centro nutrizionale, anche questo collocato all’interno dell’area della missione, vicino alla scuola e a “foggia”: qui arrivano decine di bambini, due mattine alla settimana, per una verifica sul loro stato di denutrizione e un reale aiuto alle loro necessità. Suor Rosa ci spiega come i bambini vengono visitati: si misurano il peso, l’altezza e la circonferenza del braccio. Da queste misurazioni comparate tra di loro, si può calcolare se il bambino è denutrito e quale è il suo stato di denutrizione. La gravità scandalosa di questa situazione dipende dalla scarsità di cibo e di varietà del cibo. Anche durante l’allattamento materno, se la mamma mangia solo riso e pesce, tutti i giorni, o solo riso, il bambino non assume la sufficiente varietà di nutrimento per la sua crescita. Dovreste farvi spiegare meglio da un dottore: accade che i bambini abbiano la pancia e siano magri in tutto il resto del loro corpicino. Quando vedo un bambino denutrito il mio cervello si blocca, non riesco a capire niente, e non riesco nemmeno a spiegarvi che cosa si annida in quella piccola pancia rigonfia… Prendo un bambino denutrito grave e lo appoggio sulle ginocchia del Vescovo: non riesco a dire una parola, anche Mons. Francesco Pio e i sacerdoti rimangono in profondo silenzio.
Parlano solo suor Rosa e il dottor Antonio, che spiegano le cause che portano alla denutrizione. Mons. Francesco Pio guarda il piccolo bimbo senza esprimere alcuna parola. Cari amici, ma la Chiesa non rimane in silenzio: manda noi missionari a prenderci a cuore queste povere persone, annunciando Cristo e sfamando coloro che hanno fame. Consapevole che la nostra presenza in missione è come la mano della Chiesa tesa verso i poveri di questo mondo, quando vedi con i tuoi occhi, quando tocchi con le tue mani, quando senti sulle tue ginocchia che un bambino denutrito è leggero nel peso, rimani in un silenzio totale. Ti verrebbe la voglia di gridare al mondo la disumanità che stai provando, quando pensi anche solo a tutto il cibo che viene gettato nella spazzatura perché siamo troppo sazi. Ma rimani in silenzio: a chi vuoi gridare, qui, da Bigene? E continui a guardare questo piccolo bimbo che non sorride, e la sua mamma, anche lei magra, che ha occhi solo per il suo piccolo. Lei ne ha già visti altri di bambini che sono morti: avevano la pancia, ma erano magri e senza sorriso, come il suo.
Al Centro nutrizionale viene distribuito il cibo a seconda delle necessità dei bambini denutriti e delle loro mamme, e a seconda anche delle scorte: la pappa (si chiama così una farina contenente vari prodotti in polvere), lo zucchero, il latte, l’olio, il riso. I prodotti sono forniti dal P.A.M. (Programma Alimentare Mondiale è un organismo delle Nazioni Unite), dalla Caritas Internazionale e, quando finiscono, dalle vostre offerte.
Dopo questo incontro drammatico, ci rimane il tempo per una passeggiata al mercato di Bigene: esperti del famoso mercato di Foggia, passiamo in rassegna tutte le bancarelle (in realtà le bancarelle sono poche; la maggior parte dei prodotti sono appoggiati a terra, sopra un telone. Ma non mi viene la parola per definire una bancarella senza bancarella…). Non è che ci vuole assai tempo per visitare tutte le bancarelle: in una mezz’oretta, sgomitando tra le persone ferme davanti all’ultimo modello di secchio di plastica, e rispondendo ai numerosi saluti dei cristiani che riconoscono il Vescovo, hai visto tutto! Non potete immaginare quanto è simpatico il Vescovo al mercato: è lui che entra per primo in tutti i passaggi per guardare con interesse tutte le povere cose esposte. Forse lui sa bene che un mercato esprime anche un modo di essere e di vivere di una popolazione. Non ci credete? Dite ai milanesi di venire al mercato di Foggia (o il contrario) e poi mi darete ragione. E anche il mercato di Bigene offre il suo fascino.
Nel pomeriggio altra uscita: al villaggio di Facam per la celebrazione della S. Messa. E qui ci aspetta una bella sorpresa. Mentre ci prepariamo alla celebrazione, spiego a tutti i presenti come avviene la scelta del nome per i bambini che nascono. Molte volte i genitori si rivolgono a me per chiedere un consiglio, ed il nome che io propongo è quasi sempre quello che viene scelto (se nessuno, nel villaggio, ha già lo stesso nome). E così troverete che nei villaggi dove passo per la catechesi ci sono tanti piccoli evangelisti: Mateus, Marcos, Lucas, Djon. Altre volte sono loro stessi che decidono di dare il mio nome ai loro bambini (e così troverete ben otto Ivo o Ivone: gli ultimi due non li ho ancora conosciuti direttamente, ma hanno già il mio nome). Oppure scelgono il nome in base ad alcuni avvenimenti che accadono nel loro villaggio: il nome rimane come un segno storico di un fatto che è accaduto e che ha toccato tutti i membri del villaggio. Al termine della spiegazione presento a Mons. Francesco Pio una coppia di genitori con il loro bambino: si chiama Francesco Pio. E il piccolo Francesco Pio rimarrà per sempre il segno che il Vescovo della “terra dei bianchi” è passato in mezzo a loro, è rimasto in questo villaggio, e tutti hanno avuto l’onore di accogliere questo “uomo di Dio” in mezzo a loro (l’espressione “uomo di Dio”, di origine musulmana, è normalmente usata per descrivere la persona che cammina verso Dio, con rettitudine di vita). E dopo la S. Messa, ben partecipata, si aprono le danze! La danza accompagna tanti momenti importanti della vita: si potrebbe dire che tutti danzano, anche gli anziani. Ed è proprio la donna anziana del villaggio, una bravissima cristiana, esempio di fede per tutto il villaggio, ad iniziare le danze davanti alla cappella: un ritmo semplice, ripetitivo, continuo, in cui ognuno può esprimere i propri passi al centro del cerchio mentre tutti approvano battendo le mani e cantando semplici parole in lingua tribale. Uno spettacolo di semplicità e di armonia: ti viene quasi la voglia di buttarti nel cerchio e lasciarti andare a questo segno di festosa comunione e di ringraziamento per la presenza degli ospiti che sono venuti da lontano. Non mancano le galline regalate al Vescovo: il pollaio delle suore cresce…
Dopo quattro giorni così intensi a Bigene, il mercoledì 14 aprile scendiamo a Bissau con tutti gli ospiti che rientrano a Foggia. Vi devo dire che sono felicissimo di questo meraviglioso viaggio che hanno compiuto nella mia missione. Ma mi rimane anche un filo di tristezza: tanto è stato piacevole ascoltare il Vescovo, don Antonio, don Michele, il dottor Antonio in questi giorni, che già mi sembra di sentirmi troppo solo… . Mons. Francesco Pio mi saluta in aeroporto con queste parole che mi rimangono profondamente impresse: “Rientro felice a Foggia perché ho visto che la tua gente di Bigene ti vuole bene, e ho visto che tu vuoi bene a loro”.
Caro diario, e cari amici che leggete: vorrei descrivere molte altre cose accadute in questi ultimi mesi: ma lo spazio a mia disposizione (le sei pagine, scritte anche in piccolo!) sta per terminare. Non posso però non spendere ancora due parole per raccontarvi velocemente la storia del piccolo José, colui che ha “provocato” la continuazione del mio diario. L’8 giugno nasce José, primo figlio di una ragazza-madre cristiana, nel villaggio di Farea. Tutto procede bene. Ma la giovane madre inesperta non corre subito alla missione quando vede che José non sta bene, pensando che si riprenderà da solo. Quando lo accompagna alla missione, suor Rosa subito si prodiga per le prime cure, ma la situazione è già grave. José ha una infezione intestinale, il cuoricino batte forte, la febbre è alta. Vorrei portarlo subito a Bissau, alla clinica dei bambini. Le suore me lo sconsigliano: la strada è troppo disagiata per trasportare un piccolo in queste condizioni, non arriverei a Bissau con José vivo. Meglio aspettare qui. Che cosa aspettare? Basterebbe un dottore, come è successo a Ivo 4 (Rita gli ha salvato la vita). Basterebbe un infermiere esperto, sul posto. Basterebbe… Le suore non sono infermiere, e non sanno che cosa somministrare ad un bambino così piccolo. Non apre più gli occhi, il respiro si fa debole, le speranze terminano. La famiglia è riunita per aspettare lo “spirito della morte” che viene a prendersi il piccolo José. Mi sento di una agitazione terribile, che non manifesto. Procedo per il battesimo in pericolo di morte. È il secondo battesimo che faccio così. Ma questa volta non ci sono speranze. Il piccolo José ci lascia, a otto giorni di vita, pochi minuti dopo il battesimo. Nessuna cerimonia: quando muore un anziano si aspettano tutti i conoscenti dai villaggi vicini. José non ha conoscenti, non ha amici. Sembra quasi che non abbia nemmeno parenti. Un amico di famiglia prende il piccolo corpicino, avvolto in un panno bianco, e lo sotterra in un piccolo foro scavato nel terreno dietro casa. Assisto a questo funerale con una tristezza infinita. E quanti piccoli José muoiono nei miei villaggi, per una banale infezione: nessuno li va a contare, perché solo quando un bambino deve andare a scuola viene registrato dai genitori all’anagrafe di Bigene. Quanti bambini ammalati non arriveranno mai alla missione per essere curati, perché ancora questa popolazione pensa che le medicine dei “bianchi” siano inferiori alle cure tradizionali. E se poi arrivano qui e non trovano un dottore che li sappia curare, hanno solo perso tempo. La storia dei bambini che muoiono sembra essere, a volte, una di quelle cose che si tira in ballo per impietosire qualcuno che ascolta. Questa storia è toccata a me. Non ho una soluzione: troppo facile dire che ci vorrebbe un dottore volontario con me. Ma vi racconto anche questo fatto, il più triste dei miei primi due anni di Africa, più difficile anche di tutte le malattie che io ho subito nel primo anno, per dirvi che in questo mondo di poveri esistono realmente questi bambini più poveri di tutti: troppo lontani dalla città per ricevere gli aiuti necessari, troppo piccoli per reagire con le sole forze naturali, troppo tristi in mezzo a questi bimbi africani pieni di grandi sorrisi quando sono in salute. Che non siano lontani dal mio e dal vostro cuore, dalla mia e dalla vostra preghiera di ringraziamento a Dio per il dono della vita.